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Autore: Lost dream    23/05/2015    0 recensioni
"Prese il fiore, lo spezzò in mille patetici pezzettini. Benzina e poi solo fiamme. L'intero campo di ginestre non esisteva più. Né nella realtà né nella sua immaginazione. Il suo passato era finalmente salvo." Una città tetra, personaggi crudeli e altruisti nello stesso momento, fiori e lettere sono i protagonisti di questo avvincente giallo, thriller. Un nemico si nasconde nell'ombra firmandosi sempre allo stesso modo. Morte e distruzione sono le sue facoltà. Narra la storia di un ragazzo che parte per la città di Dinoia ove iniziano ad accadere avvenimenti sempre più terrificanti tutti firmati OHO. Come suoi collaboratori il vecchio Professore di Antropologia Anneo Palco e la bellissima Grazia, giovane fanciulla dai capelli rossi di cui il nostro protagonista rimarrà estasiato. Il romanzo parte dalla morte di una giovane donna di nome Rossella che secondo il Professore potrebbe non essere morta. Il giallo di Rossella e gli attacchi terroristici di OHO si intrecciano in un'unica meravigliosa storia avvincente.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Il Primo Settembre arrivò ad una velocità impressionante, i mesi passavano senza che me ne accorgessi. A fine luglio andai a fare l'ultimo esame del primo anno. Si trattava di Archeologia Classica. Avevo studiato poco in quanto ero stato preso dai preparativi per la partenza. Il Professore mi mise 21 e mi chiese se avevo intenzione di rifiutarlo. Fosse stato un altro momento forse l'avrei anche fatto ma a un solo mese dalla partenza non avevo il tempo di riprovarlo. Accettai così il 21 in Archeologia e terminai con l'Università. Andai in segreteria per avvisare il mio ritiro. Non avevo intenzione di continuare gli studi neanche dopo il ritorno dal viaggio che sarebbe durato circa tre mesi. La partenza era fissata per il 23 Settembre e nei restanti 23 giorni non avevo la benchè minima consapevolezza di quello che avrei dovuto fare ma allo stesso tempo neanche la voglia di farlo. Però avevo un desiderio incessante. Quello di sapere ciò che avrei trovato nel viaggio.
Il 17 Settembre conscio del fatto che niente e nessuno mi avrebbe aiutato a fare la valigia inizai a prepararmi. Era assolutamente difficile decidere cosa portare e cosa no. Non è come quando ti trasferisci. All'età di 10 anni io e mia madre fummo costretti a  trasferirci di casa perché mamma aveva ereditato i soldi da sua madre morta poco tempo prima e con quei soldi comprammo una casa che intestammo a me. Mia madre e sua madre non avevano un rapporto idillioco eppure ciò non ha impedito a mia madre di accaparrarsi dell'eredità della vecchia per il nostro benessere. Mio nonno invece non lo avevo mai conosciuto. Morì al quinto mese di gravidanza di mia madre. Probabilmente la gioia di ricevere questo bel nipote lo ha stroncato. Avevo invece ancora i nonni paterni. Ma entrambi non sembravano interessarsi molto della mia solitudine. Dopo la morte del figlio eliminarono ogni forma di rapporto con mia madre. Ogni tanto chiamavano me per sapere come stavo o per sapere se avevo la fidanzatina ma stranamente non erano interessati a ciò che mangiavo a differenza della nonna materna che sembrava esserne ossessionata.
Il 20 Settembre l'ansia per la partenza si faceva sempre più viva. Oramai non doveva mancare molto. Eppure il giorno del viaggio sembrava ugualmente molto lontano. Tre giorni possono sembrare trent'anni a volte. Come trent'anni, spesso, possono sembrare tre giorni.
Il 22 Settembre terminai la valigia. Non perché ci volle tutto questo tempo ma semplicemente perché il 17 mi seccai e alla fine lasciai i vestiti ammucchiati sul letto come a formare un enorme pila. Io da circa un anno infatti non dormivo più sul mio letto ma sul divano-letto in soggiorno. Era decisamente più comodo e potevo dormire con la tv accesa anche ad alto volume.
