La
camera della figlia dell'imperatore era maestosa, curata nei suoi
particolari, colma di raffigurazioni in lingua mancese, su cui vi erano
dipinti dei guerrieri selvaggi e spavaldi. Sulle mura erano affisse
numerose figure ed icone del Budda nelle forme più svariate,
che aveva ordinato suo padre agli schiavi di appendere. I tetti alti ed
ampi, che raffiguravano simbolicamente l'abitudine dei mancesi di
vivere su alte montagne, ai più attenti, sarebbe sicuramente
saltati all'occhio.
In men che non si dica, la minuta e stanca Zhulan arrivò da
Ailin, ch'era comodamente sdraiata sul proprio letto matrimoniale.
«Ti ho aspettato a lungo, Zhulan, la fasciatura ti ha davvero
rovinato il passo, cara.» E dalle piccole e rosee labbra di
Ailin scappò una crudele e sarcastica risatina che alla
schiava fecero arrossare gli occhi, ma nonostante ciò, non
diede a vederlo. Zhulan si avvicinò alla padrona e si
sedette sul letto soffice, versandole dell'acqua nel bicchiere; Ailin
elevò la schiena e bevve tutto d'un sorso.
«Com'è il tuo futuro sposo?»
Proferì Zhulan con tono giocoso.
«Non ti permettere più a chiamarlo marito, quello
lì!» Urlò Ailin, diventando paonazza.
«Come pretendi che sia? Mica piace, a me. Lo faccio solo per
salvare il mio regno, sai quanto lo amo. » Disse, girando la
testa dal lato opposto. Nonostante le nozze non fossero confermate, il
suo cuore era pieno d'odio e di rancore per il padre che non la vedeva,
a suo parere, come una figlia, ma come l'ultima ruota del carro.
Dopotutto, le sue sorelle avevano già superato i vent'anni,
al Khan non sarebbero mai interessate quelle zitelle, che d'altronde
erano sposate; lei, con i suoi quindici anni, avrebbe potuto
conquistare il principe con la sua bellezza e il suo viso giovane e
pulito, con il suo corpo "nè grasso nè magro
paragonabile alla figura della bella Xishi", e con la sua pelle pallida
come la neve. Lei non era considerata un gioiello, ma un semplice
merito da mostrare al mondo.
«Non dire così, se dovrete veramente sposarvi,
conoscendovi, magari troverai qualcosa di bello in lui!»
Proferì la schiava, quasi mentendo a se stessa. Lei, il
Khan, lo aveva intravisto. Era rude, sovrappeso e soffriva di calvizia.
Non sarebbe piaciuto a nessuna.
Ailin
si perse, nel frattempo, nei suoi pensieri. Pensò a sua
madre, a suo padre, alle sue concubine, agli abitanti che, addirittura
dalla campagna, vennero a festeggiare il suo ritorno a Shenyang. Le
urla, i pianti di commozione, la festa, la felicità del
popolo. Quella folla di gente appostata alle porte della
città già da ore, che la salutavano, la
acclamavamo, se avesse lasciato la Manciuria, non l'avrebbe mai
più incontrata. Dopotutto, lei, ancora, non era proprio
cresciuta. Nonostante dai comportamenti sembrasse già una
donna adulta, pensava ancora a giocare, a come prendersi il gioco degli
altri, e ancora, a quindici anni, si infatuava un giorno sì
e un giorno no di un ragazzino diverso.
« Ailin, cosa stai pensando? » La mano della minuta
Zhulan la scosse leggermente sulla spalla, coperta dal suo meraviglioso
qipao tradizionale rosso, di morbida seta dalle fantasie floreale.
Dopo, la schiava alzò leggermente le lunghe maniche del
vestito della principessa, e le strinse entrambe le mani, pronunziando
parole rassicuranti ed affettuose. Zhulan le disse che non le piaceva
assolutamente l'idea che se ne andasse, ma se avesse davvero dovuto
farlo, avrebbe sperato il meglio per lei e per la sua unione. Zhulan
quasi scoppiò in lacrime dall'angoscia mentre Ailin rimase
immobile e persa nel suo mondo fatto di idee e teorie che non stavano
né in cielo né in terra. Dopotutto, le due
ragazze, stavano semplicemente tormentandosi con fantasie del tutto
inesistenti, perché le nozze erano soltanto un'idea,
un'ipotesi che poteva essere vera quanto falsa. Il destino di Ailin
dipendeva dalla situazione politica futura, dalla decisione del padre e
dalla gravità delle intenzioni del Khan.
Un'altra
schiava, Honghua, bussò dolcemente alla porta chiedendo il
permesso di entrare nella camera imperiale. Ailin, con un piccolo verso
presuntuoso permise alla serva di entrare. Honghua era alta e magra
come poche, una pelle bruna che indicava la sua provenienza contadina e
la sua etnia Han. Nonostante non fosse la schiava più amata
del palazzo, compiva sempre a termine i suoi doveri e mostrava grande
devozione ai suoi potenti.
