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Autore: Goran Zukic    10/05/2015    1 recensioni
Qualcosa sta cambiando…si sente nell’aria, si respira nella vita di tutti i giorni, ma nessuno se ne rende conto. La vita va avanti come sempre, ma sta per arrivare qualcosa, qualcosa che cambierà tutto, che renderà ogni cosa diversa e che porterà Equestria in una dimensione quasi dimenticata, sepolta da tempo nei peggiori ricordi della storia. L’armonia che regna su Equestria sta per essere disintegrata, preparatevi ad un viaggio nel mondo di Twilight e le sue amiche, nella più grande e pericolosa avventura della loro vita e che segnerà l’alba o la fine di tutto ciò che noi conosciamo.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Discord, Le sei protagoniste, Nuovo personaggio, Princess Celestia, Twilight Sparkle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Acqua e Fulmine

Guerra e Pace

Capitolo 2

Intorno alla tavola apparecchiata c’era un silenzio quasi tombale, nessuno osava fiatare, tutti erano come ammutoliti, pietrificati.
Augusto fissò il padre con sguardo speranzoso, come provasse a fargli dire qualcosa, ma egli rimaneva con gli occhi bassi, fissi sul piatto di porcellana e gli zoccoli nella criniera ormai grigia.
Il suo sguardo era spento, privo di ogni qualsivoglia emozione, freddo, freddo come l’acciaio.
Non che Ferdinando Loewenheim fosse mai stata una persona loquace e solare, ma mai il figlio lo aveva visto così spento e cupo, mai come in questo momento.
Augusto cercò conforto negli occhi della madre Sofia, ma nemmeno i suoi occhi indaco che sempre l’avevano sorretto e aiutato riuscivano a dargli la forza per prendere parola e rompere il silenzio.
Non era mai capitata una situazione simile, la famiglia Loewenheim era sempre stata una casata serena, che mai si era lasciata affondare dallo svolgersi degli eventi, che mai si era lasciata sopraffare dalle disgrazie e dai dolori, ma questa volta un sentimento di dubbio e confusione affliggeva il capofamiglia, un sentimento che si era propagato in tutti i suoi parenti, lungo la tavolata.
Le guance di sua madre erano rigate di lacrime, che le scendevano come sorgenti sulle guance blu cobalto, non poteva vedere il suo sposo, la persona che più amava, essere così afflitto da un pensiero terribile, così terribile da non riuscire a parlare.
Era arrivata quella mattina la notizia, una mattina fredda, tra le più fredde dell’inverno improvviso che i pony avevano scatenato.
Con uno spiffero di neve la porta aveva bussato e sulla soglia si erano trovati davanti Ethan, il maggiordomo di casa Karamazov.
Non sapevano il motivo di tale visita e lo avevano invitato ad entrare, offrendogli una tazza di tè caldo e un comodo posto a sedere davanti al camino.
Ma con il suo ingresso non era entrato solo uno piccolo soffio di vento gelido, non potevano saperlo, ma quello che Ethan stava per dire loro sarebbe stato più gelido di migliaia di soffi di vento.
Heliod Karamazov era morto, la notte prima, aveva ceduto infine alla malattia che lo affliggeva da mesi, morto all’improvviso, lasciando la terra per cui aveva lottato per tutta la vita, in preda ad una guerra sul punto di cominciare.
Erano bastate quattro semplici parole a rabbuiare l’intera famiglia, a sollevare inquietudini, a portare dolore, la morte di un alicorno, il più grande e nobile alicorno della storia.
Come era venuto, Ethan se n’era andato e questa volta il soffio di vento sotto forma di pianto non entrò dalla porta, ma uscì dagli occhi di Ferdinando Loewenheim.
Erano stati amici, patriarchi di famiglie rivali, ma troppo rispettosi l’uno dell’altro per portarsi rancore, troppo intelligenti per farsi guerra e, soprattutto, lottatori instancabili per una pace tra le razze di Equestria.