Terminata la valigia andai in cucina a preparare un ultimo piatto di pasta prima della partenza, andai a fare un'ultima urina serale e a fumare un'ultima sigaretta italiana. Alle 23,00 circa scesi tutto l'occorrente per la partenza nel soggiorno e lo misi vicino la porta quasi a voler scappare. La mattina successiva dopo la doccia e la colazione andai di fretta a salutare mia madre e poi mi diressi verso l'aeroporto. Chiamai un taxi per evitare la seccatura di lasciare la macchina al parcheggio per tre mesi in quanto non c'era nessuno disposto ad andarla a riprendere. Finalmente erano le 10,00 di mattina.
Andai al bar e lì trovai come d'accordo il Professor Anneo Palco, due ragazzi della mia età e una donna sulla quarantina la cui collana al collo avrebbe sfamato un milione di persone se venduta al mercato nero.
La donna adulta mi fu presentata come l'assistente del Professore, era abbastanza alta ma sicuramente aiutata dai tacchi a spillo che portava. Indossava una gonna color panna con un vestitino leggero quasi estivo dalla tonalità rossa. Mi porse la mano "Lucia" disse.
Gli strinsi la mano rispondendo educatamente al saluto. Poi si avvicinarono gli altri due ragazzi. Il primo era un ragazzo della mia stessa età si presentò come Gabriele. Era uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto in vita mia. Classico biondo, occhi azzurri, spalle larghe e fisico da atleta. Indossava converse, jeans e maglietta bianca con una di quelle scritte stupide che mai nessuno capiva. Infine si presentò la ragazza anche lei mia coetanea. Bellissima come poche, capelli rossi e ricci che le scendevano fino alle spalle, passo deciso ed elegante e occhi intensamente scuri. Sembrava vestire casual ma nonostante il suo semplice jeans chiaro e la maglietta scollata color ceruleo era ugualmente raffinata. Il suo nome era Grazia. Arrivammo in Europa in pochissimo tempo.
Ci sistemammo in un Hotel dove saremmo stati per tutta la durata della spedizione. Sembrava alto quasi quanto l'Empire State Building. Ovviamente era molto ma molto più basso ma guardandolo in verticale dava decisamente questa impressione. Io e Gabriele dividevamo la stanza mentre Lucia, l'assistente l'avrebbe divisa con Grazia. Il Professore scelse una singola. Ci andammo a cambiare e nella mezz'oretta in cui restai in camera non sciambai nemmeno una parola con Gabriele. Appena entrati lui gettò la valigia in un angolino, scelse un letto e lo indicò guardandomi per sapere se mi andava bene che prendesse quello, feci cenno di sì. Poi quasi stanco si slacciò le scarpe e si abbassò i pantaloni. Li gettò su una sedia ed entrò in bagno. Cinque secondi dopo sentii il rumore dell'acqua scendere dalla doccia. Io presi il mio pacchetto di sigarette e andai fuori dal terrazzino. Generalmente non fumavo, ma in alcune occasioni la ritenevo una cosa abbastanza rilassante. Si trattava di una sigaretta al mese massimo, quasi nessuno infatti si era mai accorto del fatto che io fumassi, ma quasi nessuno si era anche accorto del fatto che io respirassi.
Gabriele uscì completamente nudo dal bagno proprio mentre stavo rientrando chiudendo le finestre. Mi guardò e mi disse "Ti dà fastidio?" "Cosa?" chiesi io "Se giro nudo per la camera". Io mossi la testa da destra a sinistra come per indicare che non ci sarebbero stati problemi. Lui si sedette sul letto poi girò la testa e mi disse "Ti piace?" Io lo guardai allibito senza rispondere non avendo capito a cosa si riferisse. Lui sorrise maliziosamente e disse "Il fatto che io giri per la stanza nudo". Posai il pacchetto di sigarette sul comodino ed esclamai "Non particolarmente". Gabriele rise  "Peccato. Ci saremmo potuti divertire un po' " Poi si vestì e lasciò la stanza biascicando un silenzioso "ci vediamo a cena". Andai a farmi una doccia pensando ancora alla sua frase e poi scesi anch'io nell'atrio. Morivo di fame.
