Titolo: The End
Is Where We Begin.
Autore: __Bad Apple__
Fandom 1: Kuroko no Basket.
Fandom 2: Full Metal Alchemist.
Personaggi:
Generazione dei Miracoli, Ogiwara Shigehiro, Kasamatsu Yukio, Hanamiya Makoto,
Takao Kazunari, Seirin.
Raiting: Arancione.
Genere:
Generale, Guerra.
Avvertimenti:
Tematiche Delicate, Death Character.
Introduzione: “Aomine
Daiki è – proprio come loro due – membro della Generazione dei Miracoli, sei
alchimisti d’élite, tutti diplomatisi alla stessa edizione dell’esame, all’età
di dodici anni.
Ora, a
soli otto anni di distanza, Akashi Seijuurou ha sostituito Nijimura Shuuzou nel
ruolo di Comandante Supremo e li sta trascinando tutti all’inferno, senza
discriminazioni di alcun genere. Daiki compreso, nonostante sappia delle sue
origini.”
The End is Where
We Begin
Capitolo 1: Leaden.
«L’alchimia
non esiste per questo scopo».
L’Alchimista
di Ferro e Sangue, Akashi Seijuurou – da poco Comandante Supremo – sorride, di
un sorriso che, però, si ferma alle labbra senza raggiungere gli occhi,
lasciandoli freddi nonostante i toni caldi di cui sono tinti.
Con tutta
la lentezza che sente di potersi concedere, mette da parte uno dopo l’altro i
fogli che stava esaminando sulla sua scrivania e infine rivolge la propria
attenzione al sottoposto che si è insinuato nel suo ufficio come l’ombra che è.
«Tetsuya»
esordisce, assaporando il gusto che quel nome gli lascia sul palato, «Non dirmi
di avere la presunzione di sapere per quale motivo ci è stata donata
l’Alchimia» motteggia, socchiudendo appena gli occhi.
Sa alla
perfezione a cosa si riferisce il proprio sottoposto e, conoscendolo, ha
previsto in largo anticipo una sua visita.
Non gli
dà il tempo di replicare alcunché e lo guarda con insistenza, dritto negli
occhi. Sembra quasi volergli imporre con il proprio sguardo di abbassare il
suo, in modo da poter confermare la propria supremazia.
«Eri
stanziato a Briggs. Sei tornato senza permesso solo per dirmi questo?» Inarca
di poco un sopracciglio, continuando a tenere gli occhi puntati in quelli
dell’altro.
Tetsuya
non cede e regge lo sguardo altrui, causando ad Akashi un sospiro quasi
divertito. Con il suo carattere gentile e squisitamente educato, il suo lato
ribelle passa quasi inosservato.
“Quasi” ripete il Comandante Supremo,
nella propria mente, mentre il suo sguardo si colora di una lieve nota di
disapprovazione. Odia più di quanto si possa immaginare chi mette in
discussione i suoi ordini, ma riversare questo sentimento sul Colonnello Kuroko
sembra impossibile perfino a lui. Ciò non toglie che ci sia una gerarchia da
rispettare.
«L’Alchimia
crea, trasmuta. Se la si usa per distruggere, be’, allora non me la sento
proprio di biasimare gli Ishvalan quando sostengono che sia demoniaca» dice
Tetsuya. Senza bisogno di alzare la voce, riesce ad imporsi; è una qualità che
il più delle volte il Comandante Supremo apprezza, ma non quando gli viene
ritorta contro, come nel caso attuale.
Rivolge
all’altro un sorriso simpatetico, entrambi già sanno che Akashi non cambierà
idea, stanno conversando di nulla.
«Non
permetterò che questa guerra civile vada avanti. Va interrotta e va interrotta
adesso, se non sono in grado di stare al loro posto verranno distrutti dal
primo all’ultimo».
«Si può
raggiungere un compromesso».
«Forse,
ma non è la mia risoluzione in merito».
Ormai è
chiaro a tutti e due che nessuno di loro cambierà la propria idea, quindi
Akashi non si stupisce nel vedere Tetsuya infilarsi una mano in tasca, cercando
qualcosa.
Le sue
dita si chiudono attorno all’oggetto e indugiano qualche istante prima di
tirarlo fuori. Passa i polpastrelli su tutta la superficie, come a voler
memorizzare ogni curva, ogni rilievo di esso. Non è per qualche strano moto di
possesso o perché crede che proverà nostalgia, semplicemente non riesce a
capacitarsi di quanto l’orologio argentato, simbolo degli Alchimisti di Stato,
gli sembri ora una catena stretta al collo, quindi deve saggiarne la
consistenza con le sue stesse mani per convincersi del contrario.
