Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Ellie Uchiwa    04/01/2009    8 recensioni
Il sole estivo si adagiava sulla nostra pelle, trasmettendoci un piacevole tepore, mentre le cicale avevano cominciato il loro quotidiano concerto. Sotto quella calda luce, i fiori dei keyaki sembravano brillare come oro.
Posavamo lo sguardo su tutto e niente, consapevoli e indifferenti al tempo stesso di quel che avevamo attorno.
- Sasuke...- sussurrò, come temendo di svegliare qualcuno, - sai, ho sempre creduto...che le piume dei susuki siano cadute dalle ali degli angeli. -
- Buffo. - provai a simulare un tono sarcastico, - anche io penso la stessa cosa. -
Cercai di ghignare, ma un sorriso mi affiorò sulle labbra. [Fan Fiction dal sapore SasuHina, con retogusto amaro.]
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HTML- Blue Sunday
Trama ideata da Ellie Uchiwa ©
Personaggi di Masashi Kishimoto ©
Canzone
Blue Sunday dei Doors ©










Nota: per i termini giapponesi, consultare il Glossario a fine storia.






A mia sorella.
Ci siamo ritrovate grazie a questo splendido pairing.
Ti voglio bene.
Alle Black Cats.
Una FanGirl non potrebbe desiderare amiche migliori.
Tingiamo di Black anche il 2009!












Blue Sunday


La prima volta che c'incontrammo fu in una domenica estiva dei miei sei anni, quando sentii la sua voce che mi chiamava, dicendo di scendere a salutare gli ospiti.
Chiusi il libro che stavo leggendo con un gesto secco, non mi fregava nulla dei nuovi vicini. Anche se, l'arrivo di una delle famiglie più ricche del Giappone era diventato l'argomento principale in tutto il quartiere.
Mi sarei sacrificato, presentandomi con un finto sorriso di circostanza, soltanto per lei. La mia mamma, alla quale non potevo rifiutare nulla.
Scesi le scale, fissando i tatami con sguardo torvo.
- Sasuke. - si voltò nella mia direzione, sistemandomi l'obi e facendomi una carezza.
- Ti presento la moglie del signor Hyuga, Hanako-san e sua figlia. - annunciò sorridendo.
Sentii l'imbarazzo avvampare, anche se non abbastanza da farmi arrossire, maledicendo il vizio di mia madre nel rimettermi a posto i vestiti.
Mi voltai, e sapendo quanto ci tenesse alle buone maniere, feci l'inchino ad occhi bassi; trattenendomi dal digrignare i denti.
La donna seduta sui cuscini di raso sorrise.
I capelli lunghi, raccolti elegantemente sulla nuca, avevano la stesa sfumatura corvina di quelli di mia madre, che io stesso avevo ereditato. Anche la pelle chiarissima era la stessa.
Fino a quel momento, avevo avuto l'infantile convinzione che la mia mamma fosse la più bella del mondo.
Eppure, guardando Hanako Hyuga, mi chiesi se il titolo non potesse essere condiviso.
Anche se avevo solo sei anni, mi rendevo conto che lei era bella.
Però non era il genere di bellezza delle idol che guardava mio fratello.
Era qualcosa di diverso.
Guardavo il suo viso dai lineamenti armoniosi come avrei potuto fare con i dipinti che mi portavano a vedere in gita scolastica.
Si aprì ancora di più in un sorriso, sotto il mio sguardo meravigliato, per poi voltarsi a guardare qualcosa dietro di lei.
Non mi ero accorto della mocciosa che le stringeva l'orlo del kimono violetto, come se questo fosse stato la sua unica ancora di salvezza. Il tremito delle spalle tradiva il disperato desiderio di scomparire; di essere in qualsiasi altro posto, tranne che qui.
Stupida bimbetta, pensai, mica ti mangio.
- Che bambina graziosa! - esclamò mia madre, per poi chiederle come si chiamasse, in tono rassicurante.
Lei barcollò in avanti, fece una graziosa riverenza, balbettando: - W...w-wa-watashi-wa Hinata-desu, hajimemashite. -
Non avevo mai immaginato che una persona potesse diventare così rossa.
- La scusi...è sempre stata molto timida. - intervenì Hanako, in tono di scusa.
Mia madre ridacchiò, assicurandole che non c'era nessun problema, per poi domandare: . Ha detto che vi siete appena trasferite dal Kansai, Hanako-san...è la prima volta che venite nel Kanto? -
Alla risposta affermativa, propose: - Perché non lasciate che mio figlio mostri il giardino alla piccola Hinata? L'estate ha dei bellissimi colori, da queste parti.-
L'altra donna annuì, sorridente. Posò una mano sull'esile spalla della figlia, per incitarla a muoversi.
Sotto lo sguardo attento di mia madre, non potei far altro che spalancare il fusuma del soggiorno, percorrendo il corridoio a lunghe falcate. Non mi presi nemmeno la briga di controllare se la mocciosa mi avesse seguito.
Mi chiesi cosa si fosse messa in testa la mamma, pensava forse di farmi fare il baby-sitter a una poppante di buona famiglia? Non avevo tempo da perdere con quella lì.
Io odiavo quel mondo, fatto di pensieri meschini abilmente nascosti da falsi sorrisi. Assurde buone maniere rivolte a persone che in realtà erano bestie.
Perché, se a Itachi era permesso di non parteciparvi, a me toccava rimanere imbrigliato in quella rete di falsità?
Era una schifosa ingiustizia.
Mi lasciai cadere sul terreno umido vicino al laghetto, cominciando a strappare gli steli d'erba accanto ai miei piedi.
Così assorto da quell'operazione di massacro, la testa che mi ronzava di pensieri cupi, non mi accorsi che si era avvicinata, finché non parlo con titubanza.
- P...p-posso sedermi? -
- Tsk...fai come ti pare! - ringhiai.
Mi chiesi se quella tipa non fosse del tutto scema, non vedeva che volevo stare da solo?!
Si sedette accanto a me, incurante del fatto che una macchia di terra aveva sporcato il suo kimono rosa, cingendosi le ginocchia.
Un venticello leggero scompigliò i suoi cortissimi capelli neri, facendo sì che le ciocche più lunghe si incollassero al viso, ma non sembrò farci caso. Se ne stava lì, a occhi bassi.
Mi voltai bruscamente, per escluderla dalla mia visuale.
Gli unici rumori erano quello delle carpe che saltavano fuori dall'acqua e il fruscio del vento tra le fronde.
Era una splendida giornata, come non se ne vedevano da tempo. Il cielo aveva assunto una sfumatura di blu, talmente intensa da sembrare irreale. Ero certo, che anche per il più bravo dei pittori, fosse impossibile riportare quell'esatta tonalità su tela.
E' un'idilliaca domenica blu, mi venne da pensare.
Mi accorsi che la rabbia e l'irritazione di poco prima erano state spazzate via, come minuscoli granelli di sabbia in un mare troppo bello e sconfinato.
Non mi ricordai di lei, finché un delicato profumo di lavanda, come quello del sapone che usava mia madre e il delizioso aroma dello zucchero vanigliato mi solleticò le narici.
Forse sentì il mio sguardo sulla schiena, perché alzò la testa di scatto, guardandomi.
Ha gli occhi di sua madre, pensai. La stessa peculiare tonalità.
Una sfumatura unica al mondo, ne ero certo. Cristallina come il ghiaccio.
Però, anche se avevano quel colore gelido, erano occhi limpidi e puliti, non oscurati da nessuna ombra.
Avevo l'impressione che, guardandoli, riuscissi a scorgere la sua vera anima.
Quelle iridi mi stavano guardando con dolcezza mista a timore.
- Go...gomen nasai.-
- Nani?-
- M-m-mi dispiace...s-se ho f-fatto qualcosa che ti ha...i-i-irritato...N-n-non era m-mia intenzione...causarti p-problemi...- bisbigliò, congiungendo gli indici in un gesto di nervoso imbarazzo.
Tacqui, perché sentivo che voleva aggiungere qualcosa. Che arrivò, ma in tono talmente basso che feci fatica a coglierlo.
- I-io v-vo-volevo s-solo co-conoscerti...-
Rimasi interdetto; sia per quello che aveva detto, ma anche perché avevo capito che la pensava come me.
Le parole sono soltanto un futile mezzo per esprimere sentimenti.
- Non vedo cosa ci sia di male. E poi, io non giudico le persone dalla prima impressione. Per la cronaca, mi chiamo Sasuke, Sasuke Uchiha. - nascosi il disagio con l'irruenza.
Fu allora che mi sorrise per la prima volta, lasciando trapelare la stessa gioia che avrebbe potuto avere di fronte ad un regalo inaspettato.
- Piacere di conoscerti, Sasuke-kun! -
- Senti, io odio qualsiasi tipo di appellativo onorifico. Sono una cavolata. Io mi chiamo Sasuke, punto e basta.- ci tenni a mettere in chiaro.
Scese di nuovo il silenzio, ma non era sgradevole; forse entrambi eravamo stanchi di parlare.
Il sole estivo si adagiava sulla nostra pelle, trasmettendoci un piacevole tepore, mentre le cicale avevano cominciato il loro quotidiano concerto. Sotto quella calda luce, i fiori dei keyaki sembravano brillare come oro.
Posavamo lo sguardo su tutto e niente, consapevoli e indifferenti al tempo stesso di quel che avevamo attorno.
- Sasuke...- sussurrò, come temendo di svegliare qualcuno, - sai, ho sempre creduto...che le piume dei susuki siano cadute dalle ali degli angeli. -
- Buffo. - provai a simulare un tono sarcastico, - anche io penso la stessa cosa. -
Cercai di ghignare, ma un sorriso mi affiorò sulle labbra.
Improvvisamente, delle note ci giunsero alle orecchie; con tutta probabilità Itachi doveva aver lasciato la radio a pile accesa e la finestra aperta.

