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Autore: Madam Morgana    13/05/2015    5 recensioni
C'è che adesso è felice, del traguardo raggiunto, c'è che, adesso, lei è la dottoressa Penelope James, quello che desiderava di essere da sempre, sin da quando ne ha memoria.
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«Penny, è meraviglioso, sono davvero felice. Però non voglio scoraggiarti, ho sentito dire che i ragazzi del Social Detoxification Center non sono tipi da sottovalutare» e stringe i pugni nel manubrio con fare di chi, sul serio, un po' ha timore.
Lui, personalmente, non si recherebbe mai in quel postaccio caratterizzato da un edificio decaduto, aiuole sottoposte ad atti vandalici, muri scritti, e quant'altro.
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Fallowey sospira, nasconde le mani grasse dentro le tasche del giubbino smanicato e scuote il capo, «L'ala nord è la peggiore, dottoressa, non credo possa fare qualcosa per loro» anche il tono di voce del direttore cambia, oltre all'espressione corrucciata. «Chi, ormai, di speranza non ne ha più. Chi è giunto al capolinea, dottoressa James.»
Penelope si volta dietro per dare una rapida occhiata alle porte nere.
E giura di averne sentita una socchiudersi piano, con un cigolio raccapricciante che le ha gelato il sangue.
Qualcuno li aveva ascoltati.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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1.



Si guarda allo specchio, con la consapevolezza che, ormai, è cresciuta.
E n'è passata di acqua, sotto i ponti, forse così tanta che ha allagato la sua intera vita, ma lei ha sempre continuato a credere, sperare, convincersi che il futuro poteva cambiarlo. Il suo futuro, poteva essere cambiato, se solo avesse creduto in se stessa.
E lo pensava a dieci anni, continuava a pensarlo a sedici, a diciotto, ed ora che ha la bellezza di ventitré anni, continua a pensarlo.
C'è che la vita o la modelli a tuo piacimento, o prenderà una piega sbagliata, e lei di certo ha scelto la seconda opzione. Non ha mai voluto, né pensato, che la vita le fosse stata modellata da qualche altro, e le sue azioni, i suoi pensieri, le sue determinazioni se l'è sempre imposta solo lei, perché forse cambiare per piacere agli altri, era sbagliato, ma credere in se stessi, quello si che era giusto.
E lo pensava prima, ma lo pensa anche adesso, Penelope, quando – ancora con i ricci biondo grano sparpagliati in aria, o pronti ad incorniciare il suo viso pallido – insistentemente, fissa la sua immagine riflessa sul vetro.
C'è che adesso è felice, del traguardo raggiunto, c'è che, adesso, lei è la dottoressa Penelope James, quello che desiderava di essere da sempre, sin da quando ne ha memoria.
E va bene così, perché non sostituirebbe la sua vita, il suo cammino, il suo traguardo, con nessun'altra cosa al mondo. E' felice, e questo a lei va più che bene.
Smette di fissarsi allo specchio solo quando, l'enorme orologio di legno a cucù affisso alla parete bianco sporco, segna le nove del mattino.
Sgrana gli occhi, 'ché forse ha già perso abbastanza tempo a rimuginare sul passato e su quanto sia perfetta la sua vita, ed affonda le mani tra i capelli lucenti.
Non può arrivare tardi.
Non può arrivare tardi il primo giorno di lavoro!
Afferra la vestaglia bianca, se la infila e poi corre di sotto, maledicendo i diciassette scalini che la separano dalla cucina.
E quando fa il suo ingresso, di gran carriera, Andrea, sua madre, sorride. C'è che conosce Penelope, sa quanto tiene all'ordine, alla puntualità e tutto, ma la prima a non rispettare quelle cose, è proprio lei.
Lascia, dunque, scivolare due pancake sul piatto che poi para davanti alla figlia, mentre questa cerca di riordinare la zazzera bionda, quel giorno indomabile e simile alla cresta di un leone.
«Mamma, cosa devo mettermi? Devo presentarmi a lavoro tra un'ora, e devo prendere la metro, devo passare dal giornalaio a ritirare la tua rivista, e poi prendere i ragazzi della signora Adelaide a scuola, poi ho detto al signor Barnaby che sarei passata per aiutarlo a potare le sue piante e – » ma Andrea scuote il capo, alza le mani in segno di resa e si siede, 'chè per i suoi gusti, Penelope sta già parlando troppo.
