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Autore: Simo6060    15/05/2015    1 recensioni
Mackenzie Hill è una Figlia Delle Stelle e ha dei straordinari poteri. Si diceva che l’unione della luce di una stella e quella del sole fosse così potente da generare una creatura in grado di avere poteri collegati al cielo, alla terra, ai pianeti e all’universo. Scappando dal signore delle ombre, Amlach, Mackenzie si trasferisce dall'Alaska in Tennessee. Sua nonna le fa avere una collana con il potere di renderla irrintracciabile dal nemico che come ciondolo ha una pietra d'ambra.
Lei è solitaria e introversa, si sfoga disegnando paesaggi e luoghi esistenti nei suoi sogni. Degli occhi ambrati si insinuano nei suoi sogni e quando essi si convertono in realtà tutto cambia. Il suo modo di pensare, di agire e di amare.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal finestrino dell’autobus, il calore del sole primaverile, passando attraverso il vetro, riscaldava la mia pelle bianca come il latte. Sentivo ogni poro della mia pelle entrare in contatto con ogni singolo raggio di sole. Tentavo di riprendere sul foglio le stesse tonalità di quella enorme stella luminosa, che vedevo raramente. Rosso, arancione, giallo e bianco.
In Alaska i protagonisti erano le nuvole, la neve e il buio. Era il luogo più freddo e bagnato d’America e finalmente l’avevo abbandonato completamente, non per mia scelta.
Dopo così tante ore di aereo, arrivai in Tennessee. Giunta però nella capitale Nashville, dovevo superare un’ora e mezza di autobus per arrivare nella città campagnola di Clarksville dove vi abitata nonna Rose.
Il rumore della frenata dell’autobus mi distrasse dal disegnare, ero arrivata. Presi il mio borsone e mi diressi verso l’entrata del cottage della nonna, il mezzo mi aveva portata direttamente di fronte. Non vi era un campanello quindi dovetti bussare in attesa che mi aprisse.
La porta si aprì mostrando una donna anziana abbastanza alta e magra per la sua età, con i capelli ricci tinteggiati di un colore castano rossiccio. Nonna Rose non apparve sorpresa, in fondo non lo era mai stata, ma mi accolse calorosamente tra le sue braccia.
-“Mackenzie, non ti vedo da tanto e...oh, cosa è successo al centro d’addestramento? Aspetta, non fiatare, ne parleremo davanti ad una tazza di tè e biscotti al cioccolato”-
Mi trattenni dal sorridere perché mi tornarono in mente le immagini dell’attacco al centro d’addestramento.
Mi girai intorno, notando che quasi tutto l’arredamento del cottage era di legno di quercia. Non era molto grande ma accogliente e fresco, nell’entrata vi era il salottino composto da due divani stile anni ottanta con al centro un tavolo di legno scuro dove nonna Rose stava poggiando il vassoio con il tè e i biscotti. Le finestre erano adornate da tende bianche in pizzo da dove filtravano alcuni raggi di sole.
-“Siediti cara, parliamo”- disse mia nonna, indicandomi di sedermi vicino.
Lei mi guardò intensamente con quegli occhi azzurri, identici ai miei.
-“Amlach e le sue ombre hanno attaccato il centro d’addestramento con lo scopo di catturarmi ma Philip mi ha detto di andare da te senza usare la magia altrimenti mi avrebbero trovata. Mi ha detto inoltre che tu conoscevi qualcuno con il potere di crearmi una collana anti trasmittente...Non so se Philip è vivo.”- Sentii le lacrime bagnarmi il viso.
 
Figli delle Stelle, ecco come ci chiamavano. Si diceva che l’unione della luce di una stella e quella del sole fosse così potente da generare una creatura in grado di avere poteri collegati al cielo, alla terra, ai pianeti e all’universo. I miei genitori furono i primi ad essere creati, subito dopo mia nonna e mio nonno, e per questo furono resi immortali così come lo sono io anche se sarei invecchiata molto lentamente. Mia madre, Elbereth che significava Regina delle Stelle e mio padre Galdor, Signore della Luce.
