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Autore: BabaYagaIsBack    12/05/2015    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter 12
§ He's my safe place §


Il viso addormentato di Jace mi fissa da oltre lo schermo del telefono, mentre regolarmente una mano si avvicina agli occhi per strofinarli e farli restare vigili – conoscendolo, avrà passato il venerdì sera a bere e far festa con i suoi amici parigini. Per quanto mamma e papà credano che sia solo colpa di Charlie e Seth se entrambi i loro figli maggiori hanno preso cattive abitudini, in realtà siamo noi a incitare l'ingestione di alcolici e l'assunzione tramite cartina e filtro di sostanze "illegali". E ora che mio fratello è lontano, continua a fare le stesse cose che faceva qui.

«Cosa hai fatto di bello ieri sera?» mi chiede, prendendo una sigaretta dal pacchetto che ha accanto. La maestria con cui riesce a tenere il telefono dritto e maneggiare tutto il resto è fonte di invidia, ma non mi ci soffermo più del dovuto; in fin dei conti si sa che lui è il migliore, tra i due.

Un sorriso imbarazzato mi tende le labbra e con una scrollata di spalle gli rivelo la triste verità: «Liz ed io ci siamo riviste per la sesta volta "Harry Potter e il Calice di Fuoco"». Un po' mi vergogno ad ammetterlo ad alta voce, ma dopotutto dire bugie, soprattutto a lui, non è certo qualcosa che possa dire di saper fare bene – Jace nota tutto, solo ovviare mi è concesso, anche se non so se sia per sua volontà o perché, effettivamente, è un talento.

Avrei potuto fare tante cose, come uscire e andare al solito pub, imbucarmi a qualche concerto, chiedere a Caroline di vederci per capire se possiamo essere amiche o meno...
Insomma, se avessi voluto, nulla mi avrebbe impedito di abbandonare le stanze di questa casa, ma il fantasma di qualcuno proprio non ne voleva sapere di lasciarmi stare; inoltre, questi ultimi giorni li ho passati a sentire le lamentele di Catherine. Ogni scusa era buona per rivangare l'ennesimo incontro che aveva dovuto avere con il preside della Saint Jeremy, o la mia totale mancanza di rispetto nei confronti del corpo docente, oppure la mia riluttanza a seguire "poche e semplici" regole.
Per farla breve, mia madre ha voluto mettere nuovamente in evidenza quanto a suo avviso io sia la pecora nera dei Raven.

E mi ci ha fatta davvero sentire, a un certo punto. Quando anche nonna Josephine ha rinunciato a prendere le mie parti ho capito di aver portato tutti al limite, quindi ho preferito tacere ed entrare in uno stato di momentaneo letargo.

La voce di Jace mi riporta alla realtà, arrivando un po' ovattata da oltre lo speaker: «Come mai Charlie non è venuto? Lui adora Harry Potter!»

«Lui adora Emma Watson nei panni di Hermione, vorrai dire!» rido, rendendomi improvvisamente conto di aver combinato l'ennesimo disastro.

Non sento Charles Benton da esattamente tre giorni, il lasso di tempo più lungo che ci abbia mai separati negli ultimi cinque anni.
Ha taciuto per settantadue ore: non una chiamata, un vocale o un messaggio dal contenuto dubbio - cosa sospetta, più di qualsiasi altra vista l'inclinazione loquace del mio migliore amico.

Non so esattamente quale, tra le espressioni che contorcono il mio viso, aizzi i sensi del maggiore tra i Raven, ma sta di fatto che succede e corrugando la fronte mi domanda: «Lo hai sentito di recente, vero?»

E io non so mentire, lui lo sa meglio di chiunque altro.

«Sei un'idiota...» sbuffa, facendo uscire dalle labbra una nuvola lattiginosa. Il suo sguardo si fa lontano, l'espressione seria. Intuisco da sola a cosa stia pensando e non so se sia il caso di parlare o restare muta a fare i conti con le mie colpe.

Forse sarà meglio che rimedi - a cosa, di preciso, non saprei.

