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Autore: Jessica Kill    24/05/2015    2 recensioni
Ogni giorno sembravamo sempre meno umani, ma forse, solo forse, non lo eravamo mai stati. Ero instabile, fragile e pericoloso.
Funzionava così.
Mi divertivo a esplodere.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Metti il tuo ipod in shuffle e scrivi una piccola drabble ispirata alla prima canzone che capita.”

Fu così che mi staccai giusto un pochino dal testo (non che sia del tutto sbagliato), e mi resi conto di non saper scrivere meno di 500 parole.
Ah, la canzone era Mechanical Animals di Marilyn Manson. Anche conosciuto come l’amore mio.
E quello che ne è venuto fuori non ha un senso. In realtà la cosa potrebbe essere vagamente voluta, data la presenza della troca. E di varie turbe.
… sì. Questo non è il modo giusto per introdurvi a quello che viene sotto. Sempre stata una persona seria. Quindi leggete, orsù, e ditemi se sembra più qualcosa che avrebbe potuto dire un ubriaco steso sul ciglio della strada.

JKill



Giorno dopo giorno, la nostra casa si anneriva.     Lentamente.    Oggetti si accumulavano, l’aria marciva.
I ragni avevano conquistato il soffitto, le ragnatele erano fitte come nebbia.
Era la nostra personale perfezione, e noi stavamo smarrendo ogni traccia di una precedente anima.
Ogni giorno sembravamo sempre meno umani, ma forse, solo forse, non lo eravamo mai stati. Ero instabile, fragile e pericoloso.
Funzionava così.
Mi divertivo a esplodere.
E tu, Gerard, sorridevi. Sorridevi e guardavi lontano. Eri il centro di tutto, per me. Quello non era mai cambiato.
Ti conoscevo. Eri l’unica cosa che avevo imparato a comprendere. E tu avevi lasciato perdere tutto, l’avevi lasciato stare, l’avevi lasciato scivolare via da te.
Niente andava bene, niente andava male, eri bianco, vuoto. Un manichino di depressione.
Sempre più magro, sempre più magro.
Ma ancora bellissimo.
Io urlavo, a volte. Continuavo ad esplodere. Le mie nocche facevano male, sentivo il mio cervello dimenarsi e scontrarsi contro la mia scatola cranica, facevo tremare le pareti.
Tracciavo con la mano costellazioni all’interno del mio braccio. Congiungendo tutti quei punti lividi tra la pelle corrosa. Come avevi fatto tu, tempo prima, quando ancora pronunciavi il mio nome.
‘Rifugiati in un altro mondo, Frank. Crealo. Scappa. Scappa.’

Deliri.

Era perverso, dolcemente marcio. Era perfetto, ma con il tempo avevo imparato ad odiare anche quello.
Odiavo il mondo che ci stava attorno, il mondo che avevamo creato, odiavo il rumore dei miei denti che grattavano l’uno contro l’altro.
Odiavo tutto, urlavo al creato e alle luride mura che abitavamo. Non volevo più neanche la nostra sporca perfezione.
Sapevo solo urlare.
Non ero riuscito ad odiare te, però. Non a fondo.

Eri bellissimo, e io urlavo. Prendevo la tua faccia tra le mie mani e urlavo. Ma tu eri riuscito a scappare.
I tuoi occhi continuavano ad  essere  spenti, il tuo sorriso una smorfia di apatia. Non riuscivo più a ricordare il suono della tua voce.
Continuavi a essere così bello, il centro della distruzione attorno a noi, motore delle mie esplosioni.
Le cose cominciavano a correre sempre più velocemente, tu diventavi sempre più pallido, la mia voce si spegneva. Mi aggrappavo al tuo corpo evanescente e piangevo fino a quando la mia vista si spegneva.


Un giorno ho smesso di esplodere. Forse allora sono diventato bello quanto te, ma questo non lo so.
Ho smesso di esplodere. Tu eri bianco, quasi trasparente.     Sopportabilmente  perfetto.            Volavo appeso al soffitto, insieme ai ragni, sporco, bruciato, e stanco. Ti vedevo dall’alto, guardando quel vecchio sorriso incastrato tra le tue labbra.
Non ricordavo più il suono della tua voce, e tu eri morto. Sì, eri morto, ho pensato, mentre dall’alto ti guardavo respirare lentamente, gli occhi a fissi nel vuoto.
Sentii le mie gambe cedere. Qualcosa scattò nel mio collo, e io esplosi, per l’ultima volta.



 
   
 
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