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Autore: Candy Chanel    01/01/2009    4 recensioni
Shin, dopo anni, ritorna con i genitori a vivere nella sua città natale. Ritroverà vecchi amici di cui aveva perso il ricordo, nuove persone da conoscere e un locale tributo ai Guns'n'Roses, il Paradise City.
In una città giapponese dove il decoro regna incontrastato, esiste solo un posto dove fumare in santa pace, dove ritrovarsi insieme e dimenticare ciò che si è.
Benvenuto al Paradise City, dove fumo, droga e piccoli peccati hanno lo stesso dolce sapore della tragressione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shinichi Okazaki
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Nuova scuola nuovi amici.

Almeno così credevo.

I traslochi non mi sono mai piaciuti.

Almeno, gli ultimi tre.

Ma quella volta sembrava proprio…Beh, diversa?!

Quella città era… Wow, se avesse dovuto descriverla con una sola parola non credo che mi sarebbe riuscito. era calma all’apparenza, ma a guardarla bene si notava che la gente non la smetteva di correre da una parte all’altra, un po’ come a Tokyo. Già, Tokyo. Sicuramente non mi sarebbe mancata quella sua confusione a tutte le ore del giorno e della notte, come un frenetico andirivieni. Invivibile, sì, Tokyo per me il quel periodo era invivibile. Così caotica e chiassosa, vivevo lì come si vive in una bolla di droga letale, pronti a morire di overdose, mentre quella città che in quel momento con la macchina stavamo percorrendo sembrava più una specie di centro di disintossicazione.

- mi è così familiare…- mi uscì di bocca, mentre guardavo dal finestrino le luci rincorrersi.

- ma è chiaro Shin! Qua hai passato i tuoi primi quattro anni di vita!- mia madre mi guardò e mi sorrise.

Aspetta un attimo, cosa aveva detto?! Io ho vissuto qua?

- sul serio?- chiesi stupito.

- si Shin, questa è la città natale di tua madre…- rispose mio padre, cercando di seguire la nostra misera conversazione e contemporaneamente le indicazioni del navigatore satellitare. Uomo strano mio padre, che voleva sembrare giovane a tutti i costi, ma non ci riusciva mai tanto bene; non mi riferisco ai classici capelli tinti o ai vestiti alla moda, ma alla continua ricerca del nuovo da parte sua.

- e come mai non mi ricordo?- chiesi insistentemente, mia madre sospirò.

- Ce ne siamo andati che avevi quattro anni…-

Ok, non mi ricordavo niente. Tanto meglio. Avrei ricominciato anche qui da zero.

- Però i tuoi amici ci sono ancora. Intendo i Fujieda e i Serizawa…- quando mia madre cominciava a parlare dei vecchi amici non la finiva più, e spesso nessuno la ascoltava. Parlava così velocemente che se ci si fosse distratti anche solo per pochi secondi, avremmo perso il filo di tutta la discussione.

- Possibile che non te li ricordi?- mi chiese, quando ormai il suo discorso era finito ed io ero riuscito solo a carpirne metà.

- Ma chi?-

- Reira e Naoki…- mi rispose facendomi un suo solito sorriso.

-Dovrei?- chiesi spaesato. Mio padre sorrise da solo, forse si ricordava qualcosa che in quel momento a me sfuggiva.

Dopo tante strade sbagliate e ricordi, raggiungemmo un condominio che, a detta dei miei, era stata la prima casa in cui ho abitato.

Era… Beh, c’erano davvero poche parole per descriverlo: aveva pochi piani,per ogni finestra un davanzale, ed essi erano così spaziosi che quasi si toccavano, anche fra appartamenti diversi; sicuramente verniciato da poco, e il quartiere nel complesso era tranquillo, per essere metà pomeriggio. “ La mia nuova clinica di disintossicazione”, mi ritrovai a pensare, e il bianco grigio delle pareti e l’aspetto asettico del palazzo sembravano darmi ragione.

- Ti piace?- mi chiese mio padre, poi cominciò a scaricare il bagagli. Come se importasse, tanto fra poco ce ne saremmo andati anche da qui, vero?

- Eiko!- una persona davanti al portone di casa chiamò  mia madre. A guardarla sembravano avere la stessa età.

- Kyoko!- mia madre le andò incontro e l’abbracciò calorosamente.

- e questo deve essere Shin! Mamma mia come sei cresciuto!- e dicendomi questo mi abbracciò proprio come fece in precedenza con mia madre. Io non feci altro che guardare mia madre con fare interrogativo.

- Scommetto che non ti ricordi di me, vero?- mi chiese sorridendomi. Io non potei fare a meno di sorriderle a sua volta e annuire quasi imbarazzato.

