A Clà,
che oggi compie diciotto anni - diciotto anni vanno festeggiati bene - e
si merita tutti i regali di questo mondo. Perchè è simpatica, cinica,
intelligente, acuta, ironica e notevolmente pucciosa,
ma è meglio non ricordarglielo spesso che poi si monta la testa.
Perchè è una delle persone più belle che potessi
conoscere grazie a questo dannato manga (sic!), perchè la stimo davvero, come
scrittrice, come Narutard, come persona, come Cla in quanto tale, come bergamasca
e insomma non so più che dire, spero davvero di restituirti qualcosa, almeno un
centesimo di tutta la simpatia e l'affetto che mi dai, con questa SchifezzRegalo.
E scusa se non ci siamo potute vedere neanche 'sta volta T_T,
scusatemi tanto tu e Susi!
Ti voglio bene,
Ele
PS:Non ti perdonerò mai per aver contaminato le mie orecchie con del CHRISTIAN
ROCK! Ci rendiamo conto ><?! Christian
Rock!!!
PPS: E' bruttissima Cla ._. sia la dedica sia la storia. Whatever,
perdonami ._.
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone su cui è basata l'intera songfic è Deeper dei
Delirious.
Deeper
I want
to go deeper
But I don't know how to swim
I want to be meeker
But have you seen this old earth?
Si
sveglia per primo tutte le mattine.
Non
importa quante ore abbia dormito quella notte:
invincibili le sue palpebre si sollevano, come richiamate dai primi bagliori
dorati dell'alba, che timida si affaccia alle sue finestre.
( Finestre sempre aperte perchè )
Il
villaggio ancora non s'è svegliato, attraverso i vetri le
case paiono tante teste addormentate, indifferenti al chiarore tiepido che
istante per istante si irradia nella pianura scivolando giù dalle colline.
Qualche lampione è acceso, fredda scheggia elettrica nella delicatezza
d'ostrica dell'alba; quasi può sentire il brusio sommesso degli insetti che vi
ronzano attorno, affamati di luce.
E' solo un'altra giornata, in fondo.
L'ennesima.
E il colore del cielo a quell'ora è sempre lo stesso, è il suo primo sorriso di
buona giornata, prima ancora dello spensierato ghigno scheggiato di Konohamaru, con cui di solito fa colazione al chiosco di ramen di Ichiraku,
giù in fondo al villaggio.
Un'altra lunga, un'altra odiata, cercata, desiderata,
disprezzata, amata. Un'altra occasione.
La sua rivincita sulla morte; non è così, Naruto?
Non indossa mai il cappello ufficiale prima di uscire, lo
lascia sempre appeso con noncuranza all'attaccapanni nell'ingresso. Anzi, guardandolo meglio nota un leggero velo di polvere sulla
superficie lucida del copricapo, che adombra appena le ampie zone di colore
rosso e bianco. Ma non ha alcuna voglia di
soffiarla via, può tranquillamente rimanere lì ad accumularsi granello dopo
granello, grigia e insistente come i brutti pensieri.
Si sente ridicolo con quel 'coso' in testa, si sente pronto
per essere incoronato Re Carnevale, e proprio ciò che non vuole è sembrare un
bambino cui ballano addosso abiti troppo grandi. Ci pensa già il suo viso,
l'azzurro schietto di quegli occhi sempre meravigliati del mondo e la corona
d'oro dei capelli a farlo sembrare un ragazzino impudente, perciò preferisce
evitare di sottolineare ulteriormente quell'aria da
lattante che è il principale rimprovero del Consiglio.
"E' troppo giovane!"
"Suo padre aveva due anni in meno di lui quando
venne proclamato Hokage."
"E' troppo inesperto!"
"Ha causato la caduta dell'Akatsuki."
Fuori di casa, la brezza fresca e pungente della notte
appena passata ancora non s'è sciolta al tepore del sole.
Per le strade del villaggio sibila un venticello vivace, che trascina nella sua
corsa infinita il pulviscolo marroncino del terriccio, il profumo del cibo che
allegro scoppietta sul fuoco, una schiera di foglie cadute che vorticano nelle
spire circolari del vento e tutte le voci di memorie passate che, come ogni
mattina, si risvegliano per porgergli il loro saluto.
