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Autore: Fidaide    05/01/2009    4 recensioni
Un segreto oscuro e impenetrabile avvolge i quattro fondatori della più prestigiosa scuola di Magia e Stregoneria del Regno Unito. Niente è andato come la leggenda vuol farci credere...
«Se mi permettete, Messeri, Madonne, dovreste, dal momento che metterete mano agli Instituta alla cui stesura avete tutti partecipato, consultare anche hlāford Slytherin.»
Le parole di Florestan Holycross fecero calare il silenzio più assoluto sulla sala. Rowena ed Helga si scambiarono un rapido sguardo, Rupert Wodehoff evitava di posare gli occhi su qualcuno degli altri convitati, mentre Godric era diventato improvvisamente paonazzo.
«Credo che discutere con Slytherin sia fuori questione. - disse il padrone di casa cupamente
Genere: Romantico, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota di premessa:
I personaggi dei quattro fondatori, di cui utilizziamo il nome in versione originale, sono opera della Rowling. Dal racconto risulterà chiaro che ne abbiamo cambiato la caratterizzazione. Ciononostante non crediamo di star andando OOC, in quanto ogni cosa alla fine si ricongiungerà a quanto tramanda la leggenda, ma tramite vie che non sono quelle che tutti pensano. A ciò si aggiunge la considerazione che la Rowling non ha mai caratterizzato in presa diretta i quattro fondatori, ma quello che sappiamo di loro è sempre riferito da personaggi vissuti quasi un millenio dopo.
Il titolo è tratto dalla Fedra di Seneca (verso 604 per l'esattezza). I puntini di sospensione ad inizio titolo sottintendono "Vos testor omnes, caelites" che regge la frase scelta come titolo della storia. Il suo significato è "ciò che voglio non lo voglio"
Nel testo verranno utilizzati dei termini anglosassoni, di cui verrà data la traduzione a fine capitolo. Il loro uso serve a dare il colore giusto all'epoca in cui si svolge la vicenda. Accanto a questi saranno presenti anche toponimi antichi di cui daremo conto sempre a fine capitolo.
Detto questo vi lasciamo alla lettura!



Prologo.

Volute di fumo



Intorno all'ora del crepuscolo, ancor prima che gli abitanti si preparassero a trascorrere l'ultima notte fredda del mese di Marzo, una voluta di fumo nero si stagliò contro i cieli di Gernemwa*. Alcuni fra i contadini che dalle loro abitazioni potevano scorgere le creste scure ed erbose, dietro cui l’incendio aveva avuto origine, riconoscevano nell’aria l’odore inconfondibile della paglia che brucia, mentre il leggero scoppiettio del fuoco, appena avvertibile anche nella quiete, si amalgamava indistintamente allo sciabordare del Ridderflod, le cui onde fluivano invisibili fra le tenebre della sera.
Dietro il cerino che rischiarava la finestra di una alloggio campestre, una bambina di nove o dieci anni osservava lo spettacolo con aria pensosa, il mento poggiato sul gomito destro e gli occhi appena velati da una patina di sonnolenza. Pur nella loro estrema esilità, le pareti della casa non lasciavano filtrare l’odore del combustibile, ma la ragazzina lo percepiva in ugual modo a forza di suggestione.
«Non vai a dormire, bambina mia?» le disse un uomo alle sue spalle, chino su una zuppa di cavoli che esalava un aroma rancido e sottile.
«Qualcuno sta bruciando, padre. Mi sembra di vedere i piedi della collina avvolti nelle fiamme.»
«Vieni qui, sciocchina. Stanno di certo dando fuoco a della stoppia.»
«E perché danno fuoco a della stoppia, padre?»
«Avranno bisogno di accendere un falò, bambina mia. Sicuramente non vogliono materiale inservibile tra i piedi.»
«Ti dico che un uomo sta bruciando in mezzo alle fiamme, e che chiama aiuto. Noi dobbiamo andare ad aiutarlo.»
L’uomo lasciò ricadere nel piatto il mestolo di legno con cui portava alle labbra la zuppa di cavoli e si allontanò dal ripiano. «Fammi vedere, svelta! Posso dimostrarti che a bruciare è solo della stoppia, e che tu sei una bambina piena di fantasia.»
La bambina si mosse appena per lasciare che il padre l’accostasse.
«Riesci a vedere le spalle della collina? – le disse, cingendola con le braccia e additando un punto lontano. – Guarda un po’ più a sinistra. Quello è un mucchio di paglia che brucia davanti alla casa di hlāford* Tyreek.»
«Non è un mucchio di paglia, padre. – insisté la figlia con tono suasivo. – Quella è proprio la casa di hlāford Tyreek che brucia. Posso assicurarti che hanno appiccato un fuoco violento e che qualcuno sta morendo, lì dentro.»
«Se qualcuno stesse morendo, e se si trattasse di un accidente, bambina mia, certamente vedremmo un manipolo di vicini assiepati intorno alla casa.»
Con un sospiro la figlia si accontentò di quella spiegazione poco fascinosa. «Eppure, - ripeté debolmente, - io penso che nessuno stia manovrando quel fuoco. Come ti spieghi, padre, che i platani sono in fiamme?»
«Posso accompagnarti sulle sponde del Ridderflod, a patto che ti addormenti subito non appena torneremo.»
«Te lo prometto, padre.»
«Porta con te la cappa, bambina mia, e copriti bene il collo.»
Un istante più tardi, l’uomo si chinò per raccogliere un’asta di legno dimenticata.
«Perché porti la bacchetta, padre? Stiamo andando incontro ad un pericolo?»
«Davvero credi che se ci fosse un pericolo ti porterei con me fino al Ridderflod? Dista appena trecento passi. Ma come speri di far luce, senza la bacchetta?»
La porta si aprì con uno ronzio, permettendo a una soffice polvere di segatura di cadere sull’uscio. Le due figure, ammantate e incappucciate come si conveniva finanche alle ultime sere di Marzo, si incamminarono a rilento, lasciandosi dietro i fievoli e caldi bagliori di casa, per sbirciare oltre il fuoco di mistero che le fiamme sembravano alimentare.
Una zona non troppo vasta ricoperta d’erbacce e dimenticata da pastori e briganti separava la casa del contadino dalle sponde ciottolose del Ridderflod, un ruscello gorgogliante che, nel buio della sera, disegnava una fascia dai contorni limpidi e argentei lungo la superficie del territorio. Simili a prigionieri arrendevoli, gli alberi piegavano le loro chiome verso il sottile corso d’acqua, realizzando una cupola vegetale per un lungo tratto. Qua e là si aprivano brecce tra i fusti, lasciando intravedere le cascatelle e le rapide che seguivano il Ridderflod fin quasi al laghetto in cui sfociava.
