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Autore: bridgetvonblanche    21/05/2015    1 recensioni
-Tu non conosci le cose che ho fatto, i peccati di cui mi sono macchiato giorno dopo giorno-
La tua voce trema, mentre negli occhi di lei ora saresti pronto a giurare di aver visto lo stesso terrore che osservasti nello sguardo affranto della giovane orfana del Villaggio della Pioggia.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Konan, Obito Uchiha, Rin, Tobi | Coppie: Obito/Rin
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden, Più contesti
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Tell me what you see



 

La ragazza dai capelli azzurri era lì, distesa sulla superficie dell’acqua, immobile.
Stava li, ferma e composta sopra quello specchio incolore, il battito del suo cuore sempre più flebile, quei grandi occhi intenti a scrutare con l’ultima briciola di orgoglio che le era rimasto quel cielo grigio lasciare a poco a poco spazio ad un meraviglioso arcobaleno.
Konan era lì, il respiro sempre più sottile, il corpo gracile ed inerte privato ormai di qualsiasi tipo di energia.
Un uomo mascherato le dava le spalle, senza però osare allontanarsi da lei.
Non l’avrebbe aiutata a rialzarsi, non avrebbe tentato di salvarla in alcun modo. Era rimasto inerme di fronte a quel corpo, perso piuttosto a contare ogni suo più impercettibile tremito, ogni suo sempre più leggero battito.

***

Eri li, rigido e statico come l’acqua sotto i tuoi piedi ad osservare forse con un certo disprezzo la tua mano, la sola che eri riuscito a salvare dalla potente esplosione di cui eri rimasto vittima. La stessa mano che avevi chiuso come una spira attorno al sottile collo di Konan uccidendola silenziosamente, soffocandola senza nemmeno lasciarle il tempo per chiedere aiuto o pietà.

Stavi lì, impietrito e rigido, accorgendoti forse per la prima volta dopo anni della brutalità del tuo gesto, quello di aver strappato con violenza uno splendido fiore dalle sue troppo sottili radici, sfruttandone la linfa solamente per scopi personali e infine gettarlo tra i rovi, calpestandolo senza alcuna remora. La giovane donna dai capelli color del cielo stesa ai tuoi piedi esala ora il suo ultimo respiro, un estremo per quanto flebile tentativo di rimanere ancora aggrappata alla vita; poi più nulla.

Istintivamente ti inginocchi accanto a lei e delicatamente abbassi le palpebre che nasconderanno per sempre quei suoi grandi occhi ormai sbarrati. Solo ora puoi permetterti mostrare il tuo vero io, concedendoti un momento di debolezza e qualche sospiro forse più profondo del dovuto prima di essere risucchiato da un vortice che tu stesso hai generato. Ti ritrovi cosi, in pochi secondi, all’interno della tua stanza buia, nuovamente solo ad affrontare i tuoi stessi demoni, conscio di aver lasciato ancora una volta dietro di te dell’altro sangue innocente.

-Obito-

Una voce cristallina, leggera e piacevole come una ventata d’aria fresca che senti provenire dalla finestra accanto al tuo letto, ridesta immediatamente i tuoi sensi. Quell’alito di vento che sfiori con le dita scompiglia con un tocco leggero i tuoi capelli prima di posarsi sulla tua spalla martoriata, facendoti sussultare e gemere leggermente.

-Che cosa è successo?-

Apri e chiudi ripetutamente gli occhi per accertarti che la figura ora in piedi di fronte a te non sia solo frutto del dolore lancinante che percorre ed invade prepotentemente il tuo petto fino alla spalla maciullata. Incredulo ti alzi di scatto indietreggiando di qualche passo; con le poche forze che ti sono rimaste in corpo decidi addirittura di attivare lo Sharingan che, sfortunatamente per te, non dura però più di qualche secondo.

