Questa
storia è stata scritta per l’iniziativa “Ready,
Set, Prompt!” indetta dal gruppo Facebook “The Capitol”. Il prompt scelto è “Una verità che
fa male”.
La one-shot è ambientata durante Mockingjay, durante la spedizione di Gale, Katniss, Peeta e compagnia a Capitol
City; i notiziari hanno appena trasmesso le immagini della squadra colpita dal primo
baccello, annunciando la morte di Katniss, Peeta e Gale (mentre in realtà sono
morti solo Mitchell e Boggs). Keynes è il nome che ho scelto per il fratellino di
Haymitch scrivendo la one-shot “Hey,
Mitch” e che ho riproposto anche qui. Stessa cosa vale per Lyra, che è il nome della sua
ragazza di quando era giovane.
He’s
not coming back.
L’unità della famiglia Hawthorne era piuttosto
piccola, se si teneva conto del numero di persone che ci vivevano.
Haymitch attraversò la stanzetta con aria accigliata, ancora
turbato dalle immagini che aveva visto al televisore qualche ora prima, al
Comando. Le riprese dei Pacificatori nella Capitale avevano mostrato un’esplosione
di melma letale nel punto in cui si trovava la squadra speciale dei Ribelli. Al
notiziario, la voce squillante di una Capitolina, ancor più irritante di quella
di Effie Trinket, aveva
annunciato la morte dei componenti che era riuscita a riconoscere. Katniss Everdeen, la ragazza
in fiamme. Peeta Mellark, o ciò che
era rimasto di lui. E ancora Boggs, Hawthorne e un
pugno di addetti alle riprese, che stando ai Capitolini non erano ancora stati
identificati.
La presunta morte del simbolo della ribellione aleggiava fra
gli abitanti del Distretto 12 come un fantasma dalle fattezze indefinite. Non
era stata confermata, né smentita da nessuno, al Comando, nonostante la Coin
fosse certa che la squadra si fosse nascosta da qualche parte e che presto
sarebbero giunte loro notizie.
Le parole del notiziario erano costellate di dubbi e
incongruenze, ma c’era comunque una piccola percentuale di possibilità che
fossero reali. Era una verità che faceva male, ma che doveva comunque essere
tenuta in colpo.
Per quello, Haymitch si era recato nell’unità degli
Hawthorne. Si sentiva intorpidito, svuotato da tutto, e non aveva voglia di
trascorrere il suo tempo in compagnia di soldati interessati solo all’aspetto
bellico della vicenda. Preferiva restare con chi, come lui, stava vivendo
quelle ore nell’attesa di saperne di più al solo scopo di poter riprendere a
respirare regolarmente. O a dannarsi, in caso quelle notizie fossero state
confermate.
Aveva raggiunto l’unità degli Hawthorne principalmente per
controllare come stesse Hazelle, e scambiarci due
chiacchiere. Non aveva dimenticato la pazienza sconfinata con cui la donna si
era presa cura della sua casa – e di lui – prima dei Giochi, ignorando il suo
caratteraccio e la sporcizia che regnava indiscussa nella villetta.
Quando arrivò, tuttavia, trovò l’unità vuota; c’era solo uno
dei ragazzini, seduto a gambe incrociate sul letto. Lo riconobbe come il più
piccolo dei tre fratelli maschi: Vick, se non errava.
Cercò di attirare la sua attenzione, ma il ragazzino
continuò a fissare il nulla di fronte a sé, assorto da chissà quale pensiero.
“Sto parlando con te” borbottò ancora il mentore, dandogli
un colpetto sulla spalla.
Vick trasalì e sgranò gli occhi, sorpreso.
“Cercavo tua madre” spiegò Haymitch, guardandosi nuovamente
attorno. Lo straniva trovare quell’ambiente così vuoto e silenzioso.
Vick gli sorrise debolmente, ma il suo sguardo continuò ad
apparire distante: sembrava preoccupato.
“È uscita con mia sorella, ma dovrebbe tornare tra poco”
spiegò, giocherellando con un lembo del lenzuolo.
Haymitch squadrò il bambino con aria perplessa; tra i tre
figli maschi di Hazelle, lui gli era sempre sembrato
quello meno musone e anche il più
simpatico, per via dei suoi modi di fare pacati e disponibili. In quel momento,
però, non sembrava poi così diverso dai due fratelli maggiori. Aveva perso
quell’aria solare e gentile che lo caratterizzava di solito.
