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Autore: _less_    19/05/2015    3 recensioni
Ma nonostante tutto, sentiva sempre quelle incresciose emozioni accavallarsi dentro di sé. Sempre la solita ansia, l'ossessiva paura dell'invecchiare, del logorarsi, la solita fissazione quasi compulsiva per tutto ciò che riguardava l'opulenza e la sontuosità, la voglia di vivere esperienze quasi raccapriccianti quanto suggestive. E non solo, ma dedicava del tempo pure per ricavarsi occasionali momenti in cui andava all'inefficace ricerca di tutto ciò che riguardava la lussuria e la malizia, la frenetica e impulsiva voglia di vivere la giovinezza sotto l'azzardo e l'isteria del divertimento, quella voglia di trasgredire in modo sconvolgente e radicale tutto ciò che le imponeva gonnellino, calze di lana alte e camicette legate fino al collo.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avvertenze: la storia parla di tematiche delicate, seppur non narrate in modo descrittivo, non vorrei mandare messaggi come l'istigazione all'uso di droghe, fumo ed alcol e allo stupro.
Se avete delle menti facili da condizionare con una storiella di questo genere, abbandonate la pagina.
Grazie.


Piccole dosi di piacere.


La domanda centrale che ogni giorno Elizabeth si poneva, era "Come far sì che la giornata di una Lolita annoiata, diventi una delle più belle della sua vita?"
Era questo che mentalmente si poneva seduta sulla sedia della cucina, appoggiata con le braccia penzoloni sulla spalliera in legno che costantemente minacciava di rompersi per la pesantezza.
Ma ogni parola di quella domanda era una contraddizione, perciò poi si correggeva dopo averci pensato "Come può la giornata di una non Lolita, diventare interessante a Lake Placid?"
Perché Lake Placid era questo, lunghi pomeriggi noiosi e afosi che sembravano non finire mai, mentre il sole rovente bruciava anche l'asfalto, che sembrava farlo apparire ricoperto di acqua, bagnato. Ma non era la caloria o l'asfalto che si logorava a turbarla internamente, bensì Elizabeth sentiva di star letteralmente invecchiando, nascosta tra le mura di quella cittadina che sembrava ormai il fantasma morto di un allegro paese.
Nonostante avesse ormai realizzato da tempo che non era più una Lolita, che le sue acerbe forme da dodicenne erano diventate sensuali ma armoniose curve da diciassettenne, che ormai il suo fisico si era evoluto, sentiva sempre quelle incresciose emozioni accavallarsi dentro di sé. Sempre la solita ansia, l'ossessiva paura dell'invecchiare, del logorarsi, la solita fissazione quasi compulsiva per tutto ciò che riguardava l'opulenza e la sontuosità, la voglia di vivere esperienze quasi raccapriccianti quanto suggestive. E non solo, ma dedicava del tempo pure per ricavarsi occasionali momenti in cui andava all'inefficace ricerca di tutto ciò che riguardava la lussuria e la malizia, la frenetica e impulsiva voglia di vivere la giovinezza sotto l'azzardo e l'isteria del divertimento, quella voglia di trasgredire in modo sconvolgente e radicale tutto ciò che le imponeva gonnellino, calze di lana alte e camicette legate fino al collo.
Non desiderava altro, che poter vivere quella vita difficile e complessa, intimidatoria quanto accogliente. Non ambiva altro che al suo provvisorio e incostante concetto di felicità interiore, la sfrenata libertà.


