Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Billie Edith Sebster    16/05/2015    4 recensioni
[Seconda Guerra Mondiale / Olocausto AU! OOC! DESTIEL]
In un mondo dove vecchie tensioni si rinnovano con inaudita violenza, ferite non ancora rimarginate si riaprono ed il buio e la morte marciano sostenute in schiere compatte, c'è ancora spazio per qualcosa che non ha l'amaro sapore dell'odio. E' il 1938 anche per una cittadina fuori dal tempo come Colonia, e l'incontro di Dean e Castiel è pura coincidenza: è un amore prorompente che li porterà a trovare un espediente per cui combattere nel dolore e nel sangue ogni battaglia si presenterà loro davanti. Ma non sempre i nemici ci affrontano di petto, altri preferiscono strisciare da dietro e soffocarti lentamente nel tuo stesso passato...
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Castiel si spostò dalla finestra, dopo aver ricambiato il saluto ricevuto; sentiva la testa talmente leggera che per alcuni secondi ebbe la tetra sensazione che si sarebbe potuta staccare dal corpo e volare via come una nuvola.

Non si era mai sentito così, specie perché aveva validi motivi per provare inquietudine con tutto quello che stava accadendo. Ora che la sua mente era occupata da qualcos'altro (okay, qualcun altro...), la sensazione di potersi finalmente disfare di tutta quell'ansia che gli gravava addosso era allettante in modo assurdo. Ed allo stesso tempo tutto ciò gli suggeriva che se si fosse lasciato distrarre, l'avrebbero preso.

Sarebbe stato scoperto, i suoi genitori non avrebbero fatto nulla per aiutarlo, gli avrebbero fatto del male. Non riusciva nemmeno ad immaginarsi che cosa gli sarebbe accaduto, e non si sentiva in vena di indagare a fondo. Sapeva cosa succedeva là fuori, che quelli come lui venivano arrestati e portati a Dachau, o Birkenau, Sobibor, o anche in Polonia, nei campi di lavoro.

Tutto ciò lo aveva costretto a vivere nell'angoscia, nel terrore, relegato in casa e mai nello stesso posto per periodi troppo lunghi. Cercava di conoscere meno persone possibili, le fissava da lontano vivere una vita normale e con la leggerezza di non doversi nascondere da sé stessi e dagli altri dipinta sui volti. Ma quella sera, si era sbloccato qualcosa. Era come se dopo anni che manteneva una posizione scomoda incastrato in uno spazio troppo piccolo per lui, fosse riuscito a trovare un modo migliore per adattarsi meglio al perimetro invalicabile di quell'area, semplicemente uscendone di poco.

Cavoli, quel Dean era davvero particolare. Aveva degli occhi verdi come non ne aveva mai visti, un sorriso schietto, le spalle larghe, la postura un po' scorretta che gliele incurvava leggermente. Aveva conquistato un tremendo ascendente su di lui in poco più di una mezz'ora, semplicemente mostrandosi preoccupato che potesse crepare per ipotermia (ma solo perché la sua testa costantemente fra le nuvole non poteva ricordargli di prendersi una giacca durante i suoi pellegrinaggi di riflessione). La sua vicinanza lo aveva stordito, lo sfiorarsi delle loro spalle trasmesso quelle che sembravano scariche elettriche propagatesi nel suo corpo.

In trenta minuti.

Trenta, stramaledetti, minuti.

Merda.

Merda, voleva davvero rivederlo. Nessuno ci aveva messo così poco per catturare la sua attenzione, nessuno lo aveva mai fatto sentire così al sicuro, né tanto meno aveva allontanato le sue paranoie semplicemente sorridendo. Si appoggiò allo stipite della porta della sua stanza, traendo un sospiro rilassato. Era tanto che non stendeva i suoi muscoli in quel modo, concedendosi una breve tregua da tutto quello scappare frenetico e spossante.

Il bello era che avrebbe dovuto sentirsi in pericolo, l'aver conosciuto Dean Winchester avrebbe dovuto farlo sentire peggio di prima, con la guardia abbassata, avrebbe dovuto sentire il marciare ritmico della Gestapo nelle orecchie. Invece stava bene.

Procedette strascicando i piedi verso il bagno, dove si affacciò allo specchio con titubanza.

Castiel lo fissava di rimando con occhi stranamente (bè, non era nemmeno così strano) luminosi, le gote arrossate, e la giacca di pelle ancora sulle spalle. Non era esattamente il suo stile, e forse non gli era abbondante solo nelle maniche, ma gli bastò inspirare per sentire di nuovo quel profumo di pelle e... Dean. Accidenti, ma che gli stava succedendo? Nel momento in cui si erano trovati così vicini, la seconda volta che gliel'aveva messa, aveva sentito il suo, di profumo. Un misto particolare di birra e dopobarba, gli aveva dato un capogiro. Se la sfilò contrariato piegandola accuratamente, sotto sotto felice di avere un pretesto per tornare a vedere Dean, la appoggiò sul bordo del lavandino e si tolse i vestiti.