Dovrei scusarmi con Jace per essermi messa in mezzo a qualcosa che non mi compete, così come dovrei alzare il sedere dal materasso e correre da Charlie per dirgli che sono la solita casinista. Inoltre, dovrei capire cosa fare con Seth - e sono certa che sia proprio lui, ora, a occupare i pensieri del ragazzo oltre lo schermo.

Mi mordo il labbro, stringendomi nelle spalle.

Che fare?

Nelle mia testa si scontrano realtà e sogno con una violenza inaudita. Brandiscono entrambi la spada, si colpiscono ferendosi, poi si allontanano, mi fanno credere che la guerra sia finita e poi riprendono, senza fine.

«Lui? Lo hai sentito, vero?»

Alzo lo sguardo che non mi ero accorta aver abbassato, puntandolo in due occhi del medesimo colore dei miei.

«No, non l'ho sentito» dico lapidaria, cercando di mostrarmi indifferente di fronte alla questione - ma non lo sarò mai, me ne rendo conto. I ragazzi sbagliati, quelli ribelli, i "bad boy" della situazione, che potrebbero benissimo essere i personaggi principali di qualche New Adult dai risvolti trash, piacciono in un modo tutto loro, etereo ed eterno, capace comunque di fomentare senza censure l'immaginazione delle sventurate protagoniste e lettrici. E Seth è proprio questo, non potrei desciverlo in altro modo.

Lui ha tutto fuori posto, a parte la bellezza.

Un look trasandato, fatto di anelli grezzi, jeans strappati, stivali di ogni genere e tatuaggi dal dubbio significato; una passione per il rock che attira nella sua trappola fascinosa, un lavoro che non si addice al suo stile di vita sempre al limite tra corretto e scorretto e un bipolarismo che gli ho personalmente diagnosticato all'età di sedici anni - Morgesten è tutto questo e molto altro, ed io l'ho sempre desiderato, pur sapendo i rischi. Eppure, adesso che lui ha confessato l'impensabile, non riesco a far altro se non temerlo.

Jace storce le labbra, aggrotta la fronte e poi sbotta, facendomi sentire dell'amaro in bocca. «Non mi piacciono le cazzate, Jay» c'è una sorta di minaccia velata nel suo tono; ma come può dubitare di me?

Gonfio il petto, forse riuscendo ad abbozzare un'espressione più decisa: «E infatti non lo è. Non ho sentito nessuno dei due, chiaro?» ed è tutto vero. Sono stati giorni di totale silenzio.

«Seth non si è fatto vivo?» mi domanda scettico. Le sue sopracciglia sono due archi scuri che tentano di raggiungere l'attaccatura dei capelli, fallendo.
Che dirgli ora? Come potrebbe reagire di fronte alla verità? E del bacio è meglio se gliene parlo? Forse non ne è il caso...
Eppure mio fratello mi incita, non vuole aspettare, ha fretta di sapere cosa sia successo dal momento della sua partenza.

Mordo la lingua.

«L'ho visto, sì. Ci siamo incontrati a Camden mentre ero con Liz» dico svelta, pregando che non capisca - ma è abituato sia a me, sia al mio modo di parlare, così non gli sfugge nemmeno una sillaba.

Le labbra di Jace si schiudono appena, in un gesto di stupore.

Sul suo viso cala un'ombra scura, segno inconfondibile della disapprovazione che sta crescendo in lui - sarà per via del fatto che non gliene ho parlato prima, o più probabilmente perché ho disubbidito al suo volere.

La nostra videochiamata si tramuta velocemente in uno schermo scuro e nella sua voce che stride da oltre l'altoparlante. E' infuriato, persino un cretino lo capirebbe.

Bofonchia che devo stargli lontana, che ora sta a lui gestire la cosa e che finchè Seth non avrà capito i suoi errori tra noi quattro non potrà esserci più la serenità di prima.
Rivanga cose che non conosco, drammi da cui ho sempre cercato di tenermi fuori. Evidenzia in modo eccessivo i suoi difetti quasi non li conoscessi, ma in realtà li so a menadito, li ho imparati pian piano e alla stessa velocità ho capito di apprezzarli come parte di lui - ma solo nel mio immaginario.