Insieme erano stati portatori della pace, firmatari della tregua e unici veri difensori di Equestria, nobili oltre che di stirpi anche d’animo.
La morte del suo più grande amico, non poteva certo portare buon umore nel cuore di Ferdinando, solo dolore e inquietudine, inquietudine per un futuro ora più che mai oscuro e incerto, per una guerra ormai alle porte e per un terribile presagio di sventura.
Ferdinando ora era fermo, bloccato, con lo sguardo fisso su quel piatto di porcellana, la mente assorta in chissà quale pensiero cupo e confuso e la parola che con il dolore sembrava averlo abbandonato.
Augusto era il figlio maggiore, aveva il manto violaceo, con striature di rosso, gli occhi indaco della madre e la criniera marrone rossiccio che aveva un tempo il padre ed era stufo di questo silenzio, stufo di non poter capire cosa affliggeva il padre, ma non sapeva assolutamente cosa poteva dire.
Il silenzio si era ormai prolungato per troppo tempo, non si sentiva volare una mosca nella sala da pranzo, tanto che anche i respiri si erano fratti talmente leggeri poter essere percepiti solo minimamente.
All’improvviso però si aprì la porta e il rumore echeggiò per tutta la casa, Ferdinando alzò lo sguardo come svegliato improvvisamente da un sogno e i suoi occhi iniziarono a scrutare lo spazio intorno a sé , come per cercare qualcuno.
Subito dopo si sentirono dei passi e gran velocità entrò nella sala il terzo figlio della casata Loewenheim, Galvano che era coperto dalla testa ai piedi di neve.
Come infatti per la famiglia Karamazov, anche Ferdinando Loewenheim aveva avuto tre figli: il primo era Augusto, erede della casata, la seconda era Anastasia, aveva il manto indaco della madre e la criniera violacea, ma gli occhi erano rossastri, come quelli del padre e, infine, Galvano, l’unico dei tre a non aver ereditato il gene dell’alicorno.
Galvano era infatti un semplice unicorno; non aveva ereditato le ali del padre, dato che la madre era una semplice unicorno, ma era il figlio che più di tutti gli assomigliava: aveva il suo stesso manto rosso bruno, gli occhi viola scuro e la criniera castana.
I tre figli Loewenheim erano sempre cresciuti in un ambiente sereno e familiarmente stabile, con due genitori amorevoli che li avevano sempre cresciuti nel rispetto e nell’onore, onore di appartenere ad una nobile casata.
Avevano sempre rispettato e aiutato tutte le razze di Equestria, non erano mai stati viziati dai genitori e avevano imparato a contare sulle loro proprie forze.
Augusto era sempre stato cresciuto dal padre con il dogma della pace, della perseveranze e del lavoro, Ferdinando se lo portava sempre appresso per fargli apprendere sul campo i compiti e gli impegni che un giorno sarebbe stato lui a sostenere.
Lo portava nella sala del consiglio nella città libera di Regatha, l’unica città dove unicorni, pony di terra e pegasi vivevano in armonia e fratellanza, una città fiorente e serena da dove Ferdinando ed Heliod amministravano la giustizia e mantenevano la pace, lo portava ad assistere alle riunioni con i capi delle diverse razze rivali e gli insegnava la storia di Equestria.
Anastasia era invece educata principalmente dalla madre, educata ad una vita da moglie fedele e devota, nel rispetto del marito e della casa.
L’unico per cui non avevano progetti era il terzo figlio, Galvano, per il quale non sapevano quale strada fargli intraprendere.
L’avevano educato come i suoi fratelli maggiori, ma nell’adolescenza era cresciuto per conto suo, lavorando a Regatha come postino, poi come apprendista fabbro, poi come assistente avvocato e, infine come giornalista.
Ora erano tutti nella stessa stanza, a guardarsi negli occhi, l’uno più teso dell’altro, tutta la famiglia riunita nel giorno più oscuro della loro storia.
Gli occhi di Ferdinando e quelli di Galvano si incontrarono e lo sguardo del figlio non prometteva niente di buono.
