Wolf blood
flowed in her veins
“I am the blood of Winterfell.
This is my home and you can’t
frighten me.”
Quando si sveglia è notte fonda, e il vento ulula
all’esterno un odio antico quanto la terra stessa.
Scorge degli abiti piegati su un mobile in legno
accanto al letto e, indossata una lunga veste scura, esce da quella stanza che
odora di sangue − la sua innocenza perduta, lei in pasto a un mostro − e
ricordi, silenziosa.
Sansa percorre i corridoi della fortezza, finchè
non sente la neve sotto i piedi nudi, poi le scale della torre spezzata nei
cortili di Grande Inverno.
Accende una candela con mani tremanti, ponendola
nell’incavo della roccia perché il vento non la spenga. Poi, scivola giù
lentamente, le gambe raccolte al petto e le braccia sottili a nascondere il
viso rigato di lacrime silenziose.
Sansa piange lacrime di odio e vendetta, e attende.
Lo vede comparire un paio di giorni dopo a
colazione, la spilla con l’ usignolo sul cuore e il sorriso sicuro di chi crede
di poter ottenere ogni cosa.
«Hai concluso importanti affari nella capitale, lord
Baelish?»
Ditocorto alza gli occhi dal suo calice, mentre lei
lo osserva con un’attenzione curiosa e rivelatrice. Dopo aver finito di bere,
posa la coppa sul tavolo, davanti a sé.
«Una chiacchierata con la regina madre, mia lady,
nulla di più.»
«Smetti di usare quel tono ossequioso, non ti si
addice.»
Come la calma precede la tempesta, gli occhi
grigio-verdi saettano nei suoi azzurri, vivi più che mai.
Petyr Baelish si accorge che qualcosa è cambiato
con guardinga sorpresa, come guarderebbe un lupo selvaggio a pochi passi da lui
in una foresta oscura.
Con sottile spavento e una sorpresa mista a
guardinga curiosità.
«Perdonami, non−»
«Mi hai mentito, e avrei dovuto aspettarmelo,
suppongo.» sibila lei con disprezzo, stringendo i pugni tra le pieghe del vestito,
«È un mostro. Avresti potuto avvisarmi, non lo hai fatto. Mi hai condotta sin
qui per riprendere il Nord, e adesso tutto ciò che ho è un pugno di ceneri fra
le mani. Non ti è mai importato niente di me, niente.»
Ditocorto la guarda dritto negli occhi con un
sorriso che è l’ombra di una sicurezza sparita, eclissatasi prima del tempo.
«Se avessi dovuto prestar fede a tutte le dicerie
che si sentono in giro, mia lady..»
«Non sono dicerie. L’ho provato sulla mia pelle.»
L’uomo vede quanta freddezza ci sia ora nel suo
sguardo, la stessa di sua madre diversi anni prima, di fronte alle porte aperte
del suo cuore.
«Ma sai cosa ho imparato da tutto questo?»
È un attimo, e l’uomo urla di dolore, un coltello conficcato
sul dorso della mano e inchiodato alle spesse travi in legno del tavolo.
Il vino del calice a terra, in un sentiero di morte
mischiato a sangue bugiardo.
«Nessuno di voi riuscirà a spaventarmi.»
Il fruscio del suo abito è tutto ciò che resta
della fanciulla baciata sotto la neve, una vita prima, nei giardini di Nido
dell’Aquila.
L’anziana serva le bagna la schiena con acqua
tiepida, aiutandola poi ad asciugare i capelli davanti al camino.
«Avete accesso la candela, mia lady. Cosa vi
occorre?»
Rimane ad osservare il riverbero delle fiamme per
diversi istanti, assorta.
«Hai detto che ho ancora amici, al Nord.»
«È così, mia lady.»
Il tocco di quelle mani sottili, intricate di vene
come i rami chiari, dell’albero del cuore, è il ricordo lontano di quelle di
sua madre.
«Devo andare via di qui, devo − voglio scappare.»
