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Autore: berlinene    01/01/2009    3 recensioni
Questa one-shot nasce da una costola di Dame, cavalier, armi e tornei di eos75 (ovviamente con tutti i consensi del caso da parte dell'autrice)... perchè anche gli arcieri meritano un po' d'amore. E nell'universo di berlinene c'è una sola persona che può darglielo...
Genere: Romantico, Malinconico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Diario di Irene Price genera storie'
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Questa one-shot trae ispirazione da Dame, cavalier, armi e tornei di eos75, che vi invito caldamente a leggere, se ancora non l'avete fatto. Non si tratta di uno spin-off vero e proprio perchè alcuni elementi differiscono dalla storia originale, soprattutto perchè quest'ultima non è ancora completa. La rivincita di Sir Edward è nata come un omaggio da parte mia all'autrice che non avevo intenzione di postare, ma poi lei ha dato il suo beneplacito ed eccoci qua. In sostanza se vi piace fatemi pure i complimenti, altrimenti vedetevela con eos75... XD

Scherzi a parte, un grandissimo grazie a eos75 (e anche a Saretta) per aver letto e apprezzato questa mia, ma soprattutto per le belle storie che ci regala. Lungi da me volerla imitare, ripeto, questo altro non vuol essere che un sentitissimo omaggio... ma anche la colmatura di una lacuna amorosa nella vicenda del mio (per chi ancora non l'avesse capito) personaggio preferito...


Fu il primo a lasciare lo spazio comune della tenda e ritirarsi nel suo alloggio. Si guardò le dita su cui la corda dell’arco aveva inciso piaghe profonde: certo, un’inezia rispetto alle ferite riportate dai suoi compagni ma, purtroppo, la sua disciplina era fatta di inezie. Un tremito della mano, un refolo di vento bastavano a farti mancare il bersaglio.

La tensione della gara non aveva ancora lasciato i suoi muscoli, così si distese sulla branda a occhi chiusi, nel vano tentativo di rilassarli.

Un fruscio lo fece sobbalzare. Da un’apertura nella tenda una figura incappucciata era scivolata nel suo alloggio. Rapida la mano di Sir Edward corse al coltello da lancio che portava nello stivale. Ma si arrestò sentendo una voce provenire da sotto il cappuccio. O meglio, dal suo passato.

“Pace, mio prode arciere”.

C’era solo una persona che lo chiamava così.

“Milady Price”.

“No, mio prode arciere, non sono più milady Price da molti anni, ormai sono solo Irene la guaritrice. O la strega, se preferite”.

“Vostro fratello…”

“Lui non sa che sono qui. Non sa nemmeno che sono ancora viva, credo. Ma va bene così, non vi preoccupate e comunque sono qui per voi, stasera, non per lui. Mostratemi le vostre mani”.

Irene scrutò con aria seria le piaghe sulle dita di Sir Edward poi trasse dalla borsa un unguento e ve lo applicò sopra, con tanta delicatezza che l’arciere non sentì niente, nonostante le dita di lei gli toccassero la carne viva.

Poi gli fasciò le ferite con delle foglie che fermò con una benda.

“Domattina togliete la benda e le foglie e mettete questi” gli porse dei guanti di pelle morbidi e sottili.

“Io tiro sempre a mani nude”.

“Proteggeranno le vostre dita ma non vi accorgerete di averli, sono come una seconda pelle, fidatevi”. Sistemò la benda e l’unguento residui nella borsa.

“Non ve ne andate…” mormorò il cavaliere prendendola per un braccio. Sentì che sotto la tunica di lana grezza i muscoli erano tonici: non era il braccio di una dama, ma di qualcuno che fatica.

“Non ho ancora finito” rispose lei traendo un altro medicamento dalla sacca. “Toglietevi la tunica”.

Edward obbedì, arrossendo.

“Sedetevi” ordinò la ragazza. Lui si accomodò sul letto a torso nudo, lei gli si sedette dietro, spalmò un olio caldo e iniziò un lento massaggio sui muscoli indolenziti: la base della nuca, il collo, le spalle, giù lungo le braccia e poi di nuovo verso le spalle, fra le scapole dove la tensione era massima, specie sulla destra, e poi giù lungo la colonna fino alla zona lombare…

Edward chiuse gli occhi e ricordi che parevano venire da un’altra vita, riaffiorarono, vividi…

Una stanza luminosa, arredata con mobili dai toni caldi, una finestra da cui filtravano i raggi del sole pomeridiano. Sotto di lui un materasso morbido, sopra, lenzuola profumate e una coltre calda. Eppure tremava, e un dolore pulsante esacerbava dalla spalla e dalla gamba sinistre. Vicino al letto stavano un ragazzo e una ragazza che si somigliavano moltissimo, anche se il maschio superava l’altra di una buona spanna. Quello che lo colpì subito fu che avevano gli stessi occhi anche se lo sguardo era diverso. Gli occhi di lui erano freddi mentre quelli di lei brillavano mentre diceva:

“Guarda, Benjamin si sta svegliando”.

“Uhm, bene. Ma ricorda, appena si regge seduto lo mettiamo su un cavallo e lo rispediamo alle sue terre”.

“Ti ricordo, fratello mio, che una carrozza lo ha travolto mentre cercava di salvare dalla stessa sorte uno dei tuoi levrieri… Dobbiamo assicurarci che si rimetta, le norme dell’ospitalità…”

“Ma lo sai chi è?”