Le parole di Jace diventano tante, troppe, mi assillano e scavano dentro a una coscienza che non voglio venga stuzzicata, ma che comunque mi fa bruciare gli occhi - così scoppio, esattamente come una mocciosa capricciosa.

«Che ti stia bene o no, non mi interessa. Sono anche miei amici chiaro? Entrambi! I problemi con Seth sono solo tuoi invece!» e per la prima volta in anni, sono io quella che mette giù la cornetta, chiudendo la conversazione.

Per quanto sappia di essere dalla parte del torto in questo momento, non voglio allontanarmi da Morgenstern, anche se una sorta di muro ho già iniziato a costruirlo.

La mia è paura, non astio.

Lo sto tenendo a distanza per via del panico che mi assale alla sola idea di poter finalmente avere il ragazzo che rende le mutandine bagnate e sapere di non essere alla sua altezza - da nessun punto di vista.
Per questo Sharon mi fa così tanta invidia, perchè lei sa tenergli testa e, anche dopo i mille colpi bassi, continuano a scegliersi; io non ne sarei in grado, non riuscirei a fargli male, ma lui a me sì, terribilmente.

E mentre lo penso, una lacrima sfugge.

Forse ora ho davvero bisogno di vedere Charlie.

***

Il campanello rimbomba forte tra le pareti di casa, lasciando correre il suono verso chiunque vi sia all'interno, in modo da annunciare l'arrivo di qualche ospite indesiderato - cioè la sottoscritta. 
Da bambina avevo iniziato a disprezzare questo tintinnio metallico. Stava a indicare che Jace sarebbe sparito da qualche parte insieme ai suoi amichetti, abbandonandomi in una casa troppo grande per i miei cinque anni e nessuno con cui stare. Il campanello indicava la fine delle sue attenzioni e l'inizio della sua vita al di fuori delle mura domestiche, dove io non sono stata inclusa per molto tempo.

Ora invece, sulla soglia dell'età adulta, lo sento vibrare al pari del cuore. Vuol dire che qualcuno arriva e, spesso, lo fa per me.

Mrs. Benton apre la porta di casa, riportandomi con una certa brutalità al presente.
Sono qui per Charlie, per vederlo, chiedergli scusa e farmi accogliere dalle sue braccia - le uniche da cui mi lascio stringere senza timore quando Jace non c'è.


Il sorriso di Molly si fa immenso, mostra in modo palese quanto le faccia piacere vedermi sull'uscio dopo tutti questi giorni di lontananza, ma dopo poco nel suo sguardo passa un lampo di dubbio, una sorta di preoccupazione che mi confonde. Forse qualcosa non va, o forse si nota quanto sia turbata - mi è difficile dirlo. Così esordisco con un saluto, tentando di allontanare quanto più possibile questa strana sensazione che qualcosa non vada.

Senza smettere di sorridere per un solo secondo, anche se è un gesto forzato, chiedo subito del figlio. Lo stomaco si contorce appena, forse perchè la paura che non sia qui è tanta, ma conosco i suoi turni a memoria e raramente mi ritrovo a sbagliare quando si tratta di lui e la sua non troppo monotona routine.

La donna si sposta, in modo da aprirmi uno spiraglio verso l'interno della casa: «E' di sopra, in camera» mi avverte prima che varchi la soglia. Annuisco, dandole conferma di aver capito, anche se ormai conosco l'abitazione e i luoghi di Charlie come se fossero i miei.


Appena il mio naso oltrepassa lo stipite della porta un profumo di torta alle mele in fase di cottura lo accoglie, facendomi sentire la benvenuta, esattamente come tutti i pomeriggi invernali passati qui.

La signora Benton ha un lavoro part-time all'asilo di quartiere, dove mocciosi urlanti le riempiono le orecchie di ultrasuoni, così quando torna a casa, giusto in tempo per il pranzo, si rilassa mettendosi ai fornelli. Sforna prelibatezze di ogni tipo, sperimentando ricette da tutto il mondo, ma ciò che le riesce meglio sono proprio le torte, quelle più classiche. Entrare qui è come mettere piede nella casa della nonna, quella dei libri vecchi o delle pubblicità - non certo la mia! Josephine potrebbe bruciare persino del gelato se decidesse di darsi alle arti culinarie.

