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Autore: Gan_HOPE326    02/01/2009    7 recensioni
Una ragazza dagli strani poteri "vegetali", un vecchio falegname scorbutico e abilissimo, un viceammiraglio della Marina piuttosto originale: sono questi, assieme alla nostra affezionatissima ciurma di Cappello di Paglia, gli ingredienti per un'avventura in puro stile One Piece. Sullo scenario dell'isola di Eden e del suo bellissimo Giardino si intrecceranno le loro storie. Molta comicità, molta azione, avventura, suspence, colpi di scena, dramma e, perche no?, anche un pochino di romanticismo.
Venite a scoprire tutto questo, quaggiù, in mezzo all'oceano più grande del mondo.
Genere: Commedia, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dieci anni fa

Nonostante ne sia un grande appassionato, fino ad ora non ho mai voluto scrivere una fanfiction su One Piece. La ragione è semplicemente che quando si scrive una fanfic, si finisce sempre per cambiare qualcosa dell’opera originale: e a me One Piece piace così tanto che non vorrei cambiarne nulla. Poi c’è stato il concorso di Rota23, “Il Frutto del Destino”. L’organizzatrice avrebbe inventato e assegnato un Frutto del Diavolo a ciascun concorrente, e l’obiettivo era scrivere una storia che raccontasse della persona che aveva mangiato quel frutto, del suo incontro con la ciurma di Luffy e di come la sua vita fosse cambiata in seguito a quell’incontro. Mi sono iscritto, e questa è la storia con cui partecipo. Perciò l’idea del Frutto di Woo Woo è di Rota23, e per questo la ringrazio. Il resto è la mia storia, che ho cercato di scrivere senza tradire il vero spirito di One Piece. Ogni tanto un po’ di tensione, persino di commozione, ma innanzitutto e soprattutto divertimento spensierato e leggerezza. Quest’avventura si ambienta tra il Davy Back Fight e l’arrivo a Water 7. Chi non legge il manga ma segue solo l’anime in italiano potrebbe trovare qualche discrepanza (prima fra tutte, il nome del capitano: è Luffy, non Rubber come dicono da noi!), ma non dovrebbe essere un grosso problema. Buon divertimento, leggete e commentate! 

 

 

 

Dieci anni fa

 

La borraccia era stata ricavata da una grossa anguria, aperta in due, scavata dalla propria polpa, essiccata e quindi rincollata insieme con un mastice naturale; piena d’acqua, sembrava incredibilmente pesante, ma la ragazzina la maneggiava senza troppo sforzo. Ne bevve un grosso sorso, e la frescura, in quel giorno assolato, era come un attimo di paradiso. Poi la lasciò cadere a terra accanto a sé. Stava appoggiata al tronco di un albero che le regalava un po’ d’ombra, teneva i piedi nudi sul terreno e aspettava, pigramente, che il pomeriggio si decidesse a finire. Sbadigliò.

-         Flea!

Tra le zolle mezze essiccate e i sassi, il vecchio avanzava correndo malamente, rovinando a terra, saltellando qua e là a gran passi. Era in preda a un’agitazione esagerata. Aveva a tracolla una vecchia borsa di cuoio. Ogni volta che sbatteva o cadeva, dalla borsa traboccavano viti, chiodi e tasselli, di cui stava lasciando una scia dietro di sé; e ogni volta che si rimetteva in equilibrio sputava, imprecava e mugugnava qualcosa di incomprensibile che suonava come “gnarr”. O una cosa del genere. La ragazzina sospirò e sorrise.

-         Flea! Gnarr! Ma dove ti sei cacciata?

-         Sono qui, papà.

-         Finalmente! Gnarr!

Il vecchio arrivò accanto all’albero, sfinito dalla foga della corsa. Era senza fiato: ansimava e gnarrava. Restò per quasi un minuto in quelle condizioni. Ansimo, sputo, ansimo, gnarr, sputo, ancora gnarr. Alla fine riuscì a parlare, e nel frattempo estraeva dalla borsa una sorta di involto, di carta giallastra di pergamena. Assieme a una ventina di chiodi che caddero a terra.

-         Flea, razza di peste, perché sei scappata come una matta dopo pranzo? Dovevo darti questa, gnarr!

-         E solo per questo ti sei ammazzato di fatica? – la ragazzina scosse la testa – Scusa, papà, ma non dovresti essere così scalmanato, alla tua età. Potevi darmela stasera.

Puntò gli occhi sull’involto, attratta.

-         Che cos’è? – chiese.

-         Sta’ zitta e ringrazia, gnarr! – sbottò il vecchio, sbattendole la pergamena in mano – Buon compleanno.

