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Autore: Chiiara    10/05/2015    0 recensioni
"Avevo 13 anni la prima volta che finì nei guai: fumai roba pesante. All'epoca credevo fosse una stupidità che valeva la pena fare."
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"Chi cazzo sei?"
'Sai a tuo padre è venuta la buona idea di portare a casa una ragazza sconosciuta e che è appena stata abbandonata dai suoi genitori e dal suo ragazzo. Ah ed è appena uscita di prigione per possesso di eroina.'
No; decisamente non potevo dire questo.
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"Sai qual è il mio problema? Che io non solo mi sento rifiutata dal mondo, ma io stessa lo rifiuto. Partecipare, ma non troppo. Conoscere, ma non sapere. La doppia me, di cui una è con troppi problemi per farne parte e l'altra con troppa voglia di essere nella mischia."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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-PROLOGO-

 
"Avevo 13 anni la prima volta che finì nei guai: fumai roba pesante. All'epoca credevo fosse una stupidità che valeva la pena fare."

Silenzio.

"Anni dopo inizia ad entrare nelle discoteche grazie a delle conoscenze. Mi sembra che avessi 14 anni e mezzo la prima volta che mi ubriacai tanto da non reggermi in piedi. Ogni notte uscivo con i miei amici, eravamo tutti uniti. Ci sgolavamo bottiglie di Vodka. Noi eravamo così: Liberi, selvaggi."
Mi trovavo in una stanza buia, le mani ammanettate, con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi rossi.
"Continua, per favore." 

Silenzio. Non avevo niente da dire.

"Savannah, eri in possesso di eroina, dimmi perché. Ti posso aiutare."
Alzai gli occhi e lo guardai dritto nei suoi. Poi li riabbassai.
"Noi siamo così; liberi, selvaggi."
Sospirò. "Ti prego, parla."
"Il mio ragazzo mi aveva chiesto di ritirarla. Dovevo portargliela. Non credo che gli farà piacere sapere che mi hanno scoperta."
"Qual è il suo nome?"
"John? Johnny? Jonathan? Non ricordo."
"E' la prima volta che finisci dentro, io ti posso far uscire se vuoi?"
"Perfetto, e poi?"
"E poi sta a te decidere cosa fare. Spero la scelta giusta."
L'avvocato Byron, così mi pare si chiamasse, uscì dalla stanza lasciandomi sola. Solo in quel momento mi accorsi della situazione in cui mi ero cacciata. Avevo bisogno di uscire fuori e prendere una boccata d'aria, e poi fumarmi una sigaretta innocua insieme ai miei amici, conosciuti grazie a Jimmy.
Avevo combinato un casino, Jimmy me l'avrebbe fatta pagare. Mi ero fatta beccare con l'eroina.

Il signor  Byron rientrò e mi fece segno di alzarmi, mentre una guardia mi liberava i polsi.
"Usciamo da qui, vieni."
I corridoi erano lunghi e silenziosi, a parte il rumore delle porte sbarrate che venivano chiuse a chiave. Fuori il sole era già sceso e non c'era anima viva per strada. Sbuffai. la giornata era ancora lunga per noi, ragazzi notturni, ed io non avevo nessuna voglia di affrontarla.
"Per qualsiasi cosa chiamami. Ho avuto modo di lasciare il mio numero ai tuoi. Buona fortuna." 
L'uomo, avvocato, sui quarant'anni, mi strinse la mano, per poi infilarsi nel suo Suv nero e sparire.
Mi incamminai verso casa, fumandomi la quotidiana sigaretta.

Quando entrai in casa non trovai nessuno. Anzi a dire la verità non trovai niente, tranne che la mia roba tutta ammassata in degli scatoloni. E' così che succede. Le persone se ne vanno. Ma non avrei mai immaginato loro. Aprii uno scatolone e la prima cosa che trovai fu una foto di famiglia. Io, loro e Allie, la mia sorellina di 5 anni. Le lacrime scesero, ma erano lacrime di odio, di rabbia tenuta repressa. Scaraventai contro una parete la foto. Il vetro si ruppe in mille pezzi,esattamente come mi sentivo io in quel momento: a frammenti, disintegrata. Con le lacrime agli occhi, uscì di casa sbattendo la porta con una potenza assurda facendo tremare le finestre. Mi avviai verso la casa di Jimmy, il mio ragazzo, per spiegargli la situazione. Da un po' di tempo aveva iniziato a farsi di roba più pesante. Lo trovai per strada, bello come sempre, con lo sguardo duro e la barba scura sotto al mento che cresceva. Era in sella alla sua moto ancora accesa. Finché non mi notò e la spense. Sorrisi, o almeno provai a fare qualcosa che assomigliava ad un sorriso, mentre lui si avvicinava a me. Mi prese per il polso e mi trascinò in un angolo.
"Sono giorni che aspetto, dov'è la roba?"
La sua presa stringeva talmente forte sul mio polso che gemetti di dolore.
"Allora, dove ti eri cacciata?"
Era in astinenza per colpa mia e fuori di se,  ed io mi sentivo fragile davanti a lui. Inizia a dire qualcosa con la voce che tremava, sperando che tutto andasse per il meglio.
"S-stavo venendo a cercati... Poi uno... sbirro"
"Cos'è successo Savannah?!" Premette più forte sul mio polso.
"Mi fai male!"
"Parla!"
"Mi hanno beccata con la roba, mi dispiace non volevo, scusa, non succederà più."
Uno schiaffo. Poi un altro. E un altro.
"Sei un'ingenua, vai a farti fottere."
E se ne andò lasciandomi lì, accovacciata sul marciapiede a piangere. 
Nel giro di pochi minuti iniziò un terribile acquazzone. Tornai a casa infreddolita e completamente bagnata, con la testa che pulsava. Vedevo sfuocato date le troppe lacrime buttate fuori. Mi appoggia al muro con la schiena e mi distesi a terra, abbracciando le gambe e tenendole vicino al petto. Ero a pezzi, e stavo gelando.
Mi chiamo Savannah Owen, ho 17 anni e sono sola, senza speranze.
  
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