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Autore: The Writer Of The Stars    21/05/2015    2 recensioni
-Titolo ispirato ad un brano de "la Dodicesima notte" di William Shakespeare.-
Shakespeare diceva che se la musica è il cibo dell'amore i cantori devono seguitare a suonare, dare al mondo le proprie melodie senza risparmio, da saziare l'appetito delle nostre anime, fino a che, ormai sazio, il nostro appetito se ne ammali, e muoia ...
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Raccolta di one shot e flash fic sulla coppia Bulma/Vegeta, rigorosamente ispirate da musica e canzoni diverse in ogni storia.
Per ora mi limiterò a pubblicare i miei lavori già "conosciuti" nel fandom, aggiungendo di volta in volta, a seconda dell'ispirazione, nuove storie incatenate ovviamente alla musica. Buona lettura. ;)
Possibile lieve OOC in quanto raccolta, probabilmente con qualche AU.
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If music be the food of love, play on ... - Se la musica è l'alimento dell'amore, seguitate a suonare ...
(Banner della storia realizzato dalla fantastica Nora13 ... grazie. ;) )
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#1: "You' ll'be in my heart", Phil Collins -
#2: "Some Nights", Fun. -
#3: "Who wants to live forever?", Queen
#4:" Don't stop believing", Journey (AU)
#5: "Seasons of love", Rent
#6: "Bohemian Rapsody", Queen
#7: "Tears in heaven", Eric Clapton
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 In questa storia, Vegeta è partito senza essere a conoscenza della gravidanza di Bulma, perciò non sa nulla della nascita di Trunks.
                                      
Un vento freddo si infranse contro il suo viso, scuotendogli leggermente i capelli corvini. Faceva freddo quella notte, ma non gli importava. Incrociò le braccia al petto, chiudendo leggermente gli occhi, perché alcuni granelli di polvere si erano sollevati dal terreno ed erano andati a colpire il suo viso, e lui odiava la polvere. La polvere era insignificante, inutile. La polvere è per i perdenti, per coloro che non avevano senso di esistere. per le mezze classi. Erano loro che dovevano mangiare la polvere, prostrandosi dinanzi a lui, come conviene ad un suddito verso il suo re. Mai le sue regali membra avevano sfiorato la polvere, eccetto una volta, su Namecc, e quella volta non se la sarebbe mai dimenticata.
 
La polvere era insignificante, e lui odiava le cose insignificanti. La polvere, i fiori, gli insetti … tutta roba inutile. E quella strana cosa all’interno della cassa toracica. Quella cosa che batteva, pulsava trasportando sangue verso tutto il suo corpo, in un movimento involontario. 90 pulsazioni al minuto, 4200 all’ora,100.800 al giorno. Il centro vitale di tutto l’organismo concentrato lì, in un qualcosa grande come il proprio pugno. Quella cosa, il cuore, era importante. Per tutta la sua vita, lo aveva solo sentito battere regolarmente, un po’ più veloce durante i combattimenti. Era tutto normale, niente di strano. Poi era arrivato sulla terra e aveva conosciuto quella donna dai capelli azzurri … e da lì, il suo cuore aveva preso una strada tutta sua. Gli era capitato alle volte di sentirlo accelerare un po’ troppo il ritmo quando quella Bulma era nelle vicinanze, e la cosa non gli era piaciuta per niente. Il suo cuore batteva, e anche troppo forte. Aveva sempre adorato stare da solo, ma da quando quella terrestre era entrata nella sua vita si era scoperto quasi interessato a passare del tempo con lei. Certo, parlava davvero troppo per i suoi gusti. Ma infondo, non era poi così male …
 
Era stato nel momento in cui si era reso conto di quei pensieri completamente controproducenti verso quella ragazza che aveva preso la sua decisione; con lei si era divertito, a letto non era male, ma per lui non contava nulla. Altre erano le sue priorità, in primis quel tanto agognato oro e potere leggendario. E non era di certo al fianco di Bulma che lo avrebbe raggiunto. Perciò se ne era andato. Aveva passato quei mesi in giro per lo spazio, vagando di pianeta in pianeta, senza mai smettere di allenarsi. E una notte, quando ormai ogni speranza di riuscire nel proprio obbiettivo sembrava sfumata, ce l’aveva fatta. Era diventato un Super Sayan.


