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Autore: changeling    20/05/2015    1 recensioni
La realtà del dolore che colpisce con violenza assoluta, e lascia una cicatrice sulle anime di "coloro che rimangono". Anche Arya, la bella elfa neo-regina della sua specie, è stata lasciata indietro, una volta di più.
Questa è la mia prima one shot sull'argomento, e ho provato a rappresentare i suoi sentimenti nella notte che ha segnato la separazione della coppia più bella di tutto il fantasy, almeno per me.
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"Mi avvicinai di un passo al davanzale con gli occhi puntati sulla splendida luna, come ipnotizzata. La stessa luna, che, con crudele bellezza, mi ricordava terribilmente la notte in cui gli avevo detto addio. La stessa luna che aveva osservato col suo impietoso occhio il mio ultimo incontro con Eragon.
Quella stessa luna, quella notte, fu la silenziosa e unica testimone delle lacrime che piansi al risvegliarsi del dolore."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya | Coppie: Eragon/Arya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"-Arya... Resta con me...-
-Non posso.-
-... resta con me fino alla prima ansa del fiume.-
Eragon mi accompagna attraverso le due ali di elfi che si sono disposti a formare il sentiero verso la Talìta. Saliamo sulla nave, e io gli stringo il braccio. L'aria intorno a noi sembra opaca, appannata, o forse sono io che non riesco a vedere bene. Sento come se la mia mente fosse in un mare di nebbia, ancora non riesco a capire fino in fondo quello che sta succedendo.
Mi conduce a prua, e la barca si distacca dalla riva del fiume senza un suono, come qualsiasi nave elfica; tuttavia ciò non fa che accentuare ulteriormente l'impressione di vivere un sogno. Il grido disperato di Roran, rimasto a terra, mi squote come un ago dei pini della mia amata foresta in balia delle raffiche di vento. Mi richiama dalle mie fantasie, insinua nella mia anima frastornata la sensazione che anch'io dovrei urlare, eppure non ci riesco. Davanti a un dolore così esplicito non so cosa rispondere. Non è nella mia natura. Sono un'elfa, per quanto abbia viaggiato, vissuto a lungo tra gli umani, assorbito alcuni dei loro modi di fare, non sono avvezza ad esternare le mie emozioni. Dovrei urlare anch'io? Ma la mia bocca è muta, e il mio cuore sembra fermo.
Eragon si volta e incatena il suo sguardo al mio. In quel momento sento come se tutto, dentro e fuori di me, si sia come fermato. Poi lui pronuncia il mio nome, "Arya", come un alito di vento, come se anche lui avesse l'impressione di vivere un momento talmente immobile da risultare fragile.
E ancora, di nuovo, pronuncia il mio nome. Quello vero.
Sento il mio cuore reagire con un battito che rimbomba nel mio intero essere, ed ecco, qualcosa, in lontananza, risponde al suo richiamo, qualcosa che afferra la mia gola con prepotenza. La nebbia comincia a diradarsi vagamente agli angoli della mia visione, ma la mia mente si ribella.
"Ancora no" dice "Ancora no..."
Respiro a fondo. Non è ancora tempo di smettere di sognare.
Le mie labbra si muovono impercettibilmente, al di fuori del mio controllo, ma la cosa che ho frenato dentro di me pretende almeno che faccia sapere a lui, ad Eragon, che l'ho udito. Che l'ho sentito.
Il suo vero nome esce come brezza leggera dalla mia bocca, come il mormorio del fiume. Solo lui può averlo sentito. Chiude per un secondo gli occhi, come perso nel suono impercettibile.
Li riapre. Vuole dire qualcosa.
Ma quella voce continua a ripetere senza sosta le due parole che ancora mi tengono ancorata al sogno. "Ancora no, Arya, ancora no..."
Lo fermo posandogli un dito sulla bocca. "Ancora no, ancora no..."
Ma è difficile fermarsi. Devo farlo prima che la cosa che ha risvegliato il battito del cuore nel mio petto prenda completamente il sopravvento. Mi allontano. Sollevo un braccio. Lancio la mia preghiera silenziosa.
-Addio, Eragon Ammazzaspettri.-
Fìrnen mi strappa via dal ponte della nave, afferrandomi gentilmente tra gli artigli, e io a mala pena riesco a sentire la sua risposta, a cui mi aggrappo perchè ricorda il suono che ha scatenato la mia empatia, che mi ricorda l'urlo straziato di Roran anche se è solo un sussurro tra le folate di vento: -Addio...-
Sento il suono di cristallo che s'incrina.
Il volo è rapido e teso. Fìrnen atterra con delicatezza sulla riva, a metà strada tra l'ansa del fiume che per entrambi ha segnato la separazione con coloro che sono stati, pur se per un tempo troppo breve, i nostri compagni di vita, e la riva da cui siamo partiti. Mi deposita sull'erba fresca con la dolcezza di un'anima affine, e per un instante mi sorprendo a pensare che in realtà è poco più di un cucciolo, nato da nemmeno un anno. Ma è solo un momento di distrazione. Ciò che all'inizio era poco più di un mormorio è ora divenuto un rombo, e sento che se non lascerò sfogare ciò che lo provoca non riuscirò più a respirare. Mi allontano verso i pini più fitti, e Fìrnen mi lascia andare. Ci sarà tempo.
Mi dirigo nella foresta senza alcuna destinazione a guidarmi, perdendomi nel fitto, senza meta. I rami si intrecciano fitti sopra di me, e i miei occhi smettono di indicarmi una strada da poter percorrere, ma le mie orecchie e il mio naso mi mostrano gli ostacoli senza che debba fermarmi o rallentare.
La luce della luna mi colpisce all'improvviso. Stringo le palpebre mentre cerco di abituarmi di nuovo a quel fulgore.
Non ci sono più alberi di fronte a me. Solo una collina spoglia, ricoperta di piante selvatiche e fiori di campo. Mi arrampico su per il leggero pendio, senza fatica, e una volta in cima alzo il viso per osservare il cielo. E' nero. La luna piena è troppo luminosa, poche stelle riescono a farsi vedere oltre il suo splendore.
Mi cedono le ginocchia, e senza che me ne sia accorta, sono seduta tra l'erba alta e osservo la linea scura e familiare dei fiori, la cui corolla è ancora aperta nonostante l'assenza di luce solare. Che fiori sono... non lo so, ma li conosco... ne sono certa...
"Ancora no..."
Ne colgo uno. I petali non rimandano alcun colore.
D'un tratto, nel calice delicato cade una goccia trasparente, brillante. Per un attimo mi colpisce il folle pensiero che una delle poche stelle visibili vi sia caduta dal cielo per poter essere osservata meglio. Ma poi alla prima se ne aggiunge un'altra, che scivola sul fondo trascinando con sè la precedente, lasciandosi dietro solo una scia incolore.
Mi tocco il viso e scopro le mie guance essere bagnate. Sto piangendo.
Abbasso di nuovo lo sguardo e, come se l'avessi sempre avuto davanti agli occhi, ricordo il nome di quel fiore dalla sfumatura così scura da ricordarmi il cielo notturno: è un convolvolo nero.
"Ora puoi."
Come una erisdar, come una delle elfiche lanterne senza fiamma improvvisamente frantumanta, i sentimenti esplodono nel mio petto con violenza inarrestabile e d'un tratto le lacrime non sono abbastanza, le grida non sono abbastanza, il dolore che mi sconvolge il petto obbligandomi a piegarmi in due non è più abbastanza. Affondo le dita sul mio viso, graffiandomi le guance con le unghie, ma non è minimamente paragonabile allo strazio che ho dentro. Alzo il volto al cielo e urlo a squarciagola la mia disperazione."


