Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: Schifottola    23/05/2015    3 recensioni
Kurt, nato e cresciuto a New York, vive solo con la madre, Elisabeth Calhoun, ma dopo che lei muore scopre di essere figlio di Burt Hummel, un meccanico nella cittadina di Lima in Ohio. Costretto a seguire il padre si trova catapultato in una realtà provinciale e bigotta in cui la sua omosessualità non è ben vista e crea motivo di attrito e non accettazione nella sua nuova e detestata famiglia. Un giorno incontra Blaine, un ragazzo ingestibile, spesso protagonista di episodi spiacevoli. Kurt, scoprirà che a Lima, dove la gente non fa altro che parlare, colui che ha più da dire è proprio Blaine, muto selettivo che pur non usando la parola è capace di discorsi che sanno arrivare al cuore.
Tra situazioni tragicomiche Kurt e Blaine si conoscono, stringono amicizia, si innamorano e scoprono che il passato di Lima e di Elisabeth Calhoun e la Banda, i suoi amici di gioventù, è pieno di fatti mai sopiti che influenzeranno il loro presente portando delle conseguenze sull’intera cittadina.
Genere: Commedia, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Carole Hudson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Sebastian/Thad
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





Image and video hosting by TinyPic





Blaine guardò il soffitto della sua stanza annoiato, mentre Cooper, accomodato su una sedia,  sfogliava una rivista spazzatura che aveva comprato per sbaglio.
“Ehi schizzo lo sapevi che il viso di Toby McGuaier è leggermente assimetrico?”
“Per questo Toby non potrà mai essere il signor Anderson...” rispose Blaine grattandosi sopra il collare che gli dava prurito.
“Blaine già parli poco e quando lo fai dici stronzate non c’è gusto. Ti pare che questo ti sposerebbe?”
“Ehi, non insultare! Se a Hollywood mi conoscessero, si metterebbero in fila per sposarmi! Uomini, portatrici di vagina e anche quelli sessualmente confusi.”
Cooper osservò il fratello qualche secondo e poi scosse la testa.
“Perché non mi grazi come tutti e fai finta anche con me di essere muto.”
“Io non faccio finta, sono un muto selettivo.”
“Ma smettila.”
Blaine sbuffò e borbottò:
“Parlare con te di uomini e come parlare con me di assorbenti: non me frega perché non li userò mai!”
“Uhmmm schizzo alta letteratura questa.”
“Però sono interessato alle dimensioni dei tampax.”
“Ma che schifo- Cooper fece una smorfia inorridita- toh! Prenditi il poster in mezzo alla rivista.”
Blaine prese il foglio piegato a quattro che gli diede il fratello e lo aprì e fece una faccia soddisfatta.
“Oh Joe Manganiello, presto signor Anderson... Joe Anderson.”
“Scusa, ma la pantomima che hai fatto per l’infermiere di stamattina?”
“Ma te ne sei accorto!?”
“All’inizio no, ero troppo addormentato per capire la differenza. Però schizzo, io non sono papà!”
Blaine annuì e poi mise il broncio
“Jonathan mi ha tradito.”
“Per me è solo un uomo etero.”
“togli quella brutta parola vicino ad uomo.”
“Per me?”
“No, etero.”
“Ma è vero.”
“Sì me ne sono accorto anch’io oggi, che quando è venuta Santana a trovarmi e lui era tutto interessato ai suoi sacchi di sabbia. ”
“Tette.”
“ Le mie sono molto più belle.”
“I tuoi sono pettorali.”
“Comunque Santana è una stronza che ruba quelli che piacciono a me, anche se non se lo è filato di striscio.”
“Lei non sa che sei gay e poi è la tua migliore amica e per finire se non se lo è filato, tecnicamente non ha fatto nulla.”
“Certo che è la mia migliore amica!”
“Ho capito, ma allora perché la chiami stronza? Se le vuoi bene, non dovresti usare questi epiteti su di lei.”
“Non glie li ho mai detti, sono muto, ricordi?”
“Sì, ma selettivo.”
“Dettagli. –rispose Blaine  non curante- e comunque non insultare Santana, se lo fai te la devi vedere con me.”
“Ma l’hai insultata.”
“Di certo non picchio me stesso. Lei è la mia migliore amica e io posso insultarla, anche Brittany se mi va.”
“ E gli altri?”
“Li picchio a sangue, come sempre. Loro sono le mie ragazze, nessuno può mancargli di rispetto.”
“Puck?”
“Puck adesso è sulla mia lista nera, non mi piace.”
“Perché?”
“Passa da San a Zizos in continuazione.”
“Ma pensa te.- Fece incredulo Cooper non capendo come Puck potesse tradire la latina con la wrestler e viceversa.- e Santana lo accetta?”
“Litiga con Zizos, infatti.”
“Quella non ha proprio amor proprio.”sospirò il ragazzo più grande.
“Anche io ho litigato con Zizos.-Disse orgoglioso Blaine- mi ha fatto fare un volo... però dopo l’ho stesa.”
“Le donne non si toccano!” si arrabbiò Cooper.
“Ma è nel club di lotta libera.”
“Non c’entra!”
Blaine si mosse cercando una posizione comoda, ma il collare glie lo impediva.
“Cambiando discorso Cooper, non dovresti fare gli occhi dolci al figlio dell’uomo che mi ha investito.”
“Il figlio di Hummel, il nostro vicino da anni?”
“Posso rimarcare un concetto, se mi va!? Sì, lui.”
Cooper si alzò e si stirò la schiena e poi si sedette sul letto del fratello.
“Schizzo, io sono etero, non guardo i maschi. Dovresti saperlo dopo tutte le ragazze con cui mi hai visto uscire.”
“Non sto mica dicendo che tu sei gay- rispose con tono odioso Blaine - ma lo sto dicendo di quell’altro. Si fiuta lontano un miglio che è gay.”
Cooper rimase in silenzio un secondo digerendo quella notizia e poi scosse la testa.
“Ma nemmeno lo conosci.”
“Oh Coop! Ma sei scemo!? Capisci che io fingo di star male e non vedi uno che ti fa la radiografia.”
“Non è una bella battuta.”
“È bellissima, visto che stiamo in ospedale.”
Cooper sospirò e si stropicciò il viso stanco.
“Blaine se avessi ragione, lo sai che quel ragazzo è andato ad abitare con l’uomo che ha dato del frocio a nostro zio Thommy!? ”
“Sì lo so, spero per lui che sia abbastanza furbo da starsene zitto. Se no richiamiamo lo zio Aron e gli facciamo dare  di nuovo una ripassata a quel pelato.”
Era successo dopo il funerale di loro madre, durante il rinfresco.
Thomas Penpeng  abitava ormai da anni a Columbus e si era presentato al funerale della sorella con  il suo compagno. Tutti avevano sempre sospettato che l’uomo fosse gay, ma nessuno, a parte i ragazzi della Banda e qualche altro, lo sapeva con certezza, non fino a quel giorno.
Burt Hummel in realtà non voleva insultare nessuno, ma aveva commentato con alcuni:
“Lo immaginavo che Thomas fosse un frocio.”
Aron Puckerman, migliore amico di Melanie, lo aveva sentito e si era avventato sull’uomo e gli aveva mollato un pugno. Non era scattata una vera rissa solo perché le persone gli avevano bloccati e Luis si era messo in mezzo ai due uomini, aveva impedito il degenerare del tutto e al contempo peggiorato il suo astio contro Burt, umiliandolo davanti a tutti, ricordandogli che il “frocio” era il fratello della donna morta e zio di Blaine, che in quel momento era in coma.
 
