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Autore: Beatrix    01/01/2009    10 recensioni
“Non lo farai”. “Ancora tu”? “Non hai il coraggio di farlo”. “Tu dici”? “Sei troppo codardo per farlo”. “…” “Suicidarti non risolverà le cose”. /// Questa è la mia prima fanfiction su Saint Seiya, dedicata al mio personaggio preferito, per l'appunto Saga. In verità adoro allo stesso modo anche Kanon. :) Non vi chiedo di essere buone o che altro, dato che si tratta della mia prima fic, ma spero solo che possa piacervi. ^^ Buona lettura e recensite se vi va! Dedico al sito EFP questa fanfiction per augurare un ottimo 2009 e Buon Ottavo Compleanno! Auguri a tutti! ^^ Beatrix
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Saga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Soffocò quasi in un quadro misto sogno e realtà: la sensazione di una fredda mano che gli stringeva il collo, che premeva con veemenza e violenza inaudita sulla sua carotide, la sentiva allo stesso tempo reale e distante.
In quel dormiveglia che sembrava un incubo cupo come una notte senza luna, si era accorto di essere scivolato su di un bracciolo del suo trono, con i capelli intrisi di sudore che gli stavano appiccicati al collo e quella maschera infernale, ma così tanto cara, che gli mozzava il fiato.

Se la tolse. Non l’avrebbe retta un attimo di più: così facendo l’aria fresca, seppure un po’ viziata, della stanza del trono lo fece ritornare nel mondo dei vivi, strappandolo, fortunatamente o meno questo non sapeva giudicarlo, all’oblio del sonno e cataputandolo in quello della veglia.

Sudava freddo.
Un altro dei quei soliti incubi vissuti a mente vigile ma col cuore dormiente. Molte volte avrebbe voluto sprofondarci dentro, senza via di uscita. Molte volte avrebbe voluto uscire di scena in un modo disonorevole come quello, addormentarsi e non svegliarsi più, ma sapeva bene che il giorno in cui la Falce fosse arrivata a bussare alle porte del Santuario, sicuramente avrebbe avuto altri piani per lui.
E per il Suo intrattenimento.


E mentre pensava alla faccia sfigurata e scheletrica della Nera Signora, sentì il bisogno di alzarsi ed uscire fuori da quella prigione.
Ipocrita! Parlare di prigione lui? Anche solo pensarci?
Un dolore lancinante gli squadrò il torace, facendolo accasciare sulle scale che conducevano nel giardino interno del Santuario.

Kanon.

Come poteva, come si permetteva lui di sentirsi imprigionato quando magari del suo fratello gemello non era rimasto che cibo per pesci?
Kanon aveva colto nel segno. E aveva ragione. “Angelo in volto, il demone nel cuore”… O qualcosa del genere. Le esatte parole non erano importanti, quanto il loro vero significato. E quel significato l’aveva privato del sonno già da molto tempo.
Ricordava ancora il suo sguardo carico d’odio, il suo supplicare di tiraro fuori da quell’inferno di acqua e spuma, ove le onde gelide del mare Egeo gli sferzavano il bel viso fino a farlo sanguinare, ove l’alta marea prima o poi l’avrebbe ucciso… Se non si fosse privato prima lui della vita che Zeus stesso gli aveveva donato.

Ma, Saga sapeva, Kanon non era uno disposto ad arrendersi in un modo così vigliacco. Non come lui, che centinaia di volte aveva sorpreso se stesso intento a togliersi la vita, schiacciato dal rimorso e dalla consapevolezza disperata di essersi macchiato le mani di sangue. Ma, Zeus solo sa come, ogni volta che era deciso a raggiungere le stelle, qualcosa andava storto, qualcosa lo impediva. E tra le sue tempie, ogni volta, echeggiava una cupa e crudele risata, mostruosa e spietata.

E lui, lui che da Cavaliere era ammirato e adorato quasi alla pari di un dio, non aveva mai avuto il coraggio di varcare il sentiero di Capo Sounion.
Non aveva mai avuto il coraggio di andare a vedere che fine avesse fatto suo fratello.
Non ci era mai riuscito.


Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore freddo, e una lacrima gli rigò il viso.
“Perché mi hai tradito Kanon”?
Disperazione.
“Kanon ha tradito te? Non farmi ridere Saga! Sei tu che l’hai rinchiuso in quella prigione”!
“No”!

Di nuovo.


Di nuovo quella voce odiosa s’insinuava tra le sue meningi, rimbombandogli in testa come un terremoto.
“E non parlare di tradimento! Dopo quello che hai fatto ad Aiolos! AHAHAHA”!
“Smettila”!
“Lui e Kanon erano gli unici che avrebbero potuto starti accanto…”
“Ti imploro, smettila”!
“… Senza mai tradirti. Li hai condannati a morte, li hai uccisi con le tue mani Saga”!
“Basta…”
“Erano le uniche anime che avrebbero potuto amar…”
“BASTA”!