“Un giovane cavaliere come te… Se durante una campagna tu rimanessi ferito, pregherei notte e giorno che qualche fanciulla di buon cuore si prendesse cura di te e ti rimandasse a casa guarito”

“La sua famiglia…”

“Uh, quella vecchia disputa di confine… è stata risolta dal giudice Marshall anni fa” concluse lei chinandosi infine sul cavaliere ferito. “Edward, come vi sentite?”

“Cosa è successo?” biascicò a fatica.

“Ne parleremo più tardi adesso pensate solo a riposare” sussurrò sfiorandogli i capelli e avvicinandogli alle labbra secche una coppa di vino annacquato. Il giovane ne bevve due avidi sorsi poi ripiombò nell’incoscienza.

I giorni che seguirono erano confusi nella sua mente, ma ricordava mani fresche che spalmavano unguenti e cambiavano le fasciature sulle sue membra offese. Le stesse mani lo imboccavano amorevolmente e una voce sempre allegra gli parlava di continuo, piano, anche se lui non rispondeva mai. Quando si sentì meglio, però, le rispose eccome, e mentre Irene, così si chiamava la giovane signora, continuava zelante a prendersi cura di lui, conversavano amabilmente, a lungo, degli argomenti più disparati. Poi vennero le passeggiate, prima timide e claudicanti poi sempre più lunghe, e dalla stanza luminosa, a braccetto, si spinsero negli ampi androni del palazzo, poi nel giardino, fino a quella volta in cui arrivarono nel fitto del boschetto di faggi.

Un fremito gli percorse il basso ventre mentre ricordava le carezze che si facevano audaci, i baci appassionati e il profumo del sottobosco fra i suoi capelli.

Anche adesso lei aveva addosso quel buon profumo di bosco e le sue mani erano di nuovo fresco balsamo per le sue membra provate. I palmi erano però più ruvidi di allora e il suo tocco era esperto e non audace, mentre risaliva la spina dorsale, massaggiava con forza fra le scapole e tornava sulle spalle, quindi sul collo. Quando le mani si avventurarono verso i possenti pettorali, però, lui fu svelto a prenderle fra le sue. Senza lasciarle, le fece passare sopra la testa finché non si ritrovarono faccia a faccia, incatenati dalle loro stesse braccia.

Gli occhi, che ricordava ridenti, erano ora velati di tristezza, il volto di fanciulla, segnato dalle intemperie e dalle privazioni, mostrava più anni di quelli che in realtà aveva. Non era più la giovane signora in tenuta da amazzone che visitava i suoi sogni, eppure restava l’unica che avesse mai sognato. E amato.

Irene rimase immobile e lasciò che lui la baciasse e le slacciasse la tunica facendola scivolare lungo le spalle, ma a un certo punto trasalì, sbarrò gli occhi e urlò “no”impedendo alla veste di lasciare scoperto il braccio sinistro. Edward tremò poi, con forza, scostò la tunica. Il braccio era deturpato da un marchio impresso a fuoco. La guardò con orrore.

“No, non è colpa tua” spiegò lei, secca, rivestendosi. “Quando te ne andasti…”

“Tuo fratello mi cacciò…”

“Quando te ne andasti,” riprese decisa “litigai a morte con mio fratello. Mi rifiutai di sposare chiunque mi proponesse, mi comportai da pazza e i preti dissero che ero posseduta. Le mie conoscenze erboristiche e mediche furono frecce in più al loro arco e fui accusata di stregoneria. Se mio fratello non avesse interceduto per me, mi avrebbero bruciata sul rogo. Invece me la sono cavata con questo” proseguì accennando al marchio.

“Terminato il mio addestramento nella guardia, sono tornato cercarvi per chiedere la vostra mano, ma nessuno ha saputo dirmi che fine aveste fatto…”

“Il minimo che potevo fare per sdebitarmi, era mondare il buon nome del casato, scomparendo. Ed è così che ho fatto. Sono stata felice di udire che adesso voi e mio fratello lottavate fianco a fianco. Lui è buono e io gli ho dannato la vita”.

“Ma ora siete qui! Andate a visitarlo vostro fratello oggi è un uomo clemente e giusto… Siamo persino diventati compagni d’arme!”

“Già, avete coinvolto anche lui nella vostra smania di salvare dal loro destino delle creature innocenti e indifese..” sorrise lei.

“Ma ho fallito con voi…”

“ Forse perché non sono né innocente, né indifesa”.

“In effetti siete venuta voi ad aiutare me… Ma andate anche da vostro fratello, ve ne prego, lui è ferito piuttosto gravemente, coi vostri medicamenti…”

“Vi lascerò delle pozioni per i vostri compagni ma non mi farò vedere da nessun altro”.

“Restate con me, stanotte”.

Irene accennò un sorriso amaro e scosse la testa. “Quel tempo è passato, mio prode arciere. Non sarebbe che un breve sogno”.

“Non vivo che di quelli” sussurrò Edward un attimo prima di baciarla di nuovo, con passione. Con dolcezza finì di toglierle il mantello e la tunica di lana grezza, la calzamaglia pesante e gli stivali infangati dove, proprio come lui, teneva nascosto un coltello da lancio. Sfiorò il corpo muscoloso e tirato, più simile a quello di un giovane scudiero che a quello di una dama. Era così diverso da come lo ricordava ma il profumo era lo stesso e anche il sapore e l’ardore dei baci con cui lei gli coprì ogni centimetro del bel volto e del corpo possente.

E su quella branda, con dolcezza, la fece di nuovo sua, dimentichi di tutto, come in quel luminoso pomeriggio nel boschetto di faggi.



Che drammone, eh? Chissà perchè Kennuccio mi tira spesso fuori la vena traggica...

Ancora un bacino a eos, nonostante i nostri Genzo restino diversi...

   
 
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