Cooper scosse la testa incredulo e si passò una mano nella folta chioma di capelli.
“Sembra quasi una barzelletta. Povero ragazzo.”
 
 
Kurt, dopo un pomeriggio passato sul computer a utilizzare internet per sistemare alcune cose, aveva fatto delle chiamate Skype a Thad, Sebastian e loro famiglie.
Non aveva raccontato loro quello che era successo quel giorno a pranzo, anche se una parte di lui avrebbe voluto, ma l’immagine web dei loro volti preoccupati lo avevano frenato. Pensò che in ogni caso non avrebbero potuto fare nulla per aiutarlo in quella situazione, si sarebbero solo angosciati a saperlo infelice, Sebastian e il padre Etienne in modo particolare, che nei suoi confronti erano molto protettivi.
Quando aveva spiegato perché non aveva potuto chiamare prima, c’erano stati commenti apprensivi. Non aveva raccontato tutta la verità, ma si era limitato a dire che lui e Burt avevano investito, per fortuna non in maniera grave, un ragazzo. Si era tenuto per sé del crollo che aveva avuto, aveva fatto credere di essere stato in ospedale dietro a quel Blaine Anderson, alle scartoffie varie e anche di aver deposto per l’incidente.
Ai suoi amici poi aveva raccontato del giudizio non molto entusiasta che gli aveva fatto la famiglia Hummel, ma sia Carmen che Blanche lo avevano incoraggiato a non fermarsi ad una prima impressione.
Kurt sapeva come quelle parole d’incoraggiamento costassero a tutti i suoi cari, dentro di sé pensò che se avessero saputo la verità gli avrebbero detto esattamente il contrario e le sue nonne, con l’aiuto dei nipoti, avrebbero guidato fino in Ohio per rapirlo, ma non prima che nonna Carmen e Sebastian avessero fatto passare un brutto quarto d’ora a Burt. 
Salutarli era stato difficile, ma aveva avvertito un’enorme stanchezza a far finta che la situazione fosse migliore di quanto non fosse.
Carole alle otto aveva bussato alla sua porta e gli aveva chiesto se voleva scendere per cena, la ringraziò, ma disse che non aveva fame; la donna gentilmente provò a convincerlo, ma lui rifiutò.
Intorno alle nove della sera sentì dei passi di fronte alla sua porta, come se qualcuno stesse raccogliendo il coraggio per bussare, ma non lo fece e invece si allontanò. Immaginò che fosse Burt. Era felice che non avesse cercato un contatto, si sentiva rabbioso e stanco e sapeva che se avessero parlato non si sarebbe certo risparmiato per uno scontro, anzi lo avrebbe accentuato.
Quando fu sicuro che tutti gli abitanti della casa fossero addormentati, uscì dalla stanza degli ospiti  e andò in bagno. Non vedeva l’ora di avere agibile la mansarda che col bagno personale  gli garantiva di ridurre al minimo i contatti fra lui e la famiglia Hummel.
Studiò nello specchio la guancia dove aveva ricevuto lo schiaffo, era leggermente gonfia. Burt era un uomo con una notevole forza.
Si lavò il più velocemente possibile e quando ebbe finito aprì la porta del bagno e quasi lanciò un urlo dalla sorpresa e lo spavento: trovò Bob con la sua lingua a penzoloni e il suo respiro pesante, seduto ad attenderlo.
“Sciò, pussa via! Vattene!” provò, ma il cane non ne volle sapere di spostarsi e prese a muovere il fondoschiena emozionato.
“No, vattene!” Bob si buttò a terra a pancia all’aria e cominciò a dimenarsi.
“Bob e questo che starebbe a significare?” chiese esasperato al cane che gli stava bloccando la via d’uscita, che sentendo il suo nome si era rimesso in piedi ed aveva abbaiato.
“No!” Kurt, preso dal panico che qualcuno della famiglia Hummel avrebbe potuto venire a vedere cosa stava succedendo, aveva saltato l’animale ed era tornato in camera e aveva chiuso la porta.
Il cane lo aveva seguito, ma trovando la porta chiusa aveva preso a grattare sul legno ed a uggiolare lamentoso.
“Zitto!”
Bob sentendo la sua voce aveva preso ad uggiolare più forte. Kurt aveva paura che Burt o Finn si svegliassero e venissero a chiedergli che cosa aveva fatto a quella povera bestia; a malincuore aprì la porta e il cane emozionato entrò quasi inciampando su se stesso, girò la camera e annusò interessato la valigia.
“No! Bob! No!”
Il cane sembrò ignorarlo e alla fine del suo giro di perlustrazione si distese sul tappeto vicino al letto.
Kurt osservò Bob chiedendosi se non fosse il caso di aspettare un po’ per farlo uscire dalla stanza e riportarlo di sotto. Carole gli aveva detto che in cucina il cane aveva una sua personale entrata e uscita per il giardino posteriore, che era uno spazio adibito appositamente per lui.
“Che devo fare con te!?” si chiese esasperato, ma poi si rese conto che Bob si era addormentato.
“Ma come!? Ti è bastato metterti giù e ti sei addormentato? Assurdo!” sospirò sconfitto, appurando che per quella notte Bob non si sarebbe mosso.
Si infilò a letto sperando di addormentarsi in fretta come il suo improvvisato compagno di stanza, ma...
“Argn, argn”
“Non solo la mia vita fa schifo, ma ora ho anche in camera un cane prepotente che russa come un trattore!”
“Argn, argn”
“Shhh! Basta!”protestò irritato, ma non servì a nulla.
Kurt non voleva toccare l’animale, aveva paura che lo mordesse se lo avesse svegliato, ma poi la pesantezza di tutta la giornata gli crollò addosso lo stesso.
“Mamma come vorrei che tu fossi qui!” sibilò prima di addormentarsi.
 