E poi, da quando i ragazzini erano così taciturni? Normalmente
i marmocchi Hawthorne facevano un gran baccano; specie la più piccola, l’esserino petulante che chiedeva sempre
di potergli toccare la barba. Vick invece se ne stava in silenzio, fissandosi
i palmi delle mani senza vederle davvero.
A un certo punto suo fratello più grande, Rory, entrò
all’unità e gli rivolse la parola un paio di volte, ma il minore sembrò
accorgersene a stento. Sembrava in attesa di qualcosa, qualcosa che né la sua
famiglia, né Haymitch sarebbero stati in grado di dargli.
Il Mentore sbuffò e si sedette di fianco al ragazzino.
“Ci assomigli…” borbottò a un certo punto.
Vick distolse finalmente lo sguardo dalle sue mani, per
voltarsi verso di lui.
“A tuo fratello. Gale”
specificò Haymitch con un movimento vago della mano, ricordandosi che c’era un
altro figlio maschio fra lui e il primogenito.
Il bambino tornò a fissarsi i palmi.
“Rory gli assomiglia di più” ammise, indirizzando un’occhiata
meditabonda al fratello: anche lui era fin troppo silenzioso, rispetto al
solito. Si era seduto sull’altro letto e stava sistemando delle pedine su una
scacchiera tutta sbeccata. “E anche a papà. Io, invece, ho preso dalla mamma”
aggiunse ancora Vick, indicandosi il naso spruzzato di lentiggini.
“Non è mica una brutta cosa” obiettò Haymitch, aggrottando
le sopracciglia. “Tua madre sa il fatto suo.”
Vick gli rivolse un secondo sorriso triste, prima di
annuire.
La stanza piombò nel silenzio, interrotto solo di tanto in
tanto da qualche pedone che cadeva sulla scacchiera del ragazzo di mezzo.
Dopo un paio di minuti, Rory sbuffò e buttò giù le pedine
con un gesto brusco della mano. Raggiunse la porta e se la chiuse alle spalle
con un tonfo, facendo trasalire Vick.
Haymitch borbottò qualcosa a denti stretti; quei due
Gale-Hawthorne in miniatura non stavano facendo altro che alimentare il suo
nervosismo. Se Hazelle non fosse rientrata entro un
paio di minuti, si disse, se ne sarebbe andato. Avrebbe potuto infilarsi nelle
cucine per cercare di scroccare a Sae la Zozza un po’
di alcool. Sempre che ce ne fosse, di alcool, in quella prigione mal celata che
chiamavano Distretto.
“Non tornerà, vero?”
La voce di Vick lo sorprese all’improvviso.
Haymitch tornò a fissare il ragazzino, aggrottando perplesso
le sopracciglia.
“Toh, allora ce l’hai ancora la lingua” osservò, abbozzando
un sorrisetto ironico.
“Mamma non vuole parlarne, ma io le ho viste le immagini al
notiziario” proseguì Vick, ignorando il suo commento. “Ho visto la foto di Gale
e quella Capitolina che lo dava per morto. Non tornerà, vero?”
Haymitch sostenne a fatica lo sguardo insistente di Vick; una
tristezza nuova velava i suoi occhi, nascosta sotto il tipico strato di
determinazione presente in tutti gli Hawthorne. La determinazione di chi è alla
ricerca della verità, rincuorante o dolorosa che sia. La stessa verità di cui
era in attesa lui.
Haymitch sospirò, rimpiangendo in quel momento più che mai
la mancanza della fidata bottiglia fra le mani; non era la prima volta che si
trovava a dover rispondere a una domanda simile, sentendosi incapace di dare
una risposta decente.
Anni prima, un ragazzino molto simile a Vick – tratti tipici
del Giacimento, qualche lentiggine sul naso, lo stesso sorriso gentile - l’aveva
fissato con altrettanta intensità, supplicandolo di dirgli la verità.
“Non tornerai, vero?” gli aveva domandato suo fratello
Keynes, la sera prima della sua ultima Mietitura. Stavano parlando di cosa
sarebbe successo nel caso l’indomani fosse stato estratto.