Si osservò con occhio critico allo specchio, studiando attentamente le forme del suo corpo, soffermandosi su qualche particolare. Poi fissò il riflesso dei suoi occhi, corrugando la fronte con serietà. Ascoltò attentamente se i suoi genitori erano in casa o meno, e quando a rispondergli fu solo il silenzio, prese un sospiro e si disse con severità: – Mi chiamo Castiel Novak, sono un omosessuale, e forse mi prenderanno. Ma oggi non mi importa.

Inaspettatamente, sorrise.

 

Quelle parole erano una ridondanza costante del suo cervello, aveva considerato tutto ciò solo un effetto collaterale di essere Castiel e nient'altro da quando ne aveva avuto conferma. Per quanto ricordava della sua adolescenza, ci si era messo d'impegno per farsi piacere le ragazze, la loro femminilità fatta di curve, colori ed anche sapori, ma ogni suo sforzo era sempre stato vano. Ricordava di aver avuto una storia con una certa April, ma non era durata molto, neppure un paio di mesi. Era bella, era davvero bella, ma bella in un modo che in Castiel non smuoveva nulla né a livello emotivo né a livello fisico, e visto che era un tipo selettivo e che odiava le perdite di tempo, aveva parlato chiaramente con la giovane dei sentimenti che avrebbe dovuto provare, ma che non provava.

Guardandosi attorno aveva notato che mentre gli altri maschi, vedendo una coppia, si davano di gomito fissando invidiosi e con pochi riguardi il sedere della ragazza, lui si ritrovava a guardare quello del ragazzo. Molto semplice.

Era stato facile da capire, e non se n'era nemmeno vergognato, ma senza che nessuno fosse presente per dargli dritte al riguardo, era stato abbastanza intelligente da capire che tenere la bocca chiusa sarebbe stato d'aiuto. Durante quegli anni, specie intorno ai sedici o diciassette, era stato difficile per lui quando nei pub che frequentava se non aveva nulla da fare vedeva due fidanzati scambiarsi effusioni: tutto ciò gli faceva venire un'incredibile sensazione di solitudine, sentiva che mantenere quel segreto esigeva un prezzo molto alto e che doveva pagare in cambio dell'integrità. E da allora in poi, vivere aveva cominciato a fare male. Non passò troppo tempo che oltre a fare male, faceva anche paura.

Per un periodo aveva deciso di lasciarsi andare perché quel senso di ansia che lo soffocava era diventato davvero insopportabile; era stato a letto con due ragazzi, aveva bevuto un po', poi loro erano stati presi ed aveva capito che era il caso di fermarsi.

Le SS che camminavano impettite per le vie nei giri di perlustrazione non lo degnavano di uno sguardo, ma Castiel aveva sempre il terrore che potessero percepire la sua paura, squadrarlo con sospetto in attesa che commettesse un passo falso. Fino a quel momento, oltre agli altri dei quali ricordava a malapena i nomi, c'era stato solamente Zac, e non la si poteva considerare nemmeno una storia vera e propria, perché il ragazzo aveva ceduto sotto la pressione di tutte quelle consapevolezze e del sentirsi sbagliato prima che Castiel potesse effettivamente provare qualcosa per lui. Era sparito senza lasciare tracce di sé, a Castiel non era nemmeno mancato.

Ora, gli mancava Dean. E non lo conosceva nemmeno.

 

Un'altra delle certezze che Castiel aveva, era quanto gli piacesse il profumo del grano. Poteva sembrare una cosa alquanto banale, strana, o addirittura idiota, ma era così. Per questo quando sentiva a l'irrefrenabile bisogno di estraniarsi e di rimanere per conto suo in balia dei pensieri e delle paure, si recava in quel campo. Sentire le spighe lambirgli la pelle procurandogli un po' di solletico, pungendogli delicatamente l'epidermide.

Aveva quell'odore asciutto, delicato, gli piaceva pensare che gli intorpidisse i sensi lasciando che una calma pacifica lo avvolgesse quando più ne aveva bisogno.

 

***

 

Inciso: Castiel era, e si sentiva, tante cose, e allo stesso tempo niente. Era un ragazzo come tanti sotto molti punti di vista. Adorava i libri, ascoltare la radio, non sopportava i suoi genitori, gli piacevano la birra, la musica classica e le sigarette leggere. Nessuno l'avrebbe notato, non per quello che vedeva da fuori. Castiel amava ridere, ma aveva troppa paura per poterlo fare. Si limitava a ridere dentro, sperando che la gente non sapesse che oltre alla birra, le sigarette leggere, la musica classica, i libri e la radio, gli piacevano anche il grano, l'America, e gli piacevano gli uomini. Semplice, e per certi versi, bellissimo come Dean Winchester.

