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Autore: wildbeauty    10/05/2015    3 recensioni
Tic tac. 
Merope se ne va da Little Hangleton, sposandosi in segreto con Tom Riddle. 
Tic tac.
Tom l'abbandona incinta del figlio, da sola e senza più contattarla.
Tic tac.
Merope è da sola, non sa più cosa fare, con un bambino che è la sua gioia e al contempo una disgrazia. 
Tic tac.
Questa storia è arrivata terza (ex aequo) al contest "Viva la mamma" indetto da Nuel2 sul forum di efp.
Partecipa al contest indetto da CeciliaMargherita sul forum di EFP, 'forever shot [contest libero per linkare one-shot a tutto spiano]'.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merope Gaunt, Tom Riddle Sr.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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La donna si svegliò di soprassalto. Doveva aver avuto un altro dei suoi soliti incubi. La perseguitavano da quando loro erano stati arrestati. Tentò di ricordare il sogno, ma era ormai nebuloso nella sua memoria: l'unica cosa che le era rimasta impressa era un enorme serpente. Si ricordò di Orfin e corrucciò la fronte, infastidita. Non era il momento di pensare a loro.
     Il bambino si girò agitato dentro di lei, e Merope sorrise involontariamente.

(non l'hai mai visto, non sai nemmeno com'è fatto o come sia il suo carattere, ma lo ami già. Che magia è questa?)

Si stiracchiò un attimo, allargando le braccia e mugugnando un po'. Si voltò, cercando istintivamente il calore del corpo del marito, ma le sue mani trovarono solo lenzuola. Aprì gli occhi immediatamente, un campanello d'allarme che iniziava a risuonarle nella testa. Si alzò di scatto, con un lieve sospetto, che le strisciava subdolo sottopelle.

(non può essersene andato, hai suo figlio in grembo)
     
     Si diede della sciocca paranoica: Tom l'aveva amata, l'aveva sempre amata, aveva soltanto avuto bisogno di un incentivo, ecco.

(una piccola, innocentissima spinta)

     Andò nel cucinino e non trovò nulla, nemmeno un biglietto. Cercò ovunque, con frenesia sempre maggiore, spostando le sedie, scostando le pentole con lo stesso tremore nelle mani che aveva quando viveva con loro. Iniziò a piangere, e quasi non se ne accorse. Non poteva averla abbandonata. Sì, ultimamente aveva diminuito le dosi del filtro,

(ingenua, ingenua ragazzina)

ma non poteva, semplicemente non poteva...
      La bacchetta!
     Doveva solo prendere la bacchetta, farla ondeggiare e pronunciare poche semplici paroline. Si rincuorò un attimo e corse in camera, inciampando nella vestaglia. Rovistò nel cassetto, togliendo fazzoletti e calzini, buttandoli alla rinfusa alle sue spalle. Quando la trovò la prese fra le mani, stringendola convulsamente.      
     "Latibulum revelo" disse, balbettando appena. 
     Non accadde nulla, e Merope iniziò a singhiozzare, prima piano, poi sempre più forte.

(ti sembra di essere tornata a Little Hangleton?)

     Perché se n'era andato? Labitulum revelo. Erano felici insieme. Labitulum revelo. Non li aveva abbandonati, non lui... Labitulum revelo.

(Labitulum revelo)

*

Tic tac.
     L'orologio a pendolo ticchettò, le lancette si spostarono secche. Merope non poté fare a meno di fissarlo, pensando ai meccanismi che lo facevano funzionare, alle piccole rotelline che si incastravano perfettamente e che si muovevano e si muovevano, senza mai fermarsi. Non aveva mai visto oggetti simili, Merope, ma da quando viveva nel mondo dei Babbani le si presentavano davanti agli occhi continuamente.

(tic tac) 

     Gli orologi di Mr. Finnegan l'affascinavano particolarmente. Quando Tom sarebbe tornato avrebbero potuto comprarne uno.
     "Desiderate?" disse una voce sottile e con un forte accento londinese. Apparteneva a un omino rattrappito, con gli occhiali e due enormi occhi neri.
     "Buongiorno, Mr. Finnegan. Vorrei impegnare questa" sorrise distrattamente, porgendogli una collanina.
     "È la sesta volta questo mese" replicò allusivo l'ometto, squadrandola al di sopra degli occhiali che scivolavano sulla sella del suo naso.
     Ma Merope non colse l'insinuazione, o forse la ignorò semplicemente. Fatto sta che riprese a fissare gli orologi, sognante.      