Mi svegliai di soprassalto nelle mie stanze nel palazzo di Tialdarì. Il cuore batteva all'impazzata nel mio petto, il mio respiro era affannato e il sudore freddo mi imperlava la fronte come gocce sottili di una fitta pioggia. Battei le palpebre, cercando di calmarmi, e portai le mani al viso, facendole scivolare sulle guance bagnate. Anche i miei occhi erano umidi. Avevo pianto.
Il sogno riverberò dentro di me come la vibrazione sorda di un tamburo, e le lenzuola attorcigliate tra le mie gambe testimoniavano il mio sonno agitato. Le sollevai, liberandomi, e scostai le cortine decorate col blasone reale che pendevano dal baldacchino. Posai i piedi nudi per terra e il freddo del pavimento mi aiutò a svegliarmi ulteriormente. Mi alzai e mi versai un bicchiere d'acqua attingendo alla brocca di cristallo posata su un basso tavolino posto vicino alla finestra. Le tende erano chiuse. Luce bianca si espandeva da un'unica fessura.
Posai il bicchiere trasparente e afferrai la stoffa leggera con le mani che tremavano un poco; la strattonai via, lasciando che la stanza fosse invasa dal lucore argentato della luna piena. Mi avvicinai di un passo al davanzale con gli occhi puntati su di essa, come ipnotizzata. La stessa luna, che, con crudele bellezza, mi ricordava terribilmente la notte in cui gli avevo detto addio. La stessa luna che aveva osservato col suo impietoso occhio il mio ultimo incontro con Eragon.
Quella stessa luna, quella notte, fu la silenziosa e unica testimone delle lacrime che piansi al risvegliarsi del dolore; perchè sapevo che lui non era qui con me, e che forse non l'avrei più rivisto.
Perchè lui non era tornato.

Salve a tutti!!
Allora, questa è la prima ff su Eragon che abbia mai scritto (sì, lo so che nella intro ho scritto "la prima one shot", ma non siate pignoli; tanto è sempre la prima
XD). Volevo dedicarla a mio nonno, il mio adoratissimo nonno, che, accidenti a lui, mi ha recentemente resa un membro attivo del guppo di "coloro che sono rimasti". Scusate il sentimentalismo (comunque è scritto all'inizio che è triste), ma ci tenevo. :')
Grazie mille per l'attenzione!! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Buona serata a tutti!!
<3 <3 <3 <3
by Changeling
  
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