 

***

 

Il giorno dopo, precisamente alle cinque del mattino, stava ripercorrendo a ritroso la stessa strada di quelle che poi non erano nemmeno tante ore prima, con la ghiaia che scricchiolava e crepitava sotto i piedi, e le stelle che impallidendo si rifugiavano nell'oscurità mentre a est l'orizzonte schiariva. L'alba era un'altra delle cose che gli piacevano, ma ormai la dava per scontata. Era abituato a vederla tutti i giorni, era la cornice della costante che la sua vita era diventata. E andava bene così.

Quelle stesse stelle ogni tanto cominciavano a ballonzolare tremule spostandosi dalla loro sede, salendo verso l'alto oppure precipitando verso il basso.

Era ubriaco. Sentiva il suo corpo in balia di onde invisibili che lo facevano barcollare ogni cinque o sei passi oppure emettere una breve risata tra sé e sé, nonostante non avesse molto da ricordare per cui poter ridere. Le sue gambe si muovevano un po' incerte verso il solito posto imponendosi ad un ridicolo tentativo di comando da parte del cervello che lentamente ancora annegava nell'alcol, mentre rischiava di inciampare nelle lunghe spighe aggrovigliate attorno alle sue caviglie. Arrivato a destinazione, si sentiva sufficientemente lucido da rimanere in piedi, come la sera prima. Il suo subconscio corrotto dalla birra e dal Whisky (o da una strana mescolanza dei due) era stupidamente convinto di poter incontrare qualcuno lì, e visto che non si ritrovava di meglio da fare se non esasperare il po' di buonsenso messo a tacere dalla sbornia, aveva ceduto alla bizzarra coalizione tra le gambe e quella speranza.

Il problema era, neanche a dirlo, che non aveva la più pallida idea di chi stesse aspettando. Si sentiva leggermente a disagio, ma forse era solo un effetto collaterale di tutto quello che aveva ingurgitato al pub. Perché sì, era entrato in casa, poi era uscito di nuovo e si era chiuso in un qualche bar notturno a bere, per il semplice motivo che era un po' che non lo faceva e ne sentiva il bisogno.

Ogni tanto gli capitava.

Guardandosi i vestiti, in un breve moto di curiosità verso lo stato in cui era messo, si accorse che oltre al suo cappotto, sotto indossava anche un giubbotto di pelle scura e leggermente logora alle estremità. Ora, se fosse stato appena più lucido, si sarebbe chiesto a. per quale ragione si fosse messo due giacche quando sì, c'era freddo, ma non così tanto, e b. da quando in qua lui aveva una giacca di pelle. Insomma, era un indumento che da quelle parti non aveva mai visto.

Dovette attendere almeno un'ora di confusi pellegrinaggi prima di sentirsi un po' più sobrio, più fisicamente che mentalmente, perché altrimenti non avrebbe mai notato la persona che si era bloccata in mezzo alla strada esattamente davanti a lui, solo molti metri più in là.

Per una qualche ragione, Castiel si sbracciò da quella parte, con talmente tanta energia ed entusiasmo che barcollò all'indietro e cadde pesantemente su un soffice e puntuto letto di grano. Gli steli e le spighe scricchiolarono sotto il suo peso, sollevando polvere e foglie spezzate.

Sentì dei passi avvicinarsi, sentì la terra tremare sotto la sua schiena man mano che si avvicinavano e nel bordo frangiato delle spighe comparve a fatica un volto.

– Dean! – esclamò esaltato, improvvisamente ricordandosi da dove quella giacca di pelle saltasse fuori. Si ritrovò a ridacchiare come un bambino mentre l'altro lo guardava intensamente, un po' confuso. – Perso il conto delle pinte? – chiese, allungando una mano che Castiel non afferrò. Invece, quello spalancò le braccia come fossero ali e rise di nuovo, incurante del fatto che lo avrebbero potuto sentire anche da lontano. Se c'è una cosa che l'alcol lo aiutava a fare, era scacciare via le preoccupazioni, e finché poteva decise di approfittarne. La fase due poteva arrivare da un momento all'altro.

– Ci puoi giurare, Dean. – ripeté, mentre quello che sperava fosse un accenno di sobrietà tornava a seppellirsi nella sua mente.

Il Winchester rise a sua volta, afferrandogli i polsi per aiutarlo ad alzarsi, ma Castiel oppose resistenza. – Sei messo malino, avanti alzati!

– Ma sono appena arrivato! – protestò, scansando le sue mani e respirando forte, cercando il viso dell'altro con lo sguardo.

– Non prenderla sul personale, ma sei troppo brillo per avere una minima idea di quello che hai fatto nelle ultime tre ore, dubito che sapresti stabilire da quanto ti trovi nel bel mezzo del nulla. – disse arrendevole quest'ultimo, accoccolandosi a gambe incrociate accanto a lui. Visto che quel fattone non poteva raggiungerlo in piedi, sarebbe stato lui ad andare in basso, no?

– Come faccio a non prenderla sul personale? – riuscì ad articolare, masticandosi almeno un paio di volte la lingua, il che rese le sue parole ancora più stentate.

– Quindi sai quando sei arrivato?

Castiel ci pensò, corrugando la fronte per lo sforzo. – Non è che ce l'abbia presente.