Jhonny Hon era quell'appiglio che Elizabeth stava cercando da tempo. Niente di ordinario, niente di straordinario, il solito ragazzo di diciotto anni che sente di poter controllare la sua vita attraverso minimi e piccoli atti di trasgressione giornaliera.
Ciò che Elizabeth sentiva verso quell'alta e snella figura non era né amore, né amicizia, soltanto una sorta di amore platonico tra lo spacciatore e il drogato, lo scambio di affetto che avveniva tra i due era comparabile alla felicità dello spacciatore quando riceveva i suoi soldi, e a quella del drogato quando riceveva la sua dose di droga.
Jhonny Hon era sempre seduto lì, su quel muretto che si affacciava in modo pericolante sulla strada, con quella Camaro azzurro e tetto nero parcheggiatagli accanto. Elizabeth sapeva sempre dove trovarlo, cosa chiedergli, come guardarlo.
Amava i suoi occhi dal taglio orientale, i suoi capelli lisci tipici del Giappone, che tra l'altro erano tutte cose che aveva ricercato con passione nella sua immagine dell'amico perfetto.
Jhonny Hon era quel tipo di ragazzo che si fermava al centro di strada per fumare il suo spinello ben chiuso, quel tipo di ragazzo che ti offriva la sua sigaretta quando sentiva che stavi male, quando capiva che ti stavi spegnendo o stavi scomparendo.
Quel pomeriggio afoso di Giugno, Elizabeth gli si avvicinò mentre stava seduto in una panchina di un parchetto a Lake, mentre aspirava la sua sigaretta o canna, qualsiasi cosa fosse.
Il gonnellino bianco pieghettato le sbatteva fra la parte bassa delle cosce, mentre a poco a poco sbottonava via dal collo quell'azzurrina camicia di flanella che si sentiva da gettar via, a costo di restar nuda.
Il solito saluto tra i due, lo scambio di nomignoli che si limitava al 'ciao miss - ciao mister' e poi il silenzio che veniva dopo, mentre in silenzio meditavano l'orizzonte che incombeva davanti a loro.
Niente.
Non c'era niente che potesse interessarle, che potesse piacerle, che potesse catturarla davvero. E lo stesso valeva per Jhonny Hon. Separati erano tristi, ma insieme erano profondamente infelici. Era davvero possibile scappare via dalla monotonia di quella  cittadina, per fiondarsi dentro la movida sfrenata di qualche città metropolitana? Poter sfuggire dall'aria pesante che regnava in quel luogo? Partire e ricominciare tutto d'accapo?
Elizabeth ci pensava spesso, ma niente riusciva a farla riflettere quanto quel ragazzo orientale e laconico.
Jhonny Hon non parlava quasi mai, eppure quando lo faceva, lasciava dentro Elizabeth profondi segni, diciamo dei solchi abissali che lei riusciva a riempire con le sue riflessioni a riguardo. Lui la spronava sempre.
Quel pomeriggio Jhonny parlò, disse poco, mentre aspirava la sua sigaretta fissava il prato verdognolo del parchetto abbandonato, dove l'erba pareva bruciare da un momento all'altro. Jhonny parlò per entrambi mentre il fumo denso gli usciva dalle narici del naso: — Questa vita non mi basta.—
Elizabeth lo fissò per qualche secondo, poi gli circondò il collo con il braccio, facendo sì che lui fosse costretto a guardarla. Lui aspirò dalla sua sigaretta e poi si avvicinò ad Elizabeth, che aveva aperto la bocca. Il fumo uscì denso e veloce dalla bocca di Jhonny, mentre Elizabeth lo aspirava velocemente.
Fumare senza filtro. Erano questi i nuovi giochetti che si erano inventati durante i lunghi pomeriggi: niente di speciale, qualcosa di assolutamente noioso e insensato. Eppure cos'altro potevano fare, oltre a tutte le altre cose?
Quello che aveva detto Jhonny, con quelle poche parole che aveva mentalmente ricercato in modo dettagliato e minuzioso, contenevano degli indizi, contenevano tutte le cose che facevano. Il sesso tra amici, le droghe, l'alcol, il dolore fisico, le rapine, il fumo passato da una bocca e l'altra non gli bastava più. A nessuno dei due.
Seduti in quella panchina di quel parchetto, a diciotto e diciassette anni sentivano solo l'acquolina del pericolo, dell'adrenalina. Era diventato il loro desiderio profondo.


L'occasione di partire a New York, per una settimana con il liceo, si era presentata così veloce e presuntuosa che entrambi furono inizialmente scossi dall'idea di fare nuove esperienze, nonostante lo desiderassero ardentemente. Il cambiamento in realtà non passava loro inosservato. Avevano provato di tutto lei e Jhonny a Lake Placid, ma niente riusciva a farli vivificare. L'effetto dell'alcol svaniva dopo un giorno, quello delle droghe dopo ore, quello del fumo dopo minuti, il piacere degli orgasmi dopo secondi. Niente che li compiacesse a tal punto da non volersi più risvegliare dalla loro campana di vetro costruita attorno al piacere.
Smisero di pensarci ed accettarono, e prepararono le loro valige piene zeppe di occasioni appaganti e di droghe allucinogene. Elizabeth aveva portato le droghe di sempre, ma Jhonny quella mattina, era comparso sopra l'autobus con nuove promettenti proposte. Diceva che si chiamasse Il Paradiso Liquido, ma la bottiglietta contenente quel liquefatto trasparente segnava a caratteri cubitali il nome di GHB.
Elizabeth non sapeva in quale tunnel di orribili avventure stava per cacciarsi. A diciassette anni mai nessuno sa in cosa si caccia veramente. Jhonny le spiegò semplicemente che era il loro riscatto, la loro rivincita per una vita più piena.
E così facendo, si sedette nel sedile accanto a lei, e le mise la bottiglietta trasparente fra le mani, poi fece sì che Elizabeth la stringesse con le dita, e segnò la sua condanna all'Inferno.
 
