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Autore: My Pride    02/01/2009    12 recensioni
«C'è qualcosa. Qualcosa d'oscuro, in me, che non comprendo. Ma quando ci riuscirò, forse capirò anche perché mi hanno risparmiato, perché non ho fatto la stessa fine di molti che li hanno incontrati tempo addietro»
«Roy... ti supplico» riprovò Hughes, sentendo le lacrime minacciare di rigargli il volto.
«Non supplicarmi, Maes», disse sorridendo. «Non sono Dio»
[ Seguito de «Il bacio del vampiro» ]
[ INCOMPIUTA - Un giorno verrà aggiornata (forse) ]
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire's Story ~ Il Bacio del Vampiro'
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Il figlio delle Tenebre_Act 1 Titolo: Il figlio delle tenebre
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: Long fiction
Personaggi: Un po' tutti
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale

Rating: Arancione
Avvertimenti: AU, Non per stomaci delicati, OOC, Shounen ai



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.
 


ATTO PRIMO. IL PASSATO CHE RITORNA



Sheerness, 1889

    «Vieni qua, razza di ladruncolo!»
    Richard Hughes si voltò incuriosito verso il grido che aveva udito provenire dalle bancarelle, e vide uno dei venditori afferrare per il polso un bambino dai capelli d'ebano, di forse quattro, cinque anni; teneva in entrambe le mani delle mele e cercava in tutti i modi di divincolarsi, strillando probabilmente insulti al suo indirizzo in una strana lingua.  
    Quando l'occhio color smeraldo si posò sul viso del piccolo, Richard sbiancò, spalancando le palpebre come se avesse visto un fantasma. Si avvicinò svelto al venditore e, poggiando una mano sulla sua che teneva stretta il polso del bambino, ricevette da lui uno sguardo interrogativo.
«Non credo sia il caso di prendersela così tanto, signore», disse pacato, ignorando l'occhiata che lo squadrava dall'alto in basso come per valutarlo. «E' solo un bambino, in fondo».
    L'altro mollò il polso, osservando il ragazzino con astio prima di massaggiarsi la folta barba nera, le sopracciglia corrugate in un'espressione minacciosa.
«Non è la prima volta che tenta di rubare», gli tenne presente, incrociando le braccia muscolose al petto. «Questo bambino è una vera spina nel fianco».
    «Ma questo non toglie il fatto che sia comunque un bambino», rispose Hughes, sollevando appena un angolo della bocca come a voler dar vita ad un sorriso privo d'entusiasmo; distolse poi lo sguardo per adocchiare il piccolo, che fissava ostinatamente e con finto interesse il terreno lastricato ai loro piedi. Si accovacciò accanto a lui e, puntellandosi sulle ginocchia, inclinò la testa di lato. «Dove sono la tua mamma e il tuo papà?» gli chiese piano per non spaventarlo ulteriormente, e il bambino alzò di scatto la testa prima di scuoterla energicamente per un qualche strano motivo.
    «Chan eil pàrantan agam [1]», mormorò poi in una lingua che lui aveva già sentito nei racconti di suo padre quand'era piccolo, ma che non conosceva appieno. Era la lingua delle Highland. Hughes si voltò quindi verso il venditore, ancora a braccia conserte.
    «Che cos'ha detto?» domandò con una strana inquietudine nella voce calma, ma lui si limitò a fare spallucce.
    «Nessuno lo capisce», fece semplicemente. «E' orfano, gironzola sempre qui in giro e raramente parla la nostra lingua. Più di questo non so dirvi».
    L'uomo stranamente annuì. «Me ne prenderò cura io, allora», disse, ricevendo dal venditore un'occhiata stranita. «E pagherò anche ciò che vi ha rubato, non si preoccupi», soggiunse, e a quelle parole lo sguardo del commerciante si fece interessato, tanto che non obbiettò minimamente quando l'uomo gli sventolò davanti delle banconote nuove di zecca prima di prendergli una delle mani possenti e posandogliele nel palmo. «Credo che questi bastino, vero, signore?» disse affabile, sorridendo al di sotto dei grandi baffi neri.