Con calma
quasi solenne, tira fuori l’orologio dalla tasca e lo poggia sulla scrivania,
spingendolo di qualche centimetro verso Akashi. Neanche per un secondo abbassa
lo sguardo, tuttavia non c’è orgoglio nei suoi occhi, solo la volontà di non
piegarsi a quell’ingiustizia.
Akashi
soppesa l’oggetto con lo sguardo per qualche istante, per poi tornare a
rivolgere la propria attenzione all’altro, lasciando che un sorrisetto
sgradevole gli incrini le labbra. Ha la certezza di avere in pugno il volere di
Tetsuya – l’ha sempre avuta – deve solo muovere le corde giuste e in questo particolare
momento crede proprio di sapere quali esse siano.
«Daiki
partirà per il fronte» si limita a scandire, spingendo di nuovo l’orologio
verso il suo proprietario. Sorride soddisfatto nel leggere una nota di
sconcerto nello sguardo vuoto di Kuroko.
Questi
rimane diversi secondi, forse troppi, a riflettere su tutte le sfaccettature
della frase appena pronunciata dal Comandante Supremo.
Aomine
Daiki è – proprio come loro due – membro della Generazione dei Miracoli, sei
alchimisti d’élite, tutti diplomatisi alla stessa edizione dell’esame, all’età
di dodici anni.
Ora, a
soli otto anni di distanza, Akashi Seijuurou ha sostituito Nijimura Shuuzou nel
ruolo di Comandante Supremo e li sta trascinando tutti all’inferno, senza
discriminazioni di alcun genere. Daiki compreso, nonostante sappia delle sue
origini.
«La madre
di Aomine-kun è–»
«Un’Ishvalan,
lo so» lo interrompe con un gesto imperioso della mano, decidendo che non
accetterà questioni, «È stata una libera scelta di Daiki» conclude, non per
giustificarsi ma per far in modo che l’altro abbia una visione più ampia
dell’intero scenario.
Una
scelta fatta sotto obbligo svincola da ogni tipo di responsabilità, se questa
invece viene compiuta in totale libertà può facilmente generare biasimo.
Tetsuya lascerà da solo il compagno a naufragare in quel circolo senza uscita?
Ne
dubita, perciò si rilassa in un secondo sorriso soddisfatto quando vede il
coetaneo recuperare il proprio orologio, congedandosi.
«Prima
che tu vada, lascia che ti dica una cosa» lo riprende, il tono è fin troppo
serio, «Hai una visione troppo ottimistica dell’Alchimia. Per creare qualcosa
devi distruggerne un’altra, è questo il principio dello Scambio Equivalente».
[…]
Takao sa
che lo Scambio Equivalente è alla base di tutto e tutti, perfino di chi come
lui non è alchimista. Accettato questo semplice concetto, non gli sembra così
assurdo che per ottenere la pace si debba sacrificare qualcosa, anche se non
può credere che l’elevato prezzo si traduca in vite innocenti.
Si
ritrova a ringraziare mentalmente Shintarou, che proponendolo come suo
assistente di laboratorio gli ha impedito di partire per il fronte. Non che la
guerra lo spaventi, se così fosse stato non avrebbe mai scelto la carriera
militare, tuttavia sente che in questo particolare conflitto c’è qualcosa di
sbagliato, disgustoso.
Forse è
troppo ingenuo, ma lui vive nella convinzione che l’esercito dovrebbe
assicurare il bene delle persone, proteggerle, ed è per questo che si è
arruolato.
Si
permette un sospiro, per poi scoccare un’occhiata a Midorima, appisolato su un
mucchio di appunti a lui incomprensibili.
Sa di
essere la persona in assoluto meno indicata per fare da assistente a Shintarou,
lui di alchimia non ne capisce davvero nulla, eppure sa che nelle ricerche che
sta svolgendo l’amico c’è qualcosa di malvagio. Capirlo non è stato neanche
complicato, è scritto a fuoco nello sguardo di Midorima: se all’inizio le
ricerche sono state iniziate con un entusiasmo mascherato quasi alla
perfezione, c’è un’ombra che di giorno in giorno incupisce sempre di più le
iridi dell’Alchimista di Cristallo.