I found my own true love was on a Blue Sunday
She looked at me and told me
I was the only, One in the world.
Now I have found my girl.
My girl awaits for me in tender times
My girl is mine, She is the world
She is my girl.

My girl awaits for me in tender times
My girl is mine, She is the world
She is my girl

Trattenni il fiato e sentii che lei faceva lo stesso.
Un brivido, stranamente piacevole, mi scorreva attraverso tutto il corpo, come linfa vitale; per poi arrivare al cuore e darmi una stretta. Dolce, però.
Mi voltai, incrociando nuovamente il suo sguardo.
I found my own true love was on a Blue Sunday.
Le scacciai, stupito di quel che avevo pensato.
In quel momento, mi chiesi se fosse dovuto solo al potere intrinseco nella musica.
Prché ancora non potevo sapere che quella sarebbe diventata la colonna sonora della nostra vita.

Da quel momento divenne l'inizio e la fine delle mie giornate.
Li ricordo come momenti piacevoli, fatti di mugicha preso al chiosco vicino la scuola,
senbei sgranocchiati sull'erba, anmitsu gustato a gambe incrociate sulla veranda
e lunghi silenzi.
Ma anche questi, in qualche modo, erano dolci.
Sembrava che le nostre entità si stessero modellando, abituandosi l'una alla forma dell'altra,
per poi fondersi insieme.




- Sasuke, vogliamo andare? - mia madre mi stava chiamando, ma nel suo tono gentile si scorgeva una traccia di nervosismo.
Da un'ora mi ero chiuso nello studio di mio padre, unica stanza con la chiave e da allora mi ero rifiutato di uscire.
- Io non ci vengo! - urlai per la centesima volta.
Mi appoggiai al legno, le orecchie tese, sentii dei passi che si dirigevano al piano inferiore.
Tirai un sospiro di sollievo, forse aveva rinunciato.
All'inizio del mese avevo espresso la ferma convinzione che "quella stramaledettissima sera" non avrei messo piede fuori casa: stessa scena di tutti gli anni, insomma. Quindi non mi capacitavo di come mia madre potesse ancora sperare. Se fino a quel momento non ci ero mai andato, cosa le faceva pensare che avrei cambiato idea?
Mi rannicchiai con la testa appoggiata alle ginocchia, osservando la stoffa dello yukata nero che mi avevano fatto indossare a forza.
Sobbalzai, sentendo dei leggeri colpi.
- S-s-sasuke... -
- No. -
- M...ma... -
- Ho detto di no. -
La sentii mugolare, per poi tentare l'ultima carta.
- Sasuke....tipregotipregotipregotipregotiprego...c-ci t-t-terrei ta-tantissimo...a festeggiare il tanabata...c-c-con t...t-te. -
- Che rompiscatole. - borbottai, appoggiandomi alla porta con le braccia incrociate e osservando Hinata per la prima volta, quella sera.
Tormentava i lacci della piccola borsa a sacca, abbinata per colore al kimono di cotone che indossava: un azzurro chiarissimo, quasi pastello, che stava bene con i suoi occhi chiari, la pelle lattea e i capelli scuri.
L'obi candido, riprendeva gli spruzzi schiumeggianti delle onde impresse in bassorilievo sulla stoffa: sembrava che quella decorazione marina, così eccentrica, fosse fatta su misura per lei.
Fu allora che capii l'affinità tra Hinata e l'acqua e quanto amasse il mare.
Mi guardò, sorridendo imbarazzata, forse aspettando un commento, che non arrivò. Mi limitai a sbuffare sonoramente, scendendo le scale a passo pesante.
Non risposi al sorriso che mi rivolse mia madre quando mi vide passare, spalancai il fusuma con violenza, gemendo per l'aria calda della sera.
I miei geta provocavano un baccano infernale sul sentiero acciottolato, forse perché camminavo strusciando il più possibile i piedi. Rimasi a testa bassa, fissando il terreno, per un lasso di tempo indeterminabile, finché non alzai il capo di scatto, indirizzando il mio sguardo verso un punto dietro di me.
Se ne stava lì, titubante; ebbi il tempo di vederla per un istante, finché non venne sommersa dalla folla che si stava dirigendo sulle sponde del fiume.
Mi slanciai in avanti, afferrandole la mano con forza.
- Cretina, stammi vicino o ti perderai. - la ripresi.
- D-d'accordo... - mormorò, continuando a fissarmi con i suoi grandi occhi cerulei.
Mi chiesi cosa diamine avesse da fissare.
- Sasuke... - mormorò, mentre sentivo la sua mano tremare nella mia.
- Cosa c'è? -
- C-conosci la...l-leggenda d-del Ta-tanabata? -
- No e non credo di essere interessato. -
Quando vidi, inorridito, che aveva abbassato il capo e temetti che stesse per scoppiare a piangere, mi affrettai ad aggiungere:
- Ma...se proprio ci tieni, ti ascolterò. -
- Arigatou gozaimasu! - trillò felice.
Notai con disappunto che aveva congiunto le punta delle dita, prendendosi qualche attimo per riflettere, poi iniziò a parlare.
- Si narra che la figlia dell'Imperatore del cielo, Orihime, fosse un'abilissima e instancabile tessitrice. Vedendo il suo impegno nel lavoro che le era stato affidato, suo padre pensò di farla sposare al pastore Hikoboshi, anch'egli grande lavoratore. Dopo il matrimonio, però, i due cominciarono a trascurare i rispettivi lavori per dedicarsi l'uno all'altra. L'imperatore del cielo, adirato, li trasformò in stelle. Hikoboshi nella stella Altair e Orihime nella stella Vega e tra essi si creò la Via Lattea. Dopo un po' di tempo, l'Imperatore del cielo non ce la fece più a sopportare la disperazione della figlia, così le concesse di vedere il suo innamorato una sola notte l'anno. La settima notte del settimo mese, ma solo nel caso in cui il cielo fosse sereno, in caso contrario i due non sarebbero stati in grado di trovare la strada. -
- N-non p-pe-pensi c-che sia m.molto r-ro-romantico? -
- Mhm...deprimente, direi. -
La vidi rimanere basita, spiazzata, al che mi sentii in dovere di spiegare,
- Per come la vedo io...due persone che si vogliono bene, che si amano -come nel caso di Orihime e Hikoboshi - devono fare il possibile per rimanere insieme. -
- Ma...il padre...-
- Andando anche contro tutti, se necessario. - durante tutta la mia spiegazione non la guardai mai in viso; temendo che, nonostante l'oscurità fosse calata, quel maledetto rossore potesse essere facilmente distinguibile, a causa della mia pelle fottutamente chiara.
Sentii che stringeva nuovamente la mia mano, il contatto della sua pelle morbida e dannatamente calda.
- Ha...hai r-r-ragione... - mormorò.
Illuminata dalla fioca luce delle lanterne tradizionali, constatai che il suo volto era molto, molto più rosso del mio.
- Lo so. -
La mia voce venne sovrastata da un famigliare boato, seguito da un colorato riverbero. Alzammo la testa di scatto, vedendo il cielo notturno illuminato da mille scintille variopinte.
Non mi erano mai piaciuti i fuochi d'artificio, ma quella volta mi sembrarono passabili.
- Che Orihime-san e Hikoboshi-san possano rivedersi anche quest'anno.... - disse lei, al mio fianco, gli occhi lucidi.
- Tranquilla, non ci sono nuvole che impediscano loro di vedersi. - la rassicurai.
- ....E-e-esprimiamo a-anche noi u-un desiderio, Sasuke? -
- Va bene. -