Resto per un attimo immobile nell'androne, beandomi di tale delizia olfattiva e, sfruttando il momento, Molly mi si fa vicina, appoggia una mano sulla mia spalla e mi chiede: «Jane, posso farti una domanda?» cogliendomi alla sprovvista.

Corrugo la fronte, senza capire.
Si sta riferendo al fatto che non ha avuto mie notizie per tre giorni?

«Lo so che non si origlia, però le pareti qui sono sottili, soprattutto quando qualcuno alza i toni...» inizia, smuovendo una sorta di ilarità nella sottoscritta. E' cosa risaputa che la madre di Charlie sia un'impicciona, le piace conoscere i pettegolezzi riguardanti chiunque, sia questo un vip di alto profilo o il vicino a ridosso del camposanto; non mi stupisce che abbia sentito qualcosa che non avrebbe dovuto. Si bagna le labbra sottili: «Ho saputo che Jace e Seth hanno litigato e che Charles si è messo in mezzo per un qualche motivo. Tu sai perchè? Dopotutto è di tuo fratello che si tratta, sicuramente ne sai di più» a questa domanda sento le gambe farsi molli. D'un tratto mi rendo conto che ciò che è successo non è qualcosa di così semplice, che la gravità del litigio tra Jay Jay e Morgenstern va ben oltre a quel che mi sarei aspettata - ma continuo a non conoscerne il motivo.

Sono davvero l'unica, nel gruppo, a essere stata esclusa da questo scisma? Fino a qualche minuto fa avrei creduto di poter trovare in Benton un appiglio, un simile con cui lamentarmi di questa nauseante situazione, mentre ora mi domando con che faccia riuscirò a guardarlo.

Mi hanno esclusa, esattamente come anni fa.

Contraggo la mandibola: «Saranno le solite cavolate, Molly. Avranno il testosterone che gli preme su un lobo del cervello». Scrollo le spalle e tiro forzatamente le labbra per farle credere che non sia nulla di importante.

Ma lo è.

Per me.

Stanno davvero esagerando con questa storia e se il loro intento è quello di mandare la nostra amicizia a quel paese, io mi oppongo. Non posso perdere nessuno di loro, né Charlie, né Seth.

La donna sbuffa, portandosi le mani paffute alla vita - o quel che ne resta: «Avrai sicuramente ragione! Aver più di vent'anni non li rende ancora uomini, sono solo ragazzini un po' cresciuti» e un passo dietro l'altro si porta in cucina, blaterando qualche altra cosa a riguardo.

Appena la sua sagoma sparisce dalla mia visuale mi rivolgo verso le scale: dodici gradini che saprei fare a occhi chiusi e che, adesso, mi paiono una sorta di invalicabile montagna.

Sospiro rumorosamente, stringendo la presa sulla tracolla e cercando di farmi forza. Non voglio litigare con lui, eppure il fatto che non mi abbia detto nulla di ciò che è successo, dopo ben due settimane, mi manda in bestia. Dovrebbe essere il mio migliore amico, allora perché mi tratta a questo modo? Perché non mi rende partecipe?

Inizio a salire, guardando il pianerottolo con eccessiva intensità. Pochi secondi e sarò al cospetto della sua stanza, quella che mi riempie di calma e che parla di lui in ogni dettaglio. Alle pareti ci sono poster vecchissimi che ha rubato dagli affissi dei locali, sovrastati in alcuni punti da quelli nuovi; sulle mensole troneggiano cd ascoltati fino alla nausea, recuperati in ogni angolo di Londra e non solo; il pavimento è invece una sorta di campo di battaglia quando Molly non rassetta per più di due giorni. Buttati in malo modo ci sono sempre i vestiti del giorno prima, gli spartiti scarabocchiati e pieni di melodie che ancora non gli ho sentito suonare, riviste musicali, di nicchia e, ogni tanto, pure qualche Playboy trovato in negozio e letto di soppiatto, in solitudine.

La sua camera è un'alcova di creatività e adolescenza a cui non si vuole mai rinunciare del tutto - e l'ho amata sin dalla prima volta in cui vi sono entrata.