Tuttavia, la vecchia donna la fissa con dispiacere
negli occhi sbiaditi, tristi. «Siete una donna sposata, adesso. Sarà più
difficile farvi andare via, ma ho sentito che lord Bolton e vostro marito hanno
intenzione di partire all’alba per assicurare a Stannis Baratheon un accesso
difficile alla Strada del Re.»
Sansa rimane un attimo in silenzio, fin troppo
stranita − convinta al tempo stesso, dentro di sé, di avere una minima via di
fuga.
«Stannis Baratheon sta arrivando qui, a Grande
Inverno?» sussurra, e ricorda parole sentite da suo padre tantissimo tempo prima,
su quanto il fratello del suo migliore amico fosse giusto, ferro in confronto
all’acciaio di Robert Baratheon.
«Gli andrò incontro. Mio padre aveva fiducia in lui,
lo rispettava. Stannis non mi farà del male.»
I canili sono freddi, antri bui e pericolosi in cui
rimanere troppo a lungo. Reek avverte dei passi avvicinarsi, forse il padrone
per affidargli qualche compito; tuttavia, la sua mente continua ad andare indietro,
a quella notte orribile e funesta.
Theon Greyjoy avrebbe agito, in qualunque modo, non
sarebbe rimasto immobile a guardare uno scempio simile, avrebbe potuto fare
qualsiasi cosa, avrebbe..
«Alzati,» è un sussurro di una voce giovane, ma
decisa, è l’ordine che Theon stava aspettando, «Alzati, adesso. Dobbiamo
parlare.»
I suoi occhi registrano dei capelli lunghi, occhi
azzurri che in tempi remoti lo avevano guardato con un sorriso nei cortili,
quando aveva una spada in mano, delle dita.
Reek. Reek non dovrebbe darle ascolto.
«Avvicinati,» Ma adesso lei lo guarda con disgusto,
un barlume di speranza in fondo alle iridi chiare.
«Non dovresti essere qui, milady.» mormora Reek, e
Theon vorrebbe chiederle scusa per ogni cosa, sin dall’inizio.
Per qualche istante, si sente il latrare dei cani
coprire le loro parole, sussurrate in fretta, affidate al silenzio di anime
distrutte dal tempo.
«Stannis Baratheon sta arrivando,» dice lei,
avvicinandosi ancora allo spettro che è diventato, «Dobbiamo fuggire, e in fretta.
Adesso ascoltami, Theon.»
Reek sente le dita delicate di lei sulle sue mani
sporche, scheletriche, lo stringono in una morsa che lo convince ad alzare lo
sguardo, ad avere un po’ di coraggio in più.
«La mia famiglia ha ancora amici al Nord.»
«Fuggiamo, milady?»
«Domani sera, a mezzanotte.» spiega Sansa,
guardandosi con sospetto intorno, raccomandandogli silenzio con gli occhi, «Lui
partirà all’alba, nessuno ci vedrà. Sei il suo servo: fa preparare due cavalli,
aspettami alla porta ovest.»
Le mani di Theon cominciano a tremare fra quelle di
Sansa, il viso contratto in una smorfia addolorata, «Lo capirà. Ti farà del
male, mi punirà−»
«Non accadrà.» gli assicura, la voce d’acciaio e
gli occhi lontani ad altri pensieri, «I servitori copriranno la nostra fuga,
incontreremo Stannis Baratheon sulla Strada del Re.»
Quando lui non risponde, Sansa gli sfiora piano i
capelli scuri, sporchi di polvere e sangue, «Possiamo farlo, Theon. Una volta,
giurasti a mio padre che mi avresti protetta sempre, con mio fratello.»
Reek alza gli occhi spenti nei suoi, − no, non
Reek, Theon Greyjoy − ricordando di tempi lontani, in cui giocavano con la neve
nei cortili, innocenti e protetti dalla crudeltà del mondo.