- ...di rimanere sempre insieme. -




Tic. Tic. Quel rumore insistente mi strappò allo stato di dormiveglia in cui ero caduto, lasciandomi irritato e confuso.
Chi cavolo era che faceva confusione nel cuore della notte?!
A piedi nudi mi avvicinai alla finestra, da dove pensavo provenisse quella specie di ticchettio. Vidi dei sassolini bianchi cozzare contro il vetro: ecco cos'era.
Alzai bruscamente le imposte, cercando di distinguere qualcosa nell'oscurità del giardino sottostante.
Poi la vidi: indossava una camicia da notte bianca.
- Hinata?! - mi lasciai sfuggire, sorpreso.
- P-p-posso entrare? - mi chiese, cercando di farsi sentire nonostante il tono basso.
- Aspetta qui. - le ordinai, scomparendo dalla vista.
Dieci minuti dopo mi issavo su quello stesso davanzale, con lei sulle spalle.
- Allora, che è successo? - domandai, appollaiandomi sul piano della scrivania, - se piombi in casa mia a quest'ora, ci sarà un motivo. -
Non diede alcun segno di avermi sentito, rannicchiata sul tatami, nel punto in cui l'avevo lasciata.
- Hey, mi stai ascoltando?! - chiesi, alzandomi di scatto e avanzando verso di lei.
- Ma ti ha dato di volta il cervello o...? - mi bloccai, le mani sulle sue spalle per costringerla a guardarmi.
Stava piangendo.
Piccole lacrime argentate le rigavano le guance, per poi gettarsi nel vuoto, bagnandole la gonna; mentre altre minuscole stille erano appese alle ciglia.
E poi, i suoi occhi.
E' assurdo, se si parla di lei mi vengono in mente solo paragoni bizzarri. Guardando le sue iridi, mi venne spontaneo associarle ad uno specchio andato in frantumi.
Come se qualcosa, quella notte, si fosse irrimediabilmente spezzato dentro di lei. E per quante parole gentili avrebbe potuto proferire, per tutti i sorrisi imbarazzati in cui si sarebbe potuta aprire, Hinata non sarebbe stata mai più come prima. Un po' meno ingenua, un po' più timorosa di essere ferita; un po' più consapevole del vero volto della vita.
- O..oka-san...- proruppe in un gemito strozzato, mordendosi convulsamente le labbra in un vano tentativo di trattenere le lacrime.
In quel momento non riuscii a capire niente, sembrava che tutti i pensieri sensati fossero stati spazzati via, lasciando solo un caldo e soffice vuoto.
La mia presa sulle sue spalle si sciolse, mentre mi scostavo un poco, sedendomi accanto a lei.
- Sai...ogni sera ho l'abitudine di apparecchiare, prima che me lo dica la mamma, così so di farle un piacere. E, come sempre, sono salita in camera sua, per chiederle di scendere... -
Aveva iniziato a parlare all'improvviso, serrando gli occhi con forza e stringendo i piccoli pugni, per poi guardarmi smarrita, gettando le braccia lungo i fianchi. Sembrava un qualcosa di minuscolo, in balia dell'immenso.
Vedendo la sua mano, lì, abbandonata, il mio corpo si mosse prima che la mente potesse articolare il pensiero di stargliela stringendo.
A quel segno, sembrò ritrovare la forza per continuare, la voce un sussurro tremolante.
- Davanti alla porta, ho chiesto se potevo entrare, ma stasera non mi ha risposto nessuno. Ho aspettato un poco e poi ho riprovato, più volte, ma sembrava quasi che non mi sentisse. Allora sono entrata, magari si era addormentata... - prese un forte respiro, scoccandomi un'occhiata, per poi continuare, - La stanza era in penombra, pensai che fosse strano, perché accendeva sempre le candele. Mi sono mossa a tentoni e ho visto che il futon non era stato tirato fuori. Poi, però...non vedevo bene.C'era come un'ombra sul vetro della finestra. Ho aspettato che i miei occhi si abituassero al buio e...sono andata avanti. -
Una lacrima le rotolò sullo zigomo morbido, scendendo giù fino al mento, volando fino a bagnare i miei pantaloni. Mi strinse la mano con forza.
- E...era lei. In piedi davanti la finestra. L'ho chiamata. Ma non si era mossa: come poteva non avermi sentito? E poi..ho capito perché. C'era vuoto. Un grosso spazio vuoto da terra fino ai suoi piedi. E...ho guardato in alto. C'era un corda. Spessa. Che non avevo mai visto... -
Emise un lamento, come quello di un cucciolo ferito, piegando appena la testa in avanti e appoggiandola al mio petto.
Pianse, tremante e scossa dai singhiozzi, per un tempo indefinito, ma abbastanza affinché la maglia del mio pigiama fosse completamente bagnata. Non potei far altro che rimanere immobile a guardarla, incapace di fare qualcosa; se non passarle un braccio intorno alle spalle e stringerla, con il timore che si potesse spezzare, tanto era fragile.
Alla fine la scostai, senza guardarla: non ci riuscivo, la sua vista, in quello stato, mi dava una stretta al cuore.
Mi limitai ad arrivare davanti al futon, sollevando la trapunta e scoccandole un'occhiata di traverso.
- Datti una mossa a venire sotto. - le intimai.
Lei tirò su con il naso, facendosi avanti a gattoni; una volta sotto la coperta si rannicchiò in un angolo, senza dire una parola. Sospirando, mi distesi accanto a lei, le braccia dietro la nuca, intento a fissare il soffitto.
Nonostante questo, il suo profumo dolce sembrava permeare ogni cosa.
- Sasuke... - sussurrò, cercando di non far tremare la voce.
- Che c'è? -
- Dozo arigato gozaimasu. -
- Do itashimashite. - risposi in tono sarcastico.
La sentii trarre un respiro, umido. Cosicché voltai la testa verso di lei, constatando che aveva nuovamente gli occhi lucidi.
- Baka, smettila di frignare o ti chiudo nell' oshire! - la minacciai.
Adesso i suoi singhiozzi avevano il sapore di una risata.
- Ora dormi. - ordinai.
- M...ma...-
Sbuffai, - Dai, dimmi. -
- Sasuke, potresti farmi una promessa? - bisbigliò, le guance che avevano assunto una sfumatura rosa scuro.
- Vorrei che tu mi promettessi, non deve essere assolutamente un obbligo, però... che che tu starai sempre con me. Non mi lascerai mai sola. - mormorò, fissando il motivo della trapunta.
Abbozzai un ghigno, - Scema, come faresti se non ci fossi io? Figurati, non sapresti cavartela. -
Alzò la testa, guardandomi, ormai bordeaux. - Allora? -
Le voltai le spalle, borbottando: - Ci sarò sempre. -
- Adesso ti decidi a dormire, sì o no?! - ruggii.
- Hai! - bisbigliò obbediente.
Si accoccolò e sentii la sua guancia sulle schiena, la punta del suo naso sfiorarmi la maglietta.
- Oyasumi nasai, Hinata. -