    Il venditore cominciò a contare i soldi, annuendo tra sé e sé; se li infilò poi in tasca senza commentare ulteriormente, dandogli un sacchetto con le mele. Fece poi loro cenno di andarsene mentre si premurava di andare da una donna che lo stava chiamando per comprare della frutta.
    Hughes sorrise maggiormente, abbassando lo sguardo verso il bambino che lo guardava con i suoi occhi color pece grandi e innocenti; lo prese per mano senza che lui facesse storie, portandolo con sé lontano dal mercato, e, mentre camminavano, non poteva non pensare che quel bambino così piccolo, un giorno, sarebbe diventato la rovina o la possibile soluzione a tutti i problemi della sua famiglia. Quegli occhi, quel viso. Non poteva sbagliarsi minimamente.
    Arrivati alla piazza, si sedettero entrambi su una delle panchine lì presenti; l'uomo aprì il sacchetto e gli porse una mela che lui, dopo aver guardato per un po', cominciò a mangiare a grandi morsi, affamato. Hughes sorrise, scompigliandogli i capelli.
«Quanti anni hai?» gli chiese in tono dolce, e ricevette uno sguardo curioso da quegli occhi scuri che splendevano appena sul quel viso sporco, mentre teneva la mela stretta fra le piccole mani. L'uomo sollevò le sopracciglia, accarezzandosi l'occhio cieco con fare distratto. «Capisci la mia lingua?» domandò ancora, vedendolo annuire piano. «Mi dici allora quanti anni hai?» ripeté delicato, e il bambino corrugò appena le sopracciglia prima di voltare la testa, come se non volesse rispondergli. Poi, dando un altro morso alla mela, lo guardò nuovamente. Contò sulle dita, mostrandogliene quattro.
    «Ceithir [2]», mormorò appena, e l'uomo sorrise ancora di più per mostrarsi rassicurante, prendendo dalla tasca un fazzoletto per pulirgli piano il volto.
    «Anche mio figlio ha più o meno la tua età, sai?» gli disse divertito, vedendolo storcere il naso quando vi passò sopra il fazzoletto per togliergli lo sporco depositato.  Finito il suo lavoro rimise il fazzoletto in tasca, inclinando la testa di lato mentre lo osservava finire di mangiare con gusto quel piccolo pasto e posare poi il torso della mela sulla panchina di pietra. «Vuoi bere qualcosa?» chiese ancora l'uomo.
    Il bambino, che stava cominciando a sentirsi a suo agio con lui da come tentava di avvicinarsi, annuì, concedendogli un sorriso con qualche dentino mancante.
«Bainne [3]», fece, e l'uomo sollevò ancora una volta un sopracciglio. Gli diede un buffetto sul naso, passandogli un braccio dietro alle spalle per attirarlo a sé. Non poteva ancora capacitarsi del fatto che quel bambino così innocente potesse essere realmente colui che avrebbe potuto causare danni ancor peggiori in una faida lunga secoli.
    «Non ti capisco, purtroppo», gli disse in tono basso e misurato, accarezzandogli delicato i capelli. «I tuoi genitori erano delle Highland, per caso?» Era quasi certo che fosse così, ma si stupì quando il bambino scosse la testa e fece spallucce. Non lo sapeva, quindi. E la cosa non fece altro che accentuare la sua ipotesi. Non aveva genitori, non conosceva le sue origini, era solo e parlava una lingua diversa dall'inglese. Purtroppo, una volta cresciuto, quel bambino avrebbe avuto un futuro avverso, ancor di più della sua infanzia non vissuta. «Sai parlare inglese?» gli domandò.
    Il bambino aggrottò la piccola fronte per la concentrazione, come se stesse cercando di decifrare bene le sue parole. Poi, ancora una volta, contò sulle dita, segnandogli il numero sette ripetuto tre volte.

    «Ventuno?» fece l'uomo, senza capire.
«Ventuno parole, forse?» chiese a mo' di conferma, vedendolo annuire.
    «Tha mi duilich [4]», mormorò, e dal tono sembrava dispiaciuto. Almeno quello riusciva a capirlo.
