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Autore: road chan    19/05/2015    1 recensioni
È come se il lungo e solido filo che un tempo ci univa fosse stato tagliato, permettendo così alle innumerevoli immagini e ai tanti ricordi di fuggire, di attraversarmi e di volare in cielo come mille farfalle rosse.
Rosse, sì – come il sangue.
Perché è esattamente così che le vedo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lettera a un Cuore Malato

Lettera a un Cuore Malato

 

Non riesco a ricordare da quando ho iniziato ad avere incubi su di te.

Più cerco di rovistare dentro la mia testa, più il totale e spaventoso buco nero avanza, distruggendo e cancellando ogni minima, stupida, importante traccia.

È come se il lungo e solido filo che un tempo ci univa fosse stato tagliato, permettendo così alle innumerevoli immagini e ai tanti ricordi di fuggire, di attraversarmi e di volare in cielo come mille farfalle rosse.

Rosse, sì – come il sangue.

Perché è esattamente così che le vedo.

Ognuna di loro porta dentro un minuscolo pezzettino di te; 
ognuna di loro è bellissima, diversa, semplice, complessa, affascinante ma allo stesso tempo pericolosa, mortale, triste, amara. La consapevolezza di non averti mai davvero conosciuto mi ferisce come un coltello seghettato che penetra dentro la carne morbida e sensibile. Eppure ti ho accudito dentro la mia testa per così tanto tempo, tenendoti al sicuro e nutrendoti come una madre amorevole e premurosa.

Il dolore che mi hai procurato è simile a quello che si prova quando si perde qualcuno d’importante. 

Sai, all'inizio credevo (ne ero fermamente convinta) che a unirci fossero solo le cose belle –
quei momenti magici dentro i quali ci rifugiavamo; quelle veloci occhiate che solo noi riuscivamo a cogliere; quelle risatine silenziose spezzate solo dal battito dei nostri cuori. 

Eppure, soltanto adesso, ho capito che a legarci era unicamente un sentimento insidioso: il dolore.

Entrambi soffrivamo e combattevamo le nostre guerre con ostinazione – chi nascondendosi, chi sfuggendogli e chi, come me, tentando di aiutare gli altri per non essere costretta ad affrontare i propri demoni interiori; gli stessi che si appostano sotto il tuo letto, quelli che ti seguono per la strada e ti sussurrano silenziosamente all’orecchio.

I demoni che vedevo allo specchio, plasmati a mia immagine e somiglianza, che mi costringevano a odiarmi talmente tanto da divenire un gesto quasi naturale, spontaneo.  

E in mezzo a tutto questo ci siamo incontrati, ci siamo avvicinati l'uno all'altra e abbiamo così iniziato a sorreggerci e a supportarci a vicenda. 

Più stavamo insieme e più i mostri che ci spaventavano tanto andavano via, ci lasciavano in pace. 

Scomparivano. 

E noi continuavamo a far finta di niente, avanzando testardi verso quell'unico vicolo cieco che c’era possibile attraversare.

L'importante era, però, che camminando ci tenessimo per mano.

Non credo che tra noi ci fosse unicamente quello; so che in fondo mi volevi bene esattamente come te ne ho voluto io. Che tutto quello che abbiamo passato è stato vero. Reale.

Ma so anche che, probabilmente, ho conosciuto solo una parte di te – o forse è stata l’unica parte che ho voluto davvero conoscere. 

Dopo che ci siamo allontanati, ho pensato che non sarei stata più in grado di vivere e che non sarei stata più capace di andare avanti se non eri con me. 

Credevo che non sarei stata più felice e che la solitudine mi avrebbe imprigionato, impedendomi di evadere da quella cella fredda e angusta chiamata cervello

C'è stato un periodo in cui ho avuto paura di dormire. 

La sera m’infilavo sotto le lenzuola ghiacciate e pregavo affinché la notte passasse, affinché non mi permettesse di pensare a te. 

Forse, per certi versi, i miei desideri non sono stati del tutto inascoltati. 

Non riuscii più a dormire. Tuttora, se qualcosa mi preoccupa, l'effetto collaterale è questo. 

Le poche volte in cui riuscivo a riposare sognavo te: ti potevo vedere, potevo toccarti, ma non potevo parlarti. 

Dalla mia bocca non usciva alcun suono e quando ti scorgevo, mentre sollevavi le sopracciglia lentamente, come segno d’impazienza, mi sforzavo di trattenerti in qualche modo, di farti capire che la colpa non era mia. 

Ma solo della mia stupida voce.

La mia stupida voce che non mi permetteva di raggiungerti.

Ovviamente questo è stato uno dei tanti incubi che ho fatto, eppure lo ricordo con affetto. 

Forse è dato dal fatto che alla fine riuscimmo a parlare; che finalmente, dopo avermi visto con le mani attorno alla gola, invece di andare via, ti mettesti a piangere.