– Vedo.

– Ma ricordo che stavano cadendo delle stelle. – completa, fermamente convinto.

Dean lo fissa, indugiando con lo sguardo sulle sue gote rosse e sugli occhi lucidi, il volto contratto in un sorriso spontaneo e liberatorio. – E dove cadevano? – chiese, come se si stesse rivolgendo ad un bambino bisognoso di credere nella magia. Castiel fece spallucce, sollevando un po' la testa e puntellandosi sui gomiti per vedere qualcosa oltre il grano, confidando che la sua testa avesse smesso di turbinare come una barca senza remi tra i flutti di una tempesta.

– Un po' lì, qualcuna là, un paio verso l'alto... penso non fossero certe di dove andare, quindi hanno preso una direzione qualunque. – disse, con una faccia innocente che somigliava veramente a quella di un bambino. – Un po' come me. – borbottò infine.

– Sei la stella di un ubriaco o semplicemente un ubriaco? – ridacchiò Dean, smettendo di guardare l'orizzonte e concentrandosi sul suo viso e sulle sue spalle mentre si lasciava cadere per terra.

– Sono Dio. – annunciò quello solennemente, tornando spalmato al suolo come se fosse stato un divano, ascoltando il religioso silenzio che l'altro gli stava regalando. La sua mente vi nuotò un pochino in mezzo, cercando di ricordarsi bene come si costruisse una frase grammaticalmente sensata (a quanto pare, se n'era appena dimenticato). – Presumo che le stelle che sono cadute, siano finite sul fondo del mare. Siamo in Florida, eh? Ho sempre voluto visitarla. Deve fare caldo lì. – rimuginò, la sua bocca che parlava a ruota libera senza consultare il cervello.

– Se lo dici tu... vedo che nonostante tu abbia più alcol che sangue in corpo, ti sei ricordato di prendere un cappotto! – disse Dean, tirandogli il bavero, e catturando inaspettatamente il suo sguardo quando le sue dita vennero a contatto con la pelle morbida e calda sotto all'orecchio.

– Sì, Dean, e non so come io abbia fatto, ma ho anche la tua giacca. Penso che da sobrio non me la sarei … ricordata. – strascicando le ultime parole, si mise seduto.

Cominciò a togliersi il suo soprabito, aggrovigliandosi scompostamente nelle maniche e non riuscendo a non ridere per la situazione in cui era, poi quando si fu disfatto del primo impedimento, si tolse anche il giubbotto di pelle. Essendogli largo, fu più facile e la testa girò meno di prima. Quando si voltò a porgerla a Dean, notò che lo stava guardando in una sorta di paralisi.

I suoi occhi verdi vagavano in giro sul suo corpo spudoratamente, soffermandosi sui capelli neri più arruffati che mai e sparati in ogni direzione del creato, gli occhi lucidi, la camicia stropicciata sbottonata in alto e mezza aperta che lasciava in bella vista il profilo delle clavicole, la pelle che trasmetteva calore alla vicinanza. Osservandolo bene, con i vestiti scompostamente tirati contro il corpo, notò quanto il suo fisico fosse scolpito.

Combattè contro l'impulso di giocherellare con i bottoni della camicia.

Dean dovette sforzarsi molto per riuscire a mettere in fila una frase udibile, sogghignando malizioso. – Ti sei dato alla pazza gioia, eh? –. Castiel tornò al suo letto di grano, piegando le ginocchia in modo che fossero mezze accavallate su quelle del biondo, la testa che continuava a girare e la lingua sciolta senza freni.

– Non saprei... non mi hanno arrestato, quindi penso di no. Inoltre, sto cominciando a ricordare qualcosa, se mi fossi dato alla pazza gioia come dici tu sarebbe la prima cosa che mi verrebbe in mente. È incredibile che io posso fare supposizioni, vero?

– Intanto non è posso, ma possa. E poi perché avrebbero dovuto arrestarti? – domandò, corrugando la fronte. Castiel, sdraiato di fianco a lui, lo fissava dal basso all'alto con un sorrisetto sghembo, a metà fra l'assonnato ed il divertito. Senza nemmeno pensarci, alzò una mano e scostò i capelli biondi dalla fronte di Dean, che non smise di fissarlo per un secondo, senza essere intenzionato a lasciargli decifrare il suo sguardo (anche se Castiel non sembrava essere in grado di decifrare nemmeno il comune alfabeto, in quel momento).

– Suvvia, non sarai mica così tremendo! – Scherzò allora il Winchester, dandogli una lieve gomitata nel fianco che non sortì alcun effetto.

– Macché, guarda che me la cavo, dolcezza. – sbuffò leggermente senza nemmeno tentare di fermarsi, sorridendo al cielo. – Nessun ragazzo si è mai lamentato. – (il che, a. era vero, b. se non fosse stato sbronzo gli avrebbe ricordato che quelli che non si erano lamentati, erano finiti molto male e c. qualcuno, probabilmente, aveva fatto la spia).

