Fanfic su attori > Benedict Cumberbatch
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Autore: Sherlybatch27    16/05/2015    1 recensioni
Londra, 2014. Sophie Baudelaire è una versione trentacinquenne di me, ormai con una vita all'estero. Quale ragazza non vorrebbe sposare il suo idolo? Ecco, Sophie non vorrebbe. 1° è contraria al matrimonio, 2° lei un'idolo non ce l'ha più. Quello che lei definisce il suo "ex" è Benedict Cumberbatch, che dieci anni prima non era per niente famoso ma lei si è innamorata ugualmente. Quello che li ha spinti a "rompere" è stato un'avvenimento molto importante nella vita di Sophie. Quando lei scopre che dopo una festa si è fidanzato con una "moscovita finta bionda" (come dice sempre lei) e che dopo il tempo necessario la coppia ormai inseparabile ha avuto un figlio dalle inspiegabili chiome rosse, Xavier. Sophie, ancora all'università, si lascia dietro le spalle il suo passato da fangirl con Benedict e decide di diventare finalmente adulta.
Però, quando dieci anni dopo, in seguito a curiosissime concidenze lei se lo ritrova davanti (e fa la fredda) e poi si scoprono vicini di suite, cosa succederà? Sophie ricadrà ancora nel fandom e gli sbaverà ai piedi oppure ne uscirà a testa alta?
Di sicuro, dovrà passare molto tempo con lui.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fa caldo. Odio il caldo. Odio tante cose, ma il caldo in particolare. Fortuna che sto per andarmene, prenderò l’aereo a metà mattinata e non vedo l’ora di farlo. È ancora prestissimo, ma sono già sveglia. Voglio andarmene da questo posto. Al più presto possibile. Mia madre mormora come tutte le mattine appena sveglia a mio padre, che a svegliarsi ci sta un bel po’. Dopo minuti e minuti di nenia, ancora non mi dice di alzarmi. Sicuramente stanotte non ha dormito: esattamente come me. Vuole farmi perdere l’aereo, me lo sento. Non è per cattiveria, solo che ha bisogno di qualcuno a cui fare la predica, a cui dire “Quando diventerai più ordinata?! Quel povero ragazzo dovrà anche riordinare la casa, oltre a saper lavare e stirare.’’

Sta tranquilla mamma, a 35 anni suonati l’ultima cosa a cui penso è il matrimonio. Ho un bel lavoro, una buona paga, non ho la macchina, ho una casa nel posto perfetto, abito nella città dei miei sogni, parlo un‘altra lingua. Sto perfettamente, a cosa mi servirebbe un uomo?

Mi alzo dal letto pimpante, mi avvicino alla loro porta e dico: - Mamma! Papà! Svegliatevi, o faremo tardi in aeroporto.

Sembra quasi che i ruoli si siano invertiti, e che i bambini da accompagnare a scuola siano loro.

- Aeroporto? Quale aeroporto? Di quale aereo parli? - cerca di depistarmi mia madre.

- Di quello che mi porterà a casa. - rispondo mentre torno in camera.

- Ma questa è casa tua. - continua mentre la sento alzarsi.

Ritorno accanto alla porta, mi fletto diagonalmente per far vedere solo la testa e ribatto presa: - Non più. La doppia cittadinanza non vale.

Di solito torno a casa solo per le vacanze estive, o per quelle di Natale, poi la mia terra natale è più un tabù che altro. Ho cambiato e basta, tutto qui. Le motivazioni sono semplici e complicate allo stesso tempo.

- Allora buon ritorno. - dice mia madre con aria di sfida - Sophie.

Non le piace il fatto che io abbia cambiato nome, il che non è totalmente vero. Ho utilizzato il mio secondo nome e poi l’ho tradotto per non sembrare estera, accantonando il mio Federica Sofia. Quindi ho trasformato il mio italianissimo nome in un elegante Sophie Baudelaire. Si, come lo scrittore.

Dopo essere usciti di casa, abbiamo caricato i bagagli nel cofano dell’auto dei miei genitori. Mio padre si è messo subito messo a guidare, mentre mia madre si è limitata a stare in silenzio. Appena imboccata l’autostrada, con tre ore di anticipo rispetto al volo, ho subito notato che l’andatura di mio padre è troppo lenta.

- Papà, ti dispiacerebbe andare più veloce, ci sorpasserebbero anche dei tricicli. - gli dico gentile.

