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Autore: IMmatura    21/05/2015    7 recensioni
Vi siete mai chiesti se anche alla Gakuen Hetalia ci fosse una specie di esame di maturità? Io si, ed ho provato ad immaginare uno dei tanti modi in cui una Nazione può dimostrarsi immensamente matura, pur venendo mandata in crisi dalla traccia di uno stupido tema. Romano interpreterà in maniera molto presonale la traccia assegnata...
[ATTENZIONE: alto livello di OOC]
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sud Italia/Lovino Vargas
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 


 

Sono io che credo in loro, non loro che credono in me

 

La palestra della Gakuen Hetalia è irriconoscibile. Le miriadi di linee colorate del pavimento, tracciate per segnare i campi da gioco di un po’ tutti gli sport immaginabili, sono coperte da una distesa di banchi equidistanti e ordinati. Romano siede ad uno di questi, nella fila centrale, dannatamente lontano dalla lavagna che dovrebbe recare, a cubitali caratteri di gesso bianco, la traccia del tema da svolgere per l’esame finale. Può solo guardarsi attorno e constatare che, tra quelle quattro mura, in quel momento, c’è letteralmente il mondo. Tutte le Nazioni, di tutte le classi continentali riunite per l’occasione, con il viso illuminato per metà dalla luce che entra dalle finestre alla loro sinistra. Sono tutti li, con i loro secoli e millenni di esperienza, ad agitarsi come ragazzini, così dannatamente umani nel far cadere una penna dalle mani tremanti, nello strizzare gli occhi per riuscire ad interpretare i segni alla lavagna, nonostante il riverbero, nel tossicchiare in cerca di aiuto dal compagno seduto al banco di fronte. Il professore cammina avanti e indietro, perfettamente calato nel suo ruolo, scandendo con voce asettica il titolo:


“La vita delle Nazioni si basa sulla forza con la quale i loro abitanti credono nell’esistenza e nelle potenzialità delle stesse. Sviluppa questa affermazione soffermandoti sull’importanza, per una Nazione, della fiducia accordatagli dal popolo che rappresenta e portando, se possibile, esempi pratici della tua esperienza a riguardo”.


Le peggiori previsioni di Italia Romano si sono avverate. Ha l’assoluta certezza di non riuscire a buttar giù una sola riga, all’infuori di quella dove ha già scritto nome, cognome e nazione rappresentata. Per lui quella traccia è tutta sbagliata, e non solo perché l’autostima non è esattamente il suo forte. Semplicemente i cervelloni che hanno lavorato al tema non hanno capito un cavolo di cosa vuol dire essere una Nazione. O almeno di quello che ha significato e continua a significare per lui.

Si guarda attorno in cerca di soccorso. Incrocia lo sguardo altrettanto perplesso di suo fratello e non sa se scrollare le spalle, per tranquillizzarlo, o mettersi le mani ai capelli. Attorno a loro è tutto un brusio di penne che, in realtà, stanno solo cincischiando con nome, data e traccia. Il prof finalmente mostra una punta di umanità, dando un suggerimento che però ha solo il potere di far traboccare il proverbiale vaso. Dice “pensateci: perché le persone dovrebbero credere in voi?” e Romano vorrebbe ridere, alzarsi facendo volare via il foglio come un aeroplanino, mandare a fanculo tutto e tutti.

Una Nazione vive perché crede in se stessa, o perché la gente crede in lei? Cazzate. Magari può aver funzionato per Prussia, l’autostima, ma quel mezzo crucco è un’eccezione, non la regola. Se dipendesse tutto dalla fiducia in se stessi Romano sarebbe a fare compagnia a suo nonno da un bel pezzo. Invece c’è, per il semplice motivo che le cose stanno nella maniera esattamente inversa. Si regge ancora in piedi, nonostante mille problemi, perché crede ancora un po’ nel suo popolo. È la fiducia negli esseri umani, a tenere tutti vivi in quella stanza. L’umanità fa si che non siano semplicemente pezze colorate su una carta geografica, o automi creati per farsi a pezzi a vicenda. L’umanità che da anche a loro un’anima, che fa capire loro cos’è la gioia, cosa la rabbia, cosa la tristezza. Maledizione, nessun’altro si è accorto che è tutto sbagliato?

Vorrebbe andare li e strappare la penna che Feliciano tiene sollevata sul foglio e, magari, mettergli in mano una matita per disegnare, per raccontare le vere esperienze che si fanno dagli umani: le emozioni. Vorrebbe andare a dare del cretino ad Antonio, che sorridendo starà mettendo in fila pensierini da scuola elementare, controllando di tanto in tanto di aver scritto di più di Inghilterra, a sua volta impegnato a fare lo stesso con Francia. Come se la fiducia si riducesse al mostrarsi i più forti, al vincere le battaglie di cui, dopo una manciata di decenni, non frega più niente a nessuno. Vorrebbe prendere il vocabolario che Feli l’ha costretto a portare e sbatterlo su un banco a caso. Magari quello di quell’idiota di America, che ha già riempito una pagina, sicuramente con un elenco di vittorie, “eroiche gesta”, invenzioni e qualsiasi altra cosa estremamente patriottica, messi su carta come tanti trofei impolverati su una vetrina.