Solo una spada di ombre, fuoco e polvere di stelle aveva il potere di distruggerli. Amlach lo fece, quando io avevo solo sei mesi di vita. Lui non era un Figlio delle stelle, era un Figlio delle ombre, dell’oscurità e aveva il potere del buio e del fuoco delle tenebre.
Mia nonna mi raccontò che, quando morirono i miei genitori, le stelle mi donarono tutti i poteri celesti e della natura. Il mio nome era Luthien Cuinie, Incantatrice che dà la vita, ribattezzata semplicemente Mackenzie Hill. Controllavo il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria, la luce e l’ombra, inoltre avevo un potere speciale che nessuno possedeva: il dono di controllare la mente.
Non era un potere così oscuro come sembra, potevo condizionare le decisioni, il comportamento e le emozioni di chiunque semplicemente con un contatto. Avevo tutti questi poteri e Amlach voleva prenderli per sé e portare l’oscurità nel mondo. Non poteva accadere. Mia nonna Rose, Malbeth, era una veggente e per questo aveva previsto il mio arrivo però poteva prevedere un futuro vicino, non troppo lontano dal presente.
 
-“Non preoccuparti tesoro, sicuramente Philip, il tuo addestratore, ce l’avrà fatta.”- mi rincuorò nonna Rose.
Venendo lì, mettevo in pericolo la sua vita e anche di tutti gli abitati di Clarksville. Se mi avessero trovata Amlach e le sue ombre, avrebbero risucchiato la vita di chiunque umano. Non potevo conoscere nessuno né affezionarmi, non sarebbe stato difficile dato che ero una ragazza molto solitaria che stava sempre per conto suo.
-“Nonna, sistemo la mia roba di sopra”- pronunciai salendo la scala a chiocciola di legno.
Ogni scalino scricchiolava più dell’altro e la scala si ristringeva sempre di più. La mia “camera”, la mansarda, era resa abitabile dalla nonna. Prevedendo il mio arrivo, aveva sistemato un letto e pulito vari scaffali anche se in un angolo giacevano ancora dei vecchi scatoloni colmi di chissà cosa. Era una stanza piccola ma mi bastava, non chiedevo altro. Poggiai il borsone sul letto e deposi i vestiti dentro un cassettone antico e sopra vi poggiai i miei album da disegno e i colori a matita, i pennarelli e pennelli. Come per abitudine, sfogliai l’album riguardando i miei disegni. Paesaggi, ritratti, edifici, luoghi e persone immaginari che vedevo molto spesso nei miei sogni, specialmente un ragazzo dai capelli ricci e gli occhi ambrati.
I miei sogni non avevano un senso logico, vedevo lui che voleva portarmi verso il sole avente lo stesso colore dei suoi occhi. Sempre lo stesso sogno.
Stavo per accendere il lampadario con un solo movimento della mano ma ricordai che non potevo usare la magia.
Improvvisamente sentii bussare energeticamente alla porta d’ingresso.
“E se fosse Philip? Se si fosse teletrasportato da me? Oh no, forse è Amlach che mi ha trovato e vuole uccidere anche mia nonna...”
-“Annie, Alice, per favore entrate”- sentii dire dalla nonna.
 Forse ero un tantino sottopressione. Non sapevo se era il caso di scendere e vedere chi fossero quelle due persone ma sentii chiamarmi quindi dovetti recarmi in salotto.
-“Per tutte le galassie, tu devi essere Mackenzie, sei uguale a tua madre.”- esclamò una donna bassina sui trentacinque anni dai capelli rossi, uguali a quelli della ragazza accanto.
-“Tu come fai a...”- tentai di dire.
-“Annie ha il dono della conoscenza, lei non appena vede qualcuno automaticamente sa tutto di quella persona. Lei è sua figlia Alice, può viaggiare nel passato anche se è molto pericoloso perché ha il potere di cambiare il futuro.”- m’interruppe mia nonna.