« Spero che il Vostro viaggio in Mongolia vi abbiamo portato
tanta felicità. Vi comunico che vostro padre Vi aspetta
nella sala Wenyuange per parlarVi. Vi lascio conversare. » E
chiuse la porta silenziosamente.
Le
due ragazze si guardarono un secondo negli occhi sorridendosi,
scendendo entrambe dal letto. Chiusero la porta dietro di loro e si
diressero verso il padiglione dedicato all'Enciclopedia; nonostante
quella stanza si proclamasse biblioteca, l'imperatore amava occuparla
per ore leggendo ed addirittura mangiandoci dentro interi pasti.
Dedicava ore leggendo le sacre scritture dei sutra, recitava
giornalmente il mantra della Grande Compassione sentendosi
più rilassante, conciliando la consapevolezza della propria
impermanenza. Nonostante Ailin amasse e credesse fortemente nello
sciamanesimo mancese, e non lo avrebbe mai sostituito con una religione
che non appartenesse alla sua etnia, doveva accettare come una
realtà la devozione del padre a quel Buddismo
così tanto diverso dalla religione primordiale.
«Sono qui, padre.» Senza neanche bussare, Ailin
entrò nella biblioteca del genitore seguita da Zhulan, che
tremava di paura.
«Mi han detto che mi avete chiamato, stavo riposandomi
perché troppo stanca dal viaggio di questi giorni, avete
qualcosa da dirmi?» Chiese lei, senza troppi giri di parole
ed osservando il padre con fare arrogante e sufficente.
«L'avete raggiunta finalmente l'Illuminazione,
padre?» Aggiunse, ridendo sotto i baffi. Non riusciva davvero
a trattenere quelle battutine che le uscivano naturali da quella
boccuccia.
«Figlia mia, per raggiungerla necessita una vita, non
è facile come pensi tu.» Rispose lui, sorridendo.
«Ailin, adesso gli insegnamenti del Gauthama Buddha sono
quelli che tutto il popolo segue ed appoggia, ed è giusto
che le impari a sua volta. Domani a corte inviterò un monaco
che ha appena completato il suo noviziato insieme al suo maestro per
accompagnarti in questo meraviglioso cammino. Quei due mi hanno fatto
capire tante cose. Adesso puoi tornare in camera tua. »
«No! No! Tutto ciò che vuoi, ma quelli
lì no, scordatelo!» Urlò a squarciavoce
scappando dalla biblioteca del padre con le lacrime agli occhi dalla
rabbia, tirandosi dietro anche Zhulan.
Tornate
in camera, Ailin si scaraventò nel letto imprecando suo
padre.
«Non li voglio incontrare assolutamente, quei monaci, sai che
mi interessa di loro! Solo soltanto dei poveri asini; del tutto
inferiori ai nostri sciamani, solo loro conoscono la verità.
I monaci, invece? Spendono una vita pregando, pregando un Budda
arrogante. Che ci impone di saper tutto. Odio questo voler diventare
cinese di mio padre. Noi abbiamo conquistato la Cina, non sono i Cinesi
che hanno conquistato noi.» Disse Ailin, indicando con un
dito il cassetto delle vestaglie alla schiava; lei già
sapeva cosa doveva fare. Aprire il cassetto, portarle la vestaglia ed
aiutarla a spogliarsi, perchè, la principessa era molto
pigra e pretendeva di vivere dell'aiuto degli altri.
« Beh, non ci perdi nulla, provaci, almeno asseconda tuo
padre questa volta! ». « Ogni religione e
tradizione hanno i loro lato positivo, vedila
così.» Proferì la schiava.
Zhulan
aiutò la ragazza a liberare i capelli dai qitou* piuttosto
pesante e difficile. Le portò la vestaglia a letto e la
svestì degli strati di stoffe che il qipao** richiedeva,
dopo ch'era rimasto l'ultimo, Ailin le ordinava di girarsi.
« Puoi rigirarti. » Disse la figlia
dell'imperatore, ch'era già avvolta da una meravigliosa
stoffa bianca, che risaltavano i suoi lunghi capelli bruni;
l'acconciatura naturale abbellivano e coloravano la pelle pallida di
quel suo viso tondo e fiero, che avevano due occhi stretti e
scurissimi, con ciglia inesistenti; Le sopracciglia erano folte, nere,
serie.
« Ti sta sempre benissimo, questa vestaglia.»
« Sì, lo so. Puoi andare. Domani mattina ti
saluterò prima di incontrare quegli asinelli pelati.
Buonanotte. » Ailin allontanò così la
serva, degnandola soltanto di un accennato sorriso e un gesto con la
mano. Zhulan ripose le vesti della padrona nell'armadio,
aprì la porta e salutò la sua padrona, anche se
in realtà nel cuore non la congedava mai.
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Grazie per avermi letto.
Qitou: acconciatura delle donne mancesi.
Qipao: vestito tradizionale femminile mancese.