L’esile figura che riprendi ad osservare attraverso iridi scure come nera pece, al contrario, non sembra battere ciglio: non appare né spaventata né tanto meno preoccupata per ciò che potresti farle, per male che saresti in grado di infliggerle. Cerchi di ricomporti, non vuoi dare l’impressione di essere stato colto di sorpresa; per questo motivo lasci che un’espressione sempre più cupa e torva si dipinga sul tuo volto. 

-Non sono affari tuoi, una questione di poco conto- 

Torni a percepire il tocco leggero di quella mano che delicatamente si posa sulla tua guancia ruvida nel timido tentativo di darti un qualche conforto, ma tu non sei ancora pronto per tutto questo. Non sei ancora abbastanza forte per affrontare questo demone, non sei nelle condizioni adatte per affrontare quegli occhi.
Decidi così di respingere nuovamente il suo tentativo di avvicinartisi, indietreggiando ancora.

-Sto bene- ripeti più a te stesso che non a lei, cercando in qualche modo di liberarti da uno strano senso di colpa che mai prima d’ora era stato in grado di turbare il tuo animo irrequieto.

-Hai perso un braccio-

Lei lo sa.
Sa qual è la verità che malamente cerchi di celare sotto quella maschera di colore arancione ormai scheggiata e che invano tenta di assolvere alla funzione di coprire il tuo viso consumato dall’odio; in fondo, a lei non sei mai stato in grado di nascondere nulla. Ed ora che anche il suo sguardo si è fatto più severo, hai come l’impressione di aver già vissuto tutto questo in un passato forse così lontano che non senti più nemmeno tuo. 
Un tempo troppo distante, giorni spensierati in cui lasciavi che lei si prendesse amorevolmente cura di te e delle tue ferite. 
Bastava un suo sorriso per acquistare nuovo vigore, un suo gesto per infonderti coraggio. Bastava la sua presenza, per farti sentire un po' più uomo, un jonin forte e virtuoso, degno di poter diventare il miglior Hokage di tutti i tempi.

-Almeno lascia che ti fasci la spalla- 

Una richiesta sommessa la sua, che tu non sei però ancora disposto ad accettare. Non vuoi mostrarti di nuovo sconfitto davanti a lei, non dopo averle promesso che avresti fatto di tutto per riuscire a riportarla indietro.

Non importava il prezzo, non importava con quale mezzo, non aveva nemmeno più alcuna rilevanza attraverso quanti e quali sacrifici: saresti stato disposto a morire anche adesso, se questo fosse bastato per vederla tornare in vita, tornare da te, anche s0lo per un istante. Poter sentire ancora una volta il battito del suo cuore, respirare il suo respiro, inebriarsi del suo profumo, tornare a vedere il suo sorriso, quello più vero, un sorriso tale da riuscire a sciogliere anche il tuo cuore, ora più duro del marmo.

-Tu non hai la minima idea di cosa ho dovuto sopportare in questi anni-

Confessi a denti stretti ed i pugni chiusi, nessun tremolio nella voce, ora solamente intrisa di dolore misto a rabbia.

-Non sai che cosa sono diventato, in cosa mi sono trasformato-

Prosegui dopo una brevissima pausa, atta solamente a contemplare l’espressione del dolce viso di lei rabbuiarsi improvvisamente.

-E allora perché non me ne vuoi parlare? Perché continui a nascondermi le ferite, Obito? -

Perché continui a nascondere le tue ferite?
E’ una domanda alla quale non hai mai saputo trovare risposta; sono parole che detesti con tutto te stesso perché l’unica persona a cui avresti voluto mostrare tutte le tue cicatrici, la stessa che aveva pronunciato queste parole, proprio in questo ordine, con questa esatta cadenza, giurandoti che sarebbe sempre rimasta accanto a te per tenerti d’occhio, non c’è più.
E’ morta portando via con se promesse infrante e sogni mai più realizzabili.

Allo stesso tempo però, e non sapresti mai spiegare il perché, la sublime dolcezza del tono della sua voce ti convince a proseguire nel discorso.