Flea si affrettò ad aprire la pergamena. Man mano che la svolgeva, scopriva nuove piegature; alla fine ebbe davanti a sé un foglio ampio quanto un lenzuolo. Era squadrato da linee orizzontali e verticali e coperto di disegni e scritte minute. Bisognava avvicinare gli occhi per leggerle. Nomi lontani, dai diversi sapori, esotici o inquietanti. Alabasta, arcipelago Shabondy, Elbaf. Altre linee, sinuose e variamente colorate, congiungevano i diversi punti contrassegnati da quei nomi, rappresentando le contorte rotte decise dai capricci del magnetismo. In alto, infine, accanto a una rosa dei venti, la scritta più grande di tutte. “Grand Line”, Grande Blu.

Alla ragazzina luccicarono gli occhi.

-         E’ una mappa, gnarr. – spiegò il vecchio – Non è mica facile trovarne una così, eh.

Flea corse ad abbracciarlo, felice. Lo strinse tanto forte da fargli perdere l’equilibrio; per poco non finirono a terra entrambi. Il vecchio lanciò uno gnarr allarmato.

-         Attenta! Sei forte come una quercia, tu, gnarr. Vedi di non ammazzarmi.

La ragazzina si sedette di nuovo a terra, a studiare la grande mappa. Mentre la fissava, senza alzare gli occhi, disse:

-         Papà, raccontami di nuovo la storia dei pirati.

-         Dei pirati, gnarr? Ancora?

Flea annuì, ma era sempre pensierosa, concentrata sui disegni.

-         Gold Roger! – cominciò il vecchio, ispirato – Lui sì che era un uomo. Era fortissimo, coraggioso, e sapeva cosa fosse l’onore; il più grande pirata di tutti i tempi, il Re dei pirati, gnarr! Ne nasce uno ogni cent’anni, così, te lo dico io. Non lo fermava niente. Gli dissero che era impossibile navigare fino alla fine del Grande Blu. Lui rise e decise che l’avrebbe fatto, allora, in barba a tutti quei codardi, gnarr. Visitò tutte le isole di questo mondo, tutte, persino le più strane.

-         Dimmene qualcuna. – chiese Flea, sorridendo.

-         L’Isola del Contrario, dove la gente cammina sulle mani, quando ti incontra ti dice “addio” e quando se ne va “che piacere, da quanto non ci vedevamo!”, gnarr. E l’Isola della Fortuna, dove gli abitanti sono così fortunati che il governo li ha banditi da tutti i casinò e le lotterie del mondo. E poi, gnarr, poi l’Isola dei Fabbri, dove si costruiscono le migliori spade del mondo, e ai bambini appena nati, anziché sonagli, regalano mantici e martelli, così imparano fin da subito il mestiere.

-         Papà, queste isole non sono vere. Te le sei inventate.

-         E tu che ne sai, gnarr! Va’ a navigare davvero e vedilo da te, se sono o non sono vere!

-         Non c’è bisogno di andare a vedere. E’ evidente che racconti frottole.

-         Allora non racconto nemmeno la storia, gnarr. Cavatela da te.

Flea scosse la testa. Certo, erano tutte frottole; ma d’altro canto a lei piacevano, le frottole.

-         D’accordo. – disse – Diciamo che sono vere. Continua, forza!

-         Hm, gnarr. Gold Roger viaggiò e viaggiò, ed esplorò tutto il Grande Blu. Poi però, un brutto giorno, quei vigliacchi del governo lo catturarono, gnarr.

-         Papà, non dovresti parlare così del governo. La Marina ci protegge dai pirati, in fondo.

-         Sono una manica di furfanti, gnarr! Gente senza spina dorsale! Cravatte e cartacce, conoscono solo questo, puah! Lo catturarono e lo portarono al patibolo, perché volevano dare l’esempio, gnarr, secondo loro avrebbero scoraggiato la gente dal mettersi in mare. E Gold Roger li ha fregati tutti, gnarr, lui sì che era furbo. Un attimo prima che gli taglino la testa, gli viene concesso un ultimo desiderio. Lui chiede di poter parlare. Glielo concedono, e lui che dice? Che il suo tesoro è nascosto in fondo al Grande Blu, e di andare a cercarlo, e a prenderlo. Lancia una sfida al mondo intero! E da allora in mare c’è tutta la gente più stramba, gnarr! Pagliacci e cuochi, domatori e giganti, uomini pesce e musicisti, e in più un sacco di tizi con i poteri dei Frutti del Diavolo, la roba più assurda! Chi si trasforma in fuoco, o in ghiaccio, o in pietra, e chi lancia raggi, gnarr, e chi diventa un animale! Tutti a cercare un tesoro che nessuno sa cosa sia. Tutti in mare. In barba al governo, gnarr!

-         Sai, papà, io penso di saperlo, cosa sia. Il tesoro “in un solo pezzo”. One Piece.

Il vecchio strabuzzò gli occhi, fissando la figlia. Uno “gnarr” gli si smorzò in gola.

-         Secondo me è il diario di bordo di Roger. E’ il racconto delle sue avventure, la storia più grande e bella di tutte.

-         E tu vorresti leggerla, gnarr?

-         Più di ogni altra cosa. – disse, sognante, la ragazzina.

-         Allora è facile. Lo trovi qua. – fece il vecchio, e puntò con un dito, sulla mappa, l’isola più a destra di tutte. Accanto c’era scritto “Raftel”. Flea scoppiò a ridere:

-         No, per carità! Sei pazzo? Io non mi metterò mai per mare. Mi piacciono le storie, tutto qui.

-         Cosa, gnarr? E allora questa mappa che te l’ho regalata a fare? Le mappe servono per viaggiare, gnarr!

-         E io infatti, guardandola, viaggio. Con la fantasia, però. Non mi va proprio di lasciare la nostra isoletta.

-         Che idiozia! Sei una cretina e una fifona, gnarr! Se deve servirti a questo, allora è sprecata. Dalla a qualcuno che la usi davvero per navigare, piuttosto.

-         Ma che dici? Tu me l’hai regalata, e io me la tengo.

-         Hmph. Gnarr. Cretina. Hm…

Borbottando tra sé, il vecchio si allontanò, più lentamente di come era arrivato, ma sempre inciampando ad ogni piè sospinto. Causava tanto trambusto da sollevarsi dietro una nuvola di polvere. A Flea venne di nuovo da ridere, poi si concentrò sulla mappa, studiandosela per bene. Leggeva i nomi delle isole e provava a immaginarsi come dovessero essere. Probabilmente non come quelle che le descriveva suo papà, pensò. Magari erano tutte abbastanza normali. Chissà quante di quelle storie erano tutte frottole. Quella faccenda dei Frutti del Diavolo, ad esempio. Gente con poteri impossibili, condannata a non saper nuotare. Non che fosse una grande condanna – in fondo, nemmeno lei sapeva nuotare, e la cosa non le era mai pesata più di tanto. Comunque, sembrava una cosa assurda. Mentre rifletteva su questo argomento, le venne voglia di uno spuntino, qualcosa di fresco, magari, che le alleviasse anche l’arsura. Pigramente, allungò i piedi nudi dentro il terriccio. Tese una mano davanti a sé. Le dita dei piedi le si allungarono, intrufolandosi sotto terra come tentacoli alla ricerca di nutrimento; la loro pelle divenne marrone e dura come corteccia fino alle caviglie. Dall’indice della mano tesa, come una goccia, scese un filo rosso che si ingrossò rapidamente e divenne quasi sferico, quindi si definì ulteriormente e prese la forma di una mela matura. Flea la staccò e la addentò voracemente, abbandonandosi al sapore dolce. Questa qui le era venuta particolarmente bene.

Tornò a pensare ai Frutti del Diavolo. Mah, chissà se era vera, quella storia.

 

 

Gan_HOPE326  presenta

 

una fanfiction di ONE PIECE

 

RADICI

 

 

Capitolo 1 – Quattro uomini e due donne in barca (per tacer della renna)

 

Oggi

 

-         EVVAI! CHE SPASSOOO!

A gambe incrociate sulla polena della Going Merry, Luffy urlava di gioia, esaltato come un ragazzino sulle montagne russe. In effetti, trascinata com’era dalle gigantesche onde che si sollevavano da ogni lato, la nave dava davvero la stessa sensazione di un vagoncino delle montagne russe. Con in più il rischio che potesse affondare annegando tutti quelli che si trovavano a bordo: il che, evidentemente, non preoccupava affatto il capitano. Anzi, rendeva il tutto parecchio più eccitante.

-         YUHUUU! – gridò ancora, poi allungò il braccio per afferrare il suo cappello di paglia, che gli era stato portato via da uno spruzzo d’acqua.

-         Luffy, non ti chiedo per forza di aiutarmi, ma per pietà, SMETTILA ALMENO DI GIOIRE COME UN BAMBINO IDIOTA! – ringhiò Nami, che nel frattempo stava tirando una cima con le mani ormai scorticate per lo sforzo, tentando disperatamente di tendere la vela e prendere un po’ di vento che li portasse fuori da quella turbolenza.

Non era una tempesta, perché il cielo era sereno. Era successo all’improvviso, senza nessun segno premonitore: in un attimo il mare aveva cominciato a turbinare, aveva formato gorghi e onde anomale, mosso da una forza sconosciuta. Nami si era ormai rassegnata agli assurdi fenomeni che infestavano le acque del Grande Blu e che, nonostante fossero del tutto naturali, sembravano congiurare malignamente per affondare ogni singola imbarcazione che tentasse di solcare quei mari. Si era abituata a considerare l’oceano come un nemico, e non si sarebbe stupita più di tanto nemmeno se avesse visto l’acqua sollevarsi in forma di pugni e prendere a cazzotti lo scafo.

Nei primi istanti della turbolenza la sua mente aveva formulato l’ipotesi che tutto quel bailamme potesse essere dovuto al movimento di qualche grossa massa nelle profondità; poi aveva smesso di pensare, essendo impegnata più che altro a impedire che lei e i suoi compagni finissero trasformati in spuntini per gli squali, o i mostri marini, o qualunque altra diavoleria dotata di denti e zanne si annidasse lì sotto.

-         Qualcuno vada alla barra del timone! Cercate di tenere la rotta stabile! E, ROBIN, PER L’AMOR DEL CIELO, VUOI DARMI UNA MANO?!?

-         Anche più di una. – disse l’archeologa, che seduta placidamente sul ponte superiore sfogliava un libro dall’aria antica.

Una decina di mani femminili e aggraziate spuntarono accanto a Nami, le fecero un grazioso cenno di saluto, dopodichè afferrarono la gomena e cominciarono a tirare.

-         Robin, il tuo potere è davvero molto utile – commentò acida la navigatrice – ma gradirei anche vederti un po’ più tesa, in situazioni come questa.

-         Ma io sono tesa. – ribatté quella, girando pagina – Questa storia della millenaria dinastia Sankesh è molto avvincente.

-         Lascia perdere, Nami. – intervenne Usopp – Dopotutto, c’è anche di peggio.

-         Ah, sì? Cosa c’è di peggio?

Usopp indicò un punto del parapetto. Appoggiato a una colonnina, a gambe incrociate, Zoro russava sonoramente. Quando la nave si inclinava violentemente sotto la spinta delle onde, il suo corpo barcollava fino quasi a toccare terra, ma in qualche modo manteneva l’equilibrio. Il suo sonno restava, comunque, assolutamente sereno.

-         Idiota di uno spadaccino. Meno male che ci sei tu, Sanji, a darmi una mano.

-         Per te qualunque cosa, mia dolcissima Nami! – esclamò il cuoco, in sollucchero – Potrei prenderti le stelle del cielo! Portarti l’acqua dell’eterna giovinezza! Raccogliere in un vaso i colori dell’arcobaleno e fartene dono! Trovare…

-         Sì, grazie, Sanji, sei molto gentile. Per ora mi basta che leghi quella fune da qualche parte. L’albero si sta inclinando.

Sanji corse ad ubbidire, sprizzando scintille d’amore.

-         Subito, bellissima! Ehi, tu, naso lungo. – fece poi ad Usopp, mutando istantaneamente espressione – Hai mica qualcosa per accendere?

Usopp prese dalla sua sacca un proiettile e glielo passò. Sanji lo schiacciò tra le dita, sprigionandone una debole fiammella. La avvicinò alla bocca e accese la sigaretta che già teneva tra le labbra.

-         Meno male. – disse – Le onde così grosse mi rendono nervoso, e quando sono nervoso ho bisogno di fumare.

-         E perché le onde così grosse ti rendono nervoso? – indagò Usopp.

In quella, i flutti percossero la Going Merry con più violenza del solito. Uno spruzzo d’acqua salata invase il ponte, annaffiando tutto da poppa a prua. Sanji prese tra le dita la sigaretta che aveva appena acceso: era ridotta a un moncherino umido e flaccido.

-         Per questo. – sibilò tra i denti.

Ora l’acqua cominciava a girare in tondo, e la nave era completamente bloccata. Sembrava non esserci speranza di farla uscire dal turbine, era già abbastanza difficile impedirle di ribaltarsi. Nell’acqua apparvero due sagome scure, che sembravano formare un cerchio e ruotare intorno allo scafo.

-         Avete visto? – esclamò SanjiCosa sono?

-         Non m’importa. Pensa alla fune. – ringhiò Nami.

-         Non m’importa. Cioè, mica ho pa-pa-paura! – balbettò Usopp.

-         Non m’importa. E’ TROPPO DIVERTENTE! – esclamò Luffy, al colmo del giubilo.