«Porta ovest,» sussurra criptico, stringendo le
dita sottili della fanciulla tra le mani scorticate, avvizzite come rami secchi
«Mezzanotte. Ci vediamo a mezzanotte.»
Quando lo ripete, nella penombra azzurra dei
canili, mezzanotte ha un significato
tutto nuovo, estraneo e liberatorio insieme.
«Mezzanotte.» sussurra ancora, ma lei è già andata
via.
«Una lettera per voi, milady.» sussurra l’anziana
serva, all’ombra di una candela ormai del tutto consumata.
Sansa prende tra le mani la busta rovinata,
strappata ad un angolo, aprendola rapidamente e scorrendo le parole in una calligrafia
spigolosa, quasi severa, indelicata sul foglio sottile.
Quanto legge ha dell’impossibile, eppure, nel suo
cuore, ha sempre saputo che qualcuno
sarebbe stato al suo fianco, silenzioso e fedele − per quanto lei non si fosse
fidata, al tempo, un bagliore nascente di speranza nel cuore.
Sansa accosta un angolo del foglio alla fiamma
della candela smorta, osserva la carta sciogliersi in cenere, lei rinascere
come una fenice da una distruzione fin troppo crudele.
«Starò via per un paio di giorni, moglie mia.» le
dice Ramsay a cena, un sorriso gelido sulle labbra, mentre Sansa tenta di
mangiare, osservando Walda Frey finire l’ennesimo piatto di carne.
«Ti aspetterò, mio signore. Spero che la prima neve
non impedisca di procedere con i preparativi.» risponde, il tono annoiato e
neutro, volto a simulare cieca obbedienza.
«Non metto in dubbio che mi aspetterai.»
«Faremo soltanto un giro di ricognizione per i
villaggi a sud-ovest,» interviene Roose Bolton, gli occhi freddi e vuoti sul
suo calice, «Non rimarremo lontani per molto, mia signora.»
Sansa vorrebbe ridere, piangere e imprecare agli
Dei che l’hanno legata in un giuramento malsano e ipocrita. Eppure lei sorride
appena, trincerandosi dietro un silenzio carico di significati.
Poi, Ramsay rivolge la parola a Ditocorto, seduto
ad un estremo del tavolo.
«Come ti sei procurato quella ferita, lord
Baelish?» chiede con curiosità, indicando l’ampia fasciatura alla mano destra.
Tra domanda e risposta intercorre un severo gioco
di sguardi − e Sansa scruta quasi con pericolosità l’uomo dagli occhi
grigio-verdi, i lineamenti severi e affilati come coltelli.
«Una ferita di poco conto, mio lord. Un incidente
con dei pugnali: a quanto pare, non sono portato per le armi.» dice, sorridendo
appena per dissimulare una verità abilmente taciuta.
«Mi auguro che guariate presto, lord Baelish.» A
sorprendersi del fatto che abbia parlato, più che Ditocorto o suo marito, è lei
stessa: le sue parole sono intessute di un sarcasmo pallido, quasi sincero,
«Non si sa mai, avreste potuto prendere un’infezione.»
«Sto bene, adesso, mia signora.» annuisce, alzando
il calice al suo indirizzo, «Non potrei stare meglio.»
E lei, dal suo canto, sa quanto lui sia sorpreso
del suo gesto e delle bugie abilmente scambiate per verità e finta preoccupazione.
Dopotutto, la septa le aveva insegnato a fare della
cortesia la sua armatura: e adesso, nel gelo perenne del suo cuore, Sansa ha
imparato a fingere altrettanto bene.
«Indossate qualcosa di pesante, mia lady.» le
consiglia l’anziana serva, legandole i capelli in una treccia e fissandole il
mantello nero sulle spalle.
«Il ragazzo vi aspetta già alla porta ovest con due
cavalli, uscirete dalle cucine, è più sicuro.»
Sansa percorre le scale sino al piano riservato
alla servitù, nascondendosi talvolta nelle nicchie delle pareti al passaggio di
qualche soldato con lo stemma dei Bolton.