-Ho ucciso una donna che mi ha tradito-

Confessi dunque, le tue dita strette a pugno in una morsa infernale. La stessa solida e ferrea presa che si è rivelata fatale per Konan, sulla quale hai riversato tutto il disprezzo per le vane illusioni di cui si era fatta portatrice e nelle quali sembrava credere così fortemente da riuscire a trovare il coraggio per sfidarti a testa alta. Hai soffocato nell’oblio eterno quei sentimenti d’amore, d’amicizia e di speranza in cui ti sei accorto di non essere più capace di credere.

-Tutto quello che doveva fare era cooperare con me-

Silenzio. I tuoi occhi neri nei suoi, dieci volte più luminosi; il tempo che scorre inesorabile tra voi è percepibile solo attraverso il lieve rumore del ticchettio di un orologio da parete.

-Non ho avuto scelta-

È forse per questo che l’hai uccisa. Konan aveva trovato il modo di tornare a sperare nonostante tutto il dolore; si era dimostrata più forte di te, e tu non potevi accettarlo.

-Tu non conosci le cose che ho fatto, i peccati di cui mi sono macchiato giorno dopo giorno-

La tua voce trema, mentre negli occhi di lei ora saresti pronto a giurare di aver visto lo stesso terrore che osservasti nello sguardo affranto della giovane orfana del Villaggio della Pioggia. 

-Forse dovrei descrivertelo, dovrei descriverti come è stato facile ucciderla-

Ancora una volta, l’odio e la rabbia prendono il sopravvento sulla tua mente già poco lucida. Adesso sei tu a costringere quello spiraglio di luce ad indietreggiare davanti alla tua ombra che si allarga, si allunga, si dipana in tutto lo spazio che ti circonda.

-Basta, ti prego-

Ed è lei a ritrovarsi con le spalle al muro ora, gli occhi sempre più lucidi, lo sguardo sempre più afflitto, le mani sempre più tremanti.

-Era così indifesa-

-Obito fermati-

Il tono supplichevole, arrendevole, con cui quel “fermati” scaturisce flebile dalle sue labbra non sembra però essere sufficiente per placare la tua ira e il rancore che bruciano all’interno del tuo petto e che fanno più male di qualsiasi ferita e cicatrice sia presente sul tuo corpo. Ti avvicini ancora un poco a quel viso ancora così bello, nonostante le lacrime che hanno cominciato a scorrere pesanti lungo le guance ed il tormento che chiunque vi potrebbe leggere impresso come un marchio indelebile. 

Istintivamente sollevi quello che rimane della tua maschera a spirale gettandone violentemente i resti a terra, mandandola in frantumi.
Solo così hai modo di osservare l’angoscia crescere nei suoi occhi, compiacendoti quasi del fatto che il suo sgomento non è dovuto al sordo rumore di una maschera rotta, bensì per ciò che si cela sotto quella spirale d’odio infernale.

-Sono ripugnante, non è vero?- domandi, portando istintivamente la tua mano contro la sua guancia accaldata, cominciando ad asciugare con il polpastrello del pollice quella sensazione di umido che ti riporta lontano, indietro nel tempo.

-No- la senti rispondere, quell’unica sillaba pronunciata tra pesanti singhiozzi.

Non ti ricordi più come si fa, a piangere; non sapresti nemmeno dire che sapore abbiano acquistato le tue lacrime dopo tutte le sofferenze, dopo tutto il dolore che ti ha travolto ed irrimediabilmente cambiato in questi dieci lunghi anni.

-Ti spavento, non è così?- chiedi nuovamente, il tono di chi non ammette repliche.