“Figlio mio, non dovevi lavorare oggi?” chiese la madre, con ancora la voce strozzata dalle lacrime appena versate.
“Oggi non si lavora, madre” rispose Galvano, con il tono preoccupato e rassegnato.
“Che è successo?” chiese allora Augusto, nei cui occhi ora si leggeva una forte curiosità.
“Padre…i pegasi…hanno…hanno…occupato Regatha” rispose Galvano, senza spostare gli occhi dallo sguardo del padre.
Gli occhi di Ferdinando si spalancarono di netto e le sue membra iniziarono a tremare, poi come di schianto, il suo corpo si inclinò verso destra e cadde a terra, sul pavimento freddo, privo di sensi.

“Twilight, io esco”
“Twilight, esco”
“Mi senti? Esco”
Twilight, con un leggero tremito, sembrò svegliarsi da un sogno e guardò gli occhi azzurro chiaro di Ivan che se ne stava davanti a lei e la guardava con il suo solito sguardo severo.
“Stavo leggendo” gli disse Twilight, leggermente irritata.
“Scusami principessa se le ho recato disturbo” ribadì lui sarcastico “Ti volevo solo dire che esco, vado a vedere come è il posto”
Twilight annuì e abbassò di nuovo lo sguardo sul libro, come se non l’avesse nemmeno degnato di uno sguardo.
“Antipatica asociale” esclamò con voce bassa Ivan e si diresse verso la porta.
“Mi prendi qualcosa da mangiare?” chiese allora Twilight, prima che il sergente uscisse dalla porta.
“Scordatelo” rispose secco lui e si chiuse la porta alle spalle.
Twilight sbuffò di rabbia e si rimise a leggere il libro, seduta sulla stessa poltrona da parecchi minuti.
L’atmosfera intorno a lei era tranquilla, la piccola Lightbeam era uscita a giocare con delle sue amiche e Octavia stava cucinando la cena, così che nessuno potesse disturbarla mentre leggeva.
Leggeva come non mai in vita sua, i suoi occhi passavano velocemente pagina dopo pagina, alla continua ricerca di risposta, risposte a degli eventi che le avevano sconvolto la mente e le avevano fatto dubitare delle sue conoscenze e delle sue certezze.
Cercava la verità, la verità su Justhought, la verità su princess Celestia, la verità rispetto ad una situazione che si faceva sempre più strana e sempre più ricca di domande.
Mentre leggeva pensava ad Octavia, anche lei forse fonte di risposte, ma per le quali avrebbe dovuto sudare per ottenerle.
Non sapeva cosa ci potesse fare in quel posto dimenticato da dio una celebrità della musica classica come Octavia Melody, che cosa poteva averla portata lì e perché lei non volesse parlarne.
Tutte cose che non facevano che aumentare i suoi turbamenti e la sua sete di risposte.
“Twilight, ti piace il purè di patate?” chiese all’improvviso una voce.
Twilight alzò lo sguardo dalle pagine e vide Octavia, appoggiata allo stipite della porta che la guardava con i suoi bellissimi occhi viola, leggermente tagliati a mandorla.
“Ehm…sì…grazie” rispose Twilight, per rimettersi subito a leggere.
Octavia alzò leggermente il sopracciglio, in un misto di irritazione e dispiacere nel vedere Twilight arrabbiata con lei.
La pony dal manto grigio chiaro fece un sospiro di sconforto e si voltò per tornare ai fornelli, ma venne fermata dalla voce di Twilight.
“Octavia…ecco…mi dispiace per prima, non sono affari miei se non vuoi dirmi quelle cose, scusami se ti ho trattata male”
La violoncellista si fermò di scatto e si voltò verso l’unicorno che la guardava con occhi dispiaciuti.
“Non fa niente, non mi sono offesa, ti capisco” disse allora Octavia sorridendole “Che stai leggendo?”
Twilight ebbe un attimo di esitazione, non sapeva se poteva rivelarle il contenuto del libro, così prezioso per lei e allo stesso tempo così pericoloso, non poteva rischiare di.