 
Kurt era stanco di sentire Sebastian e Thad parlare di ragazze, sembrava che ormai non esistessero argomenti al di fuori di queste.
Il ragazzino era stufo di sentire di parlare di baci, di svezzamenti sessuali e di suggerimenti avuti da degli amici che i due ragazzi più grandi avevano in comune.
“Poi senti qui che mi ha detto Andrew-”cominciò Sebastian per venire interrotto da Thad.
“Andrew Lerman?”
“No Henson! Insomma, mi ha detto che al la sua ragazza le piace che le si parli sporco mentre lo fanno! La fa eccitare!”
“Ma guarda Margaret con quella faccia da santerellina! ”commentò ridacchiando Thad.
Kurt si sentiva la faccia in fiamme dall’imbarazzo, lui non voleva sentire parlare di queste cose! Thad e Sebastian sembravano dimenticare che lui avesse undici anni e che forse era ancora troppo piccolo per quelle cose, non che non le capisse, ma aveva altre priorità in quel momento.
I suoi amici però parevano non farci caso e spesso si perdevano in discorsi volgari.
Per loro le ragazze venivano considerate, a suo parere stupidamente, solamente quando erano in posizione orizzontale in certe situazioni, non parlavano mai se queste, ad esempio, erano carine o intelligenti o spiritose.
Kurt da un paio d’anni non riusciva a capire i due ragazzi che prima, nonostante l’evidente differenza di età fra loro, avevano sempre fatto di tutto per non farlo sentire escluso, ma in quel periodo invece succedeva solo il contrario.
Prese ad ignorare i discorsi volgari dei suoi amici e si perse ad osservare la gente intorno a loro.
Quella domenica Central Park era bellissimo e pieno di persone, gli scoiattoli giravano per il prati saltando e rubando i pezzi di pane che la gente lanciava per i piccioni e i passerotti.
Si beò di un raggio di sole che passava dalle fronde dell’albero sotto il quale erano seduti. La prima metà di Maggio era uno dei suoi periodi preferiti, grazie a quel caldo non troppo soffocante e il vento  fresco che rendeva le giornate secondo lui perfette.
I tre ragazzi si erano sistemati nella zona di Arthur Ross pinetum, una di quelle che preferiva, dato che era una delle meno battute dai turisti, ma più dalle famiglie e gli abitanti newyorkesi per le sue numerose panchine, la zona gioco per i bambini e gli attrezzi per tenersi in forma.
Il suo sguardo fu catturato da una mamma con il proprio bambino che si rincorrevano, si sentì immediatamente triste.
Era da mesi che Kurt e sua madre, dopo che lei gli aveva svelato che suo padre era stato uno sconosciuto di una notte, non riuscivano più ad essere sereni l’uno con l’altra, il loro rapporto era andato completamente in frantumi e dove prima c’erano risate e complicità era rimasto silenzio e distanza.
Kurt non poteva certo chiedere scusa, perché in realtà non era pentito di aver provato rabbia. Era rimasto ferito dalla verità e si era chiuso a riccio su se stesso e sua madre aveva fatto lo stesso. Non riusciva a trovare la forza per creare un nuovo punto di incontro tra loro anche perché era un periodo molto confuso per lui. Aveva sempre saputo di essere diverso dai suoi coetanei, ma da un po’ di tempo a quella parte aveva avuto un’ulteriore conferma... avrebbe voluto qualcuno con cui confidarsi, chiunque, ma non sua madre.
Kurt temeva che se avesse saputo la sua ulteriore diversità lo avrebbe odiato e lui preferiva non avere la conferma dei suoi timori.
Codardo!? Forse, ma sapeva che non avrebbe retto a vedere il disgusto negli occhi della persona che amava di più al mondo.  
Kurt aveva undici anni e si sentiva solo, era un sentimento che lo corrodeva da mesi. Non sapeva nemmeno se poteva definire Thad e Sebastian ancora suoi amici: non avevano  notato che dell’incrinatura del rapporto con sua madre, ne che in quel periodo era particolarmente turbato per qualcosa e lui non si era sentito comodo di confidargli ciò che gli era stato detto su suo padre.
 
“Che ne dite se domani pomeriggio noi tre andiamo a vedere un film al cinema?” chiese improvvisamente Sebastian e Kurt si aprì in un enorme sorriso alla proposta.
Non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta che fossero andati al cinema solo loro tre, dato che oramai era abitudine che Thad e Sebastian si portassero al seguito le ragazze del momento, finendo  sempre a darsi un gran da fare a scambiarsi la bava e ad emettere rumori osceni, mentre lui era l’unico a guardare il film, accompagnato da un bicchiere gigante di popcorn che spesso nemmeno mangiava.
“Andiamo a vedere qualche vecchio film? Mi piacerebbe qualche commedia con Rock Hudson e Doris Day.” disse eccitato Kurt alla prospettiva del cinema.
“Non mi va di vedere una commedia romantica! Già mi tocca farlo quando sto con Harriet e devo pure far finta che mi piacciano quei filmetti spazzatura che guarda! Vorrei una pausa da frivolezze da vomito! No, qualcosa d’azione.” Disse categorico Sebastian.
Kurt fissò l’amico chiedendosi da quand’è che si vedesse con questa Harriet, dato che un paio di settimane prima stava con una certa Brenda.
“Mi dispiace ma passo! Domani Samantha ha la casa per sé e naturalmente vorremmo approfittarne!” disse Thad con un tono che sottintendeva molte cose.
Kurt ci rimase male, i suoi amici mettevano sempre al primo posto le ragazze del momento prima di lui.
“Ma dai non mi puoi lasciare da solo con lui, è un bambino!”protesto Sebastian.
Il ragazzino fissò incredulo i suoi amici, d’accordo che lo immaginava cosa pensassero, ma non credeva che glielo dicessero in faccia in quel modo.
“Beh ti tolgo il problema Sebastian, tu domani puoi andartene da solo al cinema! Anzi sapete che c’è!? Noi tre proprio non ci vediamo più, se non alle prove della compagnia! Io sarò pure bambino, ma sono comunque più maturo di voi! Perché io non vi ho mai messo da parte per niente e nessuno! Io mi sono sempre comportato da vero amico a differenza vostra!” finì freddamente Kurt,  lasciando spiazzati i due ragazzi più grandi.
“Senti, non farla tragica! - disse il più gentilmente possibile Sebastian.- Sei un bambino. È ovvio che io e Thad abbiamo altri interessi al momento, anziché i cartoni animati!”
“Piacciono anche a voi i cartoni della Disney! Non raccontiamoci storie!”
Thad annuì concorde.
“Sì, è vero, i cartoni animati della Disney piacciono anche a noi! Però Kurt, non è per offenderti, ma io e Sebastian abbiamo 14 e 15 anni è ovvio che abbiamo un interesse per le ragazze! Siamo adulti! E tu hai solo 11 anni!”
“Dodici in tre mesi!”puntualizzò seccato il ragazzino.
“Ma allora sei un bimbo grande!”lo canzonò Sebastian beccandosi da Thad un’occhiataccia e una gomitata sul braccio per farlo smettere.
“Falla finita di prendermi in giro! Voi due avete un concetto strano del crescere! Non fate altro che parlare di ragazze e di quello che vorreste o fate sessualmente con loro! E, se proprio lo volete sapere, penso che siete due cretini, stronzi e insensibili! Sputtanate quella che dovrebbe essere la vostra ragazza, che in teoria amate, con i vostri amici grandi, vantandovi di imprese che sanno di bugia da pescatori scarsi! Avete la profondità di due pozzanghere! Siete solo due immaturi peggio di me!”
I due ragazzi lo fissarono increduli e anche offesi per le parole a loro rivolte.
“Kurt io penso che tu sia solo geloso!” disse pacatamente Thad per quanto la rabbia glielo permettesse.
“Io non sono geloso di due maniaci ”gli rispose gelido il bambino.
“Kurt.”lo ammonì severamente l’ispanico.
“Io pure penso che tu sia geloso!”disse improvvisamente Sebastian con un sorrisino cattivo, che non prometteva nulla di buono.
“Ti piacerebbe!”
“Avanti Kurt non negarlo! Tu sei geloso devo solo capire però di chi!”
Kurt fissò stralunato Sebastian non capendo quello che stava dicendo.
“Ti ho detto che non sono geloso!”
“Seb!”lo ammonì improvvisamente nervoso Thad e il piccolo Calhoun si chiese perché.
“Avanti Kurt, lo sai che queste cose non si tengono dentro e si dovrebbero dirle!”
“Non ti seguo.”
“Sebastian!”disse con tono severo Thad provando a bloccare l’amico che però gli fece un cenno di non mettersi in mezzo.
“Di chi sei innamorato? Di me o di Thad?”
Kurt sgranò gli occhi e sentì un’enorme paura formarsi dentro di lui.
“SEBASTIAN” urlò Thad.
“Io-io co-cosa?”
“Dai Kurt, non è una domanda difficile! Ti piaccio io o Thad? Avanti rispondi!”
“Sebastian falla finita! Kurt lascialo stare!”
“No io non lascio perdere fino a che non mi dice per quale ragione è un tale stronzo!”ringhiò Sebastian.
“Io non sono gay!” disse debolmente il ragazzino alzandosi in piedi come se il terreno scottasse e subito i due più grandi ne seguirono l’esempio.
“Certo, come se io e Thad non avessimo notato come arrossivi qualche settimana fa quando Malcom ti parlava! Avanti, ammettilo.”
“Io-io…io.” Kurt iniziò a balbettare incontrollabilmente, mentre Thad fissava il terreno chiaramente colpevole per aver discusso di quello e tirato delle conclusioni.
“Cos’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
“Sebastian smettila! Senti Kurt, a essere onesti, non è che sei stato proprio discreto! E poi ti sono sempre piaciute le cose da femmina!” disse l’ispanico come se quello bastasse a spiegare tutto.
“Kurt prova a dirlo ancora che non sei gay- continuò Sebastian con fare cattivo- ma tanto lo immaginano già tutti alla scuola di teatro che ti piacciono i ragazzi. È per questo che Malcom ti ha parlato di meno, sapeva che avevi una cotta nei suoi confronti!”
“No!”Kurt sentì un terribile senso di terrore invaderlo, quello era un incubo.
“Scommettiamo?! Lo chiediamo a Malcom?”
“VI ODIO! VI ODIO ENTRAMBI!” urlò il bambino con gli occhi colmi di lacrime,  seguendo poi quello che l’istinto gli suggeriva: girarsi e scappare.
I due ragazzi più grandi non si aspettavano una reazione del genere e, quando si buttarono all’inseguimento di Kurt, erano partiti quell’attimo troppo tardi, che permise al bambino di sparire dai loro sguardi.
 