Adesso che era tornato sulla terra dopo tanto tempo si sentiva strano. Una mancanza, quasi un vuoto, si era impadronito del suo animo. Eppure era strano, perché se era la solitudine ciò che ricercava l’aveva trovata e come. E allora perché due occhi azzurri si erano fatti largo nella sua mente, costringendolo a serrare i pugni con forza, quasi con rabbia?  Perché quella cosa che pulsava sangue aveva deciso di mettersi a battere più forte proprio in quel momento?  Perché si era librato in aria e in un attimo aveva preso il volo, diretto verso quel luogo dove mai avrebbe pensato più di ritornare?
 


 
Bulma si alzò stancamente dal letto, aprendo gli occhi azzurri arrossati dal sonno. Si mise a sedere sul letto, passandosi una mano sul viso di porcellana dove i segni del sonno perso si rivelavano alla luce della luna, senza tutto il correttore che ultimamente aveva preso ad usare per nascondere le occhiaie. Poggiò in terra i piedi e al contatto col gelido marmo un brivido attraversò tutta la sua esile figura, avvolta da una vestaglia di cotone un po’ troppo leggera per quella notte. Mosse i piedi distrattamente, cercando a tentoni le pantofoline rosse che aveva abbandonato ai piedi del letto, poco prima di coricarsi. Il pianto di un bambino riecheggiò all’interno della stanza, più forte del primo vagito che l’aveva destata. Rinunciando all’impresa di indossare le sue calde pantofole imbottite di lanuggine si alzò in piedi, attraversando la stanza a piedi nudi. Si avvicinò alla culletta al fianco del suo letto, piegandosi un po’ in avanti in modo da poter osservare bene il suo occupante.


“Trunks, tesoro che succede?” sussurrò con voce stanca al neonato che continuava a piangere disperatamente nel suo lettino.


 Bulma sospirò pesantemente, porgendo le braccia verso il bambino e prendendolo in braccio con delicatezza. “Trunks … ehi, che succede?” sussurrò nuovamente al fagotto lilla che continuava a dimenarsi disperato tra le sue braccia.
Il piccolo Trunks aveva appena nove mesi ed era uguale a suo padre. Gli occhioni azzurri avevano le stesse sfumature di quelli di Bulma, così come i capelli violetti si avvicinavano a quelli della donna. Eppure era Vegeta. Gli stessi occhi, quella forma sempre imbronciata e seriosa, a dir poco assurda per un bambino di pochi mesi. Era ormai passato più di un anno da quando Vegeta se ne era andato, senza sapere che lei fosse incinta. Bulma aveva affrontato i nove mesi della gravidanza con una forza ed una tenacia degna solo di colei che aveva avuto il coraggio di innamorarsi del Principe dei Sayan. Il suo cammino verso la venuta al mondo del piccolo era stato duro e costellato di dolori, ma nel momento in cui aveva intravisto una piccola codina scura spuntare dal fagottino che le porgevano in ospedale, aveva scordato tutto. Si era innamorata del suo bambino dal primo momento in cui lo aveva visto. Crescere un figlio da sola non si prospettava come la più semplice delle imprese, ma lei ci stava riuscendo. A costo di passare notti insonni, di finirsi la voce a furia di cantare ninne nanne, quel bambino lo avrebbe cresciuto da sola, senza l’aiuto di nessuno.
Perché lei era forte. Sospirò stancamente, osservando Trunks dimenarsi e piangere, preda chissà quali drammi neonatali. C’era solo una cosa in grado di calmare Trunks in momenti come quelli. Le ninne nanne. Strinse a sé il suo bambino, socchiudendo gli occhi. Poi, a bassa voce, iniziò ad intonare una delle sue ninne nanne preferite. (https://www.youtube.com/watch?v=KgVtvORKt3M consiglio di leggere ascoltando questa canzone del link in sottofondo)

 
Come stop your crying 
It will be all right 
Just take my hand Hold it tight 
I will protect you 
from all around you 
I will be here 
Don't you cry 