Ormai è
chiaro che il progetto della Pietra Filosofale va avanti solo per senso del
dovere, tuttavia Takao teme che sarà proprio la responsabilità intrinseca del
carattere del giovane alchimista a portarlo alla rovina.
Tutta
l’atmosfera di cui è denso il laboratorio numero cinque, tutte le volte in cui
Shintarou sparisce in un’ala dell’edificio riservata solo a lui, tutte le volte
in cui l’alchimista ne esce, sempre più provato, urlano questa convinzione.
Gli
sposta un ciuffo di capelli verdi dal viso, domandandosi per quale motivo
continui a seguire le direttive di Akashi, se queste di giorno in giorno gli
costano la sua anima.
Vuole
fare qualcosa per aiutarlo, ma tutto ciò che è in suo potere è accarezzargli il
viso mentre dorme, sperando di riuscire così a scacciare i fantasmi che di
sicuro lo tormentano anche mentre è rifugiato tra le braccia di Morfeo.
Riesce a
ritrarre la mano giusto un attimo prima che l’altro si desti e la cosa lo fa sorridere
divertito nel pensare alle scenate che avrebbe fatto Shintarou se l’avesse
sorpreso ad accarezzarlo durante il sonno.
«Dormito
bene, Shin-chan?» trilla, facendo mugolare l’altro, infastidito.
Midorima
è convinto che svegliarsi sentendo come prima cosa la voce assurdamente alta e
cantilenante di Takao sia la cosa peggiore in assoluto. Poi ripensa al progetto
che da mesi occupa senza interruzioni le sue giornate e allora si rende conto
che è quella stessa voce irritante a tenere intrecciati in modo così saldo i
fili della sua sanità mentale.
È ovvio
che questo non lo ammetterà mai, quindi si limita a ringraziare col pensiero
l’esistenza di quell’essere irritante che è Takao.
Inforca
gli occhiali e guarda l’assistente «Perché non mi hai svegliato? Non ho tempo
di dormire».
«Eri
stanco. Non fare troppo il figo, Shin-chan, anche tu hai bisogno di dormire
come tutti gli esseri umani~» lo prende in giro, simulando un sorriso
scanzonato.
L’altro
sbuffa seccato, «Non ho detto di non averne bisogno, ma di non averne tempo».
«Sono
sicuro che Nostro Signore dei nevrotici, il Comandante Supremo, non impazzirà
se dedichi qualche ora al riposo, ritardando un pochino il completamento di
quella roba».
«Non la
sto completando ma migliorando» spiega Shintarou, esausto, passandosi una mano
tra i capelli, «La Pietra Filosofale è completa da settimane».
[…]
Ogiwara
sa di essere dotato di molta pazienza, eppure non riesce proprio a trattenere
un sospiro tra il rassegnato e lo scocciato quando vede Taiga camminare verso di
lui con uno squarcio enorme sulla spalla.
Gli occhi
dell’alchimista non tradiscono neanche per un secondo il dolore che senza
dubbio deve causargli quella ferita e questo, se possibile, infastidisce ancora
di più l’altro. Gli dà l’impressione che a Taiga non importi affatto del
proprio corpo e non può accettare una cosa del genere.
Quella
situazione non piace a nessuno di loro, primo tra tutti lo stesso Shigehiro, ma
non può stare a guardare l’amico ridursi in quel modo.
Lo
afferra per la spalla sana – facendo non poca fatica a raggiungerla, a dire il
vero, ma questo non lo ammetterà mai – e lo fa sedere su uno sgabello in mezzo
al tendone in cui ha improvvisato il suo studio medico.
«Ancora?»
sospira, cominciando a tirare fuori il materiale per disinfettare la ferita.
«Siamo
venuti qui a far valere le nostre convinzioni con la forza, sterminandoli. È
ovvio che provino a difendersi» borbotta tergendosi il sudore sulla fronte con
la manica della divisa.
Shigehiro
può solo immaginare quanto possa pesare all’amico indossare quell’uniforme,
tuttavia non riesce a capire perché non abbia ancora disertato.
Ha
addosso l’odore dolciastro di carne bruciata e se per lui quell’olezzo è
insopportabile, non osa domandarsi come faccia Kagami a sopportarlo.
Sfiata un
paio di volte, prima di arrendersi al fatto di non riuscire a trovare nulla con
cui controbattere, dopotutto lui stesso ha aperto quell’ospedale improvvisato
per prestare soccorso sia ai soldati di Amestris che agli Ishvalan.