«Dì a lady Walda che non sto bene, e che mangerò
nelle mie stanze.» dice, mentre la vecchia donna annuisce distratta,
conducendola sino alle porte che danno all’esterno della fortezza, appena sopra
le scuderie.
«Non preoccupatevi, lady Stark.» la rassicura con
un sorriso, un manto di rughe sottili come costellazioni sul cielo d’estate in
viso, «Ogni abitante di Grande Inverno è sempre stato con voi, sin dall’inizio.
E così anche il Nord.»
Superate due rampe di scale all’esterno, si cala il
cappuccio sul capo, affondando gli stivali nella neve e avvertendo il nitrito
dei cavalli ai cancelli delle porte sul lato ovest.
Theon le rivolge un cenno in silenzio, aprendo le
porte e aiutandola a montare a cavallo prima di assicurare le staffe. Le porge
le redini, gli occhi fissi al suolo.
«Andiamo.» sussurra quasi a sé stesso, dopo aver
attraversato le mura della fortezza, richiuse accuratamente le porte.
Forse per la prima volta da quando ha lasciato
Approdo del Re, Sansa è forte di una determinazione quasi a lei stessa
estranea, mentre sprona il suo cavallo a nord, il vento freddo a farle
lacrimare gli occhi e la consapevolezza di essere finalmente libera.
Non sa per quanto abbiano cavalcato, ma improvvisamente
avverte il destriero fermarsi, le redini trattenute dall’uomo al suo fianco.
Intorno a lei, l’alba comincia a spuntare verso
oriente, i rami degli alberi smossi dal vento sembrano dita scheletriche pronte
a nasconderla dalle insidie del mondo.
«Non senti, milady?»
Theon porta avanti entrambi i destrieri, fermandosi
presso delle rocce che spuntano come artigli nella neve.
«Chi siete?»
«Mostratevi, nessuno vi farà del male.» avverte una
seconda voce, estranea nel silenzio del paesaggio.
«Esploratori» le dice Theon a bassa voce, «Forse
Stannis è vicino−»
Sansa stringe le redini fra le mani, andando avanti
nella neve e ritrovandosi di fronte un paio di uomini a cavallo, sugli scudi lo
stemma di un cervo incoronato circondato da fiamme rosse.
«Chi siete, milady?» chiede uno di loro,
avvicinandosi con una torcia, mettendo a fuoco la figura di una fanciulla
snella con un mantello scuro, capelli rossi e occhi azzurri del Sud.
«Sansa Stark, figlia di Eddard Stark ed erede di
Grande Inverno,» dice, e per la prima volta, quelle parole hanno il potere di
infonderle coraggio e speranza, una sete di giustizia mai provata davvero e con
un tale ardore, «Desidero parlare con il vostro re.»
Il secondo uomo si avvicina, chinando appena il
capo in segno di rispetto.
«I miei omaggi, lady Stark. Se volete seguirmi.. Re
Stannis credeva che avremo liberato voi e Grande Inverno dai Bolton una volta
giunti alla vostra fortezza»
«Non occorrerà.» Sansa procede sicura guidando il
cavallo nell’oscurità, finchè diverse schiere di soldati appaiono dalle ombre
del sentiero come onde sulla riva, avanzando sino ad una tenda da campo in una
radura di alberi-diga, «Sarò io a liberare entrambi.»
Si fissano a vicenda per diversi minuti, lei e
Stannis Baratheon, nel calore del braciere all’interno della tenda.
«Vi hanno fatto del male, lady Stark?»
Sansa lo fissa negli occhi azzurri, più scuri dei
suoi ma altrettanto determinati. «Questo è irrilevante, al momento, maestà.»
«Pagheranno per questo. Avete la mia parola.»
Ed è in quel momento che Stannis comprende che
l’innocenza dei Tully è svanita per sempre da quegli occhi azzurri e duri come
marmo, che la fanciulla di fronte a lui è davvero Sansa Stark, figlia
dell’unico uomo che alla morte del fratello lo aveva appoggiato quale erede
legittimo al trono, ma di una tempra diversa e inaspettata.