Ops.

Accidenti a lui. Adesso era in un casino tremendo senza nemmeno saperlo, probabilmente una piccola parte del suo cervello se ne era resa conto ma quella intorpidita e con la maggioranza dei neuroni accantonò il pensiero dove non potesse raggiungerlo.

Dean lo fissava, impassibile, indecifrabile. Non sembrava turbato, e lo guardava negli occhi.

Castiel non sapeva nemmeno lui quello che diceva, quindi andava bene lasciarsi andare completamente. Entro l'indomani lo avrebbero preso, non era un male godersi le ultime ore di libertà. Fase due in assetto di decollo.

– Avvertimi solo quando avrai intenzione di chiamare la Gestapo, così mi preparerò psicologicamente. – disse, distaccato e freddo più che mai , giocherellando con uno stelo ma senza smettere di guardarlo. Dean sembrava stesse per dire qualcosa, ma lo fermò stuzzicandolo con la spiga, facendola scivolare distrattamente dietro il suo orecchio. – Ma prima che io finisca in un qualche fottuto campo di lavoro, aspettando che mi ammazzino o che mi taglino le palle – (un dieci e lode per la schiettezza, Novak.) – voglio che ti lasci guardare bene. – e lo fece Lo fissò intensamente fotografando con gli occhi ogni singolo centimetro del viso di quel ragazzo, del suo collo, delle sue spalle e del suo torace, e di tutto quello che non era nascosto dal grano intorno a loro. Smise improvvisamente di sentirsi brillo ed allegro, l'alcol circolò come un fiume in piena e le parole cominciarono pian piano a sgorgare fuori dalla sua bocca.

– Sono davvero ubriaco. Non sono Dio. – disse, con una vaga nota di vergogna nel tono di voce. Dean restò immobile, come se stesse bloccando un impulso.

– Chissà cosa pensi. Che non sono Dio e che sono, non lo so, peccaminoso, o qualunque cosa voialtri pensate che noi siamo. Osceno, ma che ne so. Andate a fanculo. – storse la bocca, il sapore della birra che gli faceva dire quelle cose gli inondò le papille gustative.

Se prima si sentiva contento e compagnia bella, sbronzo e felice, ora era tremendamente amareggiato.

– Castiel, io...

– Sì, andatevene a fanculo, – lo interruppe violentemente – siete solo degli stronzi stereotipati. In sto cazzo di mondo non si può fare niente, nemmeno amare una persona senza che ti guardino male, o che ti facciano notare che è sbagliato. Poi dicono che è la religione, o Dio, o chissenefrega. Beh, io ho sempre creduto in Dio, ma se ci penso un po' su mi viene da chiedermi “Quello là prima mi fa omosessuale e poi mi fa perseguitare”. Un premio per la coerenza, non ti pare? – Dean lo fissava, la sua espressione era leggermente mutata e sotto a quel velo di stupore ed indecifrabilità ora c'era quasi... divertimento?

O solo altro sgomento mischiato a profondo disgusto. Si concentrò per qualche secondo sul sui viso, mentre le sue guance si coloravano leggermente di rosso e le pupille si dilatavano. Poco importava, ora che Castiel aveva iniziato il suo sproloquio lo doveva anche finire. Se non gli fosse interessato, poteva andarsene, lui avrebbe continuato comunque.

– O, mah, sarà una malattia? Sono malato, secondo te, Dean? Io non mi sento malato. Mi sento ubriaco fradicio, qualcosa di piuttosto vicino ad un essere con poteri mistici, ma insomma, non sono malato. Soffro allo stesso modo. – biascicò, percependo la sua voce acquisire quella nota gracchiante tipica di uno che ha alzato il gomito.

– E vuoi saperla una cosa? Sei veramente bello, e abbi il coraggio di ammettere che quando te lo dice una ragazza non è ugualmente sincera. Cazzo, sei stupendo, perché solo una donna può dirtelo? Perché io non posso? Ti trovo stupendo e lo devo tenere per me perché sono malato e la mia parola vi può contaminare tutti?! – ora la sua voce si stava alzando pericolosamente, quasi urlava, ma ormai vabè. Con un doloroso colpo di reni si tirò su a sedere, inginocchiandosi alla stessa altezza di Dean che aveva gli occhi tristi e quasi commossi seppur asciutti, e cercò di regolarizzare quel respiro affannato che la sua corsa di parole si lasciava dietro. Da ubriaco diceva spesso cose che avrebbe dovuto custodire gelosamente, ma mai nulla di così profondo. Si era appena messo a nudo come non aveva mai fatto con nessun altro, le cose non potevano andare peggio di così. La birra ed il Wiskhey che gli turbinavano come uno tsunami nel corpo pretesero un'altra spiaggia da sommergere, proseguendo la loro inarrestabile corsa.