Vegeta volava a gran velocità nel cielo buio, illuminato solo dalla luce della luna. All’interno della sua mente un disperato monologo interiore stava avendo luogo. Centro del dibattito; il perché in piena notte stesse sorvolando quella stupida città diretto verso la sua casa. Non aveva un senso logico, perché a lui non importava niente di quella terrestre. Il fatto è che il suo corpo aveva agito da solo, senza ricevere alcun comando dal cervello. Per un attimo, il suo sistema nervoso si era ribellato al suo volere e le sinapsi avevano intrapreso una strada che non gli era piaciuta per nulla, costringendolo ora a ricercare quasi con disperazione l’aura di quella terrestre. Vegeta strinse i pugni, ringhiando; era tutto troppo assurdo, non si riconosceva nemmeno più. Quello non era lo spietato Principe dei Sayan, l’assassino intergalattico responsabile del novanta percento dei genocidi delle popolazioni nell’universo. Il massacratore, una macchina da guerra senza pietà, il più devoto tra tutti alla dea Morte. Non era lui quello che vedeva ora. Non era lui, e non doveva essere lui. Stava quasi per fare retromarcia e tornare indietro, quando la vide; la casa gialla a forma di cupola troneggiava tra tutte le altre abitazioni del centro abitato, e nel vederla Vegeta sentì un groppo di saliva bloccarsi proprio al centro dell’epiglottide. Dall’esterno non vi era niente di nuovo, tutto era rimasto come il giorno in cui era partito e Vegeta ebbe quasi la tracotanza e la presunzione di pensare che forse, dopo la sua partenza, la vita dei Brief fosse rimasta ferma, come un orologio dalle pile scariche. Ghignò leggermente, sentendosi importante. Ad un tratto però, una flebile luce proveniente da una delle finestre cancellò quel sorrisetto dal suo viso. Si avvicinò con lentezza, senza smettere di fluttuare nell’aria, perché la luce proveniva da una delle stanze al secondo piano. E quando si ricordò anche a chi quella camera appartenesse  sentì quella cosa al centro del petto arrestarsi per un attimo. Inorridito da quell’assurda reazione fece finta di niente, avvicinandosi maggiormente alla finestra della camera di Bulma. E fu quando si ritrovò a meno di un metro dal vetro della finestra che si bloccò, spalancando la bocca. Le tende non erano state tirate, poteva intravedere ogni cosa dall’esterno. Una figura esile dava lui le spalle e lunghi capelli turchini ricadevano liberi sulla schiena perlacea, illuminata dai raggi lunari. Una voce melodiosa e delicata giunse in lontananza alle sue orecchie, quasi come un eco lontano, ostacolato dalla sottile lastra di vetro della finestra.
 
For one so small
You seem so strong
My arms will hold you
Keep you safe and warm
This bond between us
Can't be broken
I will be here don't you cry


Bulma si voltò un poco, e nel vederla, Vegeta temette di svenire. I capelli turchini solitamente acconciati alla perfezione ora erano sciolti e leggermente scompigliati, sparpagliati sulle spalle a creare boccoli naturali e onde color del mare. Gli occhioni d’oceano velati da una tenerezza che mai aveva visto e le labbra increspate in un sorriso così dolce da spiazzarlo. Non l’aveva mai vista così, ma non poté fare a meno di ammettere a sé stesso che non aveva mai visto niente di più bello. Bulma non si era però accorta di lui; tutte quelle dolci attenzioni erano rivolte ad un fagotto fasciato in una copertina azzurra che la ragazza stringeva a sé con tenerezza. Involontariamente, gli occhi di Vegeta si corrugarono più del solito, e quando dalla coperta emerse il volto di un bambino dagli occhioni azzurri e un ciuffetto lillà in testa, sentì una morsa stringergli il petto. Si chiese chi accidenti fosse quel marmocchio e quando sentì Bulma sussurrare, tra una nota e l’altra della ninna nanna, “Tesoro, la mamma è qui … non preoccuparti” non ebbe più bisogno di spiegazioni.
 