    Hughes si limitò ad annuire, stringendolo ancora un po' più a sé mentre osservava le persone camminare allegre, chiacchierare come se nulla fosse. L'unica cosa di cui lui non si capacitava era perché il bambino parlasse quella lingua come se fosse sua, quando in realtà, originariamente, avrebbe dovuto essere inglese antico.  Che fosse tutta opera Sua? Di quel che gli aveva fatto? Non era da escludere.
    Abbassò lo sguardo verso il bambino, che gli aveva stretto fra le manine la camicia e faceva scorrere il suo sguardo per tutta la città, quasi fosse impaurito da tutto quel movimento. Si soffermò ben poco sul suo abbigliamento così leggero nonostante il freddo che spesso si sentiva nella cittadina, trovandolo consunto, stropicciato. Anche le braccia esili, intraviste attraverso i fori della camicia fin troppo grande che indossava, rendevano il suo aspetto ancor più sciupato. Sospirò tristemente a quella scena. Quel bambino aveva bisogno dell'affetto di una famiglia, non poteva assolutamente abbandonarlo al suo destino. Anche se sapeva che era la cosa più giusta da fare.
    Mordendosi il labbro inferiore, Richard si portò una mano alla cintola e sfiorò la guaina in cui teneva il coltello, ma, incontrando gli occhi del bambino, così grandi e innocenti, si sentì un emerito verme. Con che coraggio avrebbe potuto... nay, non voleva pensarci. Magari, allontanandolo da quel luogo, sarebbe riuscito in qualche modo ad evitare che il suo fato si compisse, cambiando ciò che era già scritto. Forse, anche se non ci sperava pienamente. Così, allontanando la mano dal coltello, gli accarezzò i capelli, posandogli un bacio sul capo.
«Ti va di venire con me?» gli domandò, in tono dolce. «Ti insegnerò a parlare inglese, avrai una casa e un pasto caldo tutti i giorni... vuoi?»
    Per qualche secondo il bambino si limitò a guardarlo, come se stesse valutando quella proposta che gli aveva appena fatto l'uomo. Tutti i suoni che si sentivano provenivano dalle persone che attraversavano la piazza e dal mercato poco lontano da dove si trovavano loro; poi il piccolo gli rivolse un enorme e sincero sorriso, annuendo energico.
    L'uomo lo ricambiò, accarezzandosi i baffi.
«Benissimo, allora partiremo domani per il Nord di Sheerness», lo informò, scompigliandogli ancora i capelli. «Poi ce ne torniamo a casa». Pochi secondi dopo, sbatté la palpebra, come per riflettere. «Ora che ci penso, non so il tuo nome», soggiunse, sorridendo divertito. Ancor più divertito gli tese la mano, stringendo la piccola e delicata del bimbo nella sua, grande e forte. «Richard Hughes», disse in tono spassoso, ridacchiando quando il bambino guardò quella mano così grande che stringeva la sua.
    Il piccolo si lasciò sfuggire una risata quando la mano lo lasciò, e gettò le braccia al collo di quell'uomo guardandolo negli occhi, sorridente.
«Roy».


    Dieci anni. Dieci lunghissimi anni dalla morte di suo padre a causa di quelle creature. Del suo amico, poi, non c'era più traccia da altrettanto tempo. Ormai il Sindaco era diventato lui e, come ogni sera, teneva sempre d'occhio la situazione al villaggio. Ad una distanza di cinque o sette anni, il clima era tornato normale e le stagioni avevano ripreso a seguire il corso della natura, facendo sì che la calma si riversasse ancora una volta nella popolazione e la vita riprendesse a scorrere ordinariamente come suo solito.
    Adesso, però, com'era successo dieci anni or sono, erano ricominciate stranamente le piogge e le nevicate fuori stagione, e l'atmosfera tetra e malsana che si respirava metteva a disagio ogni membro della comunità. La sensazione negativa che avvertiva ormai da più di due mesi si era completamente impadronita di lui, mentre, vagando per le strade deserte e per i vicoli, illuminava il suo cammino con una lanterna. Aveva deciso di prendere a quattro mani il suo destino di cacciatore, e ormai da parecchio si teneva sempre pronto ad ogni eventualità. Di vampiri, però, non se ne vedevano da molto. Solitamente di creature del genere non se ne scorgevano, riusciva a cacciare solo qualche lupo mal cresciuto, più comunemente chiamato licantropo, uomini condannati da una maledizione che ad ogni plenilunio divenivano lupi famelici, pericolosi e aggressivi. Da quel che aveva imparato, su di loro le pallottole d'argento erano più che efficaci se si voleva mantenere una debita distanza, ma anche altre armi costituite dallo stesso materiale erano ottime.