Nell'atrio trovai Grazia che mi sorrise e mi venne incontro "Ehi" disse. Era veramente solare, sembrava quasi che al suo passare le mattonelle si spostassero per far nascere mille margherite gialle. "Ciao" risposi io.
"Allora. Hai conosciuto Gabri?". Inizialmente non capii cosa stesse dicendo e la guardai svampito. Lei mi fissò come fossi un decerebrato "Gabriele. Il tuo compagno di stanza. " "Ahhh si." mi misi una mano sulla testa "Non avevo capito scusa. Sì, abbiamo parlato poco ma sì. Lo conoscerò col tempo. Tu già lo conoscevi?".
Lei mi guardo esasperata "Purtroppo da cinque anni. Abbiamo frequentato lo stesso liceo."
“Esaltante” mi uscì immediatamente dalla bocca. Grazia mi guardò stupita “Vedo che hai già fatto la sua spiacevole conoscenza dunque.” “Ahah ancora no, ma sono curioso di sapere come andrà avanti”.
In quel momento ci interruppe la direttrice dell’Hotel che con un modesto tacco e una giacca color viola si avvicinò a noi dicendo “Chiedo scusa. Lei e la signorina Grazia, vero?”. La mia collega annuì e la direttrice continuò “Bene. E lei?” disse indicando me. “Posove” mi presentai.
La direttrice sorrise leggermente “ Bene. Grazia e Posove, il professor Anneo Palco vi aspetta in sala riunioni. Manca il terzo ragazzo o sbaglio?”. Grazia spostò la testa per cercare il ragazzo di cui non ancora non c’era traccia. “Non si preoccupi. Lo aspettiamo noi e poi raggiungiamo il Professore. Dove si trova la sala?” Chiese Grazia. Mentre la direttrice indicava la sala io mi persi in un bellissimo quadro appeso a una colonna dell’atrio. Raffigurava una bambina seduta su un divano rosso a leggere un libro. Il divano era posto in orizzontale quindi si vedeva solo la parte laterale. Il libro era molto piccolo e di colore giallo. Ciò che colpiva era il contrasto tra la grettezza del luogo e una luce bianca che aleggiava sopra la testa della ragazza. La stanza era sporca, piena di formiche e qualche topo agli angoli della stanza che rosicchiavano alcuni cavi. Al centro della stanza un candelabro enorme. Perso nell’incanto del quadro mi estraniai dal resto del mondo a tal punto da non sentire Grazia che mi chiamava. Gabriele era appena giunto e dovevamo andare dal Professore, mi diede una pacca sulla spalla e poi guardai dritto negli occhi della direttrice. Splendidi occhi verdi che mi fissavano intensamente. Poi lei mi salutò con un cenno della mano e disse “Comunque piacere. Mi chiamo Monica”.
Il suo sguardo sembrava molto più che lacunoso di reale affetto, ma dava quasi l'impressione di essere inquietante. Come poteva una donna così elegante nascondere nature di altri tipi?