“Narra la storia di Equestria” rispose Twilight alla domanda rivoltole precedentemente, cercando di rimanere il più naturale possibile.
Il sorriso di Octavia svanì di colpo e le chiese con tono sorpreso: “Sempre la solita storia insomma?”
Twilight annuì e rispose mentendo: “Un classico sì, le tre razze di Equestria che combattono tra loro, Celestia e Luna che riportano l’ordine, re Sombra, le solite cose”
Octavia sorrise e le disse allora: “Perché non vai anche tu a fare un giro? Se rimani tutto il tempo chiusa qui, finirai per sentirti male”
Twilight annuì, con una leggera espressione contraria e si alzò dalla poltrona, con il libro in mano.
Prese dal tavolino di legno davanti a sé la sua bisaccia e ci mise dentro il libro, che ormai custodiva gelosamente e si incamminò verso la porta.
“Ho una domanda, Octavia”
“Dimmi pure”
“Lightbeam è tua figlia?” chiese Twilight.
“No, no, è solo una puledrina che tengo…è orfana e Locke mi ha chiesto di tenerla con me” rispose Octavia.
Twilight le sorrise, la salutò e uscì dalla porta, aprendo gli occhi davanti al centro di Porto Criniera con la fontana al centro e tutte le poche case intorno.
Si incamminò lungo la via, guardandosi intorno e ammirando lo splendido panorama, con la nebbia che si era fatta meno fitta e densa.
Le case, dai colori vivaci, erano bellissime, in legno di acero e quercia, gli alberi alti e colorati di verde, segno che l’estate era vicina e i pony, che camminavano lungo la via verso il porto per il mercato del pesce.
Ad ogni passo Twilight si sentiva sempre più osservata, ma ormai non ci faceva più caso, non le interessava quello che la gente pensava di lei, le interessava solo quello che lei pensava, non quello che pensavano gli altri.
Passò accanto ad una coppia che parlava sottovoce, guardandola con sguardi di disprezzo e accanto ad un panettiere che quando lei gli passò davanti, sputò a terra.
Sempre più gente si affollava attorno a lei fino a quando non si trovò sbarrata la strada da quattro pony, si voltò, ma intorno a lei si era fatto un cerchio.
L’ansia e la rabbia salirono dentro di lei ed esclamò nervosa: “Lasciatemi passare”
“Che hai frangetta? Nervosa?” chiese allora una voce.
“Oh, Idropirla, non posso dire che un piacere sentire la tua voce da scoiattolo col catarro” replicò Twilight facendo scatenare qualche risata tra la gente intorno.
“Vedo che sei anche capace di insultare, frangetta violetta” disse allora idrozoa uscendo dal gruppo e arrivando faccia a faccia al centro del cerchio con Twilight.
Sul suo viso era arricciato un sorriso beffardo, e la guardava con sguardo superiore e disinvolto, mentre lei aveva un ghigno di rabbia e occhi iniettati d’ira.
Idrozoa, lo stesso pony che l’aveva infastidita al suo arrivo, che sembrava non averne ancora abbastanza.
Aveva gli occhi rossastri, il manto celeste con macchie qua e là bianche, ma per il resto era diversissimo da qualsiasi altro pony avesse mai visto.
Non aveva criniera, aveva come una specie di casco, o qualcosa di simile sul capo fino alla base del collo, azzurro e bianco con un cerchio rosso al centro, la coda piuttosto lunga e stretta con un ciuffetto di peli azzurri solo all’estremità e al centro della fronte un unicorno rosso.
“Cosa sei tu? Una specie di unicorno uscito male?” chiese Twilight a Idrozoa.
“No, frangetta, per tua informazione, sono l’ultimo esemplare rimasto di unicorno di mare” rispose lui orgoglioso.
“Cosa?”
“Non mi stupisce che tu non conosca questa specie, ignorante come sei”
“Chi ostenta la propria grandezza lo fa per compensazione” disse allora Twilight sorridendo e togliendo a Idrozoa quel sorrisetto dalla faccia.