    Quante teste di quelle bestie aveva dovuto tagliare, prima di seppellirle? Quanti, ancora in forma umana, aveva dovuto bruciare con il fuoco? Nemmeno se lo ricordava più, sebbene le orde di quei mostri sembravano essere diminuite progressivamente, forse a causa del freddo. O, forse, a causa del fiutato pericolo. Con i sensi molti più sviluppati degli esseri umani, probabilmente, erano riusciti a capire che in quel paesino maledetto c'era qualcosa che non quadrava affatto. Qualcosa da cui bisognava assolutamente tenersi alla larga.
    Il Sindaco stava per svoltare l'angolo quando la luce rischiarò il profilo di una giovane ragazza dai capelli biondo pallido, il cui volto era contratto in una smorfia di terrore mentre osservava, con gli occhi sgranati e le braccia strette al petto, un'ombra che si muoveva fra le ombre. «Winry!» esclamò scioccato, correndole svelto in contro per poggiarle una mano sulla spalla, sentendola rigida come un pezzo di ghiaccio. «Che succede, cos'hai?»
    Sopraffatta dalla paura, la ragazza non proferì parola, nascondendosi rapida dietro alle spalle del Sindaco e puntando un dito verso il vicolo. L'uomo spostò immediatamente il fascio di luce in quelle tenebre, illuminando una figura vestita con una semplice camicia bianca dal colletto di pizzo e un pantalone nero; a quella vista il sangue, senza che ne sapesse il perché, gli si gelò nelle vene. Non poteva crederci. Non era reale. I capelli, molto più lunghi di quanto ricordasse, gli cadevano disordinatamente sulle spalle, mentre gli occhi, completamente inespressivi, lo osservavano senza davvero farlo.
    Con il cuore che batteva a mille Hughes deglutì, forse nel tentativo di inghiottire la strana inquietudine che si era impossessata del suo animo. «Roy?» chiese in un sussurro, sentendo la gola secca. «Sei... sei davvero tu?»
    Un basso ringhio si levò dalla gola dell'ombra dai lunghi capelli neri quando lo sentì, il labbro superiore si ritrasse per scoprire i canini scintillanti che palpitavano. D'istinto, sia il Sindaco che la ragazza indietreggiarono sconvolti quando l'uomo, o meglio il giovane vampiro dalle fattezze del loro amato prete, fece appena un passo avanti, nei meandri dei suoi occhi d'onice si riusciva a scorgere un oscuro oblio iniettato di sangue.
    «Roy», bisbigliò il Sindaco, proteggendo la ragazza con il suo corpo. «Oh, Signore... cosa ti hanno fatto, quei bastardi». Si sentì tirare per la manica del giaccone e, con la coda dell'occhio, vide il viso spaventato di Winry, le cui polle cerulee erano dilatate dal terrore.
    «Sindaco Hughes, allontaniamoci da qui...» stava spasmodicamente ripetendo, mentre cercava con tutte le sue forze di tirarlo via. «...andiamocene». E, se non fosse stato immobilizzato dal terrore, Maes Hughes sarebbe scappato. Con sé non aveva assolutamente nulla. Da quando i lupi mannari non si erano presentati così spesso, portava con sé solo due pallottole placcate in argento nella pistola che aveva dovuto commissionare ad uno degli uomini che addestrava, ma che con le armi se la cavava meglio di lui. E tre pallottole non sarebbero bastate. Ma, soprattutto, probabilmente non sarebbe riuscito a sparare sapendo chi aveva di fronte.