Raggiungemmo in pochissimo tempo la sala riunioni dove il Professore Palco ci aspettava impaziente. Lucia, l'assistente, era alla sua destra con in mano dei fogli che sembravano completamente bianchi. La sala era grande e piena di sedie ma noi eravamo solo in cinque ed ero confuso sull'utilizzo di una sala così grande per così poche persone. Gabriele scherzò un po' con Grazia chiedendole che mutande utilizzasse la giovane assistente Lucia mentre il Professore cercava di abbassare le tende della sala dalla quale si vedeva il corso principale della città. Quando risposi all'annuncio del Professore partii con la particolare convinzione che saremmo andati in un paese di appena 500 anime, fu dunque per me una mirabole scoperta venire a conoscenza del fatto che la città ospitasse ben più di 30.000 anime. Numero ben distante dalle 500 che immaginavo. Il corso che si intravedeva dalle finestre era largo e illuminato e ai suoi lati immensi negozi di vestiti e bar. Un bar mi colpì in particolar modo. Non era laterale come gli altri bensì era posizionato al centro della strada dove ai lati si diramava ma bloccandosi sotto l'edificio dove era stato posizionato del cemento ricoperto con mattonelle colorate. Il bar aveva un'immensa insegna luminosa gialla con scritto "Hope". Che significava "Speranza". E non era certo un nome molto diffuso per un bar, ma qualcosa colpì la mia attenzione anche più del particolare nome. Accanto al nome sempre con le luci al neon il disegno di una bambina che leggeva un libro. Sembrava quasi lo stesso disegno del quadro nell'atrio dell'albergo. Evidentemente doveva essere un'immagine ricorrente nell'iconografia di questa città. Senza ulteriori riflessioni sulla bambina del quadro andai a sedermi di fronte il professore. Gabriele si andò a sedere alla mia destra e Grazia alla destra di Gabriele. Il professore guardò Lucia e indicò alcuni fascicoli sulla sua scrivania. Lucia li prese e ne porse uno a ciascuno di noi.
Era un giornale di qualche anno fa. La notizia del giorno portava la morte di una giovane donna di nome Rossella. Era morta suicida nella sua abitazione privata lasciando due figli e un marito. Io, Gabriele e Grazia ci guardammo senza capire il motivo di quel giornale. Al che Lucia ci porse un altro giornale. Era datato circa due mesi dopo rispetto a quello che riportava la morte di Rossella. In questo era presente un articolo su una protesta di giovani insegnanti di una scuola privata ma condotta dal comune stesso davanti il palazzo di città.
Un enorme foto al centro mostrava le giovani donne e i giovani uomini con striscioni in mano e megafoni. L'inserzione riportava "Chiusa scuola privata del Comune. 80 Tra docenti e personale addetto perdono il lavoro".
"Non notate nulla di strano?" Chiese Anneo Palco.
Grazia bofonchiò alcune parole senza senso non riuscendo a trovare alcuna stranezza. Io rimasi in silenzio senza neanche guardare la foto avendo già dato una rapida occhiata senza notare nulla di così diverso. Gabriele invece fissò la foto intensamente quasi fosse vicino alla risposta. Il professore sorrise e disse "Non siete acuti osservatori allora. Guardate bene le due immagini dei giornali. Vi è tra loro un nesso molto forte."Gabriele sbattè il giornale sul tavolo davanti a noi "Sììì, è lei." Prese il primo giornale e indicò la donna morta suicida a casa sua e poi prese la foto del secondo giornale. "L'unica donna senza megafono nè striscione nella secondo foto, quella appoggiata alla colonna è identica a Rossella".
Il professore si protrasse in avanti "Identica, o la stessa?".
Gabriele non fece in tempo a rispondere che un enorme boato ostruì i nostri canali uditivi. Sembrava quasi un terremoto, ma durò solamente un istante. Il Professore mandò Lucia a vedere cosa fosse successo. Quando l'assistente tornò era alquanto scossa. Si sedette su una sedia, prese un fazzoletto e soffiandosi il naso disse "Il palazzo qua dietro è andato in fiamme. Era la sede della radio locale".
"Sono le 20,35 sicuramente avevano già chiuso. Non ci stava lavorando nessuno non ci saranno feriti". rispose Gabriele. "Dimentichi i programmi radiofonici serali. Quelli che ascoltono generalmente i camionisti" ribattè Grazia. Tutti e tre ci alzammo per andare a cercare notizie ma fummo interrotti dal Professore "dove state andando? Stavamo parlando".
Grazia si voltò "Ma Professore...è una cosa assurda. Dobbiamo andare a vedere, probabilmente verrà la tv". Gabriele le tirò una pacca sul sedere e disse "Vuoi andare in tv eh prima donna?" Grazia non rispose e insieme ci dirigemmo verso la strada. Gabriele si prese le chiavi della stanza e tornò di sopra. "Per le 21,30 tutti in sala ristorante. Continueremo a parlare di Rossella."