-Lei è la signora Serizawa…- si intromise mia madre - La mamma di Reira…- è la seconda volta che sentivo pronunciare quel nome, ma ogni volta che lo cercavo nei miei ricordi sembra inesistente. Davvero, se pensavo a chi poteva essere questa ragazza non mi veniva in mente nessuno. Proprio nulla, ma doveva essere una ragazza splendida, a sentire come ne parlava mia madre, anche se lei stessa non l’aveva vista da anni. Insomma, viveva di ricordi.

-Ok, dalla faccia non ti ricordi nemmeno di Reira!- continuò quella donna sorridendomi. Cavoli, per lei dovevo essere proprio un libro aperto, fico.

- Hai presente la foto che teniamo sempre in tutte le cucine che abbiamo abitato, di te quando hai quattro anni e che dai un bacio ad una bimba con i capelli color oro?- mi chiese mio padre.

Oddio… quella è Reira?! Quella bambina di cui ogni tanto mia madre si divertiva a dire che adoravo e che da piccolo non  la smettevo di parlare di lei?

- si ma adesso non ha più i capelli biondi ora…- il mio filo di pensieri e ricordi venne interrotto dalla madre di Reira, che stava spiegando che la figlia non aveva più i capelli dorati. Beh, sicuramente se li doveva essere tinti di marrone o neri, per uguagliare le compagne di classe. In effetti,  da tutto ciò che di quella città avevo visto, sembrava di essere in una di quelle città vecchio stampo, una di quelle amanti del decoro e delle galanterie, come in un libro di favole moderne, dove non c’è posto per quelli come me, quelli che si tingono i capelli, si riempiono di piercing, fumano, o hanno già fatto tutte quelle esperienze sessuali che alla loro età i nostri genitori nemmeno le pensavano.

- Ah, eccola!- mi voltai verso la direzione della signora Serizawa e la vidi. Altro che capelli marroni, quelli erano rosa spento!

Ma non erano belli solo i capelli.

Cavoli no.

Era lei che era di un bello impossibile.

Avrei potuto trovare tutti gli aggettivi più belli del mondo in quel momento.

Sicuramente dovevo avere la bocca aperta o gli occhi sgranati, perché potevo sentire la risata soffocata di mio padre.

- Shin! Quanto tempo!- mi disse la ragazza, correndo verso di me per abbracciarmi. Dovevo proprio sembrare un idiota, e i motivi erano tanti: primo, lei si ricordava di me, io no; secondo, ero rimasto imbambolato davanti alla sua figura; terzo, non proprio tutto di me era rimasto imbambolato, e alcuni miei pensieri poco carini si facevano spazio nella mia mente e quarto, ma forse il più importante,il suo profumo di pesca mi stava facendo lo stesso effetto di una droga.

Potevo far finta di riconoscerla e di poter dire “ è vero, è moltissimo tempo che non ci vediamo” e poi chiedere a mia madre una volta arrivati a casa cosa avevo dettagliatamente fatto con lei, oppure essere stupidamente veritiero.

- Ma forse nemmeno ti ricorderai di me!- mi disse con un sorriso enorme staccandosi dall’abbraccio.

- In effetti mi è oscuro tutto ciò che ho fatto qua…- ammisi. Bene, istintivamente avevo scelto la parte dell’ebete.

- Don’t worried!- continuò poi si rivolse ai miei genitori e a sua madre - lo porto al Paradise City, Naoki è lì, ed è tutto il giorno che non fa altro che cadere in paranoia pensando a quando Shin e lui si ritroveranno faccia a faccia.-

Dove? Il Paradise City? Cos’è? Naoki?

- È un locale dove noi ragazzi ci ritroviamo…- mi disse Reira come se mi avesse letto nel pensiero, come aveva fatto in precedenza sua madre. Doveva essere un vizio di famiglia.

- Dove voi ragazzi vi trovate…- ripeté la madre un po’ a presa in giro. Dovevo preoccuparmi o meno?

No, non dovevo preoccuparmi.

Insomma, uno come me doveva preoccuparsi?

Io che guardavo i capelli di Reira allibito, quando avevo i capelli azzurri? Io che avevo dodici piercing? No, ero solo “eccitato” dall’idea di un nuovo giro d’amici, ma soprattutto curioso di sapere chi fosse Naoki.

-Ok, io vado!- salutai tutti allegramente e la seguii.

Per gran parte del tragitto che ci portava al fantomatico locale rimasi leggermente indietro rispetto a lei,  che camminava velocemente. Ad ogni passo sentivo il suono delle sue tante collane al collo tintinnare, così come per i braccialetti, tutti in metallo e tutti maledettamente tintinnanti. Camminava scomposta, come se avesse smania di arrivare presto

- Vedrai che arriveremo subito…- mi diceva ogni due minuti, confermando la mia ipotesi e io, che continuavo la mia parte dell’ebete, annuivo.