L'anta in legno, su cui troneggia una foto in bianco e nero di Sid Vicious, è socchiusa, lasciando così uno spiraglio verso l'interno. Più avanzo, più le forme che si possono intravedere oltre si fanno nitide, familiari e l'odore lieve di nicotina pizzica il naso.

Mi sento sempre più nervosa, ma ciò non impedisce alla mia mano di poggiarsi sul petto del più famoso tra i Sex Pistols e spingere con delicatezza la porta, facendola aprire piano.

Trattengo il fiato, anche se il motivo non mi è chiaro. Forse temo di non essere gradita, o forse lo sto conservando per sbraitargli contro, chissà.

Con lo sguardo cerco la sua figura in un qualche angolo del pavimento, ma lui non c'è e, alzando appena gli occhi, mi vedo riflessa in quel che rimane dello specchio. Non si tratta solo dei mille adesivi attaccati sul bordo, a compromettere la mia sagoma c'è anche una ragnatela di crepe la cui origine, osservando bene, pare proprio essere il lascito di un pugno. Quando l'abbia tirato è però un mistero.

Deglutisco, conscia di non voler mai e poi mai vedere Charlie furioso - mi è bastato Jace. Così mi metto a cercarlo con un certo timore, avanzando in punta di piedi tra gli spartiti accartocciati. Mi volto verso l'armadio, spalancato come sempre e poi, sicura di trovarlo, in direzione del letto, dove ne scorgo la sagoma. Il suo corpo è disteso, i jeans stracciati fasciano le gambe lunghe mettendo in evidenza la silhouette dei muscoli che le ore in skate gli hanno donato. La maglia bianca è arricciata sull'addome, lasciando libera la sua pelle inchiostrata. Il suo primo e unico tatuaggio mi fissa, lasciando che i contorni dell'albero spoglio si alzino e abbassino in sincrono con il suo respiro. Sotto ai segni impressi dall'ago di una macchinetta, proprio sulla curva del fianco e in prossimità del bacino, due cicatrici si sommano, formando una sbilenca. Quell'intarsio pallido è il ricordo di un trick fatto male, di una caduta rovinosa allo skate park.

Vorrei allontanare lo sguardo, perché infondo non è corretto che lo fissi in questo modo, ma l'azione sembra essere faticosa anche al solo pensarla. Stranamente è ammaliante, vederlo così beato e indifeso mi lascia stranita - è il mio migliore amico, ma non posso negare che sia a suo volta una bellezza. Potrebbe competere con Seth se non fosse così simile a Jace...

Le enormi cuffie wireless coprono le orecchie, impedendogli di udire i rumori esterni, ma ciò non impedisce loro di far trapelare qualche nota: sta ascoltando una delle solite ballate rilassanti.

Abbandono la tracolla a terra, senza badare su cosa la stia appoggiando realmente. Tutta la rabbia che avevo creduto mi avrebbe assalita si dissipa, lasciandomi addosso solo un'infinita dolcezza.
Mi chino appena, in modo da sentir meglio.

Riconosco i Death Cab for Cutie e in automatico un sorriso mi tende le labbra.

Il suo respiro è così leggero da confondersi con la musica e d'istinto chiudo gli occhi per godermi la pace di questo momento. Ho dormito accanto a Charlie decine di volte, ma nemmeno una mi son concessa il lusso di prestargli così tanta attenzione. Ogni fibra di lui mi conforta, dissolve i miei malumori. E' l'ancòra a cui mi aggrappo, chi sa trattenermi a riva e non lasciarmi naufragare in un oceano di solitudine e decisioni sbagliate.

E mentre sono occupata a godermi la tranquillità di questa camera, immersa in pensieri tanto dolci da portarmi sull'orlo di un diabete, qualcosa mi afferra il viso. La mano di Benton si apre a ragno sul mio naso e la sua risata roca spezza l'atmosfera che si era andata a creare: «Guarda che non mi chiamo Rosaspina, non mi serve un tuo bacio per svegliarmi».

Sento le guance scaldarsi e il cuore andar veloce.

Ora lo uccido!

   
 
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