Sa che la
cosa sotto molti punti di vista può non avere senso. Sa anche che molti lo
tacciano di tradimento, eppure lui sente che è la cosa giusta da fare e non ha
intenzione di tornare sulla sua decisione.
In
quell’insensato bagno di sangue, lui vuole salvare vite al posto di distruggerle,
c’è davvero qualcosa di sbagliato? Lui non riesce proprio a darsi una risposta,
quindi si è arreso a seguire ciò che dice il suo cuore.
«Potresti
almeno evitare di venire qui a farti ricucire ogni cinque minuti. Sembra quasi
che tu ti faccia ferire di proposito» si risolve a dire, forse solo per
interrompere il silenzio fastidioso che si è creato. Gli passa il disinfettante
con delicatezza su tutta la ferita, ma è solo quando posa la pezza umida di
antisettico che si rende conto del reale significato delle parole che lui
stesso ha pronunciato e realizza che, no, Taiga non gli ha ancora risposto e
non sembra intenzionato a farlo.
«Se loro
riescono a colpirti, ti senti meno in colpa per quello che fai. È per questo
che ti lasci ferire, vero?» mormora, addolcendo un po’ il tono di voce.
Taiga gli
grugnisce qualcosa di incomprensibile e Ogiwara non riesce a trattenere un
lieve sorriso e si costringe a ricordare che quello che ha davanti è un essere
umano obbligato a commettere barbarie da un Comandante Supremo dispotico e
crudele.
«Tu
smettila di fare conversazione e muoviti a ricucirmi. Ci metti sempre secoli»
L’altro
gonfia le guance, fingendosi profondamente oltraggiato, per alleggerire un po’
l’atmosfera. Dopotutto un po’ di finta familiarità se la meritano entrambi.
«Devo praticare due suture differenti! Ci va tempo!»
«Ma cuci
tutto assieme, che te ne frega!»
«Cucire
muscolo con muscolo e pelle con pelle fa diminuire l’infiammazione ed evita
infezioni e febbre» ribatte, ripetendo in automatico ciò che ormai gli ha detto
almeno una ventina di volte e sorridendo nel vedere l’altro sbuffare e
riprendere a borbottare qualcosa di incomprensibile.
«E
comunque hai delle briciole sulla faccia» ci tiene a precisare Taiga, solo per
non lasciare all’altro l’ultima parola.
[…]
«Kasamatsu-senpai!
Kasamatsu-senpai! Guarda cosa riesco a fare!»
Kise ha
appena il tempo di schioccare le dita, creando una rapida e flebile fiammata
che non attraversa neanche un metro dell’accampamento, prima che il suo senpai
lo colpisca con un calcio in piena schiena, facendolo piegare in due dal
dolore.
Per un
attimo si sente mancare il fiato e deve appoggiare le mani sulle ginocchia per
non capitolare a terra in modo molto poco dignitoso.
In
automatico, gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrimoni fasulli e inizia a
piagnucolare su quanto l‘altro sia sempre cattivo e insensibile con lui, su
quanto venga picchiato a prescindere di qualsiasi cosa faccia.
Kasamatsu
lo conosce da troppo tempo per poter credere davvero a questa sceneggiata,
quindi si limita ad un rapido sospiro; conta a mente fino a cinque, giusto per
essere sicuro di non uccidere in modo brutale l’alchimista, e poi gli si
avvicina, mollandogli un sonoro schiaffo sulla nuca, nell’intento di farlo
smettere nel suo insensato e patetico monologo.
«Smettila
di fare tutto questo baccano, Kise. Questo è un campo di battaglia, non un
parco giochi» sbotta Yukio, guardandolo male. Se già di norma mal sopporta il
comportamento infantile dell’Alchimista di Stato, in una situazione del genere
proprio non lo regge.
Ama Kise,
con i suoi pregi e la sua notevole rosa di difetti, lo rispetta come uomo e
come compagno e lo ammira dal
profondo perché sa che se Ryouta riesce ancora a sorridere in un ambiente del
genere è solo per cercare di rinfrancare un po’ gli animi degli altri, a
ricordar loro che oltre a quell’inferno, da qualche parte esiste ancora la vita; tuttavia, per quanto lui si
sforzi, non riesce a non pensare che un atteggiamento così ilare durante una
guerra sia una profondissima mancanza di rispetto per tutti coloro che in
quella realtà perdono la vita ogni giorno. Che si tratti di commilitoni o di
avversari.