Sai che sta mentendo: dopotutto eravate compagni di squadra. Avevi imparato ad esaminare ogni suo singolo movimento, rimanendo ogni volta incantato da ogni suo gesto, arrivando a percepire ogni suo più piccolo sbalzo d’umore attraverso quelle sue impercettibili smorfie, la fronte leggermente aggrottata, i movimenti delle mani e quella strana mania di mordicchiarsi il labbro ogniqualvolta non riusciva a far quadrare un dato, un dettaglio.
Lei era molto più che una compagna di missioni: era ossigeno per i tuo polmoni, il tuo sole, calore in grado di scaldarti l’anima, l’arcobaleno che sapeva rallegrare ogni tua giornata.

Per questo motivo il suo terrore ora era così chiaro ai tuoi occhi che avresti potuto toccarlo, dargli una forma: quella del suo viso.

-No- è la sua risposta, ennesima riprova di quella cocciutaggine che non l’aveva mai abbandonata, ma che ora la stava tradendo irrimediabilmente. Una voce troppo tremante, troppo insicura, troppo spaventata la sua; e il capo chino e lo sguardo di chi non si vuole arrendere nonostante i fatti siano così evidenti da non lasciare alcuna ombra di dubbio.

-Allora guardami-

La osservi scuotere ripetutamente la testa, il suo sguardo ora rivolto completamente verso il pavimento in legno scuro della stanza mentre, con le ultime forze che le sono rimaste, porta la sua mano a contatto con il tuo avambraccio, ancora disteso verso la sua guancia, costringendoti ad interrompere bruscamente il contatto tra voi.

-Guardami!-

Hai bisogno di sentire il suo sguardo severo bruciarti la pelle come quella volta al campo di addestramento con il maestro Minato, quando ti aveva ammonito per il tuo essere così superficiale e testardo; cerchi disperatamente un contatto con i suoi occhi perché è solo scrutando quell’anima pura che speri di riuscire a trovare le risposte che cerchi senza sosta da anni.

-Guardami maledizione!- 

Scarichi tutta la frustrazione attraverso un pugno di inaudita violenza che scagli senza alcuna esitazione contro la parete, a pochi centimetri dal quel viso angelico che, colto totalmente alla sprovvista, ritorna così a scrutare il buio che si dipana dai tuoi occhi. 

-Chi sono io?-

La osservi bene, cercando in qualche modo di specchiarti nelle sue iridi color cioccolato. Vorresti riuscire a scorgere il tuo riflesso in lei, quello del giovane e baldanzoso Obito Uchiha, ma ciò che riesci a vedere ora è solamente il ritratto di un uomo infelice: stanco di combattere per qualcuno che non tornerà più.

-Dimmi che cosa vedi-

I tuoi occhi fissi nei suoi, persi, alla ricerca di risposte che non riuscirai mai a trovare all’interno di una illusione che prende forma dalla tua unica debolezza, quel sentimento che credevi di essere riuscito a seppellire sotto chili di macerie di rancore e che invece ritorna prepotentemente a bussare alla porta del tuo cuore. Sei così vicino alle sue labbra che, volendo, potresti baciarle, assaporarle, come hai sempre desiderato.
E allora cosa ti trattiene?

-Dimmelo, ti prego- accetterai solamente una risposta sincera; da parte sua sarebbe poi stupido dopotutto, cercare di mentirti.

-Io..-  i suoi occhi parlano; sotto di essi già si nasconde quella verità inesprimibile a parole, percepibile solo attraverso il balbettio delle sue labbra ed il tremore nelle sue mani.

-Io non lo so più, Obito-  avrebbe voluto aggiungere altro; sai ci sarebbero state tante parole di speranza che avrebbero seguito questa frase, tante cose che lei avrebbe voluto dire per cercare in qualche modo di redimere e rincuorare la tua anima dannata, sempre in affanno, sempre alla ricerca di vendetta. Ma tu non le permetti di proseguire nel discorso, appoggiando con una certa forza la tua mano sulle sue labbra. Non vuoi sapere altro da lei; non c’è altro da dire, nessuna parola da aggiungere a quelle che già vi siete scambiati attraverso trame di silenziosi sguardi. 

-No, non lo sai Rin-

Il suo nome, che esce dalle tue labbra insieme ad enormi e profondi sospiri è l’ultima cosa che ti resta da aggiungere prima che la delusione si dipinga sul tuo volto stanco. Delusione e ribrezzo che provi solo ed esclusivamente per te stesso. 

Volevi che fosse lei a portare il peso dei tuoi peccati, pensavi di riuscire a scaricare su di lei tutte le colpe. Finora hai sempre pensato che fosse stata lei ad abbandonarti, lei che non era stata in grado di mantenere fede alla sua promessa, lei che ti aveva lasciato, abbandonandoti al tuo destino e scegliendo di morire per mano della persona che credeva di amare. E invece sei tu che ancora non riesci a sostenere la forza di quello sguardo che ti accompagna anche mentre decidi di allontanarti da lei, da te stesso, uscendo da quella stanza buia la cui aria era diventata irrespirabile.

Sbattendo violentemente la porta alle tue spalle, lasci in balia delle tenebre più profonde quel raggio di luce il cui solo ricordo era sempre riuscito a dare un senso alle tue giornate, alla tua stessa -forse scialba- esistenza.

E, per la prima volta dopo anni, le tue guance vengono bagnate da nuove e più amare di quanto ricordassi, lacrime.


 
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bridget's wall:

Gente sono vivaaaaaa! E sono tornataaaa (per poco) :'D
Per poco perchè, visto e considerato che a Giugno per me comincia una nuova ed entusiasmante sessione d'esame, penso che per un pò dovrò sparire (alla Tobi, lol) da EFP *piange*
Però non potevo lasciarvi così, con una raccolta non conclusa (per il momento almeno) e niente carne al fuoco..

Ho iniziato a scrivere questa OS ancora più di un mese fa e l'ho finita da poco (giusto giusto in tempo per la fine di Maggio, olèèè!)
Questo perchè la situazione da cui sono partita è abbastanza "diversa" da tutte le precedenti che ho scritto (Obito che sogna Rin, Rin che sogna Obito, loro che si incontrano in un aldilà non definito etc etc..): qui il punto di inizio è ben preciso, siamo dopo la morte di Konan (nonchè uno dei miei personaggi preferiti dell'intero manga).
Obito osserva l'arcobaleno, osserva Konan, osserva ciò che ha fatto.
Il suo riflesso sulla superficie dell'acqua non è quello che lui vorrebbe vedere, ma è ciò che scoprirà essere davvero: Obito Uchiha ha perso se stesso, non sa più chi è. E la stessa rabbia e frustrazione viene scagliata contro l'immagine di Rin, che appare davanti ad un Obito distrutto, chiuso nella sua stanza buia dove lei sembra essere il solo raggio di luce. Una luce che Obito spegne subito, che non è ancora in grado di affrontare.
La maschera, il tema del doppio, gli specchi, sono tutti aspetti caratteristici che io amo del personaggio di Obito.
La sua debolezza è lì, di fronte a lui: Obito è vulnerabile solo davanti a Rin, solo quando sente nominare il suo nome (e ce lo ha ampiamente dimostrato).
E poi bo, starei qui ancora mezz'ora a scrivere di quanto io ami questa coppia e di quanto avrei desiderato una seconda possibilità per entrambi, perchè entrambi avrebbero meritato una seconda occasione.
Ma forse è meglio così, in fondo, in questo modo, posso dare libero sfogo alla mia (forse troppo fervida) immaginazione.
Ringrazio ancora tutte le fan di questa coppia, tutte coloro che passeranno di qui e leggeranno (e/o commenteranno) questa storia.

Se non dovessiomo più sentirci per un pò, auguro a tutti buone vacanze estive (e buoni esami per chi ha la maturità/ sessione universitaria)
Nel frattempo vi abbraccio tutti.
Pace, amore e 
Tsukuyomi Infinito.

-bridgetvonblanche
 
  
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