Acciaio vestito di seta, il metalupo del suo vessillo
che garrisce al vento come prima, dopo tanto tempo.
«Avete il mio appoggio al Trono, se è quello che
volete.» promette lei, il tono solenne di chi è sicuro di se stesso come di
nient’atro, «Ma in cambio, voglio Grande Inverno. I Bolton sterminati, Forte
Terrore distrutta, il sale sulle sue rovine.»
Stannis Baratheon rimane in silenzio, le braccia
strette al petto.
«I Bolton saranno consegnati alla giustizia del
Trono.» rettifica, e le labbra della fanciulla divengono una linea severa, tesa
«Voi sarete nominata Protettrice del Nord e−»
«.. voglio un’ultima cosa, maestà.»
«.. mi è giunta voce che vi siete sposata. Con
Ramsay Bolton.»
Stannis è sicuro che non vi sia nulla che lei non potrà
fare in futuro perché quel nome sia cancellato per sempre, dimenticato negli
inferi dagli Dei.
«Voglio l’annullamento del matrimonio.»
«Lo avrete.»
Forse è sorpresa mista ad una gratitudine velata,
quella che l’uomo intravede negli occhi della ragazza, − Stannis non vuole
immaginare cosa abbia dovuto sopportare, le voci sul nuovo erede di Roose
Bolton arrivavano alla Barriera, e ancora prima a Roccia del Drago, allarmanti
come poche.
«Ditemi che avete forze sufficienti a prendere
Grande Inverno e sconfiggere il loro esercito.»
Sansa vede l’uomo davanti a sé piegare le labbra in
una debole smorfia, forse un sorriso, «Ho il doppio delle forze di Roose
Bolton, lady Stark. Arriveremo a Grande Inverno fra tre giorni, e per allora
voglio che vi teniate lontana dai combattimenti.»
Questa volta è lei a sorridere appena, stornando lo
sguardo verso le fiamme nel braciere, al centro della tenda.
«Non potete chiedermi questo. Al contrario, sarò la
prima ad entrare nella mia casa per vederli in catene, sconfitti e perduti.»
Stannis la osserva, e comprende che frenare la sua
volontà sarà come tentare di addomesticare un lupo: pericoloso, azzardato e
imprevedibile.
Il tempo trascorre lento come il corso di un
ruscello all’inizio della primavera, l’acqua ancora imprigionata fra la terra e
il ghiaccio.
Sansa decide di mettersi in marcia in seguito
all’arrivo della notizia che più le stava a cuore.
I combattimenti non erano durati più di un paio di
giorni, il misero esercito dei Bolton era stato distrutto appena fuori le mura
della fortezza, rimasta intatta da un tentativo di assedio.
Nella confusione dei tumulti, tentando di scappare,
Walda Frey era caduta da una rampa di scale, e a quanto si diceva, aveva perso
il bambino che portava in grembo.
Roose Bolton era stato colpito da un paio di frecce
vaganti, una al petto e l’altra alla schiena − come suo fratello Robb durante
le sue nozze, e Sansa pensa che non ci sia fine più giusta − ma non era morto,
soltanto ferito.
«Lady Stark, il re ha dato ordine affinchè non−»
«Il re non darà ordini nella mia casa.» dice, ignorando
chi vuole fermarla ai cancelli di Grande Inverno, mentre ser Davos Seaworth la
raggiunge a cavallo, scortandola sino alla cittadella.
«Ser Davos, dove sono?»
«Il re sta interrogando Ramsay Bolton, milady.
Roose Bolton è nelle prigioni, al momento.»
Alcuni minuti dopo, Sansa vede un gruppo di soldati
scortare qualcuno nei cortili della fortezza, due uomini con catene ai polsi e
alle caviglie.