Kise si
massaggia la schiena dolorante e lo guarda con gli occhi socchiusi, come a
voler enfatizzare il dolore che prova, nell’assurda fantasia di far sentire in
colpa l’altro. Sa già che è tempo perso, ma ci prova comunque.
«Volevo
solo farti vedere la nuova tecnica che ho copiato! Questa volta è quella di
Kagamicchi».
Kasamatsu
sospira ancora e si passa una mano tra i capelli con aria stanca, cercando di
tenere a mente che quel comportamento da parte di Ryouta sia in realtà solo uno
scudo per non crollare e per sorreggere gli altri. Deve ripeterselo davvero
tante volte, o sa che finirebbe per uccidere il proprio kohai, cosa che lo
porterebbe davanti alla corte marziale.
“E l’idea non mi attira neanche un po’”
pensa,
decidendo di lasciar cadere l’argomento e concentrarsi sull’abilità di Kise.
«Io non
riuscirei a sopportarlo» ammette, incrociando le braccia al petto.
«Eh?»
«Se io
fossi un Alchimista di Stato, non sopporterei l’arrivo di qualcuno in grado di
copiare in un secondo la stessa abilità che affino da anni e su cui ho sputato
sangue».
Kise si
lascia sfuggire un sorriso amaro che poco si confà al suo viso, «Ah, senpai,
così mi ferisci!»
Un
secondo colpo alla nuca lo fa tacere e per la prima volta decide di non
ricominciare con il suo solito teatrino, lui stesso si sente troppo stanco per
qualcosa di simile.
«Per un momento
ho pensato che stessi per dire qualcosa di sensato».
«Che vuoi
che ti dica, senpai?» dice con voce seria ma comunque cantilenante, «L’alchimia
può essere una maledizione».
Yukio non
si aspetta una risposta del genere e subito sente che non scorderà tanto
facilmente le parole dell’altro, vorrebbe dargli una solidale pacca sulla
spalla – che l’altro di sicuro scambierebbe per l’ennesima aggressione – o
dirgli comunque qualcosa, ma non ne ha il tempo materiale.
«L’alchimia
una maledizione? Non farmi ridere».
Entrambi
si voltano verso la voce, scorgendo l’Alchimista Cremisi, Hanamiya Makoto, a
pochi metri da loro. Cammina nella loro direzione, con le mani infilate nelle
tasche ed un’espressione di folle strafottenza ad incrinargli i bei lineamenti.
Nonostante
il caldo afoso, l’atmosfera si gela con una rapidità impressionante, ma né
Kasamatsu, né Kise mutano la propria espressione, entrambi intenzionati a non
tradire il disagio provocato dal folle alchimista.
«Hanamiya»
saluta Yukio, secco, fissandolo con forse un po’ troppa insistenza. Se poco
prima ha pensato che la falsa ilarità di Kise sia fuori luogo, si rende subito
conto che è ancora più insensata e insopportabile la smania omicida che legge
negli occhi dell’altro. È chiaro come il sole che ad Hanamiya piaccia trovarsi
nel bel mezzo di una guerra civile e la cosa lo disgusta al punto da dover
distogliere all’improvviso lo sguardo.
«Kasamatsu»
replica l’altro, con una strana smorfia, per poi concentrare tutta la propria
attenzione su Kise, «Kise, frequenti ancora gente incapace di trasmutare anche
solo un minuscolo granello di sabbia? Se vuoi un consiglio, non dare troppa
confidenza a della carne da cannone,
sai, i giocattoli hanno la brutta abitudine di rompersi».
Kise
vuole saltargli addosso. Lo vuole sul serio, vuole sentire le proprie dita
chiudersi attorno al collo pallido dell’altro in modo di impedirgli di dire
altre cattiverie del genere, tuttavia sa che se lo facesse Kasamatsu non glielo
perdonerebbe mai.
Sa
perfettamente che Yukio è in grado di combattere le proprie battaglie da solo.
È un guerriero nato e, come tale, pretende lo scalpo di chiunque osi mettersi
tra lui ed un rivale.
«Non sono
io quello chiamato sul fronte per essere usato come arma umana. E di sicuro non
sono io a farmene un vanto» si limita a ribattere Kasamatsu, stringendosi nelle
spalle, per poi pentirsi subito di essere caduto nelle provocazioni di
quell’insopportabile individuo.
«Oh,
Kasamatsu» replica questo, la voce addolcita in modo inquietante, «Siamo tutti
qui per lo stesso motivo: Uccidere od essere uccisi. Ed io non ho il minimo
dubbio su a chi toccherà la seconda opzione».
