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Autore: hanaemi_    24/05/2015    2 recensioni
"[...] Prese un bel respiro, cercando di calmarsi: l’ansia lo stava lentamente uccidendo, un’agonia come preludio di un dolore ben maggiore che, forse, lo avrebbe colpito in pieno petto tra qualche ora."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hurricane



{ Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Prussia
Parole: 1702 (grazie a: http://www.freetiamo.altervista.org/index.php/conta-parole.html)
Playing: "Hurricane"- 30 Seconds To Mars --> 
https://www.youtube.com/watch?v=mdJDPepGOAM
  (ascolto consigliato durante la lettura della storia.) }


No matter how many times that you told me you wanted to leave
No matter how many breaths that you took you still couldn't breathe
No matter how many nights did you lie wide awake
to the sound of the poison rain



25 febbraio 1947, ore 03:17 del mattino.

Faceva freddo quella notte, a Berlino.
Più precisamente pioveva, così forte che i vetri tamburellavano sotto l’incessante scroscio di acqua proveniente dal cielo.
Gilbert, raggomitolato sotto il piumone, non riusciva a prendere sonno. Sapeva che il giorno dopo il Consiglio di Controllo Alleato avrebbe preso una decisione cruciale. E sapeva che rischiava di sparire per sempre dalla cartina geografica, divenendo solo un mero ricordo di ciò che era stato un tempo.
Guardò l’orologio sul comodino di legno accanto al suo letto: erano solo le tre del mattino. Prese un bel respiro, cercando di calmarsi: l’ansia lo stava lentamente uccidendo, un’agonia come preludio di un dolore ben maggiore che, forse, lo avrebbe colpito in pieno petto tra qualche ora.
Buffo a dirsi, la grande Prussia che mai, per nessun motivo, si era lasciata spaventare da niente e nessuno, ora temeva per la sua esistenza. Perché, doveva ammetterlo a se stesso a quel punto, Gilbert mai avrebbe pensato che sarebbe finita in questo modo.
Certo, dopo gli orrori della guerra appena finita si aspettava che punissero sia lui che Ludwig, ma non così. Non arrivando a minacciarlo di eliminare definitivamente lo Stato Libero di Prussia, e con lui tutta la lunga ed onorata tradizione che lo precedeva.
Chiuse gli occhi, stringendoli con forza e mordendosi le labbra per non gridare al mondo la sua rabbia. Intanto nella sua mente andavano a costruirsi immagini di un passato ormai lontano, se non addirittura remoto; rivide ogni singolo attimo di gloria che aveva vissuto, le battaglie, le morti, le vittorie, i festeggiamenti, tutto. E sapere che stava rischiando di perdere definitivamente quel ‘tutto’ lo stava facendo impazzire, ancor più dato che non ne aveva la certezza esatta.



Where did you go?
Where did you go?
Where did you go...?



Dove era andata? Dove era andata la sua tenacia, il suo coraggio, la sua forza di volontà, che Fritz gli diceva risiedesse nei suoi occhi scarlatti?

“Hai avuto il coraggio di andare contro chiunque, quando dicevano che eri un figlio del diavolo e non meritavi di rappresentare l’Ordine dei Cavalieri Teutonici a causa dei tuoi occhi. Hai il coraggio nel sangue, figliolo, per questo sei il degno rappresentante del Königreich Preussen.”

Questo stralcio di discorso balenò nella mente del prussiano, ricordo che lo portò ad avere gli occhi lucidi. Subito però si asciugò le lacrime col dorso della mano destra e tirò su col naso, concentrando la sua attenzione sul soffitto della stanza. Un soldato dell’esercito prussiano non piange, mai. Anche quando è consapevole che sta per andare tutto in malora.