Era una bambina timida, tremendamente attaccata alla madre.
Ma Hanako Hyuga si suicidò, diciotto mesi dopo averla vista per la prima volta.
Quella notte ebbi l'ennesima conferma della sua forza.
Era un'idea affiorata la sera del matsuri quando un vecchio saggio
ci pose quell'antico indovinello cinese.
" In un giorno di tempesta, chi è più forte tra la quercia e il giunco? "
Lei, come il giunco, si piegava dolcemente sotto le raffiche del vento, senza spezzarsi mai.
Ed era in grado di riversare il dolore nelle lacrime.
Cosa che non sarei mai stato in grado di fare.




Incredibile come potessi amare e odiare al tempo stesso la pausa pranzo.
Ormai era diventata una specie di competizione.
La campanella non aveva ancora finito di suonare, che già avevo varcato la porta dell'aula. Fregandomene del divieto di correre nei corridoi, proprio io che ero il capoclasse, raggiungevo il cortile. Controllando che la via fosse libera, scattavo a tutta velocità in direzione del capanno degli attrezzi sportivi. Senza fiato, mi appoggiavo al muro con noncuranza, appurando se ero effettivamente solo, dopodiché m'intrufolavo all'interno.
Se tutto andava bene, dovevo attendere solo una decina di minuti. Al contrario, se tutta la mia laboriosa strategia andava a farsi fottere, saltavo il pranzo. Troppo occupato a scappare da...non so nemmeno io come definirle. Se volessi essere gentile, potrei chiamarle "galline". L'Haruno e la Yamanaka che capeggiavano il gruppo. Sempre loro, che mi perseguitavano dall'asilo, come un tenace mal di denti.
Però, essendo ormai diventato un genio della fuga, il novanta percento delle volte andava tutto a buon fine.
Il mio stomaco faceva una capriola, ma non per la fame, vedendola entrare.
Mi lambiccavo il cervello, dato che non riuscivo a capire come potesse passare inosservata.
Ero solo io a trovarla...vabbè, poco importa.
Indossava la divisa femminile con vergogna, un sorriso gentile sulle labbra e i capelli neri. che le sfioravano le spalle, raccolti con un fermaglio.
- Sasuke, tutto bene? - m domandava, sedendosi su un materassino per gli esercizi a terra.
All'inizio della prima media, l'assurdo di quella situazione ci faceva scoppiare a ridere. Adesso, che eravamo in terza, trovavamo tutto molto confortante.
Anche perché era l'unico momento in cui non dovessi chiamarla "Hinata-san"(*), né mostrare un atteggiamento distaccato nei suoi confronti.
Rispondevo che non c'erano stati problemi, mentre m'incalzava, dicendo di raccontarle la mia giornata.
Dato che sembrava sinceramente interessata, parlavo.
Così, il nostro rituale di domande e risposte si ripeteva ogni giorno, come se fosse stato qualcosa di sacro.
Soltanto adesso mi rendo conto quanto quella situazione potesse farla soffrire.
Il mio egoismo mi rendeva cieco, impedendomi di vedere la domanda che si rifletteva chiaramente nei suoi occhi.
Ti vergogni di me?
No, non è così, avrei dovuto rispondere, ma essendo una persona fondamentalmente egocentrica, pensavo di fare la cosa migliore per lei. Ero certo che l'essere sulla bocca di tutti le sarebbe stato intollerabile.
Ciononostante, non si lamentò mai. Tutti i giorni, senza eccezioni, mi cucinava il bento, avvolgendolo in un fazzoletto di seta azzurra.
Solo una volta, verso la fine dell'anno, mi pose una domanda; pensai di essermelo immaginato, quel tono vagamente malizioso.
- Sasuke, è vero che ti piacciono le ragazze con i capelli lunghi? -
Posai le bacchette con lentezza, lanciandole un'occhiata irritata.
- E questa da dove l'hai tirata fuori? -
- E'... è solo che, ho sentito Sakura-san e Ino-san discutere... - tentò di giustificarsi, ma non la lasciai terminare.
- E tu credi a quelle ...due? - la aggredii.
- Appunto per questo te l'ho domandato. - rispose, in tono calmo.
Decisamente, avevo influenzato quella ragazzina.
- Mhm...potrebbe anche essere vero. - borbottai, mangiando gli o-nigiri con l'umeboshi.

Decisi che almeno io avrei dovuto risparmiarle delle sofferenze.
Così, con l'inizio delle superiori, prendemmo l'abitudine di andare a mangiare
in un piccolo ristorante di soba, incuranti degli sguardi altrui.
Sembrava davvero felice. E lo ero anche io, di riflesso.
Durante l'estate si era lasciata crescere i capelli,
che le arrivavano all'incirca dieci centimetri sotto le spalle.




Ho sempre detestato l'autunno, specialmente quell'anno.
Le foglie morte che cadevano sui marciapiedi sporchi, calpestate da migliaia di persone fino ad essere ridotte in polvere; quei cadaveri formavano una poltiglia ai lati delle strade, l'acqua piovana li conduceva nei canali di scolo.
Erano settimane che la pioggia si abbatteva incessantemente sulla città, ecco spiegato il motivo del perché mi trovassi completamente fradicio sotto la finestra di quella che, per tutti,era solo la mia vicina di casa.
Non sapevo che ore fossero, ma continuavo a non controllare l'orologio; sapevo che l'oscurità era scesa già da un p'ò, rendendo l'aria notturna ancor più gelida. Stavo gradualmente perdendo la sensibilità delle mie membra e avevo la sensazione che se un braccio o una gamba si fossero staccati non me ne sarei accorto, tanto la mia somiglianza con un blocco di ghiaccio andava aumentando.
Ma, alla fin fine, quel giorno, non mi sarebbe importato.
Non so quanto tempo passai ad osservare quel vetro solcato da rigagnoli d'acqua, sperando in un fottutissimo segno che l'avrebbe indotta ad affacciarsi.
E poi, finalmente, quella tendina azzurra venne scostata, rivelando il suo volto pallido, le labbra dischiuse. Benedetta Hinata, ero sicuro che le piacesse guardare la pioggia di notte, perché era una cosa che facevo spesso anch'io.
La vidi sgranare gli occhi, poggiare una mano sul vetro gelido, osservandomi per una frazione di secondo; poi, nella stessa minima frazione d'istante, scomparve nell'oscurità della camera.
Pochi minuti dopo, sentii il fastidioso cigolio di cardini non oliati, vedendomela comparire di lato, da un'uscita secondaria.
Nel breve tempo che impiegò a raggiungermi, sembrò sondare ogni recesso della mia anima, con i suoi grandi occhi candidi. Le gocce di pioggia, che fino a quel momento avevano solcato il mio corpo, trovando una scappatoia nell'orlo della felpa, s'infransero sull'ombrello, con il quale stava coprendo entrambi.
- Vedo che sei rimasta una mocciosa di sette anni: porti le stessa camicie da notte. - commentai, facendo scorrere lo sguardo oltre al suo maglione azzurro.
- Avevo quasi otto anni. - ci tenne a chiarire, sorridendo dolcemente.
Commentai con un "tsk", accorgendomi con qualche secondo di ritardo che mi stava scostando i capelli bagnati dal viso, sfiorando la mia pelle gelida con le sue dita bollenti.
- Sei bagnato come un pulcino, Sasuke. - constatò, preoccupata.
La guardai, non trovando la forza di replicare, né tantomeno alla stretta sul braccio, cosicché mi limitai a seguirla.
Camminando silenziosamente come felini, facendo scorrere i fusuma senza produrre alcun rumore, raggiungemmo una porticina bianca; l'aprì e la richiuse furtivamente, facendo sì che i Jim mi squadrassero nella loro cartacea esistenza. Contai: i poster erano tre in tutto, uno sulla porta, l'altro sopra il letto e l'ultimo occupava un'intera parete. In un'altra occasione, la cosa mi avrebbe divertito fino a farmi ghignare, penso.
Feci scorrere lo sguardo sul resto della camera. annotando mentalmente le pile di dischi in vinile, gli scaffali pieni di libri e...una mostruosa quantità di peluches.
Non mi mossi, rimanendo immobile vicino alla stessa finestra che avevo osservato per ore; senti vagamente la sua voce, incapace di articolare quel suono in parole. Avvertii un minore peso sulle spalle e un clangore metallico, segno che, arrossendo furiosamente, mi aveva tolto il chiodo impregnato di pioggia.
I contorni delle cose si fecero più definiti e finalmente riuscii a mettere a fuoco la sua figura. Mi mossi verso di lei, come un automa, sentendo la forma delle sue spalle esili sotto le mie mani, venendo sopraffatto dal profumo di vaniglia dei suoi capelli, sfiorando la sua pelle calda. Ebbe soltanto un minimo tremito, per poi voltarsi e ricambiare il mio abbraccio.
- Ha... - sentii una voce che non sembrava la mia pronunciare delle parole, - non è rimasto nessuno. -
- Lui... - frasi spezzate senza coerenza, ma sembrò capire ugualmente.
Si scostò, per guardarmi in faccia, annuendo; vidi che teneva una mano davanti alla bocca, soffocando i singhiozzi, il volto ormai bagnato di lacrime.
Mi abbracciò di nuovo, di slancio, sussurrando sul mio orecchio: - Ho capito, Sasuke... ho...capito... -, non riuscendo a trattenere i singulti. Le cinsi la vita, inspirando profondamente quel buon odore.
Sapevo che avrebbe capito, l'unica.
Sapevo che riusciva a vedere la porta di casa insolitamente spalancata per quell'ora tarda e il mal tempo.
Le finstre aperte, i vetri rotti sparsi sul pavimento.
Forme scure sulle quali non mi ero soffermato, troppo preso a correre in avanti, calpestando il tatami macchiato da macabre gocce scure.
Le sue lacrime mi bagnavano il collo e il suo respiro ridava calore al mio corpo; non riuscii a far altro che stringerla, volendo sentirla sempre più vicina. Le nostre gambe intrecciate, i fianchi incastrati e il suo petto che premeva contro il mio.
Ero certo che avesse visto quella pistola scintillare nell'oscurità.
I corpi inermi sul pavimento e quel lago purpureo che si allargava sotto di essi.
Il suo sorriso sardonico e l'ultimo sguardo di quello che era stato mio fratello.
Proprio quando temevo di cedere, lei mi strinse con forza; con un vigore che non le credevo proprio. Sentii la presa delle sue mani sulla mia schiena farsi ferrea; quasi volesse tenermi in piedi. Perché quella sconosciuta padronanza che stava esercitando su di me, scaldando la mia anima, schiarendo la mia mente e afferrando il mio corpo erano il suo modo per dirmi " Io sono qui, non ti lascio. "
Non era brava a parole, Hinata, non lo era mai stata; ma aveva trovato un altro modo per farmi sentire il suo affetto. Forse, tra i due, quella geniale era lei.
Solo allora, assorbendo il suo calore, con il maggior appoggio che avessi mai avuto in vita mia, riuscii a piangere.
Una sola lacrima, che si mischiò a quelle che aveva già versato per me.
E, fra tanti pensieri, se ne fece largo uno.
In un momento simile, ripensai alle parole chiave di quella canzone che avevamo ascoltato centinaia di volte.
She is my girl.
Ero sicuro che fosse vero.

Quella notte mi sentii nudo, vulnerabile.
Lei aveva visto la parte più debole di me.
Per questo, temetti di non poterla più guardare in faccia.
Ma fu proprio il suo sguardo candido a cercarmi,
la sua mano che stringeva la mia, con forza.
E io fui in grado di ricambiare la sua stretta, con la stessa intensità.