 Bulma era divenuta madre.
Bulma aveva avuto un figlio.
 Vegeta si ritrovò a stringere i pugni con rabbia, nel realizzare che un uomo che non fosse lui, aveva donato alla terrestre un bambino. Non che fosse sua intenzione avere figli, assolutamente no; ma scoprire che dopo la sua partenza Bulma era andata avanti … gli fece male a quella cosa nel petto. I suoi pensieri egoistici e arroganti erano sfumati proprio in quel momento, dove si era reso conto che a differenza di ogni sua aspettativa Bulma si era rifatta una vita.
 Un figlio, tsk.
 Assurdo.
Ma c’era qualcosa che non quadrava. Oltre alla debole aura di Bulma riuscì ad avvertirne un’altra, estremamente più forte e più potente. Guardò per un attimo quel bambino che nel mentre continuava ad agitarsi tra le braccia di Bulma, pensando che c’era qualcosa che non andava. Quel bambino aveva un’aura troppo forte, troppo potente per essere quella di un comune terrestre … che fosse? No, impossibile. Quei pensieri erano assurdi, quel bambino non poteva essere …


Ma quando Bulma liberò il piccolo della copertina non ci furono più dubbi per Vegeta. Una codina pelosa sbucava dal fondoschiena del bambino, attraverso un piccolo foro posto appositamente nella tutina lavanda in cui era avvolto. La coda ondeggiava agitata alle spalle del piccolo, mentre Bulma tentava ancora di calmarlo, continuando a canticchiare quella canzone dalla melodia così … bella. Vegeta fissò le due figure oltre il vetro, puntò le iridi spalancate su madre e figlio, incapace di muoversi.
Quel bambino era suo figlio.

 
'Cause you'll be in my heart
Yes, you'll be in my heart
From this day on
Now and forever more
You'll be in my heart
No matter what they say
You'll be here in my heart
Always


Vegeta era rimasto immobile. Non era possibile, come poteva quel marmocchio stretto al petto di Bulma essere … suo figlio? Eppure era così. Quel moccioso dai capelli lillà, che colore assurdo poi, e gli occhi azzurri era suo figlio. Bulma continuava a cantare, offrendogli la visione del profilo di lei che cercava di far addormentare quel bambino. Era rimasto ancora immobile, incapace di compiere alcun  movimento, quando si rese conto che Bulma si era mossa. E quando si accorse che si stava avvicinando proprio alla finestra, in un gesto involontario si nascose al lato del vetro, appoggiandosi la muro che costeggiava l’esterno della stanza della ragazza. Si scoprì trattenere il fiato, spaventato quasi dall’idea di sporgere di un poco la testa e di farsi scoprire.
 
Why can't they understand
the way we feel
They just don't trust
What they can't explain
I know we're different
But deep inside us
We're not that different at all


Bulma invece non si era minimamente accorta della presenza di Vegeta. Con stanchezza, si avvicinò al davanzale della finestra, sedendosi su di esso e appoggiando la schiena all’indietro, sul ciglio del muro. Tra le sue braccia, Trunks sembrava essersi finalmente calmato, ma non accennava ancora ad addormentarsi. Bulma continuò a canticchiare, sentendo la testa farsi improvvisamente pesante e il sonno divorarla. Non sapeva certo che, proprio al di là di quel vetro, compresso contro un muro, vi era il padre del suo bambino. E soprattutto, non sapeva che Vegeta fosse ora a conoscenza che quel bambino stretto tra le sue braccia fosse suo figlio.

 
Don't listen to them
Cause what do they know?
We need each other
To have, to hold
They'll see in time
I know
 
when destiny calls you
You must be strong
I may not be with you
But you've got to hold on
They'll see in time
I know
We'll show them together