Per un attimo non capìì di chi stesse parlando poi mi ricordai della suicida sul giornale. Appena usciti dall'hotel fummo invasi da un bagliore. Non erano i raggi della luna che lenti e sinuosi si riflettevano sul pianeta ma erano le luci delle fiamme che vivide, veloci e possenti si nutrivano di un edificio a sei piani. Le fiamme prendevano piani tre e quattro e sembravano così vicine da averle proprio sugli occhi. Sotto l'edificio migliaia di persone spaventate, alcuni in lacrime in attesa di risposte. I vigili del fuoco salivano e scendevano in cerca di eventuali persone da portare in salvo. Dietro di noi spuntò la direttrice dell'Hotel Monica "Che disastro. Come sarà successo?". "Probabilmente una fuga di gas" risposi.
Lei mi guardò fisso negli occhi senza mai chiuderli poi ritornò a guardare l'edificio "Voleva proprio scappare quel gas". Io rimasi immobile per qualche secondo non riuscendo a capire se la sua dovesse essere una battuta e quindi avrei dovuto ridere o se semplicemente era una di quelle frasi che si dicevano alle persone che conosci poco per tirtarti fuori dall'imbarazzo. In ogni caso non risposi ma fortunatamente continuò lei " Peccato. Era proprio una bella radio. Ora scusate torno dentro, devo consegnare una chiave al personale". "Avviciniamoci" chiese Grazia. Andammo fino a dove era possibile addentrarsi. Accanto a noi un ragazzo con una bandana in testa, felpa rossa e jeans strappati. Grazia gli chiese se sapeva delle persone all'interno dell'edificio. Il ragazzo si girò "Dicono tre morti".
Proprio in quel momento giunse la polizia, Grazia, evidentemente sopraffatta, appoggiò la sua testa sulla mia spalla e con la mano strinse forte il braccio. La polizia fece spostare tutte le persone nelle vicinanze dell'edificio il quale venne dichiarato pericolante. Le fiamme ormai erano quasi state domate se nonchè un ulteriore boato costrinse la città ad un urlo unanime. Sul tetto dell'edificio era presente una gigantesca insegna illuminata con scritto "Radio Hodge" Di colpo le lettere R-A-D-I-D-G-E partirono e delle scintille inondarono l'insegna. Poi d'improvviso fu quasi come se le altre tre lettere rimanenti aumentarono di intensità. Poi un black out generale dell'intera via. Tutto ciò che rimaneva in quella strada completamente al buio erano i raggi lunari e le lettere OHO. Quelle non si spensero. Il ragazzo accanto a noi terrorizzato scappò. La gente iniziò a correre verso le proprie case. La polizia invano cercò di rimediare il danno non facendo perdere la calma ma ormai il panico dilagava per le strade. Io presi Grazia dal braccio e tornammo immediatamente in albergo. Fummo bloccati dalla folla la quale così ammassata non ci consentiva il passaggio per il ritorno in albergo. Poi mi sentii toccare il braccio e mi girai. Era Monica. "Seguitemi. Entriamo dalla porta di servizio". Nel frattempo in alcuni edifici e nell'albergo ritornò la luce e Monica ci fece passare da un vicolo stretto dove non c'era nessuno. "Ma lei non era rientrata già prima?" Chiese Grazia. Monica affrettando il passo disse "Stavo. Ma quando poi ho visto le lettere dell'insegna partire sono rimasta pietrificata". "Strano che tre lettere siano rimaste accese. Teoricamente doveva saltare tutto". Risposi.
Poi lei mi fulminò nello sguardo "Posove, non credere nelle coincidenze. Mai. Ecco siamo arrivati".
Entrammo da una porta secondaria e ci trovammo in cucina. Un delizioso odore di aragosta inondò le mie narici ma durò poco perché in un secondo Monica ci riportò nell'atrio dove il Professore ci stava aspettando. "Che fine avete fatto?".