 
Ristorante Tavern On the Green, così recitava un cartello a freccia sotto cui c’era Lowen Watson, un uomo dalla pelle color ebano, detective della FBI di New York, che stava fronteggiando una donna che chiunque avrebbe definito furiosa per la potenza degli urli che emetteva contro di lui.
 
“LEI NON MI DICE COSA FARE! IO NON RIMANGO QUI AD ASPETTARE CHE VOI TROVIATE MIO FIGLIO! IO STESSA LO CERCHERÒ PER TUTTO IL PARCO! ”Urlò Elisabeth che aveva la pelle, solitamente porcellana,  tinta di una tonalità rosata molto accesa.
Dietro di lei c’era Etienne che cercava si essere una presenza rasserenante e di conforto, ma con poco successo.
“Signora, mi ascolti, e non urli! Si calmi!” disse con tono autoritario il L'agente.
“Mi ascolti lei detective! Io non sono un suo sottoposto! Io mi calmerò nel momento andrò a cercare mio figlio! E lo farò! Lo giuro, dovessi anche prenderla a calci in culo! Io vado a cercare Kurt e né lei né nessun altro mi potrà fermare! Ci siamo intesi?”
Lowen era abituato a trattare con persone agitate, arrabbiate, sconvolte o sotto shock, il suo mestiere lo aveva temprato a mantenere la calma in ogni situazione, soprattutto perché quelle stesse persone, inconsapevolmente nella disperazione delle loro situazioni, cercavano in lui una guida o un conforto,  almeno fino quel momento gli era sempre capitato così.
Quella donna, madre del bambino che lui e la sua squadra stavano cercando, invece di lasciarsi sopraffare dalla situazione cercava di agire attivamente.
“Se lei continua a tenere questo comportamento l’arresterò per oltraggio a Pubblico ufficiale!” La minacciò il detective, beccandosi un’occhiataccia dal suo collega e secondo, il detective Thimoty Stone,  che era poco distante a dare le direttive alla squadra dividendo gli agenti che avrebbero battuto le strade del quartiere in macchina, da quelli che avrebbero setacciato il parco con l’utilizzo di monopattini a motore a quelli con la squadra dei cani.
“Perfetto lo faccia pure, ma prima io vado alla ricerca del mio bambino!” ringhiò furiosa la donna e Watson sospiro frustrato, quasi deciso di ordinare di far riportare la signora Calhoun di forza a casa, quando sentì Thimoty emettere un verso con la gola attirando la sua attenzione e facendogli poi cenno di recuperare la calma.
“Elisabeth non saresti d’aiuto a Kurt se finisci in prigione.” Disse dolcemente Etienne, cercando di ignorare i pochi passanti curiosi che si fermavano a guardare la scena.
“Perché non capite?! Io devo cercare Kurt!”
“No! Lei deve stare qui ad attendere con i suoi cari e il l'agente Smith o, come le ho consigliato, vada a casa ad attendere se suo figlio nel caso tornasse! Qualsiasi scelta farà la terremo aggiornata nelle ricerche.”
“A casa ad attenderlo c’è una mia amica. Ma se Kurt avesse voluto tornare a casa ci sarebbe già tornato! Sono le otto di sera! Non può pretendere che stia qui con le mani in mano, dopo che mi ha detto che qui a Central Park gira un pedofilo non ancora identificato!” rispose Elisabeth.
“Ti prego Lizzy, calmati!” provò Etienne nuovamente, ma con poco successo.
“Come faccio a stare tranquilla con il mio bambino che potrebbe essere in pericolo!? Kurt sembra più piccolo della sua età! Io non mi muovo di qui finché non è stato trovato!”
Il detective sapeva che quella donna aveva ragione quando diceva che Central Park non era un posto sicuro, soprattutto la notte, il numero di crimini commessi cresceva di anno in anno fra stupri, omicidi e furti.
 “Smith dai il tuo monopattino alla signora Calhoun!- disse Lowen al suo sottoposto per poi tornare a guardare la donna.- lei mi seguirà e perlustrerà con me la mia zona di parco! Ma l’avverto: al primo sgarro la rimando qui e la farò riportare a casa sua!” Il detective notò lo sguardo incredulo di Etienne Smythe e un sorriso sul volto di Thimoty.
“Grazie! Grazie! Grazie!”riuscì a dire solamente Elisabeth.
“Aspetti a ringraziarmi! Suo figlio potrebbe aver lasciato il parco ore fa, per quanto ne sappiamo. E se ancora dentro il parco, lei, mi deve promettere che se ci dovessimo trovare di fronte a delle scene poco piacevoli di non reagire e di lasciare lavorare me e la mia squadra! Una reazione avventata potrebbe mettere in pericolo suo figlio, se fosse finito nelle mani di qualche male intenzionato! Ci siamo capiti, signora Calhoun?” disse severo l’uomo.
“Ci siamo capiti!”
Watson lasciò andare la signora Calhoun con Smith e subito a fianco a lui venne Stone.
“Hai fatto la scelta giusta Lowen.” lo confortò l’amico.
“Tim, spero che non sia successo niente al bambino o non so come quella donna potrebbe reagire.”
Thimoty lanciò uno sguardo ad Elisabeth e pensò che il suo amico avesse capito chiaramente con chi avesse a che fare, perché anche lui aveva pensato la stessa cosa.
“Non portare sfortuna uomo nero! Questa notte non ne abbiamo bisogno. Piuttosto prega Dio che non riconsegneremo un cadavere a quella madre.”
“Ho smesso di pregare amico, l’ho fatto molto tempo fa, quando ho capito quanto fosse cattiva questa città.”
 