– Ovviamente. – sbottò, la testa che pulsava. – Certo, perché è bello nascondersi per tutta la vita. Ebbene, sono arcistufo! Se devo passare la mia esistenza a scappare da quello che sono, piuttosto mi appendo per il collo. Sono fiero di me stesso, e non sarà quel figlio di puttana di Hitler a mettermi in riga! – dovette riprendere fiato per quasi un minuto, doveva aver gesticolato parecchio perché il braccio destro gli faceva male. Abbassò gli occhi sul punto dolente e scoprì che Dean lo aveva afferrato e lo guardava con una malinconia infinita negli occhi, ma c'era qualcosa di bello che mandò il cervello di Castiel in tilt definitivo. La stretta era calda nonostante il freddo dell'alba e la camicia che separava le loro pelli, ma il contatto visivo era diverso. Quello era ardente.

Castiel ebbe come una scossa. – Mollami. – disse, bruscamente, e fece per alzarsi, ma le gambe lo reggevano a stento e la testa girava.

Non ancora del tutto certo di come, si tirò su trattenendo il respiro per la fatica, le cose intorno a lui ballonzolavano e si sdoppiavano come in un qualche incubo che gli era capitato di avere.

– Castiel. – la voce di Dean era estremamente pacata, tanto che per un attimo il moro temette il peggio. Forse stava per mollargli un ceffone, ne aveva tutta l'aria. Mosse un paio di passi incerti verso la parte sbagliata, avvertendo a malapena la presenza dell'altro molto vicino a lui, si passò una mano fra i capelli al limite dell'esasperazione. – Castiel, hai appena sparato delle stronzate a dir poco abissali. – dichiarò pragmatico. Quando riuscì a voltarsi senza cadere, i due Dean che continuavano a raddoppiare e ad incrociarsi lo osservavano a braccia conserte, estremamente divertiti.

–Cosa? – farfugliò in risposta, compiendo un enorme sforzo per reggersi in piedi e per la prima volta senza niente da controbattere.

–Pensi davvero che chiamerei la Gestapo? – il suo sguardo mutò pericolosamente i qualcosa di molto simile alla delusione. – Senti, capisco che non ci conosciamo molto, ma hai veramente una così bassa impressione delle persone? Di me? –

Castiel avrebbe veramente voluto rispondere, scusarsi, o fare qualsiasi altra cosa che non fosse cadere come un sacco di patate vittima dell'alcol.

 

 

Qualcosa come mezz'ora dopo, durante la quale era rimasto cosciente abbastanza a lungo da ricordarsi un Dean per nulla scocciato che lo trascinava verso casa, era abbracciato alla tazza del gabinetto con indosso solamente i pantaloni (aveva resistito fino alla porta del bagno). In una situazione diversa, si sarebbe quantomeno ricordato che aveva un ospite (nemmeno un ospite qualsiasi, insomma!) e lo avrebbe lasciato andare via. Dato che però le circostanze gli impedivano di fare qualsiasi cosa che non fosse vomitare corpo e anima, non se ne curò. Andò avanti almeno un'ora con la testa quasi completamente nascosta oltre il bordo, ma quando il suo stomaco suonò tristemente vuoto, si aggrappò al lavandino e si issò a fatica con le gambe che tremavano pericolosamente. Senza nemmeno pensare a quello che faceva si cacciò in bocca una dose generosa di dentifricio e, dopo aver masticato con aria un tantino perplessa, sputò la schiuma sotto di sé e si affrettò a prendere un sorso d'acqua. Il tutto nel più assoluto silenzio, quasi dimentico del fatto che Dean lo stesse guardando.

Okay, dalle mani di quale scultore greco sei nato? Dovette lottare con unghie e denti per tenere a freno la domanda, perché un qualunque essere umano di fronte a quel ben di Dio se la sarebbe posta ed era abbastanza certo del fatto che pochi avrebbero avuto sufficiente autocontrollo da non farla.

Aveva un bel fisico non troppo scolpito, la pelle chiara e liscia, i muscoli ancora tesi e, malgrado non credeva avrebbe mai pensato una cosa simile nei confronti di un altro uomo, davvero un gran bel fondoschiena; dorso, spalle, clavicole, ogni centimetro trasmetteva senso di equilibrio e forza, ma c'era qualcosa, forse nella postura che aveva adottato sino a quel momento, che tradiva insicurezza, quasi tensione angosciata. Le mani, fino a quel momento spasmodicamente aggrappate al bordo del lavandino, si rilassarono, ed il sangue riprese a circolare nelle nocche.

– Sì.

A Dean quasi venne un infarto. Non si aspettava che parlasse, né che si sedesse di fianco a lui contro la parete e la testa fra le mani, la spalla sinistra nuda premuta contro la sua.

– Cosa?

– Ho veramente una così bassa impressione delle persone.

– Oh. Quello.

– Già. Vorrei negare il fatto che valga anche per te, ma mentirei.

Silenzio, qualche secondo.

Un respiro. Due. Tre.

– Per quale ragione?

Castiel si girò verso di lui, con un sopracciglio alzato e la classica espressione “ma che domande fai?!”, ma durò appena un paio di secondi. Le sue labbra (perfette) si stirarono in un sorrisetto ironico.