La mano stretta a quella della figlia, l’uomo incedeva tendendo la bacchetta illuminata al buio infido della sera. Entrambi guardavano il paesaggio con occhio intento, l’uno perché pressappoco consapevole di quanto esso sarebbe cambiato adesso che i Normanni avevano invaso parte dell’isola, l’altra perché incantata dall’incendio che ancora si consumava alle pendici della collina.
Si udì lo strusciare delle loro calzature di stoffa contro l’erba disseccata, mentre le ondate di fumo si facevano più frequenti e più forti man mano che si avvicinavano al mucchio di stoppia. Fu solo quando la luce del fuoco, avvampando in maniera tanto paurosa da annebbiare la ragione della bambina, annullò l’oscurità in un lungo, paralizzante momento, che videro il profilo ben distinguibile della casa di hlāford Tyreek, inghiottita da lingue di fuoco.
«Dio santo! – gridò il contadino, guardandosi intorno come alla ricerca di una via d’uscita. – Avevi ragione, avevi ragione!»
Dinnanzi a loro si scorgeva solo un ammasso di avanzi incandescenti che crollavano, uno dopo l’altro, dal tetto dell’elegante abitazione di hlāford Tyreek, ardendo tutto ciò con cui venivano in contatto. Minuscoli puntini di fuoco danzavano in aria, rosseggiando sullo sfondo del cielo scuro. Delle finestre guarnite che un tempo decoravano la facciata non restava che una sostanza disciolta e arroventata. Le pareti legnacee si piegavano verso l’interno e uno scoppiettio confuso saturava l’atmosfera.
La bambina fissò il padre vittoriosa. «Stai pur certo che un uomo brucia, lì dentro.»
«Ferma dove sei, piccola mia, non ti muovere. – le rispose il contadino. – Sarò di ritorno immediatamente.»
Non ci sarebbe stato il tempo di ribattere, poiché in un baleno l’uomo diroccò temerariamente il velo di fumo e urlò con quanta voce aveva in corpo: «Hlāford Tyreek! Hlāford Gunnar Tyreek!»
Quelle parole si smarrirono nel fumo, e a rispondergli non fu che il crepitio del fuoco, aumentato ora in misura esponenziale.
«Hlāford Tyreek! Siete vivo? Siete qui dentro? Rispondete, per carità.»
Ma passarono pochi istanti, e la figlia vide tornare un padre sconfitto e senza speranza, sia pure a testa alta, non poco ustionato dal fuoco e grondante di sudore.
«Dobbiamo cercare aiuto, bambina mia. Non è stato un incendio intenzionale, ma un terribile accidente. Non so dove possa essere finito hlāford Tyreek, e ho paura che sia troppo tardi per trovarlo.»
Non appena ebbe proferito quelle parole colme d'apprensione, scorse un folla di maghi e streghe che, uniti in capannello, procedevano verso di loro. Taluni accennavano con entrambe le mani e facevano un gran vociare, senza aver inteso pienamente la cagione di quel tumulto.
«Padre, padre! L’ho trovato! – squittì la bambina, trainandolo per il mantello verso le rive sassose. – Eccolo, eccolo lì, dorme sul fiume!»
«Cosa hai trovato, piccola?»
«E’ il signor Tyreek! E’ lui!»
Un cadavere integralmente carbonizzato galleggiava sul Riddelflod, trascinato dalla corrente lungo il sentiero acquoso delimitato dai platani. Il suo viso deturpato dalle fiamme era irriconoscibile, i capelli ridotti a un cumulo frantumato di cenere, le labbra disseccate e gli occhi orrendamente fuori dalle orbite.
«Che cosa gli è successo, padre? – gridava la bambina. – Ti prego, dimmi che è vivo!»
Ma il contadino già strascicava con fatica la salma fuori dal ruscello, adagiandola sull’erba fresca, chinandosi poi sull’unico oggetto che il defunto portasse addosso e che le fiamme non avevano potuto intaccare: un anello d’oro zecchino, sormontato da un brillante azzurro che, in apparenza, era stato cesellato dalle dita di un orefice esperto. Sul cerchietto aureo spiccavano ancora le iniziali dell'uomo morto, una G e una T.
All’arrivo dei vicini, fioccarono centinaia di commenti e versioni sulla dinamica dell’incendio, mentre i più volenterosi si impegnavano a sedarlo o a frenarne l’effetto distruttivo. Il contadino pensava che si fosse trattato di un tragico incidente fino a quando non vide biancheggiare sul busto scoperto di Gunnar Tyreek un aguzzo pugnale con la punta d’argento.


Note di traduzione (termini asteriscati nel testo)
Gernemwa è l'antico nome di Great Yarmouth, nell'attuale Norfolk
hlāford è termine anglosassone che sta per Signore


Speriamo sinceramente che la fiction vi possa piacere! Sappiateci dire cosa ne pensate!

  
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