Sebastian e Thad stavano morendo d’angoscia. Per  tutto il pomeriggio avevano cercato Kurt per il parco, ma, non trovandolo, si erano dovuti arrendere e Thad aveva chiamato con il suo cellulare a casa dell’amico, sperando che rispondesse, ma lo aveva fatto Elisabeth e i due ragazzi a quel punto le avevano raccontato cosa era successo.
La donna aveva subito chiamato la polizia che aveva indirizzato la chiamata all'FBI che l’aveva prelevata dal suo appartamento con un paio di foto di Kurt e alcuni suoi indumenti per farli annusare alla squadra con i cani.
Sebastian era scoppiato a piangere dalla paura e Thad si era sentito le gambe cedere, quando avevano saputo che si era mossa una considerevole squadra di ricerca dell'FBI perché da alcune settimane c’era un pedofilo seriale che prediligeva la zona in cui avevano litigato.
 
 “Perché avete aspettato così tanto per chiamarmi? Perché?” gli chiese arrabbiata Elisabeth.
“Non pensavamo che fosse davvero scappato! – spiegò Sebastian- Eravamo convinti che si fosse nascosto o che fosse tornato a casa! Avevamo paura che ti saresti arrabbiata, se avessi saputo che avevamo litigato per il modo in cui ci eravamo comportati con Kurt! Voi due vi raccontate tutto!”
“Sebastian ha ragione, credevamo che si fosse arrabbiato e ci avesse mollati lì, volevamo scusarci ed evitare un rimprovero e una punizione!” ammise vergognandosi Thad.
“SIETE DUE INCOSCIENTI!- urlò la donna - FATE TANTO GLI ADULTI E POI VE LA FATE ADDOSSO AL PENSIERO DI UNA PUNIZIONE!? SE KURT È SCAPPATO O È STATO RAPITO IL FATTORE TEMPO È FONDAMENTALE! SE GLI È SUCCESSO QUALCOSA IO, IO, IO… io non riesco nemmeno a guardarvi, potrei fare qualcosa di cui mi pentirei!”Aveva concluso andando il più possibile lontano da loro.
Thad rimase sorpreso quando Sebastian, dopo il rimprovero di Elisabeth, piangendo, lo abbracciò in cerca di conforto e solo allora si rese conto quanto ne avesse bisogno anche lui.
I parenti di entrambi erano accanto loro, ma avevano scritto sui loro visi la preoccupazione e rimprovero per il modo in cui si erano comportati.
 “Sono stato così idiota! Ma ero così arrabbiato!” disse Sebastian al suo orecchio fra le lacrime.
“Lo so! Ma anch’io avrei potuto bloccarti prima e invece non lo ho fatto, anzi, ti ho dato una mano.”
“Se gli succedesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo!”
“Neanche io Seb, ma Kurt non è uno sciocco!”
Sebastian si staccò da lui e lo fissò con i suoi occhi verdi spaventati. Thad sentì il cuore mancargli un battito, e provò, come succedeva da un po’ di tempo a quella parte, uno strano miscuglio di sentimenti verso l’amico.
“Thad, ma allora perché non è stata ancora trovato?”
“Non lo so Sebastian! Non lo so!”
I due ragazzi osservarono Elisabeth che si stava facendo istruire come funzionava il monopattino a motore e la videro partire insieme all’Detective; da quando era arrivata non c’era stato un solo momento che si fosse lasciata prendere dal panico, ma aveva lottato con caparbietà e disperazione.
Thad e Sebastian, sconfitti si sedettero su una panchina, lontani dai loro genitori e le loro nonne, non avevano la forza di affrontarli, benché avessero cercato di confortarli.
Thad si avvicino più che poté a Sebastian e l’altro fece lo stesso, cercando conforto l’uno dall’altro in un silenzio colpevole e impaurito.
 
 
L’orologio che aveva al polso segnava le dieci e tre della sera e Kurt si rannicchiò più che poté nel suo nascondiglio, aveva freddo; durante il giorno la temperatura era calda, ma la notte scendeva anche a cinque gradi e lui era vestito leggero.
Sapeva che non poteva tornare a casa, quando era scappato da Sebastian e Thad lo aveva soprafatto la paura che i suoi amici avessero capito che gli piacevano i ragazzi, poi, quando ormai aveva cominciato a calmarsi, si era reso conto che erano trascorse svariate ore da quando era allontanato e, che ormai, i suoi amici dovevano aver allertato e raccontato tutto a sua madre.
Come poteva guardare in faccia la sua mamma ora?
Sapeva che lei lavorava con parecchie persone omosessuali, ma era diverso essere madre di uno di loro ...
Se lo avesse odiato?
Kurt al solo pensiero che i suoi amici sapessero del suo interesse verso Malcom si sentì pieno di vergogna… Se non era pronto lui ad accettarsi, come avrebbe potuto farlo la sua mamma?
Cercò di scacciare i pensieri che gli avevano invaso la testa e di valutare la situazione in cui si era cacciato. Quando aveva visto che cominciava il tramonto, e che probabilmente più persone erano sulle sue tracce, aveva pensato bene di rimanere a Central Park e di nascondersi nella zona  di North Woods, ma, alla fine, si era fermato prima, nella zona della Ravine. Lì aveva camminato lungo il ruscello Loch e si era trovato davanti al Glen Span[1], un ampio arco di pietra, che poggiava da un lato sulla strada e l’altro in mezzo al ruscello. Aveva pensato che quello fosse il nascondiglio perfetto.
Però quando era calata la notte,  si rese conto di aver avuto una pessima idea, perché sapeva che la maggior parte dei crimini peggiori che si erano verificati a Central Park erano successi  proprio dove era lui, nella zona settentrionale.
 