La sua voce echeggiò per tutto il Santuario.
Si alzò di scatto correndo a perdifiato verso la scogliera rocciosa, ove le stelle illuminavano il cammino e la luna tingeva ogni cosa d’argento.
Il viso di Kanon e di Aiolos gli si dipingeva innanzi agli occhi ad ogni passo. I loro sguardi, prima dolci e poi d’odio lo trafiggevano come aghi di cristallo e lo facevano ruzzolare a terra come colpito da un attacco nemico.

Logoro e ferito, con le vesti strappate e la maschera impolverata ancora nella mano, si trascinò fino alla sommità della scogliera: poteva sentire il rumore aspro delle onde infrangersi sulle rocce, il vento gelido lo schiaffeggiava beffardo sollevando una discreta quantità di polvere che gli faceva bruciare gli occhi.

Si spinse fino al limite, trascinandosi a mani, sporgendo gli occhi verdi oltre il limite e guardando le acque nere dell’Egeo.
Si raccolse e si alzò, a fatica, mantendosi in equilibrio sul filo di roccia che si sgretolava sotto il suo peso: guardò le stelle, luminose più del solito quella notte.
La costellazione dei Gemelli lo fissava seria, impavida, bruciando nel cielo, mentre quella del Sagittario, per ragione di cose, non aveva partecipato a quel processo notturno.

Chiuse gli occhi.

Passò un istante lunghissimo in cui il rumore ovattato delle onde lo cullava preparandolo al sonno eterno, mai agoniato come in quella notte.
Gli bastava fare un passo. Solo uno e la sua anima avrebbe trovato pace dal mondo dei vivi e altra guerra alla corte del Re degli Inferi: ma quello era il suo destino e l’avrebbe accettato senza mozione alcuna.
Sperava con tutto il cuore di guardare da lontano, posando lo sguardo sui Campi Elisi, l’anima ardente di Aiolos, svendendosi l’anima, quello che effettivamente gli rimaneva, solo per avere un sorriso da parte sua.

Sperava di non vederlo proprio Kanon, invece: almeno il beneficio del dubbio se lo voleva tenere stretto.

Ma…

“Non lo farai”.
“Ancora tu”?
“Non hai il coraggio di farlo”.
“Tu dici”?
“Sei troppo codardo per farlo”.
“…”
“Suicidarti non risolverà le cose”.
“…”
“Suicidarti non riporterà in vita Aiolos… e neanche Kanon”.
Aprì gli occhi di scatto. Kanon?
“Fratello mio…”
“Cibo per pesci”.
Si voltò di scatto, indietreggiando e urlando al vento: “NO, MIO FRATELLO NON E’ MORTO”!
“Ah no”?
“NO”!
“E allora perché non vai alla prigione acquatica”?
“Non servirebbe”.
“Non ne rimarrebbero testimonianze comunque… E’ passato diverso tempo…”
“Smettila… ti prego” ed oramai era giunto ad implorare, con il viso rigato dalle lacrime.
“Non puoi tornare indietro”.
“…”
“Ti sei macchiato di sangue. Il sangue non si può lavar via. MAI”!
Ormai alla disperazione, tentò quasi di strapparsi da solo il senso dell’udito, pur di non sentire più quella voce odiosa. Pur di non sentire più quella lama d’acciaio che gli pugnalava il cuore.
“NON SERVE”!

Si bloccò.
Abbandonò le braccia lungo i fianchi.
Abbandonò il suo corpo alla polvere.

“Ma… chi sei”? Mormorò tra la ghiaia che gli feriva il viso.
“Sono la realtà del tuo io”.
“Non puoi esserlo”.
“Sì che posso”.
“Non posso permetterlo”.
“Tu non puoi nulla contro di me”.
“… E allora cosa dovrei fare”?
“Hai già fatto tutto quello che era necessario. Ora lasciami fare. Vedrai che così facendo soffrirai di meno”.
“Tu dici”?
“Dico”.
“Allora fammi smettere di soffrire”.

Una risata rimbombò tra le sue tempie. Una risata piena di maligna soddisfazione.
Saga chiuse gli occhi abbandonandosi alla stanchezza, lì, sulla scogliera, sotto il cielo luminoso, in una notte di Maggio.

“Ti sei arreso finalmente. Hai fatto la cosa giusta Saga. Da questa notte inizierà la tua metamorfosi definitiva. Questo è il mio dono per te”.

Silenzio.

Poco dopo un vento gelido si sollevò, trascinando via l’ultimo bagliore di lucidità del Cavaliere dei Gemelli, insieme al suono astratto di due parole.

“Buon Compleanno”.
   
 
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