Senza dar
tempo agli altri due di dire alcunché, Makoto gira loro le spalle, tornando da
dov’è venuto e sventolando appena la mano, in un ironico saluto, «Le mie
condoglianze».
[…]
Tetsuya
ha dovuto girare tutta Central City prima di riuscire a trovare Aomine ed è più
che convinto che ciò che sta vedendo in questo momento non gli piaccia neanche
un po’.
Daiki è
stravaccato su uno sgabello, la testa mollemente abbandonata sul bancone del
bar, accanto ad un paio di bottiglie vuote di qualche alcolico scadente.
Ad onor
del vero, Tetsuya deve riconoscere che in quella bettola di terza categoria di
sicuro non è solo l’alcol ad essere scadente, a cominciare dall’igiene
personale della clientela.
Si porta
la manica della divisa a coprire il naso, nella vaga speranza che la stoffa
pesante riesca a filtrare almeno un po’ l’aria satura di odori sgradevoli.
Si
avvicina al collega e solo dopo si rende conto della presenza di Momoi. La
ragazza sta tentando con scarsi risultati di svegliare Aomine, colpendolo
sempre più forte sulla spalla.
«Buongiorno,
Momoi-san» saluta a bassa voce, inclinando appena il capo in avanti.
Momoi
sorride, ma non c’è nulla di allegro nell’increspatura che hanno preso le sue
labbra. «Sapevo che saresti venuto a cercarlo» dice, per poi lasciarsi andare
ad un sospiro sconsolato, «Non riesco a svegliarlo e non riesco neanche a
spostarlo»
Kuroko
dubita che anche in due riusciranno a reggere la mole di Aomine per più di
qualche metro, quindi la soluzione più logica è fare in modo che l’alchimista
esca dal locale sulle sue gambe. Anche lui si permette un sospiro ed ordina un
bicchiere d’acqua, sotto lo sguardo sconcertato di Satsuki.
«Tetsu-kun,
non vorrai bere da quei bicchieri?»
chiede, per assicurarsi che l’amico non sia del tutto uscito di senno.
Un lieve
sorriso increspa le labbra del ragazzo, «Neanche morto» risponde, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte del barista che, tuttavia, non osa ribattere nulla
sull’ipotetica pulizia delle sue stoviglie.
Senza
troppi complimenti versa il contenuto del bicchiere sulla nuca e sulla schiena
dell’amico, ma questo esprime il proprio dissenso con un unico grugnito
prolungato, non accennando a svegliarsi.
È con un
lieve sospiro sconsolato che Tetsuya, rimboccate le maniche, poggia i palmi
sulla schiena dell’altro, congelando il liquido appena versato con l’alchimia.
Aomine si
sveglia di scatto, saltando come un grillo, mentre un ringhio gutturale si
libera dalla suo gola, «Tetsu!»
«Buongiorno,
Aomine-kun».
«Buongiorno
un cazzo! Non puoi svegliare le persone in modo normale?!»
«Momoi-san
ha provato più volte a svegliarti» si giustifica, stringendosi appena nelle
spalle e stupendosi di quanto l’amico sembri, in effetti, del tutto sobrio. Il
suo sguardo cade sulle bottiglie svuotate ancora abbandonate sul bancone e
Aomine intuisce subito i suoi pensieri.
«Erano lì
da prima che arrivassi. Io sono venuto qui solo a farmi un pisolino perché
pensavo che voi due rompicoglioni non mi avreste mai trovato qui» sbuffa,
intrecciando pigramente le mani dietro la testa.
Momoi e
Tetsuya si scambiano un solo rapido sguardo, decidendo all’unisono che, forse,
sarebbe stato meglio trovare l’altro ubriaco perso. Almeno in quel caso sarebbe
stato un modo per esprimere ciò che sentiva, mentre ciò che i due hanno davanti
al momento è l’immagine dell’inerzia.
Sembra
non importargli nulla di ciò che dovranno fare, sembra che ad Aomine il fatto
che l’indomani dovranno partire per Ishval lo tocchi come farebbe un viaggio
verso North City.
La cosa
manda Tetsuya fuori di testa dalla rabbia, ma è solo una lieve increspatura
nella fronte a testimoniare ciò, non è da lui perdersi nel furore delle
emozioni; queste lo attraversano, come accade a qualunque essere umano, ma lui
fa in modo di non lasciarsi trasportare via da esse.