“Va bene, principessina, ti sfido a duello, così vedremo chi ha il diritto di ostentare la propria grandezza” esclamò Idrozoa e a queste parole i pony intorno a loro iniziarono ad acclamarlo e applaudirlo.
“Dove vuoi, quando vuoi” rispose Twilight, ora più che mai decisa nel farla pagare a quel presuntuoso.
La gente intorno a loro allargò il cerchio lasciando i due uno di fronte all’altro.
I loro occhi si incrociarono ed entrambi si guardano con sguardi di sfida e odio, con i nasi arricciati e le bocche arcuate in ghigni da battaglia.
I due si allontanarono di qualche passo, fino a fermarsi a venti passi di distanza.
“Prima le signore, o dovrei dire principesse, mi perdoni” disse lui, scatenando in Twilight ancora più ira.
“Stanne certo” replicò lei.
Ora intorno a loro si era fatto un silenzio quasi abissale, nessuno del pubblico fiatava, si udivano solo i loro respiri e il rumore del mare poco lontano.
Fu allora che il corno di Twilight scagliò verso Idrozoa una scarica di energia, che velocissima si dirigeva verso l’unicorno di mare che venne colpito in pieno.
Twilight sorrise, ma la gioia svanì subito dato che vide che l’energia che gli aveva scagliato contro era imprigionata dentro una bolla d’acqua.
Questa volta era Idrozoa a sorridere e subito dopo, senza che Twilight se ne rendesse conto, la goccia carica di energia le stava cadendo sulla testa.
Fece appena in tempo a saltare di lato, prima che la goccia cadesse a terra creando una mini voragine sulla strada.
All’improvviso però sotto di lei si aprì una crepa e uno spruzzo d’acqua comparve dal terreno facendola volare oltre le case.
L’unicorno allora, che stava per cadere a terra si teletrasportò alle spalle di lui e lo colpì con un fulmine, uscito dal suo corno, che lo scaraventò a metri di distanza.
Idrozoa si alzò a fatica, dolorante e con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca e con gli occhi iniettati di rabbia.
“Nessuno ti ha detto che non bisogna unire acqua ed elettricità? Peccato” disse allora lui e dal suo corno uscì un getto potentissimo di acqua, che però spruzzava delle scintille e dell’energia del fulmine di Twilight.
L’unicorno fece appena in tempo a teletrasportarsi sulla destra, ma il getto come provvisto di mente propria, virò e la seguì.
Twilight lo vide e iniziò a correre velocissima verso la parte opposta.
Il getto distrusse un albero, poi una panchina, prima di arrivare pochi metri dietro le spalle di Twilight, che non sembrava in grado di correre ancora per molto.
Provò ancora a teletrasportarsi, ma subito dopo il getto la raggiunse e la fulminò, facendola rimbalzare dentro la fontana.
La gente accorse velocemente con Idrozoa che sorrideva felice e soddisfatto.
Proprio allora Twilight alzò lo sguardo dall’acqua, aveva tutti i capelli fulminati, la frangia completamente spettinata, il viso e il corpo scuriti, come se le fosse scoppiata una bomba accanto e gli occhi spalancati e quasi scioccati.
“Tutto ok Twilight Splash?” esclamò Idrozoa ridendo e scatenando le risate del pubblico “Sembra che abbia vinto e sembra che tu abbia perso, tu che dici?”
Twilight abbassò lo sguardo con occhi delusi, furente di rabbia, ma troppo imbarazzata per replicare.
“Ti lascio al tuo bagno di salute, ora, fatti vedere se hai voglia di una permanente per tirare su quella tua orribile frangetta” le disse lui allora voltandole le spalle e seguito dal resto della gente che rideva e si divertiva.
Twilight uscì dalla fontana e si diresse con passo lento e triste verso la sua bisaccia che giaceva a terra, inerte.
La prese, se la mise in spalla e si incamminò verso la casa di Octavia.
   
 
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