La ragazza, Alice, era un po’ più bassa di me, con i riccioli rossi e le lentiggini sparse sul viso. La fotocopia della madre.
-“E’ un piacere conoscervi”- dissi sorridendo debolmente.
Altre due persone che rischiavano la vita soltanto perché mi conoscevano, splendido. Nonna Rose le fece accomodare in cucina e subito Annie cominciò a parlare come se si fosse mangiata una macchinetta telecomandata.
-“Dovrei averla messa qui, appena mi hai detto che ne avevi bisogno Alice è andata nel passato a prenderla.”-
Non sapevo di cosa parlava mentre rovistava nervosamente nella borsa e infine ne estrasse una scatolina di velluto un po’ impolverata. Tutti puntarono gli occhi su di me, come se si aspettassero che facessi qualcosa.
-“Prendila, cara”- m’incoraggiò la nonna.
Presi la scatola ed esitai ad aprirla mentre sentivo Annie bisbigliare alla nonna qualcosa ed Alice che mi fissava curiosa.
Era sicuramente una collana il cui ciondolo era una grossa pietra ovale.
-“Ambra”- pronunciai.
Annie stava annuendo energeticamente, quasi temevo che la testa le si staccasse da un momento all’altro.
-“Non è una collana qualunque, in questa pietra vi è l’incantesimo per non essere rintracciata da Amlach se usi la magia e inoltre è molto...speciale”- spiegò la nonna.
-“E’ anche una bella collana”- sogghignò Annie.
Quale parte di “siamo tutti in pericolo di vita” non è chiara?
-“Capisco”- risposi scettica.
Indossai la collana e subito sentì un formicolio come se avessi preso la scossa. Provai a usare la magia. Muovendo leggermente la mano, feci arrivare una tempesta accompagnata da grandine mentre in casa mandavo in tilt la televisione anni sessanta, il frullatore e la luce si spegneva e si accendeva. Con tutta la rabbia e la forza che avevo, avrei voluto rompere tutto, trasformarmi in una sfera di energia e risucchiare l’universo. Un po’ troppo?
Portai tutto alla normalità muovendo la mano aperta e chiudendola in un pugno, come se risucchiassi il mio stesso potere.
-“Grazie per avermelo dato”- dissi riconoscente alle due rosse.
-“Figurati-parlò Alice-abbiamo avuto l’idea di iscriverti alla scuola del paese, ci vado anch’io e sarebbe ottimo per integrarti e farti sentire un po’…normale”-
Normale? Io non ero affatto normale, ero assolutamente l’opposto. Per me non era una buona idea, non volevo conoscere nessuno ne metterlo in pericolo. Glielo spiegai alle altre ma loro erano ancora convinte del contrario e mi rassicurarono che non avrei messo in pericolo nessuno. Inoltre l’idea di conoscere nuove persone mi metteva in ansia perché io non ero molto socievole e preferivo stare sempre per conto mio.
Quando Annie ed Alice se ne andarono, scambiai quattro chiacchere con la nonna.
-“Non fare la bambina, non è così male la scuola e poi per te è l'ultimo anno. La frequentavi anche in Alaska.”-
-“Sono le persone che mi preoccupano, non lo studio o i professori”-
-“Che male c’è a farsi qualche amico? E se dovessi incontrare qualche ragazzo carino?”-
Cosa c’era di peggio di parlare con la propria nonna di ragazzi?
-“Come potrei considerarli amici se devo mentire e nascondere la verità su quello che sono? Sarebbe impossibile innamorarmi di qualcuno, inoltre sarebbe peggio di farsi degli amici essendo umani. Sai che è vietato.”-
Inutile parlarne ancora, la decisione era stata presa anche se al posto mio.
Salii in mansarda e decisi di dare un’occhiata agli scatoloni impolverati. Ne aprii uno e la prima cosa che vidi fu una foto. C’era una ragazza dai capelli neri come la notte, dagli occhi di un azzurro luminoso e dalle labbra rosse come il sangue che portava la mia stessa collana.