(tic tac)

     "Vorreste comprarne uno?" chiese l'uomo, distogliendola dai suoi pensieri.
     "Mi piacerebbe molto..." rispose lei, scoccando un'occhiata al pendolo "Ma vedete, devo risparmiare un po' per il bambino."
     "Capisco" disse l'altro, sorridendole affettato.

*

Merope sapeva che Mr. Finnegan la riteneva una povera illusa senza speranza. Ma a lei non importava. Era un uomo troppo pragmatico per poter capire la portata del sentimento che legava lei e suo marito.    
     Certo, all'epoca ne aveva dubitato anche lei – che sciocca! – e talvolta era stata un po' triste per la sua situazione, ma aveva concluso che Tom aveva solo voluto prendersi una pausa. In fondo la paternità è una cosa difficile da digerire. Lei stessa aveva impiegato un po' di tempo per abituarsi all'idea. Certo, lui era evidentemente più lento di lei a metabolizzare: dopo un mese pensava che gli sarebbe stato tutto più chiaro, invece...

(il Big Ben rintocca le dodici. Tic tac)

     Lo sguardo di Merope si rabbuiò un attimo, mentre camminava per le viuzze londinesi. Ma poi tornò a sorridere, gioiosa. Quel giorno si era svegliata allegra e fiduciosa e nulla avrebbe modificato il suo umore. Né Mr. Finnegan né le bollette che trovò sullo zerbino né le lettere che Tom le aveva rispedito, ancora chiuse.      
     Quel giorno era solo una futura mamma felice. Spazzò un po' per casa, canticchiando ninnenanne a mezza bocca. Doveva pur fare pratica! Chissà cosa fa una madre, si ritrovò a pensare. Non aveva avuto nessuna esperienza diretta.

(le madri sono esseri misteriosi in un mondo di chiffon e culle)     

Forse, pensò, quando si ha un figlio si scopre subito cosa si deve fare. Magari è innato. Una specie di istinto. Sì, doveva essere così.

(si diventa madri? O lo si è da sempre?)     

Il piccolino – non aveva ancora deciso un nome, voleva farlo con Tom – le diede un calcio. Era piuttosto irrequieto: chissà se sarebbe stato vivace come suo padre. Merope sperava con tutta sé stessa che assomigliasse a Tom. E le signore del quartiere

(rozze, sporche e ignoranti donne che a volte aveva la tentazione di Cruciare. Ah, se solo la magia le fosse tornata)

avrebbero smesso di spettegolare su di lei alle sue spalle. Avrebbe mostrato loro il suo bellissimo bambino, e Tom sarebbe stato lì con lei, ad abbracciarla dolcemente.
Sorrise a quei pensieri mentre si sedeva sul letto e iniziava a sferruzzare. Si era comprata un bel po' di gomitoli,

(non vuoi vedere il cibo che manca? Non vuoi notare la lampadina che non si accende più?)

voleva preparare un paio di scarpette per il bambino. Morbide, calde e comode.

(esci dal sogno, Merope)

Non l'aveva mai fatto, ma non le importava. In fondo quanto poteva essere difficile? 
    Si ritrovò con due fagottini informi fra le mani. Li fissò a lungo, lacrime che le scorrevano silenziose lungo le guance. Era un tentativo così penoso, così goffo, così inesperto.

(così dolce)

Raddrizzò la schiena, tirando su col naso. Perché piagnuculava come una bambinetta? Era la prima volta, non doveva scoraggiarsi così. E per cosa poi? Un paio di scarpette?

(vuoi solo essere una brava madre)

    Merope quindi sorrise, si riscosse e prese un altro gomitolo.

*

Se n'era andato per lui. Non c'era altra spiegazione. L'aveva spaventato. Suo figlio le stava portando via tutto. Suo marito era fuggito a causa sua. Lei non riusciva a lavorare a causa sua.

(troppo inesperta, ve lo dico io, troppo debole, non riesce a fare nulla e quando ci prova fa male)

Lei aveva perso la casa a causa sua. Non aveva denaro, non aveva magia. Costretta a mendicare per strada come un cane...
     Stava morendo a causa sua. Mangiava poco e quel poco lui glielo succhiava via come un vampiro, lo sentiva, lo sapeva.