«Avete trovato Ditocorto?» chiede al cavaliere al
suo fianco, scrutando tra la folla, senza trovare Baelish da nessuna parte.
«Petyr Baelish era qui, ne siete certa?»
La ragazza non risponde, avanzando a cavallo sino a
pochi passi dai prigionieri. Ramsay è serio, scuro in volto, immobile come una
statua di sale e la osserva come se non riuscisse davvero a credere che lei sia
scappata, scatenando eventi impossibili da controllare.
«Avevi detto che mi avresti aspettato, moglie.» sibila, facendo alcuni passi
verso di lei, prontamente bloccato da un paio di soldati, «Che ne è stato
dell’essere onesti, eh?»
«Lei non è più tua moglie.» interviene Stannis,
uscendo in quel momento dalla sala grande del castello, al suo fianco un Petyr
Baelish pallido, finto controllore di ogni singola scena o mossa.
Sansa estrae un pugnale dalla manica della tenuta
da caccia, puntandolo verso Ditocorto.
«Avremo tempo per parlare, io e te.» sorride,
rivolgendosi poi a Ramsay, avvicinandosi a lui di qualche passo.
«In ginocchio, Snow.» gli ordina, e ci vuole la
forza di due soldati perché lui obbedisca, agitandosi come una bestia
selvatica.
Sotto gli occhi di tutti, − soldati di entrambi gli
schieramenti, Roose Bolton in ginocchio accanto al figlio, Petyr Baelish, Davos
Seaworth, l’uomo più gentile che avesse incontrato dalla fuga dalla capitale,
il medesimo Stannis − Sansa conficca il pugnale nel petto del bastardo, il
sangue a macchiarle le dita e gli abiti, liberatasi di un peso immenso dalle
spalle esili.
Se poco prima di lasciare Grande Inverno le
avessero detto che un giorno avrebbe ucciso un uomo davanti alle porte della
sua casa, avrebbe riso, liquidando quell’eventualità come un’azione malvagia e
riprovevole.
«Deve sempre esserci uno Stark a Grande Inverno.»
sussurra a se stessa, e prima che possa muovere un passo verso Roose Bolton,
una freccia si conficca nel petto dell’uomo che si accascia al suolo, senza un
gemito, gli occhi vitrei.
Il rosso sulle mani è deleterio per l’ anima,
eppure sa che dovrà imparare a convivere con il peso delle sue scelte e azioni.
Sansa si volta di scatto nella direzione dalla quale
la freccia è stata scagliata, intravedendo ad una certa distanza, su uno dei
pontili interni che circondano i cortili, la sagoma imponente di un uomo.
Inspiegabilmente, sorride.
Passano mesi prima che riesca a camminare per i
corridoi della fortezza senza guardarsi intorno spaventata, altrettanti prima
che riesca ad abituarsi nuovamente al fresco del parco degli Dei, o a dormire
da sola in un letto al sicuro da chi non le farà più del male.
Mesi in cui non ha dimenticato chi è stato a porre
fine alla vita di Roose Bolton, in cui quella lettera, ricevuta alcuni giorni
dopo il matrimonio, l’aveva fatta riflettere come nulla.
«Mia signora, c’è un uomo che vuole parlarvi.» le
dice Theon, avvisandola a qualche passo
dalla sua figura immobile tra la neve, nel parco degli Dei.
Le aveva chiesto di rimanere al suo fianco, l’aveva
definita un’occasione per espiare i peccati commessi, e chi era lei per ergersi
a giudice di un’anima naufragata nel mare della codardia, prigioniera dei
propri rimpianti?
Una sagoma procede alle sue spalle nei giardini
innevati, il cappuccio del mantello scuro sul volto, una lunga spada di
traverso sulla schiena.
Quando si volta, fronteggiando lo sconosciuto,
Sansa scorge il ragazzo che era stato il protetto di suo padre impallidire,
indietreggiando piano nella neve, il terrore negli occhi.