Tell me would you kill to save a life?
Tell me would you kill to prove you’re right?
Crash, crash, burn, let it all burn
This hurricane's chasing us all underground



E con questa acquisita presa di coscienza, ora, cosa avrebbe dovuto fare? Provare a strapparsi i capelli, ad urlare il suo dissenso verso una decisione così ingiusta? Cosa?
Avrebbe dovuto uccidere qualcuno per dimostrare che no, la Prussia non meritava di essere trattata così?
Si prese le mani tra i capelli, gli occhi sgranati. Era stupito dalla sua pazzia, la medesima che aveva reso cieco Hitler dinanzi al resto del mondo e che ora stava rendendo cieco lui. Era davvero così ossessionato dal voler proteggere il suo Stato, o meglio, ciò che ormai ne restava dopo i bombardamenti, da non curarsi delle vite a cui avrebbe dovuto metter fine?
La vita sotto il nazismo aveva lasciato un profondo solco in lui, poco ma sicuro. E questo ne era la dimostrazione vivente.
Richiuse gli occhi: rivide davanti altre immagini, stavolta più cruente e meno felici. Il periodo nazista si ricostruì nella mente di Gilbert, che cercava invano di liberarsi di quei ricordi che credeva ormai chiusi a doppia mandata in un cassetto remoto della memoria.

“NO!”

Un urlo sordo ruppe il silenzio, rimbombando tra le pareti della stanza.

Poi il nulla.





No matter how many deaths that I die, I will never forget
No matter how many lives that I live, I will never regret
There is a fire inside of this heart
and a riot about to explode into flames



25 febbraio 1947, ore 10:33 del mattino.

“Lo Stato di Prussia, da sempre veicolo del militarismo e della reazione in Germania, cessa in questo modo di esistere.”

Gilbert, in alta uniforme, ascoltava a capo chino ciò che il generale americano Clay ed il maresciallo sovietico Sokolovskij avevano deciso per lui: la Prussia perdeva così ogni identità politica o geografica, cancellata da ogni cartina e mappamondo, e conservava solo la sua tradizione storica e culturale.
Il cuore gli batteva forte, così forte che poteva sentirlo risuonare nelle orecchie. Il fuoco che aveva infiammato l’anima di Gilbert per tutti quei secoli, da quando si era costituto l’Ordine Teutonico fino allo Stato Libero di Prussia, continuava a essere presente in lui. Ed era un fuoco che avrebbe serbato a vita il ricordo della perdita e il rancore che da essa ne derivava. Perché sì, avendo avuto un insegnamento prevalentemente cristiano gli era stata impartita sin da quando era bambino la dottrina dell’essere tollerante, di porgere l’altra guancia, di non provare risentimento inutile nei confronti del prossimo. Gilbert, però, era sempre stato un tipo vivace e, seppur provasse a rispettare tali precetti, finiva sempre col violarli e dar voce al suo vero sé.
E anche stavolta non sarebbe stato diverso, anzi. Prima o poi l’avrebbero pagata cara, tutti.



Where is your God?
Where is your God?
Where is your God...?



Uscito finalmente dalla riunione del Consiglio di Controllo Alleato, il giovane si diresse ad una chiesa lì vicino, intenzionato a dialogare col Signore e a chiedergli consiglio, sperando gli desse un cenno.
Per sua fortuna, quando entrò, l’edificio era deserto. Si fece il segno della croce e raggiunse un inginocchiatoio dinanzi all’altare, dietro il quale vi era posta una statua di Gesù crocifisso.
Da quanto tempo non entrava in una chiesa, pensò mentalmente.
L’ultima volta che aveva potuto seguire una funzione religiosa alla luce del sole, senza temere rappresaglie varie, era stato ad inizio anni Trenta, prima che il Führer salisse al potere e andasse contro i principi del Concordato firmato tra Chiesa e Reich.
Si sistemò, giunse le mani e chiuse gli occhi, chinando la testa.

“Padre, perdonami, perché ho molto peccato…”

Un ‘atto di dolore’ sussurrato uscì dalle labbra dell’albino.
Poi alzò il capo, osservando i lineamenti dolci ma al tempo stesso addolorati del Cristo sulla croce.