Daiki,
tuttavia, lo conosce da troppo tempo per lasciarsi ingannare da quello sguardo
di puro ghiaccio, quindi si passa una mano tra i capelli, lasciandosi andare ad
una breve risata amara, «Pensavi che fossi distrutto e sei venuto a consolarmi?
Tetsu, devi smetterla di essere così ingenuo».
Il pugno
allo stomaco arriva, prevedibile, ciononostante non pensa neanche per un
secondo di utilizzare la sua alchimia per difendersi, ammettendo con se stesso
per un solo rapido istante di meritarsi ogni singolo grammo di forza utilizzata
da Tetsuya in quel colpo.
“Però… come fa un affarino così piccolo
a picchiare così duro?” si chiede Daiki per la millesima
volta, portandosi una mano dov’è stato colpito. Per un attimo il suo lato
melodrammatico gli strilla nel cervello che con tutte le probabilità Kuroko
deve avergli come minimo spappolato lo stomaco, poi si rende subito conto di
quanto questo sia impossibile sotto ogni punto di vista.
«Usciamo»
decreta Tetsuya, mentre la sottile crepa sulla sua fronte si spiana, come se il
pugno appena tirato al collega sia bastato a scaricare la collera nei confronti
dell’apatia ostentata da Aomine.
Ostentata,
sì, perché nonostante tutto l’Alchimista di Ghiaccio sa che Daiki non vuole
permettersi di mostrarsi debole.
Si rende
conto che in qualunque modo Aomine possa comportarsi, qualunque abominevole
crimine saranno costretti a compiere ad Ishval, tutto ciò che Tetsuya può fare
è impedire all’amico di perdere se stesso.
«Verrò
anche io ad Ishval».
La voce
di Momoi distoglie entrambi dai propri pensieri e l’attenzione si catalizza
sulla ragazza.
«Satsuki,
non–» esordisce Aomine, ma una gomitata di Kuroko lo zittisce subito. Daiki
tende ad essere la persona con meno tatto in assoluto, questo lo sanno tutti,
quindi è sempre meglio impedirgli di parlare quando le questioni diventano
delicate.
«Momoi-san,
tu sei l’assistente di Akashi-kun, non dovresti stare con lui?»
«Ci sarà
anche lui».
Ed ora
sono delicatissime, le questioni.
[…]
Ishval è
una terra dura, dove non è affatto raro che il silenzio si cibi di ogni cosa,
lasciando solo la muta desolazione.
“Però in tempo di guerra è strano che
cali davvero un silenzio tanto assordante. Riesco a sentire nelle orecchie il
suono del mio stesso sangue che scorre, maledizione!” pensa
Hyuuga, nervoso, senza smettere di pulire il proprio fucile.
La quiete
non l’ha mai entusiasmato e, se possibile, in circostanze simili la trova
ancora più fastidiosa, gli dà l’impressione che da un momento all’altro possa
scatenarsi l’inferno.
Si prende
un secondo di pausa dal suo compito e si sfila gli occhiali, per potersi
massaggiare gli occhi stanchi.
Lui e i
suoi compagni vivono ad Ishval da otto anni, ci si sono trasferiti per
studiarne la cultura, tuttavia hanno goduto di un solo anno di pace, prima che
scoppiasse la guerra e loro ne fossero inevitabilmente fagocitati.
Ad anni
di distanza, ancora non riescono a capacitarsi di come Amestris abbia potuto
scatenare qualcosa di così disgustoso e insensato.
Loro non
hanno esitato neanche un secondo a decidere da che parte stare. E, no, non si è
trattato della propria patria.
Hanno
deciso che, in un mondo che ad ascoltarli non ci prova nemmeno, l’unico modo
che hanno per far valere i propri ideali sia la forza, per quanto ciò non
entusiasmi nessuno di loro.
Pensano a
ciò che si potrebbe definire “bene superiore”; se possono evitare la strage di
migliaia di persone, loro sono disposti a farlo anche a costo di essere
trascinati all’inferno.
I loro
assalti sono rapidi e precisi, guidati dalle strategie vincenti ideate da Riko;
attaccano senza fallire quasi mai un colpo e poi spariscono nel nulla senza
lasciare tracce.
I soldati
di Amestris, tra la paura e il disprezzo, si riferiscono a loro come “La
Squadra del Run and Gun”.
Il loro
vero nome, tuttavia, è un altro.
Loro sono
il SEIRIN La Sacra E Inarrestabile Rinascita.