Là è
dove ci siamo incontrati per la prima volta, c'era quel parco giochi laggiù, in
quello spiazzo erboso, là invece c'è la strada che porta all'Accademia, ogni
giorno a quest'ora brulicava di voci assonnate di
studenti che con orgoglio la percorrevano a grandi passi, facendo risuonare lo
schiocco dei sandali da ninja, e dall'altra parte
invece c'è quella stanza - sì, eccola, lì vedo la finestra - dove l'ho
rinchiuso per fare il coglione con Sakura, più avanti però, ecco lì,
all'angolo con la bancarella degli okonomiyaki, c'è
la panchina su cui abbiamo aspettato mille volte Kakashi-sensei
che non arrivava mai, e quella è la scalinata su cui ci siamo raccontati i
nostri sogni, laggiù c'era il negozio di dolci dove compravamo sempre i dango, com'erano buoni mamma mia, si scioglievano sulla
punta della lingua, ma ha chiuso da tanto tempo ormai, invece se mi alzo sulle
punte e sforzo il collo, così, posso vedere in lontananza il tetto
dell'Ospedale, quelle lenzuola appese come tante vele immacolate si
riconoscerebbero anche a mille miglia di distanza, mentre dall'altra parte c'è
lo Stadio dove anni fa (quanti? quanti?) è iniziato
tutto...
Non
smette di guardare un solo attimo. Se potesse, non
sbatterebbe neanche le palpebre.
Privo
del ciacolio e dell'ingombrante e chiassosa presenza
dei suoi abitanti, il villaggio è il cimitero delle sue memorie, e a ogni angolo un ricordo gli sfreccia accanto, veloce come
il pestifero ragazzino biondo che a dodici anni scappava inseguito dai ninja del presidio, accusato di chissà quale disastro.
Si percepisce una certa sacralità nel silenzio compatto di Konoha
ancora addormentata, nelle sue saracinesche abbassate, nelle sue
panchine vuote, nel gelido marmo delle sue fontane, nelle insegne spente dei
suoi negozi, nelle sue stradine ritorte assediate da ali di panni stesi e fiori
alle finestre chiuse.
...I
ricordi, i ricordi. L'unico posto
che non è sicuro per nessuno in nessun tempo, dove si è perennemente al sicuro
o perennemente minacciati.
Sorride
appena, Naruto.
Ecco,
là è dove siamo andati a bere il thè
tutti insieme quel pomeriggio, si vedono gli alberi del parco intorno
alla Lapide degli Eroi, c'è il suo nome lassù, lo so, è lì, tra quello di tanti
altri come lui, è lì che sarebbe dovuto essere da sempre, da sempre, da sempre.
Naruto continua a camminare quieto, senza fretta, conosce a
memoria i vicoli, i quadrivi, le terrazze, i portici seminascosti che gli si
parano davanti, cristallizzati nella luce del mattino: è come riprendere
lentamente coscienza di se stessi, scavare nelle viscere petrose
della memoria, rileggere mattina dopo mattina la sua storia, che Konoha gli offre a piene mani, eterea nelle prime ore della
giornata, un volume intonso che ogni giorno gli viene
squadernato proprio davanti agli occhi.
C'è chi legge le persone, chi legge soltanto i libri,
chi legge gli sguardi e chi legge le carte; Naruto,
invece, legge le sue strade.
Poco importa che Sakura gli dia del pazzo masochista
o che qualche spiritoso canticchi dietro le sue spalle allusivi
ritornelli su viandanti solitari che cogitano errabondi sul loro avverso
destino.
Non gli interessa, non gli interessa proprio.
Se non ci fosse Sakura col suo adorabile e
inflessibile buon senso a ricordarglielo, non li
sentirebbe neppure, perso com'è nelle occupazioni d'ogni giorno e nelle mille
seccature noiose che il suo ruolo comporta.
Però, nonostante tutto, nessuno può togliergli quell'ora mattutina preziosa
come il primo pacco dono da scartare a Natale, come un sorso d'acqua dopo una
giornata di estenuanti allenamenti, coi muscoli
devastati dall'acido lattico - e centellinarsi goccia a goccia tutta la
bottiglia sdraiato sull'erba, un soffio di vento sulle guance color porpora e
lo sguardo immerso nel vuoto blu del cielo, e poi alzarsi in fretta che Sakura-chan aveva preparato da mangiare per tutti e tre,
non ricordava una sola volta in cui il loro pranzo non fosse stato ottimo,
anche se a pensarci bene non era niente di speciale, gli sforzi elementari di
una ragazzina, ma proprio per questo, beh, proprio perchè erano insieme, proprio
perchè bastava alzare gli occhi e il mondo intero era lì accanto, così vicino
da poterlo sfiorare, proprio per il solito gioco di schermaglie fra i suoi
compagni di Squadra ( e non sapeva di chi essere geloso, non lo sapeva, non
lo sapeva davvero, il fremito della gelosia gli mordeva lo stomaco e stupito si
chiedeva chi? ) ed era facile, la vita.