Do you really want?
Do you really want me?
Do you really want me dead, or alive to torture for my sins?
Do you really want?
(heartbeat, a heartbeat)
Do you really want me?
(I need a heartbeat, a heartbeat)
Do you really want me dead, or alive to live a lie?
(you know I gotta leave I can't stay, you know I ...)



“E ora, Padre? Ora cosa ne sarà di me? Sono un non-Stato, ancora sulla terra come rappresentante ma cancellato da qualsivoglia cartina geografica. Cosa ci faccio ancora qui? Perché non sparisco, come accadde a mio nonno Germania Magna o al suo rivale, Impero Romano? Perché riesco ancora a toccare il mio corpo e a sentirlo reale, solido, composto di carne, ossa e sangue, col cuore che batte più forte che mai? Perché non mi lasci morire? Vuoi che io resti qui, vivendo per sempre in questa condizione di stallo, come punizione per tutte le brutture che ho causato? È questo che vuoi? Vuoi illudermi che io possa valere ancora qualcosa, a questo mondo che ha deciso di togliermi di mezzo e non riconoscermi più alcun diritto o identità? Vuoi che io prosegua la mia esistenza vivendo in una menzogna? Dimmi, Padre.”

Senza accorgersene si era ritrovato in piedi sotto la statua, mani strette a pugno e occhi socchiusi. Sospirò pesantemente: stava sfruttando il Signore come capro espiatorio, dando a lui la colpa di tutto quando in realtà l’artefice della sua sconfitta era lui stesso e nessun altro.
Si crociò nuovamente, in segno di scuse, e tornò all’inginocchiatoio.



The promises we made were not enough
(Never play the game again)
The prayers that we have prayed were like a drug
(Never gonna hit the air)
The secrets that we sold were never known
(Never sing a song for you)
The love we had, the love we had, we had to let it go.
(Never giving in again, Never giving in again)



“Ricordo…ricordo che mi ero ripromesso di venirti a trovare, un giorno o l’altro. Sono stato un figlio degenere, e me ne dispiaccio. Immagino tu sappia ciò che è accaduto dall’ultima volta che ci siamo visti, quella domenica d’estate del ’31…e immagino che da un ex cavaliere teutonico non ti saresti mai aspettato un comportamento simile. ‘Gott mit uns’…quel motto è stato la mia ascesa e la mia rovina. Tu non eri con noi, altrimenti non sarei qui, a implorare il tuo aiuto e a chiedere consiglio a te, Padre misericordioso, da parte di un figlio che non sa cosa fare.
In tutti questi anni, la sera e la mattina, ti pregavo. Pregavo di aiutarmi a superare un’altra giornata, pregavo di aiutarmi a sopportare tutte le morti che mi circondavano…pregavo, sì, ma pregavo invano. Ripetevo le preghiere come mi erano state insegnate da piccolo, a mo’ di poesie imparate a memoria, senza capirne il reale senso, senza  lasciare che il loro spirito entrasse nel mio cuore. E mentre da un lato pregavo, dall’altro ero obbligato ad eseguire gli ordini, come un burattino: uccidere chiunque si opponesse al regime, senza timore e pietà; tenere sotto controllo le spie straniere, estorcendo loro segreti in qualsiasi modo; non lasciarsi coinvolgere dai sentimentalismi, evitare relazioni, pensare solo all’amor di patria e al bene del Reich.
Questi erano i miei compiti, e ammetto, non senza vergogna, che sono stato anche piuttosto bravo. Così bravo che di notte, talvolta, gli orrori della guerra tornano a perseguitarmi sotto forma di incubi, come memento perenne di ciò che è stato. Padre, ti imploro, abbi pietà di me! Risparmia questo tuo figlio, costretto dalla follia omicida di un uomo, ad essere condannato ad una vita di rammarico senza poterne fuggire, rinchiuso per sempre in un labirinto senza uscita!”
esclamò infine crollando in ginocchio a terra, mani sul pavimento e lacrime calde a gocciolare sulle piastrelle di marmo.





Silenzio. Solo i singulti di Gilbert a permeare l’aria.


 

   
 
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