Un
acronimo mal formato, un nome quasi troppo borioso, una promessa che più di
ogni altra cosa al mondo sono decisi a mantenere.
«Niente
di peggio di un fucile che si inceppa per la mancata manutenzione, eh?»
Subito,
Hyuuga rimpiange il silenzio, preferendo perfino quello all’idiota che ha
appena parlato con il solito tono bonario, poggiandogli una mano sulla spalla.
Lo guarda
malissimo, un po’ perché la voce dell’idiota gli è giunta improvvisa,
facendogli prendere un colpo, un po’ per pura abitudine.
«Sì, non
tutti siamo alchimisti come te, sai? Noi comuni mortali dobbiamo affidarci alle
armi».
Teppei
alza le mani in alto, in segno di resa, per poi sedersi di fianco all’amico. Da
come è scattato, è evidente che Junpei sia teso e irritarlo mentre si trova in
queste condizioni può diventare molto pericoloso.
«È
proprio di questo che volevo parlarti, dell’Alchimia. Koga è appena tornato
dopo essersi infiltrato tra i soldati di Amestris ed ha sentito da loro che il
nuovo Comandante Supremo sta inviando qui tutti gli alchimisti di stato,
compreso lui stesso» spiega, serio.
Si
guardano per lunghi secondi, persi nella consapevolezza che con tutte le
probabilità, questo metterà la parola fine alla loro corsa.
Teppei è
l’unico alchimista tra loro ed è impensabile che possa fronteggiare tutti
quelli che stanno arrivando da Amestris, contando che fatica a tenere a bada
quelli già presenti sul territorio.
Poche
settimane prima si è scontrato con l’Alchimista Cremisi e ne è uscito
gravemente ferito, sapere che sono in arrivo altri demoni del genere è
destabilizzante.
«Perché
il Comandante Supremo in persona ci degna della sua presenza?» domanda Hyuuga,
sentendosi all’improvviso ancora più esausto.
«Tra i
soldati e gli alchimisti di stato stanziati qui c’è chi comincia a dubitare del
“lavoro” che stanno svolgendo, prendendo anche in considerazione l’ipotesi di
disertare. Penso che voglia calmare le acque di persona e rispedire a casa
coloro che si riveleranno un peso. Meglio farli tornare a casa che rischiare
che mettano i bastoni tra le ruote agli altri soldati, no?» Si concede qualche
secondo di pausa prima di continuare, «E qui entra in gioco il piano di Riko.
Dobbiamo convincere chi verrà mandato a casa ad unirsi a noi».
«Non
abbiamo mai fatto reclutamento, è troppo alto il rischio di venir traditi e non
abbiamo forza bellica sufficiente per reggere qualcosa del genere».
«Forse,
ma dobbiamo rischiare. In ogni caso siamo pochi per poter vincere, mettendoci
di più in gioco avremo una possibilità».
Junpei
trattiene un sospiro, sa che l’alchimista e Riko hanno ragione, «Quindi non ci
resta che andare avanti, eh?»
In
risposta gli giunge solo un sorriso.
E il
silenzio ritorna.
Death Note: Ciaaaao! Che dire? Vorrei davvero essere in grado di fare
quelle belle conclusioni di capitolo dove tutto viene spiegato punto per punto…
ma non le sono capace *va a piangere patate*
Spero che questa
mini-long possa piacervi, è la prima volta che scrivo una long per intero prima
di iniziarla a pubblicarla, ma essendo per un contest, avevo una scadenza – e per
rispettarla, questa storia mi ha praticamente risucchiato la vita
;A; –
Piccole delucidazioni
sugli alchimisti di stato: Oltre ai titoli presenti nel canon
(Alchimista di Fuoco, Alchimista di Ferro e Sangue, Alchimista di Cristallo,
Alchimista Cremisi e Alchimista di Ghiaccio) ho aggiunto altri due titoli,
giusto perché non sapevo che nomina dare a Kise e ad Aomine.
Kise è l’Alchimista Specchio
e, questo gli permette, come si è già notato in questo capitolo, di utilizzare
un solo cerchio alchemico per copiare qualsiasi tipo di alchimia.
Aomine è l’Alchimista
Scudo… che è praticamente la versione “alchimista di stato” di Greed. Ovvero usa il carbonio all’interno del suo corpo per
creare uno scudo impenetrabile.
Se la storia vi
piace, per favore, lasciate una recensione; su questa long ci ho davvero
lasciato l’anima e un parere mi farebbe sul serio molto piacere.