Keynes aveva dieci anni e per la prima volta da che sapeva
parlare, gli aveva chiesto di essere sincero; non voleva più che ammorbidisse
la realtà con qualche favola o una bugia, per farlo sentire protetto e al
sicuro.
Così, Haymitch l’aveva accontentato. Gli aveva risposto che
no, probabilmente non si sarebbero più visti. Gli spiegò che avrebbe lottato,
ma che forse i suoi sforzi non sarebbero stati sufficienti e che se fosse
andata così sarebbe toccato a lui prendersi cura della madre. Anche se la
signora Abernathy non era mai stata il genere di donna che si lasciava abbattere facilmente.
Era come Hazelle, viva
anche quando il dolore e la paura minacciavano di ucciderla ogni volta che apriva gli occhi la mattina.
Era stato sincero, e alla fine era tornato. Aveva smentito
se stesso e la Capitale, superando le aspettative imposte sui ragazzi del suo Distretto.
Al suo ritorno, però, non aveva più trovato Keynes: suo fratello era morto
prima di poterlo riabbracciare. Era morto senza aver avuto la possibilità di
difendere sua madre, senza aver potuto essere l’uomo che Haymitch aveva spesso
sognato che diventasse.
Keynes se ne era andato; Lyra – la sua ragazza – se ne era
andata.
Katniss e Peeta erano stati travolti da una purulenta ondata
di gel, così come il ragazzo degli Hawthorne.
E ad Haymitch non era rimasta che la bottiglia, amante incapace
di deluderlo, tenuta segregata da qualche parte, a debita distanza da lui.
“Beh, ragazzino” esclamò infine, tornando a voltarsi verso
Vick. “Ti dirò la stessa cosa che un tempo avrei dovuto rispondere a un moccioso
della tua età.”
Si chinò verso di lui con fare cospiratorio.
“So che sei convinto di voler conoscere le cose esattamente
come stanno” proseguì, abbassando la voce. “Magari ti senti già grande e sei
stufo di farti trattare da bamboccio, ma ci sono delle verità che non vorrebbero
conoscere nemmeno gli adulti.”
Vick ascoltò con fare attento, gli occhi grigi lucidi di
lacrime.
“Verità che fanno male” precisò Haymitch. E che ne faranno sempre, pensò
ricordando le guance di suo fratello rigate dal pianto.
“Goditi la possibilità di non sapere finché sei in tempo”
aggiunse, arruffando rozzamente i capelli di Vick. “Ma se ti va di ascoltare
una supposizione, ti posso dire la mia: tuo fratello non è il genere di persona
che si lascia mettere fuori gioco da un po’ di melma puzzolente.”
Il ragazzino si asciugò gli occhi con il dorso di un pugno e
annuì.
“Grazie” mormorò infine, tendendogli la mano.
Un sorriso sincero gli piegò gli angoli delle labbra,
restituendo al suo volto un po’ di serenità.
Haymitch lo fissò interdetto per un po’, prima di ricambiare
la stretta di mano.
“Ci assomigli per davvero” ripeté ancora una volta,
distogliendo lo sguardo.
Non si stava riferendo al fratello del ragazzino, ma a quello
di qualcun altro.
Questo, però, a Vick non lo disse mai.
Note Finali.
Come
già avevo accennato in Hey-Mitch, avevo in programma da un po’ di scrivere
su questi due perché nella mia testa Haymitch ha sempre rivisto un po’ il
fratellino nei modi di fare pacati e un po’ da sognatore di Vick. Finalmente,
grazie all’iniziativa piena di prompt ispirosi di The Capitol, sono riuscita a combinare qualcosa! Io e Haymitch non andiamo molto d’accordo,
nel senso che mi piace tantissimo ma non ho molta dimestichezza con lui. Spero
di non averlo reso OOC -\- Di Vick,
invece, si sa poco o niente, quindi ho cercato di attenermi alla
caratterizzazione che gli ho dato nelle altre storie della serie “Figli del
Giacimento”. In questa one-shot, però, è un
po’ più cupo e ‘Hawthornoso’ del solito, complice la
preoccupazione per suo fratello.
Grazie
mille a chiunque passerà a leggere questa storia <3
Un
abbraccio e a presto!
Laura