– Il mondo mi odia. – spiegò, ridacchiando a causa del po' di alcol che ancora gli circolava in corpo.

– Il mondo è stupido, allora. Come si fa ad odiarti? – la finta indignazione di Dean lo fece ridere di più.

– Questo mica devi chiederlo a me. – un paio di secondi di pausa. – Comincia a farmi male la testa. Tra dieci minuti desidererò di essere morto.

– Certo che l'alcol ti fa uno strano effetto. Non ho mai sentito nessuno sclerare così tanto in vita mia, nemmeno mio padre. –

Castiel scrollò le spalle, ma sembrava vagamente compiaciuto. – Devo essere sincero, sei l'unico essere umano a saperlo, oltre alle persone che ho menzionato prima e che potrebbero essere già state prese. –

– Mmmh, devo aspettarmi qualcosa?

– Ehi, solo perché sono omosessuale non significa che devo essere per forza una puttana. In ogni caso erano tre, e non penso abbiano fatto una fine molto felice.

– Ma nessuno di loro ha fatto il tuo nome... devi essere veramente bravo.

Castiel non poté fare a meno di ridere. Quel Dean non era solo bello, ma anche perspicace.

– Sì, o quello, o nemmeno gliel'hanno chiesto, ma anche se lo avessero fatto sarebbero andati poco lontano: non ho mai dato il mio vero nome. Comunque ringrazio la mia buona stella, finché ne ho una. Più che altro quando ho saputo cosa stava accadendo ho cominciato ad avere veramente paura, mi sono nascosto ed ho viaggiato un po', prima di fermarmi qui. Sai, per far perdere le mie tracce nel caso qualcuno mi stesse seguendo. Questa casa penso appartenesse a mio nonno, mi aveva lasciato le chiavi. –

Dean annuì. – I tuoi genitori dove abitano?

– L'ultima volta che li ho visti, erano a Dusseldorf, ma conoscendo mia madre possono essersi benissimo trasferiti sei o sette volte.

– Perlomeno non ci vivi assieme. I miei sono tipi a posto, ma certi giorni vorrei veramente andarmene.

–Vattene davvero, no? – La voce di Castiel, roca e gentile, lo faceva suonare talmente ovvio e scontato che per un secondo Dean si diede dell'emerito coglione per non averlo già fatto. Poi però disse: – Non è così semplice. La verità è che è molto difficile avere a che fare con mio padre, e lui e Sammy non vanno affatto d'accordo. Se me ne andassi, lascerei solo mio fratello, e non potrei... prendermi cura di lui, ecco.

Castiel fece cenno di aver capitoc con un sorriso addolcito, lasciò che il silenzio calasse di nuovo intorno a loro. – Dunque, Cas. Come va la testa? – lo interruppe Dean.

Castiel rimase in silenzio per valutare la situazione, ascoltando quello che somigliava in modo inquietante al rombo del mare intrappolato in una conchiglia provenire da dentro il cranio. Cominciava a sentire il dolore stringergli le tempie e gli occhi tremavano come se stessero per ribaltarsi, ma sapeva tenere duro.

– Non siamo ancora in alto mare. Gira solo un po', ma presto avrò un male atroce, con tutto quello che devo aver bevuto. – si fissarono per una manciata di secondi, le spalle che ancora erano premute l'una contro l'altra ebbero una specie di fremito.

Dean avrebbe tanto voluto essere in grado di delineare qualcosa di Castiel che non fosse il profilo morbido ed accennato degli addominali, come ad esempio il carattere. Se era veramente un ragazzo spaventato e maniaco della circospezione e delle precisioni, in quel momento non lo sembrava affatto, non con i pantaloni stropicciati ed il torso nudo, non con una quantità spaventosamente indefinita di alcol che ancora gli saettava nelle vene, non con tutto quello che gli aveva detto.

– Allora... – lo stuzzicò, pungolandogli l'avambraccio con un dito – sono veramente così bello?

Castiel, che fino a quel momento di riflessione del biondo aveva socchiuso gli occhi sperando che il mal di testa non lo travolgesse come un treno, sbarrò le palpebre.

Prese qualche secondo per rispondere, soppesando accuratamente le parole da usare e gettando la spugna quando tutto ciò peggiorò solo il suo precario stato fisico.

– Ci puoi giurare.

Dean sogghignò, sperando di non sembrare soddisfatto com'era in realtà.

– Davvero?

Castiel si voltò verso di lui, era talmente vicino che ogni screziatura blu nei suoi occhi sembrava brillare di luce propria, e lo osservò attentamente.

– Sei bellissimo.

– Non lo dici solo perché sei ancora mezzo sbronzo?

– Ti dirò, da ubriaco sono più sincero del normale.

– E nemmeno Hitler ti costringerà a dire il contrario?

La sua espressione fremette, ma di qualcosa di diverso dalla paura, alla quale Dean non seppe dare un nome. Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che i loro nasi si stavano sfiorando, e quasi mezzo minuto per costringersi a mantenere la calma.