    La mano sfiorò automaticamente la pistola che portava nella fondina. Non doveva tentennare. Se il prete avesse fatto anche solo una mossa azzardata, avrebbe sparato. Non poteva rischiare che altri venissero ancora una volta coinvolti dopo anni, ma, prima ancora che potesse anche solo pensare di estrarre l'arma, una bassa risata lo bloccò. Accanto a Roy, come staccatasi dalla parete stessa, emerse dalle ombre una seconda figura che, con le labbra incurvate in un sorriso, si mosse, facendo frusciare appena il mantello scuro che indossava. Rivolgendo uno sguardo divertito ad entrambi, abbracciò stretto da dietro il prete e gli tenne il viso sollevato con una mano, mentre l'altra vagava ad accarezzargli l'addome, quasi verso il basso ventre. Non staccò quei suoi occhi dorati dalla figura del Sindaco nemmeno per un secondo, leccando appena il collo del suo prigioniero sotto gli sguardi atterriti e sconcertati delle loro due prede.
    «È ancora presto», sussurrò dolce e spietato all'orecchio del vampiro moro, divertito come suo solito dal sentore di terrore che avvertiva nell'aria.  I lunghi capelli d'oro si scompigliarono appena ad una folata di vento, ed entrambi scomparvero lasciando solo fumo e polvere sotto lo sguardo basito e sbarrato del Sindaco e della ragazza.
    Hughes allontanò la mano dalla pistola, fissando la leggera nebbiolina che si erano lasciati dietro ad occhi sgranati. «Non è possibile», la voce incrinata era solo un mormorio sordo nella notte.
«L'hanno trasformato in uno di loro...» Si accasciò a terra, in ginocchio, tenendosi la testa fra le mani. Quella leggera e tremante della ragazza si posò su una sua spalla, e riuscì a sentire distintamente un suo singhiozzo soffocato.
    Il Sindaco poggiò a sua volta la mano su quella della ragazza, stringendola forte. Non aveva mai pensato che al suo fratello adottivo potesse accadere una cosa simile. Meglio morto, che vederlo trasformato in uno di loro. Che vederlo trasformato in uno di quei mostri.. Invece, adesso, uno dei loro nemici era proprio il loro parroco, l'uomo che li aveva sostenuti con i suoi sermoni, l'uomo che quasi li conosceva più di loro stessi... l'uomo che aveva lasciato andare quella notte di dieci anni prima, senza fermarlo. Non ci sarebbe mai riuscito a far fuori lui. Nel diario che gli aveva lasciato il padre aveva scoperto che la sua, sin dai tempi antichi, era sempre stata una famiglia di cacciatori che per sfuggire alla vendetta di un vampiro dell'alta aristocrazia era stata costretta a cambiare il proprio nome. Ed era per questo che il padre era morto. A causa di quel vampiro che era ancora in vita e bramava tutt'ora, dopo secoli, la vendetta contro la sua famiglia. Il prossimo sarebbe stato lui, adesso che erano tornati ancora una volta.
    Maes si girò verso la ragazza, rimettendosi in piedi e abbracciandola per cercare di calmare i suoi singhiozzi isterici. «Stai calma, Winry», mormorò, accarezzandole la schiena.
«Non ti faranno del male, stai calma... va tutto bene». Già dieci anni prima, la giovane che adesso stringeva fra le braccia aveva assistito alla tragica fine di sua madre per mano di quegli esseri. Le aveva visto la morte dipinta in volto. Non avrebbe mai potuto scordare i tragici eventi che si erano ritrovati a vivere in quei mesi oscuri, con la paura nascosta dietro ogni angolo. Ed ecco che, ad una distanza di dieci anni, quei mostri erano tornati a completare la loro opera. «Winry». Le alzò il viso per poterla guardare negli occhi. «Torna subito da tua zia, non guardarti mai alle spalle per nessun motivo... chiudetevi dentro, capito?»
    La ragazza, tremante, annuì. Si asciugò distratta le lacrime passando sul viso il dorso della mano, tirando su con il naso; guardò poi Hughes con un'espressione altamente impaurita. «E... e lei, Sindaco?» chiese titubante, quasi in un sussurro.
    Pochi attimi di silenzio, poi lui trasse un sospiro.
«Io ho un lavoro da fare», fu la sua sola risposta. Detto questo, seguì per un piccolo tratto di strada la ragazza, controllando che arrivasse a casa da lontano per poi fare un altro po' di strada ed entrare nell'edificio alla sua destra, nella locanda in cui erano radunati gran parte degli uomini della popolazione. Al suo ingresso, tutti si voltarono, e lui li salutò con un cenno del capo, facendo qualche passo avanti nell'ampia stanza del locale mentre li squadrava ad uno ad uno.
    «Ho bisogno che almeno un di voi mi segua», disse pacato, richiamando con un cenno della mano un ragazzo dai corti capelli biondi che stava fumando.
«Tu te la senti, Havoc?»
    Guardandosi ansioso intorno e vedendo che anche gli uomini lì presenti avevano in volto la medesima espressione sconcertata e incuriosita, lui annuì, spegnendo la sigaretta nel posacenere e alzandosi per raggiungere il Sindaco. Lo conosceva da molto tempo, ormai, e sentiva subito quando qualcosa non quadrava. Anche se, in quel momento, non capiva esattamente cosa. Lui e pochi altri uomini erano i soli al corrente del passato del loro Sindaco, ma era il solo ad aver quasi appreso le tecniche dei cacciatori. E, quando aveva quella faccia, qualcosa di oscuro si stava parando all'orizzonte.
    Senza dire una parola, né tanto meno spiegare la situazione, i due sparirono dalla locanda, uscendo svelti dal villaggio verso la Chiesa ormai abbandonata. Havoc seguiva obbediente il Sindaco, senza fiatare, mentre la notte buia si infittiva, oscurando loro stessi, tra le loro mani una piccola lanterna a segnare il passaggio. Entrarono in essa attraversando in fretta le panche impolverate per immergersi in un sotterraneo dal quale si accedeva tramite una porta segreta al di sotto dell'altare, e vide Maes prendere la sua pistola d'argento dal tavolino poco distante per fargli subito dopo cenno di uscire nuovamente. Si ritrovarono in breve nuovamente all'aria aperta, nel più completo silenzio della sera.  
    Solo quando i suoni notturni della foresta cominciarono a farsi sentire fu sopraffatto da uno strano senso d'ansia. Si guardava furtivo intorno, respirando l'aria fredda di quella strana stagione. Sentiva come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato, in tutta quella dannata situazione che stavano affrontando ormai da molti mesi. Spesso si recavano in quella Chiesa ormai in disuso, abbandonata dai monaci che la occupavano da quando il prete era scomparso, e al di sotto di essa, frequentemente, svolgevano la loro funzione di protettori, portando i corpi delle creature che uccidevano lì sotto. Non aveva mai pensato che quella Chiesa fosse stata innalzata in principio, non più di cinque o sei secoli or sono, proprio per quello scopo. Per esorcizzare creature come i licantropi. E, all'occorrenza, i vampiri.
    «Hai con te la tua pistola?» domandò la voce atona di Hughes, ridestandolo dai pensieri.
    Deglutendo e traendo un lungo sospiro, Havoc aumentò il passo per affiancarsi a lui, annuendo. Intorno a loro non tirava un alito di vento, non si sentivano nemmeno i caratteristici richiami dei rapaci notturni, quasi come se la foresta che stavano attraversando trattenesse il respiro. Era buio pesto e solo la luce della lanterna illuminava i loro passi, creando sinistre ombre che danzavano flebili nella densa oscurità. Il suono d'un ramo spezzato risuonò d'improvviso, facendo sussultare i due uomini.
    Havoc abbassò lo sguardo, notando che era stato lui stesso a provocare quel rumore. Traendo un lungo sospiro di sollievo, prese il coraggio a quattro mani e si avvicinò maggiormente al Sindaco, poggiandogli una mano sulla spalla e arrestando la sua corsa. «Posso sapere dove stiamo andando?» chiese, serio e preoccupato.
    Socchiudendo gli occhi e mordendosi il labbro inferiore, Hughes si voltò, nei suoi occhi verdi brillavano una svariata gamma di sensazioni contrastanti, e il suo basso sussurro si levò con una nota tremante e allarmante nel silenzio notturno.
«Al maniero».


ATTO PRIMO. FINE





[1] Non ho i genitori [ Gaelico scozzese ]
[2] Quattro [ Gaelico scozzese ]
[3] Latte [ Gaelico scozzese ]
[4] Mi dispiace [ Gaelico scozzese ]




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