Era facile.
Facile come non lo sarebbe più stata negli anni a venire.
Per questo, in silenzio, Naruto
sfoglia con un sorriso quasi invisibile le strade del suo villaggio.
Riassapora con lentezza l'ombra sbiadita di quello che è stato, in memoria di
un'epoca ormai svanita, definitivamente seppellita come non hanno potuto fare
con il suo cadavere.
Sempre che sia rimasto, un cadavere.
Perchè non è possibile pensare che tutto possa tornare come
prima.
Prima che tradisse, prima che morisse da traditore.
Prima che scrivessero il suo nome sulla Lapide degli Eroi.
Prima che, da tre, diventassero solo due.
Due è un numero stupido, non significa niente, è una gabbia troppo stretta per
lui.
Per questo, quando gli chiedono come mai lui e Sakura-chan
ancora non sono andati a vivere insieme,
Naruto si limita a ridere forte e a dire qualche
sciocchezza priva di senso.
Nessuno s'accorge di quel nero così insolito nei suoi occhi così chiari.
Ecco, è
quasi giunto al termine della sua passeggiata mattutina.
Da vecchio ragazzino qual è, si è arrampicato sulle rocce appuntite della
Montagna degli Hokage, un velo di chakra
sulle dita, e un attimo prima che il disco del sole si
tuffasse fra le nuvole è arrivato sulla cima, dove il vento soffia più
crudelmente che in pianura, dove non c'è anima viva e il paesaggio è forse più
desolato che lungo le strade deserte del villaggio.
Abbassa lo sguardo e la vede sotto di sè, Konoha, un enorme lago di azzurro
vivido, talmente bella da mozzare il fiato, ciò a cui ha dedicato tutta la sua
vita senza nessun rimpianto.
E' un altro modo di amarlo, pensa talvolta come per trovare una
giustificazione, amare ogni singolo dettaglio in cui è impresso un segno del
suo passaggio.
Il vento gli taglia inclemente il viso, ma Naruto
ci è abituato: le sue mani rapaci gli arruffano i capelli disordinati, lo
schiaffeggiano, lo spingono indietro, tentano di strappargli di dosso il lungo
cappotto che fu di suo padre.
Sa che il cielo a quell'altezza è appannaggio di pochi eletti soltanto, tra cui
lui non può figurare.
Le Volpi, purtroppo, sono inchiodate al fondovalle, all'appiglio massiccio
della terra sotto le piccole zampe.
Il cielo non è per le Volpi.
...Il cielo, dice Naruto, è per i Falchi.
E due animali così diversi nella vita sono condannati a
uno scontro perpetuo, senza tregue né vittorie, incatenati a un identico
cerchio che eterno ritorna, comincia e finisce, seguendo il regolare cammino
dei venti che s'infrangono sulle rocce.
E' solo
in quello stretto spazio smarrito nell'aria che Naruto,
in qualche modo, si sente in pace con se stesso.
Per un'ora al giorno, un'ora soltanto, non gli importa
ridere parlare ad alta voce fare chiasso, non gli importa avere costantemente
il brioso chiacchiericcio degli abitanti di Konoha
nelle orecchie: per un'ora almeno, la vita può fare un passo indietro, sedersi
con le gambe a penzoloni nel vuoto accanto a lui e aspettare in silenzio.
Aspettare, sì.
Aspettare che il villaggio si risvegli e porti con sé il saluto di mille anime a
cui Naruto ha sacrificato ciò che aveva di più caro.
...E gli basta alzare di poco lo sguardo per sorridere di
nuovo, un sorriso vero, capace di fermare il tempo, una perla bianca lasciata
cadere lungo l'esile vita di una clessidra.
Sorride, Naruto, come ha fatto raramente nella sua
vita, perchè ci sono ben poche cose per cui vale la
pena sorridere in quel modo.
Una di queste, la più importante forse, è di fronte a lui, un passo soltanto di
roccia arsa a separarli.
"Ciao,
Sasuke."
And the wonder of it all is that I'm
living just to fall
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Fin