Però Kurt, nonostante la paura, il rumore continuo del ruscello, quello dei gufi che bubulavano o animali che camminavano e la posizione scomoda, si addormentò. E fu svegliato da un tocco gentile e una voce sconosciuta di un uomo. In un primo momento, per la stanchezza, non riuscì ad aprire gli occhi, ma quando gli tornò in mente tutto quello che era accaduto durante la giornata un urlo di paura gli nacque spontaneo.
Provò ad alzarsi per correre via e scappare, ma lo sconosciuto lo tenne saldamente, impedendogli ogni via di fuga.
Kurt era convinto che stava per morire. Si rese conto che non aveva fatto pace con la sua mamma e che se ne stava per andare senza averle detto un’ultima volta che le voleva bene.
“NO! VAI VIA! AIUTO, AIUTO!”
“KURT, CALMATI, SONO UN AGENTE DELL'FBI! NON VOGLIO FARTI DEL MALE!”
L’uomo lo aveva trascinato fuori dal Glen Span e lo aveva portato in una zona illuminata e poi gli aveva mostrato il tesserino con lo stemma dell'FBI.
Kurt smise immediatamente di dimenarsi scoppiò a piangere per colpa di tutta la paura che aveva addosso, con il cuore che gli batteva furiosamente nel petto. Improvvisamente il respiro cominciò a mancargli e divenne incapace di deglutire.
“… Va tutto bene piccolo!- l'agente lo prese in braccio, parlandogli con voce bassa e dolce-Forza,  respira con calma, tranquillizzati! Sei al sicuro! Va tutto bene! Non ti succederà nulla, te lo prometto! Ti porterò al sicuro!”
Kurt si lasciò cullare da quella voce e poco a poco ritrovò il controllo sul proprio corpo, che non si era reso conto di aver perso.
“Voglio la mamma!”fu la prima cosa che disse appena riuscì a formulare una frase.
“Oh credimi, che anche lei non vede l’ora di riaverti fra le braccia!” gli disse dolcemente l’uomo.
Kurt lo fissò e il pensiero di sua madre che fosse furiosa con lui gli fece venire un nodo non indifferente allo stomaco.
“Hai visto la mia mamma? È molto arrabbiata?”chiese con voce piccola, mentre si asciugava gli occhi e tirava su col naso.
L'agente lo mise a terra assicurandosi che si reggesse sulle gambe.
“Arrabbiata? No piccolo, è terrorizzata! Dalle ultime notizie che ho avuto mezz’ora fa tua madre è con il mio capo e ti sta cercando nella zona di Hallett Nature Sanctuary[2], pensano che per nasconderti tu abbia valicato le recinzioni e ti sia nascosto lì, dato che i tuoi amici ti descrivono come una piccola intelligente scimmietta dispettosa!” disse ridendo l'agente, passandogli un fazzolettino di carta.
“Come?” chiese il bambino soffiandosi il naso.
“Sono ore che ti cerchiamo, sono le due del mattino!”
Kurt alla notizia strabuzzò gli occhi e controllò l’orologio che aveva al polso, che segnava le due e ventuno minuti.
“Perché sei scappato?” gli chiese finalmente l'agente.
Il bambino fissò l’uomo e dalla luce aranciata dei lampioni poté studiarlo un attimo: capelli ricci scuri, occhi chiari, alto, con una corporatura agile e forte.
“I miei amici non l’hanno detto?” domandò provando un sentimento di dolore sapendo già la risposta.
“Beh, il ragazzo più alto con i capelli rossicci era agitato e blaterava che avevate discusso e, sì, ha citato anche i motivi per cui è nata la lite.”
Kurt fissò l’uomo con gli occhi pieni di lacrime e cominciò a tremare dalla paura. In quel momento le notizie che aveva sentito sulla discriminazione degli omosessuali da parte della polizia e di agenti delle forze dell'ordine gli vorticarono nella mente e l’uomo sembrò leggergli nel pensiero perché disse:
“Mio fratello è gay, non temere io non ti farò nulla! E poi non è che tutta le forze armate sono contro gli omosessuali, una volta forse, ma non oggi! Chi commette quegli abusi è una sostanziale minoranza.” gli spiegò dolcemente.
“Hai detto che tuo fratello è gay?”chiese con timore di aver capito male.
“Si piccolo, mio fratello è gay.”
“E tu gli vuoi bene?”
L’uomo lo guardò un attimo sorpreso poi sembrò che finalmente avesse capito qualcosa di molto importante.
“Da morire! È il mio fratellino e farei qualunque cosa per lui! Scommetto che tua madre per te farebbe lo stesso!”
“Come fai a dirlo?” chiese con voce incrinata.
“Dal modo in cui ha urlato al mio capo fino a che non l’ha convinto a portarla con se nelle ricerche.” gli svelò ridacchiando.
Kurt sentì gli occhi che si riempirono di lacrime, voleva stringere sua madre e dirle tutto quello che in quei giorni non si erano detti, mettere dietro le spalle tutta la storia su suo padre e spiegarle  quello che sentiva di essere, sperando  che lei gli volesse bene lo stesso.
“Che dici piccolino, torniamo dalla tua mamma?” gli chiese l'agente prendendo la ricetrasmittente che aveva legata alla cintura.
“Sì!”
L’uomo gli sorrise e affettuosamente gli scompigliò i capelli.
“Come ti chiami?” chiese Kurt.
“ Sono il Detective Thimoty Stone, ma per gli amici Tim, mio piccolo amico!” gli disse con un sorriso un po’ da mascalzone e Kurt pensò che se mai avesse avuto un fidanzato gli sarebbe piaciuto uno che sorridesse come l’uomo che aveva di fronte.  Quando si rese conto di cosa aveva pensato sentì la faccia andargli in fiamme per l’imbarazzo.
 
Elisabeth,  appena il Detective Watson gli aveva dato la notizia del ritrovamento di Kurt, era stata ansiosa di arrivare nei pressi del Tavern On the Green, dove avrebbe avuto potuto riabbracciare del suo bambino.
Quando arrivarono, l'agente che aveva ritrovato suo figlio non era ancora tornato.
In un angolo vide Sebastian che piangeva di sollievo con Thad che pure si stava soffiando il naso in un fazzoletto.
Sentì spezzoni di conversazioni,  in cui Etienne, Adrian ed Estella avevano messo in punizione i due ragazzi per un mese intero.
Carmen e Blanche vennero ad abbracciarla stretta e le dissero che avevano avvertito loro Isabelle che Kurt era stato trovato. Ringraziò le due donne e continuò a scrutare la direzione dove pensava che Kurt sarebbe arrivato. Sei volte vide arrivare degli agenti, ma nessuno di essi aveva con se suo figlio.
Thad e Sebastian avevano provato nel frattempo ad avvicinarsi, forse a porgerle le scuse, ma lei non aveva avuto la forza di ascoltarli.
 
Poi, dopo tanto attendere, Elisabeth sentì la voce che amava più al mondo chiamarla.
“MAMMA!”
Da un monopattino del detective Stone scese Kurt e le venne incontro di corsa. Gli occhi le si riempirono di lacrime, tutte quelle che fino a quel momento aveva trattenuto perché troppo presa a non crollare fino a che non avesse riavuto il suo bambino fra le sue braccia.
“Kurt.- disse prima in sussurro.-KURT! ”urlò correndogli incontro.
Elisabeth quando fu a pochi metri  da suo figlio si bloccò e spalancò le braccia e Kurt le si aggrappò al collo e lei lo chiuse nel suo abbraccio.
Piangevano l’uno stretto all’altra, inginocchiati sull’asfalto del sentiero.
“Mamma! Mamma! Mamma!”
“Sono qui, amore mio! Sono qui!”
“Mi dispiace, Perdonami!”
“Shh va tutto bene, sei qui con me ora. Sei qui con me!”
Elisabeth con la coda dell’occhio intravide il Detective Watson andare verso il collega che aveva ritrovato suo figlio, stringergli la mano e dargli delle pacche sulle spalle.
Kurt piangeva disperato aggrappato a lei ed Elisabeth lascio tanti piccoli baci sul capo della sua testolina piena di capelli, sussurrandogli parole confortanti.
“Stai tranquillo piccolo mio è tutto finito!Non hai idea di quanto ho temuto per te! Non scappare mai più! Se qualcosa non và dimmelo e lo supereremo insieme...”
Kurt si stacco dal suo abbraccio e la guardò negli occhi.
“Sebastian ti ha detto perché sono scappato?” chiese con voce disperata.
Elisabeth fissò suo figlio e sorrise.
“Mi ha raccontato la sua versione, ma io aspetto la tua, amore mio.” gli disse dolcemente.
“Mi piacciono i ragazzi.-confessò come se avesse fatto qualcosa di grave.- sono gay...”
“E quindi?- domandò Elisabeth- è da quando avevi tre anni che lo so! Preferivi i miei tacchi alle tue macchinine! Alla prima lezione di danza, alla scuola di teatro, ci sei voluto andare in tutù! Pensi forse che io non sapessi chi sei e cosa ti piacesse? Aspettavo che tu, quando fossi pronto, venissi a dirmelo.”
Kurt a quelle parole sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime.
“Avevo paura che mi odiassi.”
“Come hai potuto pensare una cosa del genere!? Ho davvero fallito così tanto come genitore da farti avere queste paure?” gli chiese e Kurt guardò i grandi occhi di sua madre e vi lesse disperazione e sensi di colpa.
“Sei stata la migliore mamma del mondo! Sei la persona che amo di più in assoluto, ma dopo che mi avevi detto che non sapevi chi era mio padre e dell’allontanamento che c’era stato fra noi, avevo paura che se ti avessi detto una cosa del genere non mi avresti voluto più bene!”
Elisabeth a quelle parole sentì gli occhi riempirsi di lacrime nuovamente.
“Ti stavo lasciando il tuo spazio per elaborare, non volevo farti credere che mi ero allontanata da te! Amore mio, non perderai mai il mio amore! Il mio cuore è il tuo e il tuo è il mio! Non dimenticarlo mai! Se ti fosse successo qualcosa sarei morta!”
“Mamma! Mamma! Mi dispiace! Ti voglio bene anch’io!”
“Ciò non toglie che sei un punizione signorino per essere scappato così e avermi fatto spaventare!”
Il bambino guardò sua madre che nonostante le parole sorrideva.
“Dormirai nel lettone con me per un mese intero! E ti riempirò di baci quando vorrò!”
“Allora voglio essere punito immediatamente!” disse Kurt ridendo fra le lacrime, venendo travolto dai baci.
 
Il detective Watson osservò la scena e accanto a lui c’era Thimoty che faceva altrettanto e sorrideva soddisfatto.
“Ogni tanto è bello vedere un lieto fine.” Disse Lowen con stanchezza.
“Già uomo nero, ogni tanto è bello vedere che questa città ha ancora speranza.”
“Parlerai con la madre del bambino?”chiese il detective non staccando gli occhi dalla donna che stava stringendo ancora a se il figlio.
“Sì, le consiglierò di parlare con mio fratello Christian, è uno psicologo per l’associazione PFLAG ed è specializzato a parlare a ragazzi come Kurt che hanno bisogno di imparare ad accettarsi. Cazzo, ha solo undici anni! Ha tutto il diritto di avere paura di quello che la gente potrebbe fargli con questa società di merda!”
“Già è parecchio giovane in effetti per sapere quello che gli piace. Però mi tranquillizza vedere quanto è fortunato quel bambino, sua madre lo ama e lo aiuterà nel suo percorso. ”
“Già!” Disse semplicemente Thimoty un sorriso mascalzone sulle labbra.
 
“Fa caldissimo oggi! Ho una seta incredibile!” commentò Sebastian.
“Già”concordò Thad.
“Smettetela di lamentarvi come due signorine! Sfigati!”commentò acida Carmen, mentre imperterrita continuava a camminare in mezzo alla folla e dare qualche spintone a chi si metteva sul suo cammino.
“Non rimproverarli cara, questi due non sono come i ragazzi che c’erano una volta!” disse elegantemente Blanche, lanciando una frecciatina ai due ragazzi.
“Mamma!”commentò Etienne in tono di ammonimento, mentre accanto a lui Elisabeth rideva di gusto.
“Ma anche io ho caldo e anche sete!”
“Kurt, tesoro, hai sete? Carmen, il piccolo ha sete! Io ho le bottiglie ghiacciate, le tue come sono?” domandò Blanche immediatamente attiva a risolvere il problema del piccolo.
“Io ho solo birra, anche quella ghiacciata!-disse con evidente piacere la donna ispanica- Ne vuoi un sorso Kurt? Guarda che è un tocca sana per questo caldo.” Propose beccandosi un’occhiataccia dall’amica.
“Ehi perché se ci lamentiamo io e Seb siamo due sfigati, mentre se lo dice Kurt diventate carine e gentili?! Non è mica giusto!”protestò Thad.
“Concordo!” disse semplicemente Sebastian.
“Non scatenate la Carmen che dorme!”disse intento Adrian, mentre con la macchina fotografica catturava delle immagine significative delle giornata che stavano passando.
“Sì, direi che sono d’accordo!” commentò Estella fissando accigliata la madre che stava bevendo una generosa sorsata di birra.
 “Per chi la vuole, ho io dell’acqua fresca, ma non ghiacciata!” disse ridendo Elisabeth.
“E per chi ha fame io ho una tonnellata di Sandwich alla maionese e pollo!”Avvertì Isabelle.
“Ehi, ma voi due avete intenzione di mollarmi!? Voglio andare dalla mamma!”protestò Kurt all’indirizzo dei suoi amici che ognuno lo teneva per mano.
“Niente da fare pulce! Mi è bastato perderti una volta e stai pur certo che non succederà più!”disse scontroso Sebastian.
“Seb cosa vuoi fare se devo andare in bagno? Entri con me!?”
“No, ci entro io! Stamattina, prima di venire alla marcia, abbiamo tirato la monetina e ho perso!” gli spiegò Thad, che pure non mollava la presa nonostante lo strattonare del bambino.
“Ma siete diventati scemi!? Lasciatemi immediatamente! MAMMA!”
Elisabeth sorrise dolcemente alla scena dei due ragazzi più grandi che tenevano la mano di suo figlio e ci bisticciavano, sembravano quasi tre fratelli.
Dopo l’episodio della fuga di Kurt, dal quale era passato poco più di un mese, Thad e Sebastian, avevano cercato di fare ammenda del loro comportamento ed erano divenuti estremamente protettivi nei confronti del loro piccolo amico. Guardò con orgoglio le persone che accompagnavano lei e Kurt alla marcia del Gay Pride: Isabelle, Etienne, Blanche, Sebastian, Thad, Carmen, Adrien ed Estella.
Quelle persone erano i loro amici e la loro famiglia ed Elisabeth non avrebbe potuto amarli di più, per tutto l’amore e l’accettazione che stavano dando in quella giornata, dove Kurt, per la prima volta, sfilava per i propri diritti, anche se era solo un bambino.
“Mamma!” Kurt la chiamò esasperato perché non riusciva a liberarsi dei suoi due amici ed Elisabeth sorrise giocosa.
“Lasciate immediatamente il mio bambino o ve la vedrete con me!”
Ed era la verità, lo aveva giurato a se stessa il giorno che aveva scoperto di essere incinta che avrebbe protetto e amato suo figlio con ogni briciolo di se stessa; lo aveva promesso con più vigore davanti ad ogni avversità che avevano superato; lo aveva promesso su Charlie e il loro terribile passato, lo aveva promesso quando Kurt, ancora neonato, era stato sedato e intubato con tante macchine che lo monitoravano; lo aveva promesso quando lo aveva visto venirle incontro con i suoi tacchi e il viso dipinto con i suoi trucchi e le aveva chiesto se era carino e lei gli aveva detto che era bellissimo.
Kurt, per lei, era perfetto e non le importava chi amasse e in quel giorno, in mezzo a tutta quella gente, si sentì un po’ meno in colpa per avergli detto una bugia su suo padre, ma un giorno la verità l’avrebbe saputa. Ma sarebbe successo solo quando suo figlio non avrebbe avuto più paura di quello che era, quando sarebbe stato in grado di combattere l’ignoranza della gente, specialmente quella di suo padre, e di non rimanerne ferito, quando sarebbe stato abbastanza grande per far fronte al terribile destino che perseguita a i Calhoun... fino a che non sarebbe stato in grado, lei, che lo avrebbe protetto.
Elisabeth guardò il cielo e sentì una antica nostalgia, avrebbe voluto che Luis fosse lì con lei, la parte più egoistica di lei avrebbe voluto che fosse lui a fungere da padre a Kurt, sapeva che sarebbe stato perfetto... ma lui era sposato. Pensò alla piccola Santana e ringraziò che lei stesse bene, Luis meritava una bambina in salute come quella.
Guardò Kurt venirle incontro e pensò come avrebbe voluto davvero che lui e la piccola Santana si conoscessero, infondo, ne avevano diritto e sapeva che Luis l’avrebbe pensata allo stesso modo, se solo avesse saputo che lei aveva avuto un figlio...
Un giorno, si disse Elisabeth.
 
 
 
Kurt quando aprì gli occhi si rese conto che stava piangendo, quella notte aveva sognato sua madre, ma non fece a tempo a registrare che c’era qualcosa di strano che si trovò nel suo campo visivo, sebbene offuscato dalle lacrime, il muso di Bob, gocciolante di bava, che accortosi che si era svegliato gli aveva preso a leccargli il viso.
“NO! NO ! CHE SCHIFO! SCEN-OUF!”il cane gli si era accucciato sullo stomaco.
“SEI PESANTE SCENDI! BOB!” protestò il ragazzo spingendo la bestia a scendere dal letto- riuscendoci con fatica- e osservò che Bob pareva scontento di essere stato cacciato.
“Peserai quasi quaranta chili! In questa casa anche il cane è in sovrappeso!” disse esasperato il ragazzo.
“UOFF”
“NO! Uof un corno!”
“UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF!”






Angolino della tazza di caffè:

Allora ragazzi che ne dite?
In questo capitolo ci sono più indizi su uno dei misteri che nascono dalla trama e sarei davvero curiosa di sapere che conclusioni avete tirato fino ad ora.
Prima che partiate ad insultare Burt vi invito ad un pensiero su questo personaggio: ognuno è figlio della propria storia e dell’ambiente in cui vive!
In questa ff abbiamo Burt che è sempre vissuto a Lima nel suo bigottismo e mentalità, non è l'uomo del telefilm, ovvero un padre che ha iniziato a sospettare dell'omosessualità del figlio a 3 anni, quindi, prima che Kurt facesse coming out, aveva avuto il tempo di capire e a venire a patti con se stesso e il suo modo di pensare chiuso!
Burt nel telefilm non nega che un tempo la pensava in maniera diversa sugli omosessuali, ma che è stato Kurt a farlo cambiare. Quindi ecco chi è il mio Burt: un padre cresciuto con un figlio eterosessuale, star della scuola.
Nella storia Il suo percorso sarà quello d' imparare ad amare e accettare Kurt e la sua omosessualità. Come, viceversa, Kurt ha il suo percorso da compiere con Burt.

Parliamo di Luis ed Elisabeth e del loro passato ...
Ribadisco: nei capitoli, in modo particolare in questo, ci sono indizi nascosti e frasi dette anche da alcuni personaggi che possono indirizzare che qualcosa che è successo e, messi insieme, forse, un’idea potrebbe già venire a galla!
Bene ragazzi, altro avvertimento: Questo capitolo porta la chiusa della prima parte della storia, dal prossimo si inizierà a tessere la conoscenza di Kurt con Blaine!
Al solito vi lascio il mio indirizzo alla mia pagina fb:
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059?ref=hl

 
 

[1] Glen Span, è uno dei due archi rustici che formano i confini del Burrone, una zona boschiva nella parte settentrionale di Central Park. Glen Span e Huddlestone Arch, l'altro arco nella Ravina, sono leggermente infossati nel parco paesaggio al fine di preservare l'integrità del paesaggio forestale.
[2] Il Central Park Conservancy teneva orari di apertura per la Hallett Nature Sanctuary . Chiaramente visibile ma recintata dal resto del parco, 4 acri di terra completamente controllata da flora e fauna, è stata riaperta al pubblico nel 2011 dopo 67 anni.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Schifottola