Bulma abbandonò la testa contro il muro, sentendo la stanchezza farsi sempre più percepibile. Vegeta intanto, al di là del muro, era rimasto immobile, in attesa di trovare la giusta mossa da compiere. Sentiva Bulma continuare a cantare, ma percepì la voce della ragazza affievolirsi, sempre di più. Fu quando non la sentì più cantare che decise di sporgersi con cautela, sbirciando dal vetro della finestra. La scoprì così, seduta sul davanzale della finestra, con il capo reclinato all’indietro e gli occhi chiusi, placidamente addormentata. Il viso era rilassato in un’espressione di eterna dolcezza, il respiro regolare e un lieve sorriso ad increspare inconsciamente le labbra carnose che mai come allora gli erano parse tanto invitanti. Era rimasto a fissare quell’immagine onirica di una Bulma dormiente, quando un movimento dai colori dell’azzurro e del lillà aveva attirato la sua attenzione. Con sguardo incuriosito aveva voltato leggermente il capo, scontrandosi con il viso paffutello del marmocchio poggiato al ventre di Bulma, che, nel sonno, lo stringeva delicatamente a sé con fare protettivo. Vegeta guardò il bambino con un’espressione indecifrabile; era suo figlio, di questo era certo. Ma dopotutto, a lui cosa importava? Dopo tutte quelle notti passate tra le lenzuola della terrestre, alla fine era anche quasi normale che lei fosse rimasta incinta. Ecco, forse la cosa che più gli rodeva era che Bulma non glielo avesse detto. Non che gliene importasse qualcosa, giammai, ma era il fatto di per sé a dargli fastidio, a farlo sentire … raggirato. Avrebbe benissimo potuto dirglielo prima che lui partisse, avrebbe potuto dirgli “Vegeta, sono incinta” perché tanto per lui non sarebbe cambiato niente, aveva deciso di partire e così avrebbe fatto. Ma il Principe dei Sayan doveva essere a conoscenza di tutto ciò che riguardava la sua vita. Come quel giorno in cui dopo anni di schiavitù a servizio quella lucertola era venuto a conoscenza della vera fine del suo popolo dalle labbra di un mostro dal tessuto adiposo rosa, terrorizzato dalla morte imminente. E anche in quel caso a fargli male non era stato tanto sapere che il suo popolo fosse stato distrutto da Freezer, figuriamoci, come se potesse importargli di un branco di terze classi o di un padre che non ci aveva pensato due volte a consegnarlo in mano al suo padrone per renderlo uno schiavo mercenario. La cosa che lo aveva davvero fatto infuriare era stato rendersi conto di essere stato raggirato da quella lucertola e dai suoi luridi seguaci.
 Essere preso in giro. E lui questo non poteva sopportarlo.
Guardò suo figlio con un’espressione infastidita. Quel misero mezzosangue non era degno di essere il suo erede,il figlio del Principe dei Sayan. Spostò poi gli occhi su Bulma e le sue iridi d’antracite luccicarono per un attimo, come una supernova che viene inghiottita in un buco nero risplende per l’ultima volta prima di andare incontro all’ignoto. Vegeta era infuriato con lei, Vegeta la odiava, doveva odiarla per quello che gli aveva fatto. Un ghigno malvagio si dipinse nel viso di Vegeta, quando con lentezza esasperante alzò il braccio, aprendo il palmo e puntandolo proprio in direzione di Bulma. Vi era solo una sottile lastra di vetro a separarli, a separare la vittima dal suo assassino. Gli occhi di Vegeta si riempirono di sadismo puro nel momento in cui, dal suo palmo, cominciò a prendere vita una piccola sfera d’energia. Non ne serviva molta, bastava un piccolo ki blast e tutto si sarebbe risolto, quella terrestre sarebbe scomparsa per sempre, il suo orgoglio sarebbe tornato a rivendicare il proprio posto con più impeto di prima, e quell’assurda e odiosa sensazione al petto sarebbe stata uccisa, proprio come lei. Era tutto così semplice, tutto così logico. E si che l’avrebbe lanciata quell’onda d’energia, se uno strano verso acuto non lo avesse infastidito, costringendolo a voltare di scatto il capo verso la provenienza di quel suono. Non gli ci volle molto a capire, perché si scontrò subito con due iridi celesti che lo fissavano senza remore, dal minuscolo corpo di un neonato. Trunks aveva lanciato un urletto di disapprovazione nel momento in cui aveva percepito il pericolo a pochi centimetri dal volto di sua madre, al di là del vetro. E adesso quello strano uomo dai capelli a forma di fiamma lo stava fissando con un’espressione infastidita, e senza rendersene conto, il bambino sentì una “cosa bella” sopra il pancino, sensazione che aveva provato solo durante gli allattamenti della madre. Era felice, e d’istinto, il piccolo iniziò a gorgogliare gioioso, tendendo le braccine verso colui che lo fissava oltre il vetro. Quest’ultimo intanto era rimasto a fissarlo basito.
 
Quel marmocchio prima lo aveva interrotto dal far fuori la madre e adesso si metteva a ridere senza motivo?
 