 

...devi mostrarti invincibile

collezionare trofei

ma è quando piangi in silenzio

che scopri davvero chi sei...[1]

 

Ironia della sorte l’unica altra Nazione bloccata nell’imbarazzo, di fronte al foglio bianco, è Germania, che ovviamente ha ben poco di cui vantarsi nel suo recente passato. Che situazione di merda! Adesso si che Romano avrebbe voglia di mollare tutto, eppure si sforza di pensare, di trovare una maniera di uscirne con dignità, di non tirarsi indietro. Uno sforzo estremo fatto per lo stesso esatto motivo per cui proprio non gli va giù quella traccia: per le presone.


...prendi la mano e rialzati

tu puoi fidarti di me...[1]


Per esempio quelle persone che c’erano state nei momenti peggiori, nei momenti di debolezza così umana. Quelli che si si erano fatti il mazzo, nel loro piccolo, per cambiare le cose, quando ancora lui tremava indeciso tra il reagire e il fingere di non vedere, e che avevano dato la vita per migliorare lui che, onestamente, in certi momenti, non si sarebbe augurato a nessuno come patria. Erano state quelle persone a guadagnarsi la sua fiducia, a ricordargli che qualcosa di buono c’era anche in lui. Era coi loro occhi che si era visto di nuovo come una Nazione bella, nonostante tutto, anzi, forse proprio grazie a tutti quei difetti che lo rendevano qualcosa di cosi vivo. Erano state le loro parole a fargli trovare il coraggio di non scappare, non farsi da parte, non rassegnarsi a sparire e darla vinta al lato peggiore di se. Era il ricordo di persone come Paolo, per esempio, a fargli scegliere ogni giorno di vivere ancora un po’, tirando fuori quel poco coraggio che aveva.[2]

 

...ma che splendore che sei

 nella tua fragilità

e ti ricordo che non siamo soli

a combattere questa realtà...[1]

 

Fidarsi delle persone, credere di poter fare grazie a loro qualcosa di bello. Credere di poter migliorare insieme. Romano non era un esperto in questo, ma ad intuito aveva capito quanto c’era da guadagnare a credere negli esseri umani. Era vivo perché era riuscito a fidarsi di loro, non perché loro si fidavano di lui. Quella era solo una conseguenza, su cui Romano non aveva alcuna pretesa: lui continuava a considerarsi abbastanza inaffidabile, ma in fondo non si considerava una brutta persona. Si fidava di quelle persone che erano il suo cuore, come la terra era la sua carne e un Governo (non proprio brillantissimo) era la sua testa. Le persone non potevano essere soltanto l’assicurazione sulla vita di una Nazione. Erano la sua anima, ed affidarvisi era forse l’unico modo che quelli come lui avevano di non morire o non trasformarsi in mostri, a costo di sembrare incoerenti, poco concreti, irrazionali, fastidiosi.

Solo riscuotendosi delle sue riflessioni, si rende conto che la mano aveva già iniziato a scorrere, scrivendo e cancellando poche frasi che forse non gli sarebbero valse da sole il diploma, ma di cui non poteva che essere orgogliosamente convinto. Dopo due ore il primo foglio, un cimitero di croci, scarabocchi e spunte, si trasforma in una paginetta e mezza di bella copia, chiusa in maniera atipica da poche parole, in stampatello.

 

...credo negli esseri umani

credo negli esseri umani

credo negli esseri umani

che hanno il coraggio

coraggio di essere umani...[1]

 

 

Note

[1] Esseri umani - Marco Mengoni

[2] "Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola" (Paolo Borsellino)

 

 

 

 

 

 

 

Angolino del disimpegno

Questa fic è probabilmente uno schifo, ma uno schifo in cui credo. Consideratela una “promettente mostruosità” in cui ho assemblato insieme un po’ di miei headcanons su Romano e sulla Gakuen, una canzone che adoro (e ascolto ormai ossessivamente) e un po’ di atmosfera da esami di stato. So di aver impostato l’esame di diploma della Gakuen un po’ troppo all’italiana, ma prendetela come una licenza poetica.

OOC level: over 9000! Spero non vi abbia infastiditi troppo e che la storia risulti comunque gradevole alla lettura. Se vi va potete farmi sapere che ne pensate con una recensione e/o commento privato: accetto qualsiasi suggerimento per migliorare questa creatura di cui, per certi aspetti, vado stranamente fiera. Come sempre vi ringrazio per l’attenzione (se siete qui, significa che avete letto la fic fino alla fine *.*).

Saluti

IMmatura

  
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