(piantarsi un pugnale nel ventre, distruggere quello che ti sta distruggendo)

Era lui il suo problema: quello che avrebbe dovuto portare solo gioia e momenti felici era in realtà la sua rovina.
     Ma sapeva che non sarebbe mai riuscita a liberarsi di lui.

(è tuo figlio, e segretamente sai di sbagliarti, ma scaricare la colpa su qualcuno rende tutto più facile)

E Merope sapeva che quando la rabbia sarebbe svanita si sarebbe maledetta per quei pensieri, e avrebbe pianto tentando di scacciarli e avrebbe chiesto scusa, ripetendolo centinaia di volte dentro di sé, finché non si fosse addormentata sul marciapiede.

*

Non c'era una luce, non c'era nemmeno buio. Non c'era Tom. Non c'era proprio nulla. Voleva piangere, ma sentiva che qualcosa la bloccava, una specie di strana oppressione al petto, che le rendeva difficile respirare. Merope sapeva che non sarebbe riuscita a resistere ancora a lungo.

(il peso sul petto diventa macigno)

Tom non sarebbe più venuto. Tom non ci sarebbe più stato.

(gli occhi si aprono all'improvviso, è l'ultima ribellione?)

Sperò che gli assomigliasse. Un bel ragazzo moro, dagli occhi scuri e profondi, affascinante e,

(ti prego, ti prego)

che avrebbe avuto una bella vita. Si sarebbe sposato e avrebbe avuto dei figli, e sarebbe rimasto con la moglie. Sarebbe rimasto con lei.

(l'aria esce dai polmoni)

Tom sarebbe stato davvero un bravo ragazzo. Anche senza di lei, ne era sicura. 
     Se avesse potuto piangere, l'avrebbe fatto.

(vuoi solo essere una brava madre)

E vissero
                  per sempre            
                                          felici e contenti.               
Fine.  

(Tic tac.)

Nda
1-Scrivere di Merope in questo particolare momento della sua vita mi è risultato parecchio difficile: le informazioni erano poche e spesso discordanti. Non si sa bene cosa accadde dopo la fuga del marito, alcuni dicono che impazzì, altri che cadde in depressione, ecc. Ho scelto perciò di mescolare tutto quello che avevo trovato, cercando di far quadrare ogni cosa.
2-Spero non sia sembrata schizofrenica. Fra ogni 'grande' paragrafo c'è un intervallo di tempo piuttosto lungo. Ho infatti ipotizzato (nell'intento di rimanere IC) che all'inizio, quando scopre che il marito se n'è andato, piombi in una profonda disperazione. Questo suo staro dura circa una settimana, durante la quale è ancora in grado di ragionare lucidamente. Poi precipita in una specie di limbo illusorio, che dura circa tre mesi, dove si autoconvince che tutto vada bene e che sia perfettamente normale - anche se a volte crolla. Da fuori potrebbe persino sembrare normale, ma è qui che inizia a perdere un po' la bussola. Nel terzo stadio Merope è in una situazione disperata ed è descritta quando non è in sé, e ha atteggiamenti da pazza. Nella quarta e ultima parte c'è la consapevolezza finale e con questa un nuovo - seppur breve - recupero della sanità mentale. Giunte però troppo tardi.
3-Vorrei anche spiegare perché Merope non si rivolge a un mago: inanzitutto per la sua esperienza non propriamente incoraggiante, che la porta a non fidarsi molto, e in secondo luogo per l'illegalità della sua azione. Propinare un filtro magico a un Babbano non è certo il massimo dell'etica.
4-'Latibulum revelo' non è una vera e propria formula 'made in Rowling', anche perché non ne ha inventato una per trovare le persone. È un incantesimo scritto in latino, che letteralmente significa 'scopro il nascondiglio'.
5-Voglio inoltre specificare che l'utilizzo così particolare delle parentesi è assolutamente voluto. Così come le interruzioni che creano in una frase, come il corsivo e lo spazio fra loro e la frase. È anche voluta che la focalizzazione delle frasi al loro interno sia nebulosa. E la mancanza del rientro a sinistra quando queste si presentano. 
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'. 
   
 
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