«Lui è vivo.. è vivo, mi ucciderà, il Mastino..»
sussurra, la voce colma di paura, mentre l’uomo davanti a lui si volta,
lasciando intravedere delle cicatrici sul volto.
«Il Mastino è morto, Theon.» lo rassicura gelida,
«Puoi lasciarci.»
Pochi attimi dopo, Sansa si rifugia tra braccia che
la accolgono nel calore di chi ha pregato non l’avesse mai del tutto
abbandonata, lasciando che un’unica lacrima le solchi il viso arrossato dal
freddo.
«Eppure Sandor Clegane è tornato da me.» mormora
con voce spezzata sul petto dell’uomo, mentre lui la induce ad alzare il volto,
poggiando la fronte contro la sua.
«Mi dispiace, uccelletto,» le dice, e Sansa sorride
appena, sfiorandogli il volto coperto di cicatrici, «Mi dispiace, credimi.»
«Non importa, Sandor, non importa.»
Qualche minuto dopo, sono ancora stretti in un
abbraccio dal sapore di addii funesti, mentre la neve cade lenta e inesorabile
attorno a loro, ammantando di bianco gli abiti scuri.
«Come hai fatto a trovarmi?» chiede lei, pensando a
quella lettera sgualcita, alla carta fusasi in cenere in una notte d’inverno
sotto il suo sguardo, «Ad entrare nel castello senza che nessuno ti vedesse, a
mandare quella lettera−»
«Ti ho cercata ovunque, Sansa.» il suo tono è colmo
di parole mai dette, sottintese in strati di dolorosa lontananza, sincere come
poche ne abbia mai udite, «gli Dei mi maledicano se dovessi lasciarti andare
un’altra volta. Ho intenzione di restare, per sempre.»
Una volta, diverso tempo prima, quand’era stata
solo un’ingenua ragazzina troppo presa dalle sue favole per prestare attenzione
all’ingannevole audacia del mondo, Sansa aveva creduto che mai nessuno le
sarebbe stato accanto per amore.
Ma adesso, all’ombra maestosa dell’albero del
cuore, pensa a quanto quell’amore sia strano, che avesse avuto la capacità di
farle passare le pene dell’inferno solo per godere di quel momento − al sicuro
al fianco di chi l’aveva sempre protetta e amata da lontano, come avrebbe
continuato a fare ancora per molto, molto tempo a venire.
Note
dell’autrice.
Dire che il finale
della 5x06 mi ha sconvolta, è un eufemismo.
Purtroppo, i registi
hanno deciso che far passare Sansa per vittima per l’ennesimo volta fosse una
trovata geniale, cosa che non condivido in nessun modo: è normale che
all’epoca, ma anche oggigiorno, vi siano di queste situazioni, ma disprezzo
profondamente il fatto che, in questo modo, sia il personaggio di Sansa ad
essere penalizzato con conseguente ricaduta nella paura e nel terrore della
ragazza di cui avevano promesso una crescita interiore che, fino ad ora, non ho
visto.
Anyway, siccome voglio
credere che Theon possa redimersi e aiutarla a fuggire, questa è la mia
versione della storia, di come vorrei che finisse – magari con un Sandor
Clegane a caso, che ritorna dal suo uccelletto dopo la reciproca lontananza,
sigh.
Spero di essere rimasta
abbastanza IC nella caratterizzazione dei personaggi, anche se la mia Sansa che uccide Ramsay in quel
modo, cavolo, mi piacerebbe troppo, ma non so fino a che punto sia da lei,
nonostante abbia cercato di far emergere le sue emozioni e sensazioni a
riguardo.
E poi, parliamone,
quant’è ammore Stannis Baratheon che vuole liberare il Nord e la figlia di Ned Stark, aw.
Mi auguro vi sia
piaciuta almeno un po’, ew, mi farebbe piacere ricevere qualche parere;
ringrazio tantissimo chi è arrivato fin qui a leggere, biscotti al cioccolato
per tutti.
Alla prossima,
fireslight.