Infastidito, Vegeta si avvicinò di più al vetro, appiccicando il viso su di esso e poggiandovi sopra le mani, così da poter spaventare il bambino. Ma Trunks, per nulla intimidito, ripeté gli stessi gesti paterni, avvicinando anche lui il visino al vetro e poggiando le manine in corrispondenza di quelle del padre, fissandolo negli occhi.
E forse fu proprio quello. Forse furono quegli occhi a destabilizzarlo. Perché prima Vegeta non ci aveva fatto caso, ma adesso, a due palmi da suo figlio, si rende conto che quegli occhi sono i suoi. Che sono si azzurri, ma non hanno la stessa forma dolce di quelli di Bulma. Sono duri, corrucciati, proprio come i suoi. E forse è impossibile da spiegare, ma in quegli occhi, Vegeta aveva letto più spirito Sayan puro che in quelli ingenui e bambineschi del suo acerrimo rivale.
 
Vegeta non riusciva più a capire nulla; Bulma aveva smesso da un bel po’ di cantare, ma in quel momento, nella sua testa continuava a riecheggiare il ritornello di quella canzoncina per far addormentare i bambini. E la cosa non aveva senso, perché diamine, a lui cosa importava di quel marmocchio dagli assurdi colori che lo fissava al di là del vetro? Quel bambino che aveva poggiato le sue piccole manine su quelle grandi e forti di lui, costringendolo a confrontare quelle due grandezze, scoprendole tanto diverse quanto uguali.  Ed era rimasto poi a bocca aperta quando, con una delicatezza che gli era parsa quasi fiabesca, il piccolo Trunks aveva avvicinato il volto al suo, posandogli poi un leggero bacino sulla lastra di vetro, in corrispondenza del suo naso, spiazzandolo completamente. In quel momento Vegeta sentì quella cosa al centro del petto cominciare a battere con una forza spaventosa, senza riuscire a spiegarsi il motivo.
Batteva troppo forte per i suoi gusti.
Per questo forse si era allontanato di scatto dal vetro, staccandosi dalla finestra, guardando il bambino con occhi spalancati. Trunks intanto non aveva smesso un minuto di fissarlo e di sorridere, e ad un tratto, gli occhioni azzurri si erano ottenebrati dal sentimento della confusione, nel vedere quel meraviglioso contatto interrompersi così bruscamente. Vegeta continuava a fissare suo figlio inorridito, non capacitandosi di quanto accaduto. Il cuore stava battendo con una potenza inaudita, e gli occhi non potevano fare a meno di guardare ora Trunks, ora Bulma ancora dormiente, con orrore e confusione. E magari fu proprio quel battito troppo forte, quel tum tum continuo, quelle 90 pulsazioni che erano diventati molte di più, a spaventarlo. Confuso, indietreggiò un poco senza smettere di fissare Trunks.
 
Poi, fece la cosa che gli sembrò più semplice ed ovvia; scappare, come sempre. E mentre si allontanava nel cielo scuro ad una velocità non inferiore a quella della luce, un bambino dai grandi occhioni azzurri continuava a fissare estasiato quell’uomo che adesso non stava diventando altro che un puntino nella notte. E senza rendersene nemmeno conto, le prime parole del piccolo si fecero strada nella sua boccuccia, senza che nemmeno lui sapesse il perché o dove le avesse sentite. Lo disse e basta, balbettando ed incespicando  nell’ inesperienza dei suoi primi suoni di senso compiuto.

“P –P –papà …” balbettò Trunks, con il viso premuto sul vetro e lo sguardo rivolto verso il cielo notturno. Ma Vegeta era già troppo lontano …

'Cause you'll be in my heart 
Yes you'll be in my heart 
From this day on 
Now and forever more 

Yes you'll be in my heart 
No matter what they say 
You'll be in my heart 
Always and always 

Just look over your shoulder 
Just look over your shoulder 
Just look over your shoulder 
I'll be there 
Always

 
Nota autrice: essendo oggi il giorno del mio compleanno volevo a tutti i costi pubblicare qualcosa, se non altro da regalare a me stessa. Sfortuna vuole che oggi non avessi un briciolo d’ispirazione perciò, pensando a questa mia vecchia one shot, ho deciso di inserirla nella raccolta, dedicandola a me stessa (sì, non sono normale XD) poiché è effettivamente uno dei miei lavori a cui tengo di più. ;)
   
 
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