Sono io” pensai immediatamente. Ma in quella foto sembravo essere più grande e più spigolosa in viso. Nella foto vi era anche un ragazzo molto bello con i capelli biondi che teneva per mano la ragazza, sfoggiando due graziose fossette identiche alle mie.
Girai la foto e notai una scritta sbiadita “La Regina Elbereth e il Re Galdor”.
Erano mia madre e mio padre. Lei, scura come la notte. Lui, luminoso come il sole. Senza pensarci due volte, mi sedetti nella piccola scrivania e, prendendo il mio album da disegno, cominciai a ritrarre il volto di colei che era mia madre. La ritrassi con una corona di stelle e un vestito blu, i capelli neri che le ricadevano come seta fino alla fine del busto. D’istinto mi toccai i capelli.
Cercai un colore azzeccato per riprendere il rosso naturale delle sue labbra, già disegnate nei miei autoritratti. Infine disegnai il ciondolo di ambra più dettagliatamente rispetto al resto. Terminato il disegno, lo nascosi tra i fogli dell’album e lo riposi dentro il cassettone della scrivania, sbattendolo. Senza rendermene conto, fulminai una lampadina.
“Fanculo”.
 
Stavo letteralmente bruciando. Mi sentivo come un’enorme sfera di fuoco danneggiata dal suo stesso calore.
Un attimo dopo stavo correndo nel bosco in cerca di qualcosa, anzi, di qualcuno. Il cuore batteva forte e sentivo l’energia scorrere dentro il mio corpo. Una luce mi accecò e notai che la pietra di ambra che avevo appesa al collo stava brillando come il sole. Davanti a me comparvero due fessure dello stesso colore e assunsero la forma di due occhi.
Era quel ragazzo dai capelli ricci che mi teneva stretta fra le sue braccia. Appena si staccò, il ciondolo smise di brillare e attorno a me c’era solo il buio.

 
Caddi all’improvviso dal letto, causandomi un gran dolore al sedere. Fantastico.
Mi tornò in mente il sogno che avevo appena fatto e arrossii inspiegabilmente.
Scesi di sotto dolorante e assonnata, trovando nel salotto un’Alice sorridente che portava una borsa a tracolla.
-“Che fai qui?”- le domandai, sbadigliando.
-“Si va a scuola. Su, vatti a vestire.”-
Avrei volentieri creato una sfera di fuoco soltanto per metterla k.o.  
Alla velocità della luce mi vestii con una paio di pantaloncini con sotto dei collant e una maglietta a strisce blu e bianche con le maniche a tre quarti che lasciava intravedere uno spiraglio di pancia. In una borsa misi un quaderno e qualche penna e raggiunsi Alice.
-“Se proprio devo andarci...”- sbuffai.
-“Vedrai, non è così male. La scuola ha anche dei vantaggi”- e mi guardò maliziosamente.
Immaginavo...
Fortunatamente non dovettimo prendere l’autobus dato che Alice aveva la patente e la macchina.
-“Raccontami un po’ di te, dai, non fare l’asociale almeno per adesso”-
-“Non c’è niente di speciale da sapere, quello che bisogna sapere già lo sanno tutti.”- risposi un po’ arrogante.
Notai che rimase stizzita.
-“Scusa, in questo periodo sono acida...non me la cavo bene a farmi degli amici. Beh, amo disegnare qualsiasi cosa mi passi per la testa. Ad esempio il sole e le stelle, forse perché fanno parte del mio essere.”- tentai a socializzare.
-“Davvero bello, mi piacerebbe vedere qualche tuo disegno. Sicuramente ti piacerà la lezione di astronomia. Io sono un’appassionata di storia e amo i film horror!”- sogghignai a quella sua risposta.
-“Qualche giorno, allora, potremmo vederne uno insieme.”-
Lei s’illuminò.
-“Vorresti? Sai, le mie compagne di scuola sono per lo più ragazze da film romantici, trucchi e cantanti fighi. Delle troie, insomma”- risi, smettendo di pensare al resto.
