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Autore: Kerri    24/05/2015    7 recensioni
[CaptainSwan: AU] [Accenni Rumbelle, Snowing, OutlawQueen]
Emma Swan si è trasferita a New York a 17 anni, accettando una borsa di studio che le avrebbe cambiato la vita, lasciandosi alle spalle un'infanzia difficile, Storybrooke e il suo migliore amico. Ma ha dovuto vedere tutti i suoi sogni frantumarsi, schiacciati dalla consapevolezza di aspettare un figlio.
Adesso la sua vita si è stabilizzata, ha Henry, gestisce un negozio di antiquariato e non sa che la sua vita sta per cambiare drasticamente, riportando a galla i più nascosti fantasmi del suo passato.
Killian Jones ha un'unica regola nella sua nuova vita: basta impegnarsi. È uno degli architetti più promettenti di New York e un giorno, riceverà una proposta che potrebbe dare una svolta alla sua carriera. Ma per farlo, dovrà collaborare con una sua vecchia conoscenza, riaprendo ferite mai rimarginate.
Il destino, continuerà a prendersi gioco di loro e dei loro amici, tra incontri, scontri e colpi di scena. Ma riusciranno Emma e Killian a perdonarsi e a ricominciare? Riusciranno, insieme, a riscrivere il loro destino? E se questo non fosse stato ancora scritto?
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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7. Old Friends

 
…la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso il destino,
quando, d’un tratto, esplode.
̴“Oceano Mare” di A. Baricco
 
«Swan!»
Killian pronunciò il suo nome, per la prima volta dopo anni.
Lei era lì, era lei, ne era più che certo.
La donna che non avrebbe mai pensato di poter rivedere era lì, proprio di fronte a lui.
Di colpo, tutto il dolore che aveva cercato di chiudere in un cassetto del suo cuore, straripò, come un fiume in piena. Avrebbe voluto dirle tante cose, rinfacciarle tutto il dolore che gli aveva causato, urlarglielo. La rabbia gli montò dentro, rabbia per essere stato abbandonato, trattato come uno zerbino, rabbia per non aver mai risposto alle sue chiamate, ai suoi messaggi, rabbia per non averlo mai salutato, per avergli mentito, per la sua testardaggine, per non aver avuto fiducia in lui, in loro.
Avrebbe voluto urlare, finalmente, dopo anni di silenzio. 
Ma non poteva.
Il signor Gold, incombeva su di lui, uno strano uccello del malaugurio che, per quanto si sforzasse di ignorare era lì, al suo fianco, con i suoi piccoli occhietti attenti ad ogni suo più piccolo passo falso.
«Voi, vi conoscete?» chiese Belle, fissando prima l’uno e poi l’altra, alquanto disorientata.
Emma restò ferma, non si mosse di un centimetro. I suoi occhi verdi erano un misto di sorpresa e paura, Killian riuscì a leggerli come sempre, come se non fosse mai cambiato niente. Ma tutto era cambiato.
«Sì, siamo…»
Cos’erano?
Emma non lo sapeva più. Erano stati amici, migliori amici, avevano condiviso qualsiasi cosa, erano stati l’uno
l’àncora dell’altro, ma adesso? Cos’era rimasto di tutto quello?
Crepe, cocci, vetri rotti.
Ricordi, solo ricordi.
«Vecchi amici» concluse Killian per lei. La sua voce si era fatta più fredda, più cupa, Emma poté cogliere persino un velo di tristezza in quell’affermazione, ma forse doveva averlo solo immaginato.
La donna annuì, confermando quanto appena detto dall’uomo.
Cercò di ricordare il motivo per il quale si trovava in quella casa, sotto lo stesso tetto di Killian Jones, a pochi metri di distanza da Killian Jones.
«Oh, bene! Sarà più facile allora!» disse Belle, eccitata, battendo le mani.
«Visto che già conosci il signor Killian Jones, permettimi di presentarti Robert, il mio fidanzato…»
La voce di Belle la riportò alla realtà.
Gold, la casa, le regole di Regina, sorridere sempre.
Spostò a fatica lo sguardo dalla figura di Killian e cercò di concentrarsi sull’uomo accanto a Belle.
Doveva avere un cinquantina d’anni, dei capelli piuttosto lunghi e grigi gli scendevano ai lati della fronte.
I suoi occhi la scrutarono per secondi che le parvero un’eternità, poi l’uomo le porse la mano.