"Erano fuori con me. Non si preoccupi professore." ci difese Monica. "Stavamo facendo un discorso e siete scappati. Vi voglio tutti e tre a tavola adesso." Poi lasciò l'atrio lasciando i suoi occhiali sul burò. Grazia li prese in mano e sbuffò seccata. Monica si toccò i capelli corvini poi andò dietro il banco del ricevimento. "Buona cena ragazzi".
Ci dirigemmo presso la sala ristorante dove Lucia, Gabriele e il professor Palco già ci aspettavano. Ci sedemmo e fu quasi come se nessuno si fosse accorto della nostra presenza. Gabriele continuava a ridere e a scherzare con Lucia mentre Anneo fissava accuratamente il menù. Grazia si ricordò proprio in quel momento degli occhiali e li prese dalla borsa porgendoglieli. Il Professore ringraziò finalmente contento di riuscire a vedere i piatti del giorno. Grazia mi guardò "Scusami se prima ti ho stretto il braccio. La notizia dei morti mi ha un po' scioccata". Sembrava la ragazza più dolce di questo mondo, era un peccato farla parlare, le sue parole posate erano inadatte all'iniquità della terra. Le accarezzai la spalla e dissi "Tranquilla, eri spaventata. E' normale". Non avevo mai accarezzato la spalla a una persona. Mi sembrava da sempre un gesto troppo espansivo ma con Grazia mi sentivo a mio agio come con nessuno. Non mi era mai capitato prima d'ora di incontrare una ragazza che mi faceva sentire così accettato. Il bianco spariva dalla mia vita. Il colore che permeava la mia testa ora era il rosso. Non rosso come il sangue nè come il mio vocabolario di latino. Era rosso come i meravigliosi capelli di Grazia.
"Credo che prenderò il salmone" urlò Anneo Palco sbattendo il menu' sul tavolo.
"Va benissimo anche per me. Lucia mi accompagneresti a fumare qua fuori?" chiese Gabriele. Lei acconsentì e si alzò immediatamente dalla sedia. "Ma come puà la gente avere voglia di cenare dopo quello che è successo a soli 30 mt da qui?" bofonchiò Grazia.
"Vedi cara. Quando avrai sessant'anni e sentirai la vescica far male dopo un solo bicchiere d'acqua capirai perché la gente preferisce fingere che il male attorno a sè in realtà sia solo un'illusione". "Ma non è un'illusione" ribattè ferocemente Grazia "Quelle fiamme erano reali. Per non parlare dei morti. Potrebbero essere padri o madri di famiglie". La cameriera interruppe la discussione chiedendo cosa volessimo ordinare. Il Professore ordinò per tutti quattro antipasti e quattro filetti di Salmone. Grazia preferì non mangiare e per tutta la serata si ingozzò solo di pane. Quando Gabriele e Lucia tornarono erano appena arrivati gli antipasti e nonostante mi sentissi in colpa perché noi mangiavamo liberamente mentre Grazia rimaneva digiuna trangugiai quell'insalata di mare e quelle polpette di alici come se non mangiassi da mesi e mesi. La serata terminò in maniera alquanto bizzarra. Grazia non rivolse la parola a nessuno e stette tutto il tempo con le braccia incrociate. Il Professore sembrava vivere in un mondo apparte e a volte si incatava a guardare oggetti della sala come un lampadario o un fazzoletto di stoffa. Io mandai un messaggio a mia madre "manchi". Poi per un minuto intero tenni il dito sopra l'emoticon del cuoricino indeciso se inserirla oppure meno. Alla fine preferiii non usarla e inviai il messaggio ma ovviamente non ricevetti risposta.  Gabriele ammiccava maliziosamente osservando visibilmente il seno prosperoso di Lucia la quale cadeva vittima del fascino del biondo dagli occhi azzurri. Finita la cena ci venne chiesto se volessimo un dessert. Lucia e io ordinammo un caffè, il Professore un tiramisù e obbligò Grazia a ordinare un po' d'uva mentre Gabriele prese un digestivo. "Bene" prese parola il professore Anneo Palco "Abbiamo precedentemente visto come due giornali mostrino la foto della stessa donna. Con l'eccezione che uno annunciava la sua morte e il secondo è datato dopo". "Sarà una sorella gemella" rise Gabriele. "Non vedo barzellette sul foglio che abbiamo visto prima giovanotto." "Cosa vorrebbe insinuare?" lo sfidò Gabriele. "Dovete sapere che in questa città, unicamente qui è praticato un culto, diciamo un rituale il quale dovrebbe, secondo alcune antiche leggende, riportare in vita i morti. Sono sempre stato affascinato da questo culto, è una tradizione veramente straordinaria. E se prima lo ammiravo dal punto di vista culturale, dopo questo giornale inizio a temerlo".