Tutto sommato, avere almeno un’amica poteva essere piacevole. Magari mi avrebbe aiutato durante le verifiche di storia o avrei soggiogato i professori con il fine di dirmi tutte le risposte esatte. Forse mi avrebbe aiutato davvero a distrarmi e a sentirmi più...normale.
Dopo venti minuti, Alice parcheggiò davanti a quella che doveva essere la scuola. All’esterno sembrava un carcere dal grigio invecchiato dell’edificio ma una volta entrate, era tutto più luminoso e arioso. Vi erano lunghi corridoi e scale, tante classi differenti che mi avrebbero fatta confondere.
Alice mi accompagnò in segreteria per farmi dare l’orario delle mie lezioni. Con lei, avevamo in comune la lezione di matematica e letteratura. In prima ora io aveva scienze e astronomia e ne ero abbastanza entusiasta, mentre la rossa doveva salire al secondo piano e partecipare alla lezione di storia dell’arte.
-“Ci vediamo in mensa, d’accordo? Non ti perdere”- mi salutò. Io ricambiai con il pollice alzato e salutandola con la mano.
Una volta adocchiata la mia classe, mi allontanai giusto per posare le mie cose nell’armadietto che mi avevano assegnato. Chiudendo l’armadietto, un gridolino di spavento mi salì in gola.
-“Non volevo spaventarti, perdonami. Tu sei? Non ti ho mai vista, sicuramente mi sarei ricordato di un viso così”-
Davanti a me apparve un biondino dagli occhi verdi che aveva uno sguardo di superiorità che m’irritava parecchio. Mi stava squadrando dalla testa ai piedi e mi sentii avvampare.
-“Sono nuova, infatti.”- puntualizzai, secca.
-“Questo però non risponde alla mia domanda. Qual è il tuo nome?”-
Nella mia testa ronzavano risposte come “levati dalle palle” o “non sono affari tuoi” ma sarei stata scortese.
-“Mi chiamo Mackenzie”- dissi incamminandomi verso l’aula. Lui mi seguì, accidenti.
-“Forse già lo sai ma io sono Noah Russel.”- mi sorrise con un ghigno arrogante.
-“Interessante ma non te l’avevo chiesto, se vuoi scusarmi adesso dovrei andare a lezione”-
-“Che coincidenza, anch’io adesso ho scienze e astronomia”-
Entrai in classe e sbuffando mi sedetti su un banco a caso ricordando del mio dolore al sedere, ahia. Il biondino si sedette nel banco accanto a me e io gli lanciai un’occhiataccia. Forse sarebbe stato davvero asfissiante andare a scuola.
Decisi di ignorare le sue continue occhiate e scarabocchiai in un foglio in attesa dell’arrivo dell’insegnante.
All’improvviso sentii un leggero calore all’altezza del ciondolo di ambra e vidi che si stava illuminando. Entrai in panico, non sapevo cosa volesse significare. Se avesse smesso di funzionare?
Mentre mi toglievo la collana per esaminarla attentamente, la porta della classe si aprì facendo entrare l’insegnante. Non ci feci molto caso perché ero ancora scioccata e spaventata.
-“Abbiamo in classe una nuova compagna, chi è Mackenzie Hill?”- domandò una voce maschile, sonora.
Solo quando sentii il mio nome decisi di alzare la testa e la mano.
Alzato davanti alla cattedra vi era un uomo molto giovane, dalle spalle larghe. Indossava una camicia bianca con una giacca blu e dei jeans scuri, ma la cosa che mi colpì fu il viso. Aveva i capelli riccioluti e gli occhi colore del sole, ambrati. Troppo familiari, troppo.
Sentii il ciondolo farsi più caldo nelle mie mani e illuminarsi di più quando quegli occhi incontrarono i miei.
Era quel ragazzo sempre presente nei miei sogni.
In quel momento sentii uno scoppio. Avevo fulminato la lampada a neon attaccata al tetto della classe.
  
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