- Perché mai?! - inizia mia madre, - Dovresti andare più piano, non vorrai andare a sbattere contro un muro come l’altra volta?!

- Ti ripeto per l’ennesima volta che quel cretino mi ha tagliato la strada! - si difende.

- Non è vero! - sento dirle. Poi tutte le parole e gli insulti che si danno diventano solo un’enorme matassa di suoni insopportabili. Mi passo una mano sulla fronte calda e mi abbasso sul sedile, in segno di arresa.

 

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Arrivati all’aeroporto per miracolo, mio padre parcheggia quasi un chilometro lontano dall’entrata. Così, mi tocca trascinare i bagagli ancora per un po’ sul marciapiede sporco e pieno di persone confuse e piene di valigie ingombranti. E manca meno di un’ora e mezzo al decollo. Scendo dalla macchina, e l’odore dei motori fusi dei taxi mi dà la nausea. Sono stanca di stare in questa trascurata regione, voglio tornare a casa, oltremare. E l’unica cosa positiva è che tra cinque ore sarò lì. Oltrepasso le imponenti porte trasparenti, da cui si intravedono file e file di persone a fare il controllo bagagli.

- I passeggeri del volo da Catania diretto a Gatwick sono pregati di andare al check-in dopo aver eseguito il controllo bagagli. I passeggeri del volo da Catania diretto a Gatwick sono pregati di andare al check-in dopo aver eseguito il controllo bagagli. - sento dire alla voce femminile che annuncia il mio aereo.

- È il mio, devo andare. - dico veloce. Sistemo la tracolla arancione all’indietro, lascio le valigie e mi chino per abbracciare mia madre. Non piangerà adesso, lo farà in macchina con mio padre quando io non potrò vederla. Lo so già, è una sentimentale. Mi abbraccia forte, come se non volesse lasciarmi andare.

- Cerca di fare la brava, e non combinare guai. - mi dice dietro l’orecchio destro. Quando finalmente mi lascia, tocca a mio padre, che anche se sempre impassibile non nasconde il fatto che gli mancheranno le mie ciabatte sperdute per la casa e i miei calzini sotto il divano. Mi abbraccia anche lui, e dopo convenevoli vari, se ne vanno, riesco a fare il check-in e vado all’imbarco. Proprio prima di spegnere il cellulare, questo comincia a vibrare nella mia borsa piena di tasche. È il proprietario del mio appartamentino che anche se non è il massimo, è pur sempre casa mia, che a fine maggio ho svuotato per restituirlo al legittimo padrone.

- Sophie! Come stai? - dice con tono tranquillo mentre inizio a fare la fila per l’imbarco.

- Bene, potresti sbrigarti? Sto per salire sull’aereo. - gli dico preoccupata. Non l’ho mai sentito mascherare la tensione, ma lo intuisco dal modo in cui dice il mio nome.

- Sai che una settimana fa c’è stata una piccola alluvione vicino alla città?

- Si, ma non è stata poi così grave come anni fa.

- Eppure si è allagata la casa. Non è più agibile, il tetto è in pessime condizioni, e c’è acqua dappertutto. Fortunatamente nessuno dei tuoi vestiti si è danneggiato e te li restituirò il prima possibile. Temo proprio che dovrai trovare un’altra sistemazione.

- Grandioso! - esclamo arrabbiata - Non potevi dirmelo prima?! Adesso cosa dovrei fare?

- Non so, andare in un albergo? - chiede dispiaciuto - Se vuoi posso pagarti il primo mese...

Poi, il lampo di genio.

- No, grazie. Fammi sapere quando posso riavere le mie cose. Devo andare, ciao. - dico in fretta e furia. Compongo il numero di una mia vecchia compagna di università che ha un albergo quattro stelle proprio nella City, dove lavoro.

- Lucy! Come stai!? - chiedo. È tanto che non la sento, e questa è una buona scusa per farlo.

- Sophie! Quanto tempo! - la sua voce non è cambiata per niente: delicata, acuta quanto basta e molto femminile.

- Sto per prendere l’aereo e tornare in città, ma il mio padrone di casa mi ha detto che si è allagata, e ora non so dove andare. C’è una camera disponibile da te?

- Certo, Rose Street 217, vieni quando vuoi.

- Grazie Lucy, sei davvero un’amica. - la saluto. Poi stacco il cellulare e aspetto di salire sull’aereo.

   
 
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