– Prima mi hai chiamato Cas. Lo sai che nessuno mi ha mai chiamato così? – borbottò con la voce incrinata dal torpore.

Dean assaporò quel contatto lievissimo finché non si spezzò e la testa di Castiel non scivolò contro il suo collo, strofinando i capelli scompigliati come un cucciolo bisognoso di coccole. Lasciò che si appoggiasse a lui e non riuscì a non trovarlo adorabile.

– E come ti chiamavano? Cassie? – chiese sarcastico, girandosi appena per incastrare l'angolo della mascella contro la testa dell'altro e stare più comodo, inspirando a pieni polmoni quel profumo che si sentiva nonostante una lieve traccia d'alcol e di fumo. Rimasero così per diversi minuti, finché Castiel non rispose.

– Bingo.

Dean ebbe un sussulto.

– Stai scherzando? – chiese, scostandosi.

– Ehi, eri meno sorpreso di sapere che sono frocio!

Il biondo non lo ascoltò, e si mise a ridere sconsideratamente. – Credimi, – disse, cercando di respirare. – Se mai dovessi chiamarti così, avrai il mio consenso di darmi il pizzicotto più doloroso del tuo repertorio. – si riavvicinò a lui e accostò la bocca al suo orecchio. – Ti svelo un segreto: non li sopporto.

Castiel trasalì al suono di quella voce roca che vibrava contro la sua pelle, sentendo per qualche secondo i pantaloni stringere sul cavallo.

Ehi, non ti ci mettere anche tu. Avrebbe voluto ordinare. Seppellì l'esaltazione donatagli dall'alcol e appoggiò la testa al muro, al cui contatto l'emicrania si sprigionò come un'onda sismica.

– Benvenuto nel Club. I miei fratelli me li hanno fatti detestare.

Breve pausa, qualche minuto di silenzio.

Pensò che probabilmente era il caso farsi una doccia, quindi chiese gentilmente a Dean se voleva tornare a casa o preferiva aspettarlo per chiacchierare ancora un po', ma lui si limitò ad osservarlo assorto, come se a malapena lo avesse sentito.

– Dean?

Si riscosse quasi violentemente.

– Oh, scusa. Se ti fa piacere, resto ad aspettarti.

Kein Problem.

Si alzò stando mezzo aggrappato al muro, poi diede una mano al ragazzo per fare lo stesso. Una volta in piedi, Castiel barcollò paurosamente fino a crollare letteralmente addosso a Dean. – Cas! Attento a dove svieni, potresti mietere la popolazione! – esclamò, non riuscendo a reprimere un mezzo sorriso.

– Bella popolazione degna del nome, ci sei solo tu.

– Già, ma io sono stupendo. Testuali parole.

Lo aiutò a rimettersi in piedi, sorreggendolo quasi di peso, mentre quello brontolava di non denigrare la sua poeticità da ubriaco, somigliando spaventosamente a suo zio Bobby in uno dei suoi burberi soliloqui post-whiskey.

– No, non la sto denigrando. Considerati fortunato, noialtri comuni mortali non affrontiamo le sbronze con tutta questa notevole capacità retorica. Pensi di farcela?

Castiel saggiò la stabilità delle sue gambe, ignorando il prorompente mal di testa che cominciava a trapanargli il cranio, e dopo qualche secondo di indecisione annuì.

– Perfetto, se hai bisogno di me chiama.

– So farmele da solo, le seghe. – grugnì l'altro, cominciando ad armeggiare con la fibbia della cintura senza nemmeno attendere che Dean se ne fosse andato. Alzò un secondo lo sguardo, incontrando quello pietrificato e colpevole del ragazzo.

– Ma che ti salta in mente...?

– A me proprio nulla, sono un rintronato sincero, e ho visto come mi fissi. – alzò gli occhi al soffitto, come se sperasse di leggervi il resto della frase che si era appena dimenticato. – Qualcosa mi dice che non sono l'unico a nascondere qualcosa.

Dean deglutì talmente forte che ebbe veramente paura di poter essere sentito. Castiel sembrava fare a malapena caso a lui, ma per un eterno secondo temette di dover dare spiegazioni. Cosa avrebbe detto?

Sì, insomma, pensavo di essere il solito scemo che dopo una vita a sbavare dietro alle ragazze si ritrova perso di un quasi perfetto sconosciuto che ho incontrato la sera prima e che ha appena assistito nello scaricamento del porto di Alcolandia. Una cosa normale, non ti pare?!

Fortunatamente per lui, non disse nulla di tutto ciò.

– Tu da ubriaco sei veramente strano.

Castiel ridacchiò.

– dico sul serio, un attimo sembri perfettamente normale, l'attimo dopo vaneggi.

– E' difficile essere me. – borbottò l'altro, sorridendo soddisfatto quando la cintura scivolò fuori dai passanti. – Dammi dieci minuti, se non mi rompo l'osso del collo.

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Billie Edith Sebster