«Piacere di conoscerla, signorina Swan! Belle mi ha parlato molto della sua attività, se così possiamo definirla…»
Ad Emma vennero i brividi. Quell’uomo incuteva timore, riverenza, un po’ come Cora Mills. Ignorò quell’ultimo commento poco educato sul suo negozio e cercò di mostrarsi sicura, come la sua amica le aveva insegnato.
«Il piacere è mio, signor Gold!» disse, cerando di sorridere.
Il suo sguardo fu però catturato ancora una volta dall’altro uomo. Non aveva smesso per un istante di puntare i suoi occhi cobalto su di lei.
Sì, era un uomo adesso.
Fissò la barbetta incolta, la cicatrice, la cravatta, non avrebbe mai immaginato di vedere Killian Jones con una cravatta, i capelli neri, gli occhi blu, le mani grandi. Nessun segno dell'orecchino che gli piaceva indossare, soltanto un anello d’argento.
Era lì, così familiare eppure così lontano. Ai suoi occhi, non era nient’altro che uno sconosciuto, uno sconosciuto con cui condivideva troppi ricordi, uno sconosciuto capace ancora di metterla in soggezione, sotto quel suo sguardo limpido, specchio di tutti i suoi sentimenti più nascosti. Emma poteva leggere la sorpresa dal suo sguardo, dalla mascella contratta, dai pugni stretti. Eppure si chiese se non c’era dell’altro, se non nascondesse qualcosa in più. Era fuori allenamento: da troppo tempo non gli leggeva dentro.
«Se volete seguirmi, la cena è pronta!» disse la giovane donna, riportandola ancora una volta alla realtà.
Il signor Gold sorrise alla sua futura moglie e la seguì. Emma fece lo stesso, desiderando rimandare il più possibile il momento in cui lei e Killian si sarebbero trovati da soli e avrebbe dovuto rispondere alle sue domande. Era certa che ne aveva, a bizzeffe. E, scoprì che perfino lei era curiosa sul suo conto. Cosa aveva fatto in tutti quegli anni? Si era sposato? Aveva avuto figli? Quell’anello cosa significava?  
Prima che potesse continuare oltre, si sentì afferrare il polso e si voltò di scatto.
«Non so cosa tu abbia in mente, Swan, ma non ho intenzione di rinunciare a questo lavoro!»
Lo disse fissandola dritta negli occhi, con sguardo truce, serio.
Emma lo guardò a bocca aperta. Da quanto tempo non la chiamava così? Da quanto tempo non sentiva il suo nome, pronunciato da quella voce?
Quella fu la seconda volta in mezz’ora, dopo anni di silenzio, eppure le parve che non sarebbe mai riuscita a riabituarcisi. Uno strano brivido le attraversò il corpo.
«Neanche io»
Pronunciò quelle parole fissandolo a sua volta, accettando la sfida che evidentemente lui le aveva proposto. 
Davvero aveva pensato che lei, Emma Swan, si sarebbe tirata indietro soltanto per via della sua, scomoda, presenza?
Doveva essersi rammollito.
«Bene» disse, lasciandole andare via il braccio.
Si prospettava un lunga serata. La tensione poteva tagliarsi con un coltello.
 
Seguirono i padroni di casa in cucina e si accomodarono ai loro posti. Emma e Killian sedevano di fronte, Belle e Gold accanto a loro.
Emma notò quanto l’uomo davanti a sé fosse agitato. Bene, almeno non sarebbe stata l’unica a sudare freddo ed anche lui, dietro quell’aria perenne da sbruffone, celava agitazione e insicurezza.
Riusciva ancora a cogliere quei piccoli gesti che tradivano la sua ansia, il suo abbassare lo sguardo alle domande troppo personali (non aveva mai amato parlare troppo di sé) e il suo grattarsi la nuca, quando non sapeva cosa rispondere. Emma riuscì a notare i suoi tentativi di fare conversazione, ignorandola il più possibile. Tralasciando quella frase idiota di poco prima, non le aveva più rivolto la parola. Come poteva biasimarlo? Dopotutto la loro separazione era stata solo colpa sua.
Mentre mangiarono il primo, Emma scoprì più cose dei suoi ultimi anni di quanto avesse mai immaginato, grazie all’immane curiosità della padrona di casa.
Non era sposato, si era trasferito a New York da poco meno di due anni e al momento, era single. Notò un velo di imbarazzo quando l’uomo dovette rispondere a quella domanda e cercò di evitare di fissarlo. Sforzò che ovviamente si rivelò inutile.
Erano risposte futili all’apparenza eppure per Emma Swan, si rivelarono di vitale importanza. Quelle informazioni andarono ad aggiungersi alle altre, andando a costituire il punto di partenza dal quale si sarebbe mossa in seguito.
Purtroppo il suo interrogatorio finì prima di quanto avesse desiderato, doveva ammettere che si stava dimostrando piuttosto divertente vederlo così in imbarazzo e visibilmente a disagio.
Lui che di solito, o almeno per quello che si ricordava, era uno sbruffone nato.
Già. Era. 
I riflettori si spostarono inevitabilmente su di lei e dovette rispondere alle domande curiose dei futuri signori Gold. Sì, perché anche il signor Gold si dimostrò stranamente interessato sul suo conto.
 
Killian tirò un sospiro di sollievo quando le domande cessarono e poté finalmente concentrarsi sulla sua bistecca. E fu ancora più felice, notando che adesso, sarebbe stato il turno di Emma.
Fino a quel momento l’aveva vista sorridere di tanto in tanto, di fronte ai suoi goffi tentativi di parlare di sé e notò con piacere che neanche lei aveva perso le sue abitudini: odiava essere al centro dell’attenzione. Sentimento che si dissolveva come l’acqua al sole quando si trovava su un palcoscenico. O almeno così ricordava.
«Emma, come sta Henry?» chiese Belle improvvisamente, versando un po’ di vino nel suo bicchiere.
Henry? Chi era Henry?
Suo marito?
No, non portava la fede e poi, se fosse stato così, si sarebbe presentato anche lui lì, no? O avrebbe avuto un altro cognome.
Allora il suo fidanzato…
Questo pensiero lo infastidì non poco, per quanto gli costasse ammetterlo. Quella donna stimolava in lui un innato senso di protezione, fin da quando la vide per la prima volta, in un angolo remoto di un parco.
Doveva avere qualche serio problema.
«Sta bene, grazie!» sentì Emma rispondere. Il suo tono di voce si addolcì o fu solo una sua impressione?
Diamine, non la vedeva da dodici anni, avrebbe dovuto odiarla, urlarle contro, avercela a morte con lei per averlo lasciato senza neanche una spiegazione e tutto ciò che riusciva a provare era… cosa? Senso di protezione, dannato senso di protezione!
Infilzò con più forza l’ultima patata arrosto e la ingoiò arrabbiato.
Maledetta Swan!
Ci fu un attimo di silenzio, un istante in cui ognuno restò concentrato sui propri pensieri.
Fu Emma a romperlo.
«Era tutto buonissimo, complimenti Belle!»
«Sì, complimenti!» continuò Killian, cercando di smorzare la tensione.
«Grazie! Felice che vi sia piaciuto!» disse la donna con un sorriso, poi si rivolse al suo futuro marito
«Adesso, mentre io riordino, Robert puoi mostrare la casa ai nostri ospiti? Poi parliamo di affari!» rise Belle, afferrando un piatto.
Emma si alzò. Non aveva nessuna intenzione di restare sola con Gold e Killian. Il primo le incuteva un certo timore, dubitava delle sue capacità e la faceva sentire piuttosto in soggezione; il secondo… il secondo era Killian Jones! Il ragazzino con il quale aveva fatto un bagno in mare, vestiti solo della biancheria intima! Colui che era andato a comprarle gli assorbenti, la prima volta che arrivarono “le sue cose” e lo stesso ragazzino che aveva abbandonato per seguire il suo sogno, senza neanche una spiegazione…
«Se vuoi, ti aiuto io…» propose speranzosa, ma la giovane le strappò le posate di mano.
«Assolutamente no! Non faccio lavorare i miei ospiti!» disse, appoggiando tutto nel lavabo.
Gli uomini si erano già incamminati verso il salotto. Emma li vide confabulare e si sentì esclusa. Dopotutto anche lei avrebbe dovuto far parte di quel progetto, no?
Così, a malincuore, si incamminò verso di loro, stirando il suo volto in un sorriso, che alla fine, sembrò più una smorfia.
«Vogliamo andare?» chiese, notando con piacere che con i tacchi era alta quanto Killian. Per la prima volta nella sua vita, ringraziò Regina per averle ordinato di indossarli.
«Come potrete notare, questo piano è già pronto e non necessita alcuna modifica…» disse il padrone di casa, incamminandosi verso le scale.
Emma e Killian si guardarono frettolosamente intorno, ognuno annotando in mente qualche dettaglio che avrebbe potuto aiutarli in seguito.
«Il vostro compito, da domani in poi, sarà quello di progettare e arredare questi piani…»
Ormai erano arrivati in cima alle scale. L’uomo accese un interruttore illuminando un grande corridoio, sul quale si affacciavano quattro porte.
«Sto parlando della nostra camera, il bagno e le altre due camere da letto. Al piano di sopra vi è un altro bagno e una soffitta ma dubito che la signorina Swan, con quei tacchi, possa arrivarci…»
Emma arrossì, abbassando lo sguardo. Cercò di replicare ma il signor Gold si voltò e aprì ad una ad una le porte, rivelando delle grandi stanze vuote. Emma si chiese dove dormissero, poi si ricordò del grande divano in salotto. Probabilmente fungeva anche da letto.
«Ovviamente il signor Jones proporrà dei progetti e lei, signorina Swan, si occuperà di cercare nel suo… –fece una piccola pausa, cercando di trovare la parola adatta - deposito, dei mobili adatti!»
Ai suoi occhi il suo piano non faceva una piega, anzi. Ma agli occhi degli altri due, non era di certo gradito.
Collaborare avrebbe significato passare del tempo insieme, vedersi, riprendere quel loro rapporto interrotto bruscamente anni fa.
Emma cercò di trattenersi, sorvolando sull’ulteriore affermazione sprezzante nei confronti del suo negozio e annuì.
«Tutto chiaro? Potrete cominciare da domani, venire a prendere le misure, appunti, scattare fotografie eccetera… troverete le domestiche»
«Signor Gold, io…»
«Ah signorina Swan, vorrei mettere in chiaro una cosa anche con lei…» disse interrompendola e puntando il dito verso il suo petto.
«So che la mia Belle nutre profonda stima in lei, quindi spero per lei che non commetta nessun passo falso altrimenti, come ho già accennato al signor Jones, sarete immediatamente licenziati!»
Rise in un modo che ad Emma sembrò sovrannaturale e che le gelò il sangue. Questo era il signor Gold di cui tutti parlavano, l’uomo avaro e interessato esclusivamente ai propri fini.
Furono interrotti dal rumore dei tacchi di Belle, segno che la giovane stava per raggiungerli. La bestia si acquietò, non appena il sorriso della sua fidanzata illuminò il corridoio.
 
Si accordarono per vedersi il lunedì successivo, lasciandosi un giorno per riflettere e capire cosa fare e soprattutto come andare avanti. Belle aveva insistito, voleva che tornassero già il giorno dopo per prendere tutte le misure necessarie e abituarsi alla casa. Sia Emma che Killian declinarono gentilmente l’invito.
«Non voglio disturbarvi, Belle! Domani è domenica, l’unico giorno in cui non lavori, non voglio rovinartelo!»
«La signorina Swan – continuò Killian, ma quelle parole gli parvero talmente assurde che si corresse immediatamente – Emma, ha ragione. Cominceremo lunedì. »
In tutto quel battibeccare, il signor Gold non era mai intervenuto. Se ne stava seduto sulla sua poltrona, immobile a fissare il fuoco, perso in chissà quali pensieri.
Alla fine Belle cedette.
Erano quasi le undici, si era fatto molto tardi ed Emma non vedeva l’ora di tornare a casa, buttarsi sul letto e chiedersi perché la sfortuna l’amasse tanto.
«Credo che chiamerò un taxi, si sta facendo tardi e devo tornare da Henry…» disse la donna, alzandosi in piedi e cercando la sua borsa.
Il cuore di Killian mancò un battito. Non poteva scivolargli via un’altra volta, non poteva andarsene senza neanche una risposta. Sapeva che si sarebbero inevitabilmente rivisti ma aveva la sensazione che sarebbe fuggita ancora, che fosse tutto uno scherzo della sua mente e presto non avrebbe più sentito parlare di lei. Non poteva lasciarla scappare.
«Se vuoi, posso darti io un passaggio!» si offrì, alzandosi a sua volta. Belle li fissava sorridente e soddisfatta.
«Oh no, non voglio darti nessun fastidio…»
Emma era stranamente diventata paonazza, si disse che era sicuramente colpa del fuoco.
«Insisto! Il taxi arriverà sicuramente tra un’oretta, non vorrai fare tardi…»
«Sì Emma, il signor Jones ha ragione!» si intromise Belle.
Emma chinò lo sguardo. Se avrebbero dovuto passare i prossimi mesi insieme, tanto valeva cominciare fin da subito a collaborare.
«Va bene, ti ringrazio.» sussurrò, prima di afferrare il suo cappotto e infilarselo.
Killian prese la sua giacca di pelle ma non la indossò.
Dopo aver salutato i padroni di casa, o meglio Belle, visto che il signor Gold borbottò soltanto un cupo “Buonanotte”, i due uscirono nell’aria fresca della notte.
Il freddo era pungente, la differenza di temperatura tra l’interno della casