Forse non tutti lo sanno, ma mio padre non ci ha affatto abbandonate. Lui è scomparso, nel nulla.
In quel periodo avevo cinque anni, ero figlia unica, non avevo nessuno con cui giocare, e mia madre non mi portava a casa delle mie amiche. La mia vita era completamente diversa da quella che è ora. Mio padre lavorava in un importantissimo studio qui a Seattle, certe volte appariva anche alla televisione. Però nella sua vita esisteva solo la parola "lavoro". Stava a casa con noi solo il mercoledì (ovvero il suo giorno libero), ma lo passava a lavorare con il computer. Gli altri giorni tornava a casa a mezzanotte circa solo per dormire. Quando mi svegliavo per andare a scuola, alle sette, lui era già a lavoro. Tutte le volte che gli chiedevo qualcosa diceva sempre di non avere tempo o di chiedere alla mamma, non stavamo mai insieme, ma nonostante questo ci voleva bene e, in estate, facevamo qualche vacanza in posti lontani per qualche settimana. Poi non so se si può definire una vacanza se passi il 98% della giornata seduto sulla scrivania strapiena di fogli da firmare e relazioni da scrivere. Mia madre Pam non era certo come è ora. Lei era bellissima, aveva i capelli lunghi e si truccava (non certo come adesso), sembrava davvero una regina. Ed era dolce, gentile, con me era sempre buona. Quando mio padre è scomparso, lei era incinta di mia sorella Melanie. Successe il giorno prima del mio sesto compleanno. Io e mia madre eravamo davanti alla televisione per sentirlo parlare davanti a tutta la piazza, ma interruppero il servizio per dire che in quel prestigioso studio c'era stata una rapina. Una rapina parecchio violenta. Ancora oggi non hanno ricostruito l'edificio, e si possono ancora vedere i vetri rotti dalle pallottole che hanno sparato. Da quel giorno non hanno mai tolto le strisce gialle della polizia davanti la porta d'ingresso, infatti l'accesso è severamente vietato. Qualche volta (sapete come sono fatta e che sono capace di farlo) sono entrata da uno dei vetri rotti del primo piano. C'è ancora sangue sparso sulle pareti, tutto è stato lasciato come è successo. Cassaforti aperte, fogli sul pavimento macchiati di rosso, mura a pezzi...  Tranne nell'ufficio di papà. Quello è rimasto perfetto.  Non c'è niente fuori posto, brilla come l'ultima volta che ci è  entrato, lui era un tipo parecchio ordinato, bastava anche solo la più piccola delle cose fuori posto  per farlo infuriare.  La porta di verto è in perfette condizioni, non come le altre tutte rotte. E la cassaforte è chiusa. Ed io mi chiedo se sia ancora vivo, se quel giorno non fosse morto come tutti gli altri, se fosse solo scappato in un posto che noi non conosciamo e avesse paura di uscire. Quel giorno chiamammo la polizia, neanche loro riuscirono a capire perchè quell'ufficio fosse rimasto perfetto, e le ricerche su mio padre continuano ancora. Senza alcun risultato. Tutte le volte che resto più di dieci minuti a fissare la sedia preferita di papà mi viene da piangere, ed esco sempre da quello studio per tornare a casa, sperando che presto lo avrebbero ritrovato. Per risentire la gioia di chiamare qualcuno "papà", quella gioia che anche mia madre, come me, ha perso quel giorno, tanti anni fa.

Angolo dell'autrice:
Ciaooooo :), mi sta andando tutto storto, e avevo proprio voglia di piangere un po' con storie tipo questa xD. Stavo controllando il capitolo di "Next to me", mi sono accorta che c'erano un sacco di errori (Sembrava che lo avessi scritto nel sonno), ed è ancora sotto "elaborazione".
Spero che la storia vi sia piaciuta, per favore recensite, ovviamente anche critiche o recensioni neutre ^-^ :D