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Autore: Frida Rush    19/05/2015    1 recensioni
Riflessioni riguardo un mostro particolare che molto probabilmente vive nella testa di ognuno di noi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccolo, il primo sintomo si presenta sempre così, come una sensazione di vuoto al livello dell’addome. È come se avessi voglia di vomitare, come se avessi mangiato troppo e avessi il voltastomaco, ma purtroppo non è il cibo il motivo di quel malessere.
Mi rannicchio su me stessa mentre sento che lei mi farà visita a breve.
Non è piacevole, non lo è per niente.
Non è bello sapere che tra poco arriverà e sapere anche di non potere fare niente per impedirlo. Ci si sente impotenti.
La sensazione di vuoto nello stomaco aumenta sempre di più fino a farmi stare veramente male mentre sento le mie gambe tremare e per sfogarmi batto ripetutamente il piede per terra fino a stancare i miei stessi muscoli.
Ormai mi ha presa, non c’è più niente da fare.
Mi sento come un animaletto selvatico che sta scappando da un cacciatore, ma che sa di non avere speranze di salvezza ed è insopportabile.
Il prossimo sintomo mi prende la gola, formandomi un nodo che mi rende faticoso persino respirare tanto che mi ritrovo quasi ad ansimare. È come in Robinson Crusoe, quando il protagonista appena naufragato si ritrova a dover combattere per la propria vita contro le onde del mare che stanno per ucciderlo. È molto simile alla sensazione di annegamento.
Non è piacevole.
Ecco, inizio a tremare perché il mio corpo non risponde più al mio volere, e pensare che il problema sta tutto lì, nella mia testa. Io lo so bene, ma è difficile mantenere il controllo.
Controllo…
Controllati…
Respira…
Nulla. Lei è troppo forte, so che anche questa volta l’avrà vinta e mi sento sconfitta, perduta, in balia di me stessa e dell’oscurità che regna nella mia mente.
Il ticchettio delle dita sulla scrivania è l’unico rumore che si sente nella stanza, mi sento braccata, sola e il fatto di non sapere come difendermi mi butta giù. Mi sento annegare, mi dondolo sulla sedia su cui sono rannicchiata e cerco di respirare.
Mi alzo di scatto e percorro lentamente la stanza passandomi nervosamente le mani tra i capelli.
Respira.
Controllati, va tutto bene…
Non agitarti.
Se ti agiti è finita.
Niente panico.
Tutto questo dura mezz’ora.
Poi il dramma.
È sempre peggio, le passeggiate per la camera non funzionano e mi butto nuovamente sulla poltrona sentendo gli occhi appannarmi e le lacrime pungermeli.
Non piangere, ti prego. Se cedi alle lacrime lei vincerà!
Ma so che ha già vinto.
Di nuovo.
Odio me stessa, odio il fatto di essere così debole e di non riuscire a contrastarla, odio il fatto di lasciarmi prendere dallo sconforto. Continuo a ripetermi che la prossima volta andrà meglio, ma in realtà va sempre peggio.
Con uno sforzo immane riesco a ricacciare indietro le lacrime e mi sento meglio al pensiero che, almeno questa volta, non ho ceduto.
Il problema è tutto lì, nella mia testa.
Devo farlo uscire, devo scacciarlo via, lei deve lasciarmi in pace perché io non posso andare avanti così! Mi rovina la salute, mi blocca il respiro, mi attanaglia lo stomaco, mi tira nell’oblio con sé e mi ferisce.
È un mostro orribile che mi bracca, mi prende da dentro, direttamente nel profondo e non mi lascia via di scampo.
Il suo nome è ansia ed è il mostro peggiore che io abbia mai incontrato.
Mi rannicchio di nuovo sulla sedia tentando di fare respiri profondi e di rilassarmi e va già un po’ meglio.
Il mostro è solo nella mia testa e nella mia testa non c’è spazio per i mostri.
  
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