Gettai la cartella a terra, dirigendomi verso la finestra. Mi sedetti sul davanzale, pigiando il tasto "play". Una bella canzone era proprio l'ideale, sapendo quel che mi aspettava. Ho sempre odiato i primi giorni di scuola, con saluti e convenevoli e quelle oche che tornavano alla carica. Mi chiesi se avessi fatto qualcosa di male nella vita.
Rimasi immobile per qualche minuto, lasciando che la musica mi trasmettesse tutta la sua energia, per poi cliccare su "off".
Mi misi le mani in tasca, distrattamente, urtando con le dita un pacchetto rigido. Me lo portai davanti agli occhi, fissandolo accigliato.
Beh, infondo che c'era di male? Mi guardai velocemente attorno, accertando di essere solo e feci scattare l'accendino.
Inspirai a fondo, contento di fumarmi in pace una sigaretta dopo tanto tempo. Avevo iniziato a fumare dopo la morte dei miei genitori -mi irrigidii al pensiero-, ma quell'essere dall'aspetto angelico non me lo aveva più permesso. Diabolica.
Buttai fuori il fumo, con piacere, ma non feci in tempo a trarre un'altra boccata poiché la sigaretta mi venne strappata dalle labbra.
- Chi cazzo...?! - sbottai, aprendo gli occhi, - oh, sei tu. -constatai, in tono lugubre.
- Buongiorno anche a te. - il tono era falsamente benevolo, come il sorriso.
- Smettila di fare la falsa, sai che non lo sopporto. - mentii, sapendo di mentire.
- Sai che fumare fa male. - mi rimproverò, mettendosi le mani sui fianchi. Il tono che tradiva dolcezza e quel modo di imporsi ricordava mia madre, cosa che mi fece venir voglia di ridere e piangere al tempo stesso.
- Tsk. - mi scostai dalla finestra per sedermi al mio banco.
- Sasuke... perché questa mattina non mi hai aspettato? - domandò, mettendosi di fronte a me. Aveva l'abitudine di volermi guardare negli occhi quando parlavamo.
- E che ti frega? La strada la conosci. - replicai.
- Ma mi sarebbe piaciuto farla con te. - mormorò afflitta, abbassando lo sguardo.
Kuso.
Sorrise dolcemente, esercitando una lieve stretta sul mio braccio.
Il chiassoso trillare della campanella diede il segnale alla massa di studenti, che cominciò a riversarsi nelle aule. Sentii i muscoli tendersi, come se fossero pronti a dover trasportare qualcosa di molto pesante. Digrignai i denti, mentre tiravo fuori i libri: il mio sguardo, tuttavia, sembrava irresistibilmente attratto dalla sua figura.
Mi sorrise di sfuggita, sedendosi al suo posto, la schiena perfettamente dritta.
Avevo l'impressione che tutto ciò che la riguardava avesse una nitidezza innaturale, mi accorgevo del modo in cui si sistemava una ciocca di capelli dietro l'orecchio, di come inclinava la testa quando faceva una domanda, della sua abitudine di massaggiarsi le tempie mentre studiava, l'ombra delle lunghe ciglia sulla pelle.
Un rumore improvviso fece sobbalzare tutta la scolaresca, solo un'istante dopo capimmo che qualcuno aveva aperto la porta con particolare violenza.
Sulla soglia c'era un ragazzo, capelli biondi e occhi azzurri, che indossava la divisa scolastica, il gakuran aperto e senza bottoni. Si fece avanzi, afferrando il gessetto con aria teatrale e iniziando a scrivere qualcosa in modo frenetico.
Naruto Uzuamki. Riuscii a distinguere nella scrittura disordinata.
Batté una mano sulla cattedra, iniziando a urlare: "Hi, girls! My name is Naruto -The Champion- Uzumaki, nice to meet you! I'm German so I don't speak Japanese very well,,,so, if a nice girl wants to teach me, I'll accept with a big pleasure. Come on babies, don't be shy!" (**)
Sorrise, battendosi un pugno sul petto; notai che il suo sguardo si era posato su di lei.
Un colpo di tosse fece sobbalzare tutti quanti.
Kakashi era entrato nell'aula, squadrando il nuovo arrivato con l'unico occhio visibile.
- Uzumaki, eh? Vedo che sei un soggetto turbolento e imprevedibile, chissà che la vicinanza con la signorina Hyuga non ti giovi. - commentò laconico, indicandogli il posto accanto a quello di Hinata.
Mi chiesi cosa cazzo stesse facendo quel professore da strapazzo.
- E' bellissima, dattebayo! - esclamò con un pesante accento, scaraventando la cartella sul banco.
Contrassi i pugni, istintivamente. E, in una medesima spontanea azione, sfiorai con le dita il walkman, accendendolo.
Le famigliari note di Blue Sunday mi giunsero all'orecchio, insieme al loro effetto calmante.
Mi accorsi di star sillabando sottovoce alcune parole della canzone, più e più volte, in modo talmente naturale da non rendermene conto.
My girl is mine.
Un improvviso rumore di sedie spostate e il trillo della campanella mi fecero sobbalzare, non mi ero accorto che le lezioni fossero finite.
Mi succedeva spesso: a contatto con la musica, il tempo si dilatava all'infinito, mentre il realtà scorreva via come acqua corrente. E non mi rendevo conto che in realtà erano trascorse delle ore.
Raccolsi in fretta la mia roba, per poi voltarmi e passare in rassegna gli studenti; avevo promesso di accompagnarla a casa.
La vidi. Vicino alla porta, stava cercando di uscire, ma una persona le stava bloccandola strada.
- Neeeeeee, Hinata! Esci con me, ti offro la cena! - quella voce fastidiosa sovrastò il fracasso.
L'aveva chiamata Hinata. Cosa che, fino a quel momento, solo io avevo fatto.
Mi feci avanti, nonostante i compagni mi tagliassero la strada; anche se mi coprivano a tratti la visuale, non mi sognai affatto quella mano sulla sua spalla.
- Allontanati immediatamente, dobe. - ordinai in tono minaccioso, stringendo quel polso abbronzato con eccessiva forza, tanto da lasciare il segno.
Il suo sguardo saettò da lei, a me e infine sull'arto bloccato, iniziando a sbraitare, iniziando a urlare, - Eh? Che c'è?! Lasciami! Teme! -
- Sei straniero e forse non capisci la nostra lingua. Ti ho detto che devi allontanarti da lei. - lo lasciai andare.
- Subito. - aggiunsi, ma non feci in tempo a terminare che mi colpì sullo zigomo destro, veloce e preciso.
Non riuscì a farmi male, bruciava appena, ma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso; dopotutto, chi mi conosce lo sa, non sono mai stato una persona paziente.
Lo squadrai con odio, vedendo che si era voltato verso di lei, abbassando la guardia, per ammiccarle.
- Non preoccuparti, honey, risolvo tutto in cinque minuti e sono da te, dattebayo! Scusa eh, ma è una questione di principio: quello mi è stato sulle scatole da subito. -
Contrattaccai, mandandolo a terra; si rialzò, lamentandosi: - Non lo sai che colpire alle spalle è sleale?! -
- Oh, giusto, gomen. La tua faccia a culo mi ha mandato in confusione. -
Con un calcio riuscì a farmi piegare in due, risposi con ferocia, colpendo ogni punto scoperto; temprato dagli allenamenti nel dojo di famiglia.
- Sasuke, fermati...per favore. - quel sussurro mi riportò alla realtà.
Lei mi stava guardando, gli occhi sgranati in cui potei scorgere paura. Non era certo la prima volta che facevo a botte,ma non avevo mai permesso che lei assistesse.
Misi le mani in tasca, nascondendo le gocce di sangue che mi bagnavano le nocche, scoccando uno sguardo verso il corpo a terra.
- Tsk. Tranquilla. Non si è fatto niente, ha la pellaccia troppo dura. - dissi, cercando in qualche modo di tirarla su.
- ...Eh già, che credevi, Teme, non basta così poco per mettermi KO! - esclamò Naruto, che si era messo a sedere contro il muro. Aveva un'aria soddisfatta che conoscevo troppo bene, quella di chi ha fatto finalmente una rissa come si deve e ne è contento.
- Taci, usuratonkachi. Guarda come sei ridotto prima di dire cazzate. -


E così Naruto entrò a far parte delle nostre vite.
Un'entrata teatrale, tanto per cambiare.
Lei aveva un carattere di luce, con tante ombre.
Io un carattere d'ombra con tante luci.
Era lei la mia luce.
E Naruto era il Sole.
Troppo grande, troppo caldo, troppo brillante per noi.




Dopo averla chiamata, l'aspettai seduto sulla moto, fumandomi quella che sarebbe stata la prima e ultima sigaretta della giornata.
Mi comparve davanti, le gote arrossate e l'espressione radiosa, regalandomi uno dei suoi dolci sorrisi.
- Konnichiwa, Sasuke! - esclamò, raggiungendomi.
Risposi con un "yo" non troppo entusiasta, porgendole un casco.
- Allora, dove andiamo di bello? - mi chiese, chiudendo la cinghia e sorridendo imbarazzata.
Non risposi, limitandomi a mettere in moto.
Sgommai via, temendo un'inaspettata reazione di Hiashi: conoscendolo, avrebbe potuto benissimo sbarrarmi la strada, brandendo una mannaia.
Sin dall'inizio mi accorsi che Hinata si era stretta a me, afferrando i lembi del mio giubbotto di pelle; soltanto dopo realizzai che era terrorizzata.
- Problemi? - chiesi, cercando di farmi sentire al di sopra del vento.
- N-non è che...potresti andare un po' più piano? - mormorò, accoccolandosi contro la mia schiena.
Scrollai leggermente le spalle, girando l'acceleratore.
Lei urlò.
Ghignai,; con una mossa familiare e perfettamente calcolata, alzai la moto toccando la strada solo con la ruota posteriore.
Il suo grido disperato mi perforò le orecchie, così cercai di sovrastarla:- Andiamo, non venirmi a dire che non è la sensazione più bella del mondo. -
Continuammo a viaggiare per qualche ora, in silenzio; io con lo sguardo fisso sulla strada, lei con la testa appoggiata sulla mia schiena.
Poi all'improvviso qualcosa cambiò: il sole sembrava battere ancora più incessantemente e nell'aria si respirava un odore nuovo.
E fece la sua comparsa. Il mare. Quella che potrebbe essere semplicemente definita un'immensa quantità d'acqua salata, ma in realtà è un'entità indipendente che vive, soffre, s'infuria, e come allora rifulgeva nella sua eterna bellezza.
Sentii la sua esclamazione di stupore, mentre poggiava il mento sulla mia spalla.
Sapevo perfettamente che nella lista delle nostre preferenze, il mare occupava uno dei primi posti; ero certo di farla felice.
Scossi la testa, ormai fermo, mentre un pensiero mi fulminò: Maddai, anche io posso essere gentile?
Alzai lo sguardo di scatto, vedendo che lei era già scesa; zampettava allegramente sul primo tratto di spiaggia.
Mi tolsi il giubbotto e il casco, depositando l'uno accanto all'altro, socchiudendo gli occhi al riverbero del sole; la superficie frastagliata del mare sembrava intessuta da migliaia di minuscoli brillanti, che in realtà erano i raggi solari. Sentivo sulle braccia un piacevole calore, mentre inspiravo a pieni polmoni quell'aria salmastra che mi piaceva tanto. Preso dall'ispirazione del momento, mi slacciai gli anfibi, togliendomi i calzini e rimanendo a piedi nudi sulla sabbia che mi faceva un dannato solletico; mi avvicinai a lei, già sul bagnasciuga, posandole fugacemente una mano sulla schiena.
Lei sobbalzò, sorridendo imbarazzata. Non replicai, continuando a fissare intensamente il mare, sedendomi sulla sabbia e tirando fuori una sigaretta; le scoccai un'occhiata obliqua alla quale replicò con un sorriso, come per dire "concessa".
Non so quanto tempo rimanemmo così, seduti l'uno accanto all'altra, osservando le onde infrangersi sulla battigia; all'improvviso lei spezzò il silenzio iniziando a canticchiare, perfettamente intonata, quella melodia.
Supino, con le braccia dietro la testa, rimasi ad ascoltarla. Appena le ultime note, vibranti, si dispersero nell'aria, lei mormorò:
- L-la...nostra canzone. -
- Già. -
La ritmica nenia delle onde, il sibilo gelido del vento parevano quasi continuare quella canzone, riprendendo da dove la voce di Hinata l'aveva lasciata.
Rimanemmo fermi, vicini, ad ascoltare quel silenzio carico di rumori.
Finché, titubante, lacerai quella quiete che, come un velo morbido al tatto, si era depositata tra di noi.
- Somigli molto a tua madre. - dissi, un p'ò incerto, senza saper bene come continuare.
La sua espressione mutò rapidamente, come il paesaggio dopo la pioggia estiva; prima, i suoi occhi scintillarono, mentre, come al solito, concentrava tutta la sua attenzione su di me. In seguito, le sue iridi si sgranarono, apparendo ancor più nivee.
Abbassò la testa, non so se per simulare la tristezza, scavando lievi solchi nel terreno sabbioso, con il suo piccolo indice bianco.
- Oka-san...è...era bella. - mormorò e il suo imbarazzo sembrò quasi tangibile.
Mi stiracchiai come un vecchio gatto dopo la siesta pomeridiana, fissando quel cielo di un blu quasi troppo intenso, lasciando cadere il discorso, come un sassolino che rimbalza sull'acqua per poi scomparire.
Con la coda nell'occhio vidi che mi guardava: i capelli lucenti giacevano obbedienti sulla schiena, mentre le ciocche più lunghe erano state tirate dietro le orecchie, lasciandole libero il viso.
Anche chiudendo gli occhi mi sembra di poter sfiorare con mano le sue fattezze, ad una ad una.
Il mento morbido, per poi scorrere la linea della mandibola fino a giungere alla mascella rotonda; sentire sotto le dita la pelle liscia delle gote, delineare gli zigomi poco marcati, ridiscendendo.
La sua bocca.
- Facciamoci un bagno. - proposi, come se tuffarsi a Maggio nelle gelide acque del Mar del Giappone fosse la cosa più normale del mondo.
Mi guardò spiazzata, continuando tuttavia ad abbozzare un lieve sorriso, forse per non offendermi.
- Altrimenti ti butto in acqua vestita. - Hinata sembrò capire che non era una minaccia inconsistente.
La vidi tormentare il ricamo della gonna bianca, diventando gradualmente sempre più rossa.
- Se hai bisogno di una mano...- dissi con il tono più serio che riuscii a tirar fuori.
- G-grazie, m-ma... p-p-penso d-di fa-farcela....d-da s-sola. - bisbigliò.
Ghignai divertito, voltandomi leggermente dalla parte opposta. Nonostante ciò, vidi che adagiava le scarpe accanto alla gonna.
- Pronta? - intimai, girandomi nuovamente.
Ed eccola lì, a guardarmi con occhi sgranati, le dita che indugiavano sui bottoni della camicetta.
Sopprimendo il desiderio di ghignare di nuovo, mossi qualche passo in avanti liberandomi della t-shirt e i jeans.
Con uno scatto felino, imperturbabile di fronte alla sua espressione intimorita, presi quel corpo morbido e leggero tra le mie braccia, dirigendomi verso il mare.
Sordo alle sue suppliche- N-no! Sasuke! T-ti prego, no! - calibrai la forza per lanciarla; proprio nel momento in cui avrebbe dovuto prendere il volo, riuscì ad afferrare con forza il mio braccio, facendo cadere entrambi.
Riemersi, tossendo e sputacchiando, incavolato nero.
- Maledetta....! -
Rideva, con l'acqua che le usciva persino dal naso: era così buffa che dovetti fare uno sforzo per non scoppiare in una risata.
- E' gelida! - esclamò, rabbrividendo.
Iniziò a nuotare in cerchio, frenetica; al che, istintivamente, mi avvicinai. Nuotammo vicini, la nostra pelle nuda si toccava, in cerca di calore.
Emergemmo insieme, lamentandoci simultaneamente per il troppo freddo; correndo, ci gettammo a peso morto sulla sabbia. Il petto che si alzava e abbassava freneticamente, presi da un'inspiegabile euforia.
- Aaaaaaah.... - esclamò, con evidente piacere, allargando braccia e gambe, fino ad assumere la forma di una stella.
La sua pelle, pervasa da minuscole gocce d'acqua, brillava alla luce del sole, di un candore latteo, irreale.
Voltando la testa di novanta gradi, la guancia sulla soffice sabbia, mi sorrise dolcemente.
She is the world.
Fui folgorato da quell'immagine che, per l'ennesima volta, aveva preso forma nella mia mente.
Apparvero quelle gambe lunghe, la linea sensuale dei fianchi e quell'addome piatto vagamente erotico.
- Sasuke! - sobbalzai.
Mi guardai ripetutamente intorno, confuso, per poi alzarmi di scatto e indossare i miei vestiti sparsi sulla spiaggia.
Avanzai verso di lei con decisione, fino a che non rimasero un paio di centimetri a dividerci.
Lentamente, delineai l'insolito profilo ondulato di quella ciocca, sistemandola dietro all'orecchio.
- Hinata... - il suo nome mi sfuggì dalle labbra prima che me ne potessi rendere conto.
Kuso.
Mi chiesi cosa diavolo stessi facendo.
Migliaia di immagini si sovrapposero nella mia mente, come istantanee sfocate dalle quali si alza polvere nostalgica. Un antico carillon iniziò a suonare, accompagnando le lancette di un vecchio orologio a pendolo. Un cupo rintocco.
Le fotografie iniziarono ad essere sfogliate freneticamente, fino a quando ne rimase soltanto una.Ormai prossima a ridursi in polvere, l'immagine di una bambina in uno splendido giorno d'estate.
Chiusi l'album dei ricordi con un colpo secco.
- No...niente... - mormorai.
Mossi qualche passo indietro, facendo aumentare la distanza che c'era tra di noi.
Lei restò immobile, un'espressione indecifrabile dipinta sul viso. Inclinò la testa, gli occhi -chiari e taglienti - mi osservarono. A lungo.
Quando temetti di cedere, lei distolse lo sguardo.
- Ok...andiamo! - esclamammo all'unisono.
In seguito, non disse una parola e anch'io rimasi in silenzio. Anche mentre volavo sull'autostrada a centottanta all'ora, anche quando mi resi conto che si era addormentata sulla mia schiena e io, attento a non svegliarla, l'avevo coperta con il mio giubbotto.

Crack. Qualcosa aveva iniziato ad incrinarsi.




- Saaaaasuuuuukeeeeeee! -
Mi tappai le orecchie, invano. Quell'urlo era in grado di infrangere qualsiasi barriera.
- Non toccarmi, usuratonkachi. - sibilai, avvertendo il suo braccio intorno al mio collo.
- Sasukesasukesasukesasukesasuke... - iniziò a mugolare.
- Conosco il mio nome, tante grazie, dobe. -
- Ti devo raccontare...una grande novità! - continuò imperterrito, come se non ci fosse stata alcuna interruzione.
- Tsk, che palle. - borbottai.
Accesi una Seven Star, continuando a camminare, ignorandolo volutamente.
- E' successa una cosa bellissimafantasticaunicamiticaeccezionalesuperlativameravigliosaincredibile... -
- La vuoi piantare, baka?! - riusciva addirittura a farmi urlare.
- Neee, Sasuke... -
- Parla adesso o taci per sempre, usuratonkachi. - intimai, camminando.
- Mi sono messo con Hinata, 'tebayo! -
La cenere cadde a terra, come la sigaretta dalle mie labbra; tuttavia non mi fermai, continuando ad avanzare.
- Sasuke...te la sei presa? -
Mi voltai di scatto, vedendo rosso. Lo afferrai con forza per il bavero della divisa, sollevandolo in alto, quasi strozzandolo.
Proruppe in versi soffocati, cercando di trarre aria, io lo sbattei contro il muro della scuola.
- Non ti azzardare a farla soffrire. -
Continuai a fissarlo con odio, senza in realtà vederlo. Quando mi resi conto che non riusciva quasi più a respirare, lo lasciai.
Non mi voltai, non capii cosa mi stesse urlando.
Continuai solo a camminare, sempre più lontano.

L'ultima volta che la vidi fu in un ventoso pomeriggio di fine settembre.
Del tutto inaspettatamente, mi pose quella domanda.
- Sasuke, secondo te quanti tipi di amore esistono? -
La vidi indietreggiare, forse spaventata dal mio sguardo.
Poi corse via, richiamata da quella voce che per me era così fastidiosa.
- Non lo so. - avrei voluto gridarle dietro.
- Io conosco soltanto un tipo di amore, quello che provo per te. -
Corsi via, nella direzione opposta.
Anche quando il fiato si mozzò, non mi fermai continuando a camminare.
Non potevo andare a casa, andare sulle rive del fiume, prendere la moto e fuggire.
Ogni cosa mi ricordava lei.
Continuai a camminare, le mani in tasca, la sigaretta accesa,
in quel luogo fuori dal tempo e dallo spazio.
Quella canzone iniziò a riecheggiare.

I found my own true love was on a Blue Sunday
She looked at me and told me
I was the only, One in the world.
Now I have found my girl.
My girl awaits for me in tender times
My girl is mine, She is the world
She is my girl.

My girl awaits for me in tender times
My girl is mine, She is the world
She is my girl

Perché mi aveva fatto quella domanda?
Perché era arrossita, abbassando lo sguardo, giocherellando con i capelli e congiungendo gli indici?
Maybe... my girl awaits for me in tender times?











Post Scriptum di Ellie Uchiwa

Non ci posso credere: finalmente ho pubblicato questa storia.
Sono mesi e mesi che ci lavoro sopra e avevo iniziato a temere che non si sarebbe mai conclusa.
Eppure, non sono soddisfatta.
Anche se penso che non sarei riuscita a fare di meglio.
Tutto ciò è frustrante, considerando il risultato di tutto questo lavoro.
Ad ogni modo, sta a voi lettori giudicare.
Ringrazio Sarn © per la spiegazione della Leggenda del Tanabata.
( Per il link della Canzone, Blue Sunday dei Doors, cliccate su "Blue Sunday" nei © ^___^)
Per favore,
se potete concedermi anche un solo minuto del vostro tempo: lasciatemi una recensione. Per cortesia.
Come ringraziamento per i litri di caffè e le notti in bianco passate a scrivere.
Un modo per farmi sapere che il mio lavoro è stato apprezzato.
Grazie per la gentile attenzione.
Con riverenza,
Ellie Uchiwa











(*) Un ragazzo che chiama una compagna di scuola per nome e senza suffisso onorifico (-chan/ -san/ -kun) in genere è o il suo ragazzo, oppure un parente o un fratello maggiore.

(**) "Ciao, ragazze! Mi chiamo Naruto -Il Campione- Uzumaki, piacere di conoscervi! Sono tedesco, quindi non parlo molto bene il giapponese...per cui, se qualche ragazza carina volesse insegnarmi, accetterò con grande piacere! Su, dolcezze, non siate timide!"


Glossario

anmitsu: dolce tradizionale giapponese preparato con della gelatina di agar-agar tagliata a cubetti a cui viene aggiunta della frutta e uno sciroppo dolce molto denso. Si serve in coppette con un cucchiaio di marmellata di azuki o gelato.

baka: scemo/a.

bento: pasto composto da varie pietanze disposte in un recipiente di legno laccato o plastica, perlopiù diviso a scomparti. Il bento può essere consumato in viaggio, a scuola, sul posto di lavoro, ma anche al ristorante.

-chan: suffisso posto dopo il nome di persona, è usato sopratutto per i bambini ma anche tra gli adulti, in situazioni di intimità e confidenza (in famiglia, tra amici ecc.)

dobe: cretino.

dojo: palestra di arti marziali.

futon: insieme di materasso e trapunta usato per dormire in Giappone nelle stanze in stile tradizionale. Il futon si distende a terra e di giorno viene piegato e riposto negli appositi armadi. La trapunta può anche essere utilizzata sul letto di tipo occidentale.

geta: tradizionali zoccoli di legno. Su una base piana e rettangolare sollevata da terra da due rettangoli trasversali, sono inseriti due cordoni di seta o di velluto che formano l'infradito.

gomen nasai: scusami tanto.

hai: sì.

idol: gli idol sono cantanti (in genere ragazze) molto giovani, anche sui 13-14 anni, che fanno un paio di canzoni di successo e poi finiscono nel dimenticatoio.

Kansai: la regione che comprende le città di Osaka, Kyoto, Kobe e le prefetture circostanti.

Kanto: la regione che comprende Tokyo a altre prefetture tra cui Chiba, Saitama ecc.

keyaki: Zelkova serrata. Grande albero delle Ulmacee, con foglie cuspidate, fiori di giallo pallido e piccoli fiori piatti.

-kun: suffisso posto dopo il nome di persona, usato per i bambini, fra giovani coetanei, da persone adulte nei confronti di amici e colleghi più giovani ecc.

kuso: merda.

matsuri: festa popolare in cui vengono eseguite danze , processioni, spettacoli e i cui partecipanti spesso indossano abiti tradizionali.

mugicha: tè di orzo tostato. Può essere servito sia caldo che ghiacciato.

nani? cosa?

obi: fascia di tessuto decorato, alta e rigida, che si annoda in vita sopra il kimono o lo yukata (vedi.)

o-nigiri: ( anche nigirimeshi) Riso bollito e pressato preparato in bocconcini di forma sferica o triangolare, ripieni di umeboshi, pezzetti di salmone o altri ingredienti e ricoperti da una sfoglia di alghe.

oyasumi-nasai: Buonanotte.

senbei: tradizionale cracker giapponese a base di riso, di varie forme, a volte ricoperto da una sfoglia di alghe.

sensei: maestro.

susuki: Miscanthus sinensis. Una pianta ad alto fusto delle Graminacee con infiorescenze a pannocchia di un bianco argentato, assai diffusa in Giappone, simile alle piume della pampa.

tatami: stuoie imbottite di paglia compressa e rivestite di giunchi intrecciati. Sono fissate su una cornice di legno ornata da un bordo di passamaneria, Costituiscono il pavimento delle stanze in stile giapponese e vengono utilizzate come unità di misura per la superficie d interni. Le dimensioni di un tatami standard sono 90cmx180 cm.

teme: bastardo.

umeboshi: prugne in salamoia.

usuratonkachi: testa quadra.

watashi-wa Hinata-desu, hajimemashite: Io mi chiamo Hinata, piacere di fare la sua conoscenza.

yo: abbreviazione di "Ohayo".

yukata: leggero kimono di cotone usato sopratutto d'estate in occasione di feste popolari o religiose. Spesso fornito ai clienti degli alberghi, che lo indossano al posto del pigiama, ma anche per uscire a fare brevi passeggiate.














Trama ideata da Ellie Uchiwa ©
Personaggi di Masashi Kishimoto ©
Canzone Blue Sunday dei Doors ©
  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Ellie Uchiwa