"Perdonami" singhiozzasti. "Mi dispiace tanto, ma devi continuare a vivere. Vivi anche per me."

Tutto quello che riuscii a rispondere fu un "va bene" striminzito. 

Probabilmente, il lungo e solido filo che ci univa cominciò a spezzarsi dal quel preciso momento.

Sai, se ripenso a te, le uniche immagini che riemergono dalla mia memoria sono quelle felici e spensierate di noi due, insieme.

Una in particolare ti ritrae seduto accanto a me, nella mia camera, che cerchi disperatamente di trovare su Youtube la canzone Disturbia di Rihanna.  

Stavi lì, sorridente e festoso, con indosso una delle tue magliette preferite. 

I pantaloni neri dalle righe rosse ti stringevano leggermente i fianchi. 

I capelli spettinati ti lasciavano la fronte scoperta. 

I tuoi occhi piccoli e lucidi passavano in rassegna ogni singola figura, per poi squadrarmi incerto e aggrottare la fronte, arricciando il naso. 

Rammento ancora che quasi subito ti mettesti a ridere e mi dicesti di volermi bene. 

Mi diedi un bacio sulla guancia, chiamandomi amore.

Chissà per quale motivo, ora non sto più tanto male a quel ricordo. 

Il mio cuore continua a battere lentamente, le mie mani a digitare sulla tastiera; 
la gatta dorme accanto al termosifone. 

Può davvero essere che ti abbia dimenticato?

Che sia finalmente riuscita a scavalcare il muro infinito che mi teneva lontana dal mondo esterno?

Non mi fa più paura la risposta, ormai. 

Non mi spaventa più il fatto di averti lasciato andare.
Di aver lasciato sfumare il tuo ricordo, quello amaro e tormentoso, così come si sfumano gli acquerelli prima di cominciare a dipingere un nuovo progetto su carta bianca.

Probabilmente ti starai chiedendo il perché di questa lettera – eppure non c'è un significato preciso.

Ti dirò, non sono nemmeno sicura che il vero destinatario sia tu.

Magari è semplicemente uno sfogo; un'auto confessione.

O forse è una lettera rivolta al mio cuore; a quello logoro e malato che era rimasto incastrato dentro di me, saturo di ferite infette e piaghe sanguinolente.

Non ne desidererei comunque uno nuovo – so bene che non potrei mai rimpiazzarlo.

Neppure lo vorrei. 

Perché se c'è una cosa fondamentale che mi hanno insegnato, è che il dolore che ogni ferita ti provoca può essere placato solo attraverso il tempo. E nessun uomo potrà mai sottrarmi il mio tempo.

Penso che sarà l'ultima volta che piangerò per te.

Proprio per questo mi godrò fino in fondo le lacrime, consapevole del fatto che non appena saranno sparite dal mio viso, anche tu non ci sarai più.


Addio.

 

 

Spazio autrice:

Questa One shot risale a un tremendo, remoto 2011.

Appartiene a un passato doloroso, lontano, durante il quale ho perso molto, pianto molto.

All’epoca – ero solo una bambina spaventata e piena d’incertezze – non riuscivo a credere che il futuro sarebbe stato migliore del presente.

Ero ancorata alla sofferenza e alla negatività, senza trovare la forza per andare avanti.

Avevo applicato la regola del “fare di tutta l’erba un fascio”, per intenderci: se adesso sto male, starò male anche domani. E dopodomani.

Mi viene da sorridere, oggi.

Poi ho scoperto qualcosa che mi ha letteralmente salvato la vita.

La scrittura.

Riversavo qualsiasi emozione, idea, sogno e fantasia all’interno di questo meraviglioso mondo fatto d’inchiostro nero.

E sono riuscita a riemergere dagli abissi della depressione e a respirare come si doveva.

Tale lettera ne è un esempio: il primo esempio.

E per questo il più importante.

Non ho corretto nulla, né modificato le parole. Per rispetto e amore verso la me stessa di tanto tempo fa.

Perché pubblicarla adesso? Come omaggio alla bambina di allora.

Per dirle che il futuro sarà incredibile. E triste, spaventoso, scoraggiato, faticoso.

Ma incredibile.

Per raccontarle di come la bambina si è trasformata in una donna forte e fiera.

Per ricordarle che tutto è possibile. Che c’è sempre una soluzione, una seconda possibilità.

Per abbracciarla e per confidarle che è bellissima. Anche se lei non lo sa. E non ci crede.

Per svelarle che è davvero fortunata; ha una famiglia e delle persone che la amano per com’è.

Per complimentarmi con lei; rispetta le persone che la circondano. Questo non è cambiato.

Se vi siete intrattenuti a leggere sino a qui, vi ringrazio.

E vi ricordo che superare un brutto momento, di una settimana o di un anno – una depressione – si può. Anche se all’inizio sembra impossibile.

Con affetto,

una Road chan che non vede l’ora di sapere cosa le riserva il domani.

  
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