Grazia continuò a non proferire parola, Lucia non sembrava minimamente scossa essendo sua assistente sicuramente già sapeva di questo culto. Io rimasi fermo osservando la faccia di Gabriele leggermente inclinarsi. "Senta. Scriverò una storia su lei e le sue singolari manie ma non mi chieda di scoprire se questa donna è ancora viva perché non è mio compito nè tantomeno ci credo". "Gabriele avessi voluto cercare questa donna avrei contattato la polizia, non trovi?" "E non l'avrebbero minimamente rinchiusa in un manicomio, può stare tranquillo" scherzò Gabriele.
"Non mi interessa ciò che pensi. Ho anni e anni di esperienza alle spalle, non perderò tempo con te. Domani mattina svegliati alle 7,00 e vieni con me e fai il tuo lavoro. Dopo ciò pensa pure ciò che ritieni più necessario".
"Alle 7?" ululò Grazia. "Oh allora non ti hanno tagliato la lingua?" disse Palco sistemandosi gli occhiali sul naso. "Esattamente. Vi voglio alle 7,00 nell'atrio. Andremo nella biblioteca comunale. Abbiamo tanto da studiare." "Le biblioteche qui aprono alle 7?" Chiese Gabriele.
"Aprono alle 6 veramente, perciò direi che le 7 è un orario accettabile. Buonanotte". Il professore si alzò dalla sedia e lasciò la sala ristorante. "E' un vecchio pazzo." urlò Gabriele "come fai a lavorarci insieme?" chiese rivolgendosi a Lucia. Lei lo guardò, scoppiò a ridere ed esclamò "Lo dovrò sopportare solo un altro po' poi diventerò docente anche io". "Sarai una sexy professoressa, già lo so" disse Gabriele stringendo forte i denti. Lucia rise imbarazzata e Grazia lasciò di colpo il tavolo. Poi si girò verso Lucia "Se hai intenzione di rimanere ancora qui sali e vieniti a prendere le chiavi". Lucia guardò per un attimo Gabriele e rispose lui al suo posto "Sali, prendi le chiavi e poi riscendi dai". Lei si alzò e seguì Grazia.
Rimasti in due calò leggermente il silenzio interrotto dalla solita voce fastidiosa del mio compagno "5 euro che me la faccio". Io lo guardai bieco con le mani in tasca "10 se ci riesci stasera". Lui ci pensò un attimo poi rispose "mmh la prima sera non te la danno mai, è persa in partenza. Ma ti terrò aggiornato, vado a comprare i preservativi. Dici che la trovo una macchinetta qui nei dintorni?" "Ma che fai? Sarà in menopausa" cercai di fermarlo.