Cioè mi ero… infatuato?

Avrei voluto vedere qualcun altro al mio posto.

A metà del tragitto Reira rallentò il passo e si mise al mio fianco, cominciando a parlare.

Così scoprii che a tre anni le avevo giurato eterno amore, le avevo regalato una rosa rossa per i suoi quattro anni ( che coincidevano con i miei quattro anni)e tante altre cose stupide e vergognose, fra le quali anche il mio pianto esagerato quando dovetti lasciare la città, tutte queste azioni rigorosamente documentate da video girati da suo padre.

- un giorno li vedremo tutti…- mi disse mentre rideva, e io non potei a meno di notare che era un sorriso spento.

A guardarla bene tutto di lei era un po’ “spento”, era di una bellezza malata. Cosa c’era in lei?

-Reira tu sei anoressica?- chiesi di punto in bianco. Chissà perché non l’avevo notato prima. Era… scheletrica. Lei sbiancò, per quanto già bianca fosse la sua pelle, immediatamente.

- Cosa te lo fa pensare?- mi rispose leggermente agitata, toccandosi nervosamente una ciocca di capelli.

-Scusa, forse ho detto una cazzata enorme…- cosa cazzo avevo detto? Bel modo per rovinare tutto Shin, i miei complimenti vivissimi, fare lo stupido ti riesce benissimo.

-Sono bulimica…- mi disse semplicemente, poi si accesse una sigaretta, come per troncare il discorso. Una Gitanes, proprio quelle che odiavo: odore troppo forte e amaro e, forse, anche troppo costose, per me che fumavo un pacchetto al giorno.

-Vuoi?- mi porse il pacchetto.

-No grazie, per essere sincero non mi piacciono un gran che le Gitanes…- dissi ripassandogliele. Tutte queste sincerità mi stavano dando un po’ sui nervi.

-Piacciono poco anche a me, ma le fuma il mio ragazzo…-

Cosa?! Il suo ragazzo?! Cioè con questa frase mi stava facendo intendere un “non ci provare con me perché sto già con uno”?! Beh, a ripensarci tutto ciò aveva una logica.

Ma che cazzo dicevo?

Ora solo perché lei aveva i capelli rosa, bella e problematica me ne dovevo innamorare?!

Poco dopo entrammo al Paradise City.

Ad essere sincero, mi aspettavo qualcosa di più… grande.

In realtà era solo un locale pieno di poster, dischi e vari gadgets dei Guns’n’Roses, una specie di tributo, un po’ come il nome del locale, dove ragazzi dai 16 ai 22 anni se ne stavo insieme a prendere qualche birra e a fumare. Eppure quel locale era… bello, armonioso.

Almeno per me.

Trasmetteva pace e tranquillità.

I ragazzi dentro il locale erano diversi dalla norma, i classici “diversi” della città. Uno in particolare assomigliava in maniera impressionante a Sid Vicious. Allora la mia prima impressione era sbagliata, “ non sono solo nella nuova clinica, quindi”.

- Benvenuto al Paradise City!- mi disse Reira con un sorriso interrompendo il suo silenzio.

- Shiiiiiinnnnnn!!!!!- qualcuno urlò il mio nome così forte  che tutti nel locale si voltarono. Era un ragazzo con i capelli esageratamente biondi ossigenati e con gli occhiali da sole dalle lenti color ambra.

- Naoki il tuo è fiato sprecato, non si ricorda di noi…- disse Reira dandomi un affettuoso pugno sul braccio. Così quello era Naoki. Allora tutti quelli che avevo conosciuto in questa cittadina erano “mentalmente deviati” al punto di tingersi di colori assurdi i capelli come me?

- Ma come?!- mi chiese Naoki - non ti ricordi nemmeno di quando abbiamo imparato ad andare in bici insieme?- disse deluso.

Dovetti nuovamente scuotere la testa - no…-

- Naaa, non importa, avremo un sacco di tempo da passare insieme ora!- io non ci avrei giurato tanto, ma Naoki era così ottimista che, per la prima volta dopo tanti traslochi, pensai “ è qua che voglio stare”.

EDIT: corretta il 2/01/09 grazie alla segnalazione di maura88

Candy’s Time:

Lo so, l’inizio non è dei più promettenti, ma insomma, a me piace >3<

L’ho scritta per la Big Damn Table, credo che durerà almeno una ventina di capitoli =__=

Chiedo scusa, inoltre, se non ho più aggiornato LamentFull Alphabeth, ma non mi va. Proprio no. Cioè tipo, ogni fic scritta per quella raccolta ha un valore particolare scritta per un motivo particolare. Se non trovo altri motivi, io non le scrivo, ma abbiate fede, ci sono già 3 importanti avvenimenti per gennaio >3<

Un bacio, Candy (L)

 

  
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