«Tesoro, sono le nove del mattino, a stento ricordo il mio nome, credi forse che saprei rispondere all'interrogatorio? E poi, sta' tranquilla, andrà bene, non penserai mica che ti lasceranno lavorare da sola, sei ancora una principiante, diciamo. Per tutto il resto, ci penso io, che tu di pensieri ne hai già troppi» dice, trangugiando l'ennesimo pezzetto di pancake.
Penelope cerca di rilassarsi, poggiando la schiena sul legno color ciliegio della sedia. I piedi che penzolano prima avanti, poi indietro, mentre sfiletta il pancake che, sua madre, le ha preparato.
C'è ch'è troppo ansiosa, euforica e sì, impaurita, non riuscirebbe a mandar giù nemmeno un pezzetto di quella delizia.
E pensare che, tecnicamente, adora i pancake.
Ed Andrea lo capisce, sospira, poggia una mano sul braccio della figlia e sorride, «Andrà bene, vedrai» mormora, perché riconosce che, sì, Penelope ha bisogno di sostegno.
Questi si morde l'interno guancia con fare nervoso, mentre lo sguardo vitreo si posa sulla figura sfocata del piattino, «Vorrei che papà fosse qui.»
«Tuo padre sarebbe orgoglioso della tua scelta, di quello che sei diventata, e delle persone che sarai in grado di aiutare. Non rimproverarti Penny, devi solo credere in te stessa» e lei annuisce, sorride e caccia via le lacrime.
Nonostante il sostegno di sua madre, Penelope non riesce a non pensare a quanto sarebbe felice se Stewart, suo padre, fosse lì.
Partito in guerra nelle terre straniere, non lo vede dal Natale di due anni fa. Si sentono solo tramite lettere, e per quanto possa amare la scrittura, lei, capisce che non è lo stesso.
Stringe i pugni, fino a far sbiancare le nocche, ingoia il malloppo pungente che le impedisce di respirare e poi annuisce con fare di chi si è rassegnato.
«Ora sei la dottoressa James, tesoro» continua sua madre, e quell'affermazione riesce a metterla di buonumore.
Ha lavorato tanto, per diventare dottoressa, per aiutare le persone bisognose, sia fisicamente che mentalmente, e lo ricorda, quante volte suo padre le diceva che, sì, poteva farcela.
E' stato lui a comprarle i primi libri universitari, un regalo di compleanno alla mia futura dottoressa, le aveva detto.
E lei aveva sorriso perché suo padre, come lei, credeva nei sogni.
Era meraviglioso Stewart, e lo è anche adesso, per Penelope, nonostante abbia dimenticato la sua voce, ma non il suo sorriso.
«Sarà meglio che vada, mamma. Devo prendere la metro» sentenzia, sta per alzarsi e cercare le ballerine, quando sua madre scoppia a ridere.
«Non vorrai andare in camicia da notte, Penelope» ed in effetti lo aveva dimenticato, lei, di vestirsi.
Sorride, guardandosi allo specchio dell'atrio, sbuffa e poi fila dritta in camera sua, afferrando le ballerine bianche, per andare a vestirsi.
Decide di indossare capi freschi, limpidi, perché vuole dare una buona impressione ai ragazzi del centro. Sa che saranno certamente tipi difficili, schivi, senza speranze e tante altre cose negative, e dunque pensa sia giusto donare un po' di positività. I fiori, ad esempio, a lei mettono allegria e positività, ecco perché indossa una maglia dalle maniche a palloncino, a fantasia floreale. Poi una gonna rosa che le cade fino alle ginocchia, le ballerine ed infine pettina la chioma per domarla.
Non si trucca, Penelope, perché crede che coprire la bellezza naturale con ceroni tossici non sia un bene, la gente deve apprezzarsi per quello che è, non per quello che diventa grazie ai cosmetici.
E dopo essersi ripassata il medesimo motto, percorre nuovamente le scale, saluta sua madre e si catapulta fuori, nella caotica Sydney.
Tra il vociferare dei passanti ed i rumori assordanti dei clacson, si avvia verso la fermata della metro, quando qualcuno le suona dietro.
Si volta, sorride ed agita la mano in segno di saluto.
Ashton Irwin, abbassa il finestrino, sfila gli occhiali e sfoggia uno dei suoi meravigliosi sorrisi che incavano alla perfezione quelle fossette preziose.
«Penny, dove vai?» chiede, senza smettere di guardarla.
Conosce Penelope dai tempi del college, e sono sempre stati grandi amici, senza contare che la famiglia Jamese quella Irwin abitano quasi vicino.
«Sto andando a lavoro,» spiega lei, stringendosi nelle spalle.
«Vieni dai, ti do uno strappo» gli occhi di Penelope si accendono , esulta interiormente e poi si avvicina all'auto dell'amico, apre la portiera e salta su.
Ashton mette nuovamente in moto, non prima di averle schioccato un bacio sulla gota rosata, poi torna a guardare la strada davanti a lui, «Dove lavori, Penny?» domanda. Perché non si sentono da un bel po', considerando gli impegni del ragazzo, e non ha più saputo che strada ha intrapreso lei.
«Al centro di Melbourne, oggi è il mio primo giorno» spiega, quasi con un filo di orgoglio in quella voce così sottile.
Ashton sgrana gli occhi, non ci può credere.
L'ultima volta che hanno parlato del loro futuro, lo ricorda ancora. Penelope voleva aiutare la gente, a migliorare la vita di chi, non era stato fortunato come lei. Ma erano solo sogni di ragazzini, e non credeva lei potesse riuscirci. Sentire, invece, il contrario, lo entusiasma e sorprende allo stesso modo.
«Davvero? E' fantastico Penny! Non pensavo che – » Penny lo blocca, fissa il paesaggio che scorre veloce, dal finestrino, e sistema alcune pieghe formatosi sulla gonna rosata.
«Che ci riuscissi? Beh, ce l'ho fatta» e poi lo guarda, perché finalmente può dire che, sì, è riuscita a coronare il suo sogno.
«Penny, è meraviglioso, sono davvero felice. Però non voglio scoraggiarti, ho sentito dire che i ragazzi del Social Detoxification Center non sono tipi da sottovalutare» e stringe i pugni nel manubrio con fare di chi, sul serio, un po' ha timore.
Lui, personalmente, non si recherebbe mai in quel postaccio caratterizzato da un edificio decaduto, aiuole sottoposte ad atti vandalici, muri scritti, e quant'altro. C'è che il Social Detoxification non è mai stato ristrutturato, perché sarebbe inutile farlo. I ragazzi tornerebbero a distruggerlo, e non ci sono abbastanza fondi per sistemarlo nuovamente, poi.
«Starò attenta» lo rimbecca, sperando che lui – almeno a quello – ci creda.
Poi cambiano discorso, o almeno Penelope cerca di farlo, perché non vuole far preoccupare ulteriormente il suo amico, sa bene che con Leslie non vanno bene le cose, e di problemi lui già ha abbastanza. Aggiungergliene uno in più, peggiorerebbe solo la cosa.
«Comunque dovremmo vederci più spesso, ormai ci sentiamo poche volte» ed Ashton la pensa come lei. Annuisce mentre attende il verde del semaforo, picchiettando le dita sul volante.
«Lo penso anche io, magari un giorno di questi potremmo organizzare una serata insieme, che ne pensi?» chiede, ma lei scuote il capo perché non vuole interferire nella sua relazione. Conosce Leslie, sa quanto possa essere gelosa di Ashton e di certo l'uscita con una cara e vecchia amica, peggiorerebbe tutto quanto.
«Non credo che a Leslie farebbe piacere» e lo dice a denti stretti, con l'amarezza in bocca. Perché da quando Leslie ed Ashton formano una coppia, il tempo a disposizione per loro, si è dimezzato.
«Non m'importa, non posso permetterle di separarmi anche dalla mia più cara amica. Vedrò quello che posso fare» e Penelope lo abbraccia, così forte che spera di non fare male a quell'omone del suo amico.
E tutto mentre guida, poi! Che ragazzina sprovveduta!
Poi si fermano, perché sono arrivati.
In lontananza, maestoso e temerario, s'innalza l'imponente centro.
«Credo che siamo arrivati» sussurra Ashton, con un velo di sgomento. C'è che lui se la darebbe a gambe anche subito, ma non vuole che la sua amica lo veda come un cagasotto.
E poi è lì che lei lavorerà, da oggi in poi, e che a lui piaccia o no, non può cambiare le scelte di lei.
Penelope scende dall'auto, chiudendosi la portiera con delicatezza, poi fa cenno ad Ashton di andare,e questi la saluta cordiale, sfrecciando via.
Ora è sola, Penelope, mentre osserva il tenebroso edificio.
E' sola con il suo futuro, con le sue scelte, con quello che da bambina voleva fare e che, adesso, è riuscita a diventare.
Avanza silenziosamente, perdendosi ad osservare il degrado del posto. Aiuole distrutte, X rosse in ogni albero, nastri rossi e bianchi che vietano l'accesso in parecchie aree.
E' il decadimento, quel posto, e per un attimo Penelope si è chiesta cosa ci faccia lì, ma la risposta l'ha subito trovata.
C'è che le persone non sono sempre fortunate come lei, nata e cresciuta con principi e morali che l'anno messa su con grazia e positività. Genitori affabili, amici straordinari.
C'è che non tutti sono cresciuti così, e lei vuole solo donare un po' di felicità ed aiutare gente che, nonostante tutto, non ammetterebbe mai di aver bisogno di aiuto.
Ora vicina alla costruzione, sale i primi due scalini vecchi e sporchi, mentre sente una leggera folata di terrore che le carezza la spina dorsale, poi il terzo e il quarto scalino, quinto, sesto, settimo, e poi eccola, davanti alla porta scarabocchiata.
Sbatte gli anelli color oro sulla porta, mentre si guarda intorno.
L'attesa non è tanta, per fortuna. Ad aprirle è una signora di mezz'età, con i capelli nocciola raccolti in uno chignon disordinato «Sì?» gracchia, mentre fa scivolare di poco gli occhiali sul suo naso aquilino.
«Sono la dottoressa James» spiega, mentre continua a stringersi nelle spalle. Deva ammetterlo, quella donna così vecchia e pallida le incute terrore. Somiglia più ad un fantasma che ad un essere umano, senza contare che la sua pelle cerea è caratterizzata da delle grinze orribili.
La signora si sposta, permettendo a Penelope di entrare, «Mi segua.»
I tacchi di entrambe sbattono sul pavimento grigio, ed è l'unico suono in grado di spezzare il silenzio.
Perché nessuno parla, né la donna pallida né Penelope, che ha deciso di adottare il silenzio.
Stringe il manico della borsa con fare nervoso, mentre sente il cuore in gola. Durante il tragitto che la sta portando in un posto sconosciuto, si permette di osservare i quadri, anch'essi vittime di atti vandalici. Ogni cosa, in quel posto, è deteriorata, spenta, vuota, corrosa dal tempo. Ed è ingiusto, secondo lei, che comunque non ha voce in capitolo. Perché se il centro fosse lustrato e tirato a dovere, sarebbe meraviglioso.
«Ma ch'è successo qui? Perché questo posto è così?» sussurra, 'ché non riesce più a starsene in silenzio.
La donna dalle grinze orrende non parla, scrolla le spalle e continua la marcia tenebrosa verso un luogo sconosciuto.
Si fermano solo davanti ad una porta nera, la donna picchia le sue mani ossute su di essa, e poi lascia Penelope da sola, senza più parlare.
E quando finalmente la porta viene aperta, un omone panciuto l'accoglie, sorridendole cordiale.
«Benvenuta, dottoressa James, la stavo aspettando» continua, invitandola a sedersi di fronte a lui. E lei lo fa, si accomoda sistemando la gonna, e mandando dietro ad un orecchio una ciocca di capelli color grano. «Sono lieto che abbia accettato l'invito a lavorare qui, dottoressa – espone l'uomo, porgendo poi la mano – io sono Frank Fallowey, direttore del centro» Penelope gli stringe la mano, avverte una stretta ferrea caratterizzata da pelle sudaticcia.
«Perché questo posto è così, signor Fallowey?» domanda. Ha constatato da se che qualcosa non va, in quel posto, e sicuramente se dovrà lavorarci per anni, giorni o mesi, deve conoscere la storia.
Dal canto di Fallowey non c'è poi nessun ripensamento, e tranquillamente delucida la questione, «Il centro non era così, dottoressa James, ma è andato in malora a causa dei ragazzi. In questo centro nessuno vuole più lavorarci, e mi rammarica dirlo perché, seriamente, era il centro migliore di Melbourne. Ma quando sono arrivati ragazzi difficili, hanno... come dire, deteriorato il posto. E parlerò con la verità, dottoressa, non ci sono abbastanza fondi per tirarlo su a nuovo, senza contare che sarebbe nuovamente reduce di altri atti vandalici. Tanto vale lasciarlo così, fin quando non cadrà a pezzi» e le parole dei direttore feriscono Penelope e la sua positività, sembra un po' tornare con i piedi per terra, ma ciò non la persuade dal cambiare idea.
Lei è lì per migliorare la vita delle persone, a prescindere dal posto.
«Da dove comincio, signor Fallowey?» assottiglia lo sguardo, incrocia le braccia al petto ed è pronta a vincere contro tutti, come fosse una nuova sfida a se stessa, quel lavoro.
«Le mostro l'edificio, credo sia meglio» entrambi si alzano, abbandonano la stanza del direttore e percorrono una rampa di scale decadente e scricchiolante che li conduce al piano superiore, dove una sfilza di porte tutte uguali invadono il campo visivo della ragazza.
Fallowey ne addita qualcuna con fare distratto, «Questa è l'ala ovest dell'edificio. Qui ci sono i casi meno critici, diciamo che hanno solo fatto qualche bravata, o rubato, è un po' come un piccolo riformatorio quest'ala. Nulla di che» conclude, trascinandosela dall'altra parte del corridoio, dove nuove stanze dalla medesima porta continuano ad invaderle il campo visivo. L'unica cosa a differenziarle da quelle precedenti è il colore della vernice con cui sono state dipinte. Le prime azzurre, queste rosse «Nell'ala est ci sono i cleptomani, e gli alcolisti. Nella fascia di quest'ultimi c'è né uno con cui dovrà lavorare specialmente, è un ragazzo difficile ma sono certo che con il suo aiuto potrebbe salvarsi, scampare alla vita caratterizzata da alcool, capisce, dottoressa?»
E lei annuisce, del resto è lì per quello, «Sì, capisco perfettamente.»
Poi scendono le scale, attraversano una stanza immensa e subito dopo salgono un'altra rampa, distante dalle alee precedenti.
Sembra isolata quella zona, come se non volessero mischiare quella precedente a questa.
E Penelope la nota, la differenza. Nota come le porte non siano colorate, di colori pressoché accesi, ma interamente dipinte di nero.
Fallowey sospira, nasconde le mani grasse dentro le tasche del giubbino smanicato e scuote il capo, «L'ala nord è la peggiore, dottoressa, non credo possa fare qualcosa per loro» anche il tono di voce del direttore cambia, oltre all'espressione corrucciata.
E lei non capisce. «Chi ci sono, nell'ala nord, signore?»
«Chi, ormai, di speranza non ne ha più. Chi è giunto al capolinea, dottoressa James, chi vuole solo distruggere la vita degli altri, perché la loro è già stata distrutta» Penelope indietreggia, perché quell'affermazione un po' la mette in soggezione.
Il rimbombo dei tacchi arriva alle sue orecchie come un frastuono lontano, ovattato dalle parole del direttore. «Chi sono, loro?»
«Chi fa uso di droghe, e mi creda, chi c'è dietro quelle porte non è mai stato in grado di domarlo alcun dottore. Sono loro i peggiori, chi ha distrutto l'intero centro. Ma credo che non servirà sapere ulteriori cose, su di loro, li teniamo nella sezione nord perché nessuno può più aiutarli. Potremmo cacciarli, vero, ma non hanno un posto dove andare e poi persino noi, un po', li temiamo. Venga con me, adesso, le do gli incarichi da fare» e mentre scendono le scale, Penelope si volta dietro per dare una rapida occhiata alle porte nere.
E giura di averne sentita una socchiudersi piano, con un cigolio raccapricciante che le ha gelato il sangue.
Qualcuno li aveva ascoltati.



 
BUUUUUH


Sono matta da legare, lo so, ma tecnicamente non faccio altro che pensare a questa storia, ultimamente.
Non so se proseguirà, ma la cosa di cui sono certa è che mi sta prendendo tantissimo. Spero solo che
voi possiate apprezzare, perché, credetemi, metto sempre anima, corpo, sudore, e mal di testa quando
posto qualcosa di nuovo. Senza contare che sono sempre molto scettica. Mi auguro vivamente che voi
vogliate seguirmi anche in quest'altro cammino che sto intraprendendo. Ho deciso di trattare - o almeno
ci proverò, insomma - alcune tematiche delicate. Perché purtroppo la vita non è sempre rosa e fiori, è
giusto rendere le storie anche veritiere, secondo me. Dunque cosa ne pensate di questo primo capitolo?
Vi prende? Vi piace? Come vi sembra la dottoressa James? Io personalmente l'adoro ç___ç
E secondo voi chi si nasconde dietro le porte nere? Fatemelo sapere, ci tengo tanto ai vostri pareri.
Vi lascio con un grandissimo bacione.


Madam Morgana.
   
 
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