"Guarda che ha quarant'anni non cinquanta. Torno subito". Lasciò anche lui la sala ristorante facendomi rimanere solo con un tavolo e qualche bicchiere. Curioso come le sensazioni possano cambiare da un momento all'altro. Prima ci sentiamo con l'acqua alla gola vorremmo affondare in un cumulo di macerie e di merda e poi una luce penetra dal tetto di un soffitto e illumina la stanza proprio come quella luce che illuminava la bambina nel dipinto dell'atrio. La caratteristica fondamentale era che la bambina, così come il genere umano, non si rendeva conto nè del lerciume affianco a lei nè della luce che dall'alto la proteggeva. La bambina era fossilizzata sul libro, non pensava ad altro. E' il pensiero fisso dell'uomo, la sua bramosia più recondita che lo porta alla pazzia. La necessità di vedere la luce è insita nell'uomo quanto la voglia di vederla spenta. Ma quella sera la sala mi sembrava davvero illuminata, molto più di qualsiasi altra stanza in cui io fossi stato. Mai luogo fu così illuminato. Dopo cinque minuti ritornò Lucia che mi chiese dove fosse Gabriele la indirizzai fuori ma con tutti quegli sbirri in giro dubito che Gabriele fosse riuscito a spostarsi di molto. Lucia uscì nuovamente dalla stanza e subito dopo mi sentii toccato da dietro. Mi girai di scatto e mi trovai davanti Monica. "E' stata di tuo gradimento la cena?". Era assurdo. Quella donna aveva la capacità di rivelarsi inquietante in alcuni momenti della giornata e anche tenera in altri. Forse dipendeva dalla luce presente. Girai la sedia e le risposi educatamente nonostante la mia reale volontà fosse quella di chiederle di allontanarsi poiché la sua presenza mi metteva a disagio. "Tutto ottimo" mentii. Era incredibile quanto fossi bravo a fare l'ipocrita "eccezionale davvero". "Bene sono contenta. Domani andrete in biblioteca ho saputo. E' un posto davvero meraviglioso. Ho trascorso le ore migliori della mia adolescenza". "Niente discoteche?" chiesi.
Lei sorrise e si sedette sulla sedia affianco a me "Non ero una giovane come le altre, ho sempre saputo di avere qualcosa in più. Un po' come te".
"Lei come fa a saperlo? Non mi conosce nemmeno. Potrei deluderla". "Impossibile" ribattè lei.
"Perché?" chiesi "Perchè prima ti ho visto mentre osservavi il dipinto. Sembravi davvero preso. L'arte non è per tutti, molti non si accorgono di avere opere d'arte sotto il naso." Poi prese un chicco d'uva dal piatto di Grazia lo spiaccicò contro la tovaglia del tavolo, versò sopra un po' d'acqua, un po' di zucchero della bustina del caffe e infine posò sopra l'acino d'uva e un pezzettino di carta. "Osservala". Fissai intensamente quella poltiglia che si era venuta a creare. Mi avvicinai leggermente e notai che una figura stava prendendo forma. L'acqua aveva creato quasi una saetta che si scontrava contro un bacile. Però non si distingueva molto bene così ritornai nella posizione originaria e dissi "Mi dispiace. Non ci vedo proprio niente". "Non conta vedere qualcosa. Conta solo osservarlo. E tu lo hai fatto". "Ma non ho visto nulla". Lei mi guardò leggermente delusa "Non si guarda per vedere qualcosa, si guarda per vedere e basta. Per contemplare. Ma sei giovane, forse più in là. Ma già il fatto che tu abbia tentato di osservare mi conferma ciò che ho pensato prima. Anche tu sei diverso. Sei più in là". Mai nessuno mi aveva fatto così tanti complimenti e non potei fare a meno di arrossire Monica forse se ne accorse infatti nell'immediato mi mise le mani sulle ginocchia, si alzò e si congedò.
Fissai nuovamente il disastro combinato da Monica sul tavolo e a differenza della prima volta notai qualcosa. La saetta e il bacile rovesciato si erano uniti quasi a formare una lettera H. Situata proprio tra l'acino d'uva e lo zucchero sparso sul tavolo in maniera circolare che andava a formare una O. L'ordine era acino d'uva, acqua e poi zucchero. Di colpo un'immagine mi si presentò davanti agli occhi. L'acino d'uva aveva la forma precisa di una O, l'acqua di H e lo zucchero di O. Lette in ordine da sinistra a destra davano una chiara, precisa e ben delineata parola seppur con qualche imperfezione. Quegli alimenti e quelle bevande si erano trasformate in tre lettere: OHO.

 

  
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