Le sagome si stringevano e ruotavano sempre più veloci. Contemporaneamente, il gorgo si faceva ancora più vorticoso, l’acqua pareva seguirli ed essere trascinata dalla loro furia. Le figure si fecero più distinte e affiorarono delle pinne che cominciarono a formare sottili scie di spuma sulla superficie.

-         Magari sono mostri marini… - mugolò Chopper, che era rintanato in un cantuccio con le lacrime agli occhi.

-         Non temere! – si impose Usopp, fiero – Tu fa’ esattamente quello che faccio io, e ti garantisco che non correrai alcun pericolo!

Chopper lo fissò, colmo di ammirazione e gratitudine. Il cecchino si ergeva immobile in mezzo alla furia dei marosi. Le sagome giunsero a pelo d’acqua e all’improvviso, in un tripudio di spruzzi d’acqua, squame variopinte e denti minacciosissimi, si rivelarono come due giganteschi Re dei Mari, specie famosa per le sue rigorose abitudini alimentari: poco sale sui cibi, molte verdure, e mai più di dieci marinai al giorno.

-         SONO MOSTRI MARINI! – strillò Usopp, che corse istantaneamente a nascondersi in un barile vuoto.

-         SONO MOSTRI MARINI! – ripeté, diligente, Chopper, prima di andare a nascondersi nel barile a fianco (che sfortunatamente per lui, però, conteneva i rifiuti della cucina).

-         PIANTATELA, RAZZA DI FIFONI! – gridò Nami, furibonda, riuscendo però solo a terrorizzare i due più di quanto non avessero fatto i mostri.

Poi non si sentì più nulla. Il fragore delle onde superò ogni cosa. I mostri ruggirono insieme e diedero una spaventosa frustata con la coda, sollevando una colonna d’acqua di metri e metri. La Going Merry venne squassata e si inclinò su un fianco; a Nami parve di intravedere, attraverso la muraglia d’acqua, qualcosa che assomigliava a una piccola isola tondeggiante con un alto palazzo al centro, e che si muoveva verso di loro. Ma era un’assurdità, probabilmente un’illusione. Il ponte ormai faceva un angolo retto con la superficie dell’acqua. L’intero equipaggio piombò in mare, barili compresi. Per un attimo terribile parve che la nave dovesse rovesciarsi del tutto. L’ultima cosa che Nami vide prima di svenire fu la fiancata che si abbatteva su di lei: poi sbatté la testa e perse i sensi.

Quando rinvenne era sul ponte della Merry, bagnata fradicia, distesa sulla sdraio di Robin. Intorno a lei, Sanji, Zoro e Usopp attendevano il suo risveglio. Mormorò qualcosa. Non riusciva ad aprire bene gli occhi.

-         Che è successo?

-         La nave si è quasi ribaltata. Ora va bene, il mare è tornato tranquillo. Riposati pure. – disse Sanji.

-         La nave si è quasi ribaltata. – ripeté tra sé e sé.

La cosa la disturbava. C’era qualcosa – un particolare – che la preoccupava, ma non riusciva a metterlo a fuoco.

-         Sentite, dite a Luffy che… - cominciò, poi spalancò gli occhi e saltò su in piedi – Luffy! Dov’è Luffy? E Robin? E Chopper? Loro non sanno nuotare, se sono finiti in mare…

Zoro non disse nulla e si allontanò. Sanji la prese delicatamente per le spalle e la costrinse a restare distesa.

-         Non lo sappiamo. – disse – Non sappiamo dove siano.

Nami si portò la mano alla bocca. Sentì di stare per scoppiare a piangere.

-         Senti, li cercheremo. Sono sicuro che stanno bene. Ma ora dobbiamo pensare a riparare la nave, prima di ogni altra cosa. Abbiamo subito un sacco di danni gravi, e conciati come siamo adesso non arriviamo da nessuna parte.

La ragazza annuì. Usopp, che intanto era corso a prua, annunciò a gran voce:

-         Vedo terra! C’è un’isola in vista!

-         Finché il capitano non è a bordo, direi che spetta alla navigatrice dare gli ordini. – disse Sanji con gentilezza.

-         D’accordo.

Nami si mise a sedere, ignorando il freddo e i brutti presentimenti.

-         Sbarchiamo, allora. Cerchiamo legname per le riparazioni.

-         Avete sentito gli ordini, teste di rapa? Naso lungo, spadaccino, vedete di lavorare! Dobbiamo approdare su quell’isola! Avanti, avanti!

Nessuno rispose nulla e le manovre iniziarono in un silenzio che la Going Merry conosceva molto di rado. La costa era sempre più vicina.

  
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