Lo sguardo pesante e colorito dal trucco di Elizabeth, diventata Lana, dopo un'intera serata in cui aveva vagato alla ricerca di qualcuno in quella discoteca di New York, si posò sullo sguardo di quel giovane cubano con la pelle colorita, un giovane mulatto che la conquistò. Amava tutto ciò che era tropicale, e quell'uomo la riportava ad un clima esotico, caldo e seducente. Non aspettò un attimo, prima di sferrare il suo attacco da predatrice. Ormai era quello che era diventata, una predatrice. Da giovane lolita del ghetto, ad una donna adulta capace di saper controllare gli uomini con uno sguardo, e capace di violarli proprio come loro facevano con le altre.
L'ombra del suo vecchio amico Jhonny era scomparsa, e i suoi diciassette anni erano diventati venticinque, e la sua gioventù cominciava a risvegliarsi ogni volta che lei metteva le mani su qualcuno, per godere della sua carnalità.
Nessuno l'avrebbe capita, nessuno l'avrebbe incolpata e nessuno l'avrebbe lodata: era quello che faceva ormai abitualmente, con quella sua bottiglietta di GHB, che si era rivelata non Il Paradiso Liquido, ma La Droga da Stupro. Stuprare gli uomini era meglio delle droghe di Jhonny, meglio del fumo e meglio del sesso tra amici incomprensibili. Elizabeth aveva capito che lei e Jhonny erano troppo distanti, lui era troppo cattivo per lei e che lei era troppo complessa per lui. Ma alcuni vizi non cambiano, e l'erba cattiva non muore mai. Aveva capito che le vecchie abitudini erano dure a morire e che lei non poteva smettere di commettere dei reati.
Ma la sua vera colpa non era in sé l'atto dello stupro, poiché lo faceva per atto di vendetta contro l'antisessismo, ma il piacere che metteva nel sottomettere la potenza fisica e mentale dell'uomo.
La furbizia batte la forza, le aveva detto un giorno Jhonny. E di questo lei ne fece motto della sua vita. Non era pentita del modo in cui, minuziosamente, ogni week-end seminava violenze sessuali con quell'aria innocente, mentre i suoi tacchi alti di plastica trasparente la facevano saltellare da una vittima all'altra. Era un dato di fatto, gli uomini diventavano così idioti e ottusi, banali quando lo sguardo di una bella donna gli si posava addosso, ma era questo ciò che Elizabeth aspettava. Aspettare e poi sferrare il colpo di grazia subito.
Era quello che le aveva fatto Jhonny, quando quella sera di Giugno di otto anni prima l'aveva introdotta dentro il giro di violenza mischiata all'abuso, quel turbine oscuro in cui lei traeva piacere.
Non avrebbe mai ucciso, il suo piacere veniva ricavato altrove.
Lei e Jhonny non parlavano da anni, forse non si erano mai parlati veramente, ma il trucco che le aveva insegnato con la GHB restava sempre quello, infallibile, distruttivo. Forse Jhonny, dall'altra parte del mondo, lo stava usando in contemporaneo a lei.
Gettare nel mojito Il Paradiso Liquido, far sì che il cubano perdesse i sensi e poi gettarlo nel letto e iniziare a scoparlo. Era questo che ormai la faceva vivere.
Ma non si rendeva conto, che forse era quello che la stava facendo morire.

Angolo dell'autrice:
Ho messo un pomeriggio intero per scrivere questa monelleria, diciamo questo sfogo verso la trasgressione adolescenziale. Le emozioni narrate nella descrizione sono cose che personalmente provo, l'insaziabile voglia di ciò che riguarda l'impossibile alimenta la mia voglia di fare sempre di più. Ho deciso di rispecchiare tutto nel personaggio giovane di Lana, Lizzy Grant, ricordando la quattordicenne che dovette andare in riabilitazione per alcolismo.
Spero che leggiate la storia e la capiate. 
Voglio solo recensioni di gente intelligente e che capisca il messaggio che voglio mandare: non spesso ciò che desideriamo, è la cosa giusta per noi stessi.

Alessia.

 
   
 
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