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Autore: _Lady di inchiostro_    14/05/2015    3 recensioni
«Non sei troppo grande per avere paura di un misero temporale?»
«Smettila di prendermi in giro, Ace!»
[…]
«E che cosa hai fatto per combatterli?»
«Ho usato la logica, Rufy. Sono sogni, dopotutto, non sono cose che accadono realmente. Pensaci: l’ultima cosa che Sabo potesse desiderare, era che tu lo vedessi morire; inoltre, io non avrei mai potuto lasciarti solo, te l’ho promesso, ricordi?»

Un breve e semplice spaccato di vita, in cui i due fratelli si rendono finalmente conto di quanto siano in grado di comprendere uno le debolezze dell’altro.
Perché, insieme, loro possono vincere su tutto, persino su un incubo o su un temporale.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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  When a nightmare or a thunderstorm comes,
you can hug me





Capitava di rado che Ace si svegliasse per via dei temporali, sebbene questi fossero particolarmente forti. Solitamente, erano più gli incubi a ridestare il suo sonno notturno.
Questa volta, però, furono una serie di lampi e tuoni a fargli aprire di scatto gli occhi.
Rimase a fissare la pioggia che scendeva a raffica, sbattendo le palpebre un paio di volte. Quando si rese conto di quello che stava succedendo intorno a lui, si limitò solo a borbottare tra sé e sé una serie d’imprecazioni contro il brutto tempo.
“Dannazione!”, pensò. “L’estate è quasi alle porte e il tempo non fa che peggiorare. Domani sarà dura catturare qualche bestia feroce come pasto…” 
Mentre stava facendo queste considerazioni, richiudendo gli occhi e rassegnandosi all’idea che l’indomani avrebbe portato dalla foresta solo un mucchio di fango, sentì qualcosa che stringeva spasmodicamente la sua canotta. 
Ace riaprì lentamente gli occhi, consapevole di chi fosse quella presa. Provò a osservare la figura di traverso, senza girarsi, riuscendo solo a individuare delle spalle incurvate e tremanti.
«Non sei troppo grande per avere paura di un misero temporale?» disse, incalzando sul fatto che il suo fratellino aveva compiuto otto anni alcune settimane addietro. 
Quest’ultimo tirò su col naso, le dita che affondavano ancora di più nel tessuto della canotta. 
«Smettila di prendermi in giro, Ace!» borbottò Rufy, singhiozzando. 
Il maggiore alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla. Del resto, non poteva aspettarsi altrimenti da uno come Rufy. Stava per dirgli di smetterla di fare il rammollito e di riaddormentarsi subito, quando gli chiese:
«Perché sei sveglio? Hai avuto un incubo?»
Ace sussultò e pregò che suo fratello non lo avesse avvertito. 
«No, e poi che razze di domande sono? Io non ho mai avuto gli incubi, non sono mica un frignone come te!» protestò, voltandosi un poco per osservare meglio il minore.
Vide che abbassava la testa, posando la fronte sulla sua schiena e aumentando la presa anche con l’altra mano.
«Scusa… Pensavo ne avessi avuto uno anche tu…» mormorò Rufy, evitando – invano – di continuare a piangere.
Ace rilassò la mandibola, osservandolo con una serietà mista ad apprensione. Sapeva che cosa stava provando, anche se lui non si metteva di certo a piangere quando faceva dei brutti sogni. 
Non era facile riuscire a togliersi quella sensazione di terrore – o di orrore, dipendeva dalle situazioni – che rimaneva una volta svegli, specie se il sogno era particolarmente intenso e vivido. 
«Sai, qualche volta ti ho sentito gridare durante la notte…» continuò il piccolo. «Ho pensato che, quando accadeva, era perché sognavi anche tu cose brutte e, non so, magari avevi bisogno del mio aiuto…»
Si interruppe, il tempo necessario per lasciare Ace con la bocca semi aperta e gli occhi totalmente spalancati. Qualche volta si era reso conto di aver gridato, ma non avrebbe mai immaginato che Rufy avesse potuto sentirlo, dato il sonno profondo che si ritrovava.
E andava detto che forse Rufy non lo aveva sentito sempre, perciò Ace non sapeva quante volte gridasse senza che né lui né suo fratello se ne rendessero conto.
Forse lo faceva persino mentre era colto da un suo attacco di narcolessia, anche se ne dubitava parecchio – solitamente non si ricordava mai cosa aveva sognato durante quegli episodi.
Ciò che lo lasciava più perplesso, era il perché nessuno glielo avesse mai detto, nemmeno Sabo. Poi Ace si ricordò che, in effetti, non aveva fatto poi molti incubi quando c’era ancora il biondino.
Erano ricominciati da qualche mese circa, più o meno da quando non c’era  più…
Rufy strinse ancora di più la presa, così che Ace potesse concentrarsi nuovamente su di lui.
«Poi mi sono ricordato che tu non sopporti che io ti aiuti, per cui non ho fatto niente… e poi ho pensato che tu non sei uno che si spaventa per un brutto sogno, mentre io…» Rufy si interruppe ancora una volta, lasciando che le lacrime venissero fuori liberamente. 
Ace si girò totalmente verso il fratello, costringendo quest’ultimo a lasciare la presa e a posare i palmi delle mani sugli occhi inumiditi.
C’era una tristezza velata nell’espressione del lentigginoso, che si era rilassato totalmente – si era reso conto di aver tenuto la schiena irrigidita per tutto il tempo. Cercò, però, di non far trapelare le sue emozioni con troppa evidenza, continuando a sostenere uno sguardo serioso.
«Rufy…» disse con un sospiro. «Hai avuto un incubo stanotte?»
Il moro divenne titubante, smettendo di singhiozzare per un po’, annuendo solo in un secondo momento. Ace rimase lievemente sorpreso da quella sorta di confessione.
Di certo, Rufy non era uno che ammetteva le sue debolezze con tanta facilità, anzi tentava sempre di giustificarle. E ogni volta che le sue scuse facevano cilecca, lui si limitava a rispondere che sarebbe diventato forte almeno quanto il fratello, superandolo addirittura.
L’unica volta in cui Ace lo aveva visto ridotto in quel modo, era quando lo aveva trovato disteso a faccia in giù sulla scogliera.
Ricordava di essere andato a cercarlo, dato che era totalmente sparito dalla circolazione. Ace, però, era sicuro che l’avrebbe trovato là, uno dei loro luoghi preferiti e in cui si riunivano con più frequenza, prima della costruzione della base.
Lì, Rufy non aveva negato ciò che era veramente, promettendo che sarebbe diventato davvero più forte. Quella sensazione non l’avrebbe più rivissuta, non l’avrebbe più oppresso.
Sarebbe diventato forte come i suoi fratelli: come Ace, che non l’avrebbe abbandonato mai; come Sabo, che fino all’ultimo istante aveva agognato la tanta amata libertà.
Solo allora, Ace comprese che forse era difficile per lui pensare che uno dei suoi modelli potesse crollare, mentre l’altro giaceva infondo all’oceano. C’era da dire che non aveva fatto nulla per mostrare che anche lui potesse piangere e disperarsi; persino dopo aver letto la lettera di Sabo, cercò di non incrociare il suo sguardo pieno di sgomento e impotenza con quello di Rufy.
Ma Ace non lo faceva per male, solo non era insito nella sua natura mostrarsi in quelle condizioni. Si chiese se non fosse stato un errore, ritrovandosi un Rufy che continuava a mugugnare.
«Ho sognato Sabo» sbottò quest’ultimo improvvisamente. «Mentre moriva... e tu non c’eri, ed io non potevo fare niente, e…»
Rufy fu travolto da un’altra ondata di pianto, stavolta più forte. Ace sospirò ancora una volta, e chiese perdono a se stesso se, per quella volta, sarebbe andato contro i suoi stessi principi. 
«Anche a me è capitato di sognarlo. E ho fatto anch’io degli incubi.»
Il maggiore chiuse gli occhi prima di proferir parola, e si morse la lingua subito dopo averlo fatto. Ma l’espressione che si dipinse sul volto di Rufy, lo ripagò del suo gesto.
I suoi occhi neri erano spalancati – rendendoli ancora più grandi – e qualche lacrimuccia faceva ancora capolino dagli angoli degli occhi.
Tirò su con naso. «Tu hai avuto degli incubi? Dici davvero?»
«Certo che è vero, tonto!» Era tentato di mollargli un pugno, ma non fece nulla. «Tutti possono avere gli incubi, non è solo una tua disgrazia. Eh sì, li ho avuti pure io, e anche su Sabo per giunta. Quindi, non è vero quello hai detto prima, perciò smettila di frignare!»
Ace fece un rumoroso sbuffo appena finito di parlare. Non aveva detto tutto quello che sosteneva servisse per consolare un bambino di sette, anzi otto anni; purtroppo non poteva farci nulla, non erano da lui queste cose sdolcinate.    
 Nonostante questo, però, Rufy sembrò apprezzare il suo gesto. In realtà, Ace non capì mai come questo fosse stato possibile. 
Forse perché il suo fratellino lo conosceva meglio di quanto pensasse, e dunque sapeva che questo era il massimo che potesse fare?
O forse perché l’idea che lui non fosse poi così inferiore al fratello lo faceva stare meglio?
«E che cosa hai fatto per combatterli?» chiese il minore, le guance ancora rigate di pianto.
«Ho usato la logica, Rufy» rispose secco il maggiore, girandosi dall’altra parte con finta indifferenza. «Sono sogni, dopotutto, non sono cose che accadono realmente. Pensaci: l’ultima cosa che Sabo potesse desiderare, era che tu lo vedessi morire; inoltre, io non avrei mai potuto lasciarti solo, te l’ho promesso, ricordi?» 
Regnò il silenzio per qualche instante, in cui probabilmente Rufy si sentiva più confuso che persuaso da quelle parole. Infatti, stava sbattendo le palpebre con un’evidente perplessità, tenendo un dito sotto il mento.
Continuò a guardare le spalle del fratello, che si muovevano avanti e indietro, forse per via del fatto che il giovane stesse cercando una posizione per dormire.
O forse perché stava prendendo un bel respiro profondo prima di pronunciare la prossima frase.
«Senti, io non ho idea di come funzionino queste cose, so solo che vanno così e basta!» Rimase in silenzio, aspettandosi magari qualche parola da parte di Rufy. Dato che lui non aveva intenzione di dire nulla, continuò: «Non hai capito niente di quello che ho detto, lo so. Per questo, sei autorizzato ad abbracciarmi se vuoi sentirti meglio. Chissà, è probabile che così facendo tu riesca a batterli.»
Sentì Rufy che accennava un’esclamazione di stupore, unita a una sorta di esaltazione. In effetti, era la prima volta che Ace concedesse a qualcuno di abbracciarlo.
«E’ solo per quando hai gli incubi, o per quando ti spaventi per un temporale. Se provi a farlo in circostanze diverse, ti abbandono nella foresta a dormire!»
Lanciò un’occhiata al fratello, che annuì con foga, per poi rimettersi comodo.
«Adesso, ritorna a dormire» aggiunse.
Passarono alcuni minuti, poi Ace sentì due braccia che lo stringevano e la sensazione di una guancia che strusciava sulla sua schiena.
In quel momento, al moro parve che la testa potesse esplodergli dalla rabbia, conscio che tra qualche secondo avrebbe inveito contro il minore e che si sarebbe maledetto per avergli permesso una cosa del genere.
Ma, come sempre, Rufy anticipò le sue mosse, smettendo per un attimo di strofinare la guancia sulla sua schiena, e aumentando la stretta delle braccia.
«Posso dirti una cosa, Ace? Penso che Sabo sarebbe fiero di te. Sei un ottimo fratello maggiore!»
Il piccolo lo disse a bassa voce, non sapendo se Ace lo stesse effettivamente sentendo. Era quello che pensava veramente, però, anche se non lo aveva mai dimostrato con i fatti.
E forse non lo avrebbe fatto mai, ma lo aveva detto, ed era sicuro che suo fratello lo sapesse già, in cuor suo. 
In realtà, Ace lo aveva sentito, e si stava per girare malamente per chiedergli spiegazioni.
Che cosa significava quella frase?
Rufy aveva forse letto la lettera? Come diavolo aveva fatto?
Solo quando sentì il respiro regolare e tranquillo del fratello, pochi attimi dopo, si decise a non fare nulla. Perché lo aveva capito come mai Rufy gli aveva detto quelle parole.
“Allora non sei poi così stupido…”, pensò subito.
Ed era vero.
Rufy poteva anche non comprendere alcune cose – che possono risultare elementari -, ma altre le capiva con l’intuito.
Sicuramente aveva intuito che c’era qualcosa che non andava, quando Ace rientrò con gli occhi gonfi e rossi, e si chiuse in camera, dopo aver letto la lettera.
Sicuramente aveva intuito che cosa fosse il pezzo di carta che suo fratello maggiore stava stringendo nel pugno della mano.
Sicuramente aveva intuito cosa ci fosse scritto, perché sapeva quanto Sabo ci tenesse a essere un bravo fratello maggiore.
E, chi lo sa, magari aveva persino provato a immaginare quanto stesse soffrendo, se era persino arrivato a piangere. 
“Dunque lo sapevi. Sapevi che anch’io posso provare debolezze, ma tu hai continuato a considerarmi forte…Che illuso…”
Una lacrima sfuggì al controllo del lentigginoso, lasciando che graffiasse il suo viso.
Ace era consapevole di essere forte, ma solo fisicamente. Non sapeva se lo fosse abbastanza da fare il fratello maggiore. Sabo gli aveva affidato il compito di prendersi cura del loro fratellino, non sapendo che lui non era per niente capace.
Bastava vedere come Rufy adorasse Sabo, come chiedeva il suo aiuto quando Ace voleva picchiarlo.
Bastava vedere come Sabo fosse paziente con il minore, cosa che ad Ace riusciva certamente male.
Bastava vedere come il biondino corresse in suo soccorso immediatamente, mentre Ace aveva aspettato che fosse un’artigliata a ferire suo fratello prima di intervenire.
Il moro si morse il labbro, le lacrime che ormai scendevano copiose, e si maledì per essere così debole
E lo era davvero se persino Rufy se ne era accorto, se aveva visto quanto senso di colpa traspariva ogni volta che lanciava uno sguardo alla sua testa ancora bendata.
Lui non era bravo a fare il fratello maggiore e non lo sarebbe stato mai, ne era fermamente convinto.
Ma aveva fatto una promessa a Sabo e l’avrebbe mantenuta. Sarebbe migliorato come fratello maggiore, arrivando a livelli che lui stesso non avrebbe mai immaginato.
Perché lui non si sentiva di meritare ancora quel titolo, anche se Rufy aveva affermato il contrario. Non ancora, non era abbastanza forte.
C’era tanto che doveva fare, e, solo quando avrebbe raggiunto il suo obiettivo, avrebbe gridato verso il cielo, dicendo a Sabo che ci era riuscito, che Rufy stava bene e che lo aveva aiutato a realizzare il suo sogno.
Ace credeva che, con la vita che aveva ancora davanti, forse ce l’avrebbe fatta solo quando sarebbe stato troppo tardi. Allora, quando aveva solo undici anni, non poteva sapere cosa gli riservava il futuro.
Non poteva di certo immaginare che avrebbe dato il tutto e per tutto per essere un bravo fratello maggiore. Non poteva immaginare che avrebbe fatto la cosa giusta, lasciando solo Rufy ad allenarsi: non era più il bambino che si attaccava a lui durante la notte, questo lo sapeva.
E mai e poi mai Ace avrebbe immaginato che, fino all’ultimo secondo della sua vita, si sarebbe comportato da buon fratello, con l’unico rimpianto di abbandonare il minore proprio nel momento del bisogno.
No, tutto questo non lo poteva sapere, e l’idea non l’avrebbe neanche sfiorato minimante.
In quel momento, Ace poteva solo limitarsi a piangere sommessamente e a borbottare frasi sconnesse.
«Detesto te e anche quell’idiota di Sabo, ovunque egli sia. È per colpa vostra se mi riduco come un pappamolle!» si limitò a dire, fregandosene se la sua voce era rotta dal pianto.
Era anche certo che Rufy l’avesse sentito, ma poco gli importava. Del resto, non era la prima volta che gli rivolgeva frasi del genere, e non era neanche la prima volta che Rufy le ignorava totalmente; e poi, per lui erano quelle le parole con cui suo fratello gli dimostrava il suo affetto, lo conosceva bene oramai.
I due rimasero così, uno a cingere la vita del maggiore, l’altro con le mani posate su quelle calde del fratellino. 
E quell’abbraccio divenne una prerogativa di tutte le notti, nonostante gli incubi e i temporali fossero oramai finiti. 

 


E ancora una volta, questa storia è dedicata alla mia amica Laura.
Perché, se non fosse stato per lei, non l’avrei mai pubblicata.
Quindi grazie, sempre e comunque, di sopportare questa mente complessata.






Parla l’autrice che scrive storie random: 
Avete presente quando, girovagando su Internet, trovate qualche frase che vi fornisce uno spunto, o semplicemente una canzone vi ispira particolarmente?
Bene, perché questa storia è nata proprio a causa di quello che ho appena menzionato. Teoricamente, dovevo scriverne un’altra (che ho ancora in programma  anche se non so quanto ve ne possa fregare), ma, quando ho aperto la pagina bianca, mi sono balenate una serie d’idee ed è venuto fuori questo.
In realtà, devo tutto a un fan inglese, che da sempre sosteneva che Ace consolasse Rufy durante i temporali o gli incubi, e che il piccolo lo abbracciasse di nascosto. Poi ci si sono messe anche una serie di canzoni struggenti, ed ecco che è apparso un testo del genere. Essenzialmente, non so neanche io cosa diavolo ho scritto, oltre al fatto che mi sembrava una cosa abominevole.

La mia amica, però, mi ha persuaso alla fine, così ho deciso di tentare. Non ho idea di cosa mi aspetti, ma se dovesse risultare una schifezza, me la prenderei soltanto con la mia grave stupidità :’)
Parlando della storia, forse c’è qualche disguido temporale: diciamo che ho immaginato che la vicenda fosse ambientata qualche mese dopo la morte di Sabo; Rufy ha compiuto gli anni solo qualche tempo dopo, e sempre dopo si è svolta la faccenda dell’orso.
Forse così si capisce meglio che dalla storia, no? xD
Che dire, grazie a chiunque sia arrivato qua, o anche solo a quelli che hanno pensato di aprire la storia. Vi amo tanto lo stesso! <3 (?)
Fatemi sapere se trovate qualche errore, o se i personaggi vi sembrano troppo OOC, oppure se avete in qualche modo gradito. Io sono pronta a qualsiasi opinione! :D
La pianto con questa recensione lunga più della storia,
_Lady di inchiostro_ 


P.S: potete farmi sapere se il titolo vi convince? Fino all’ultimo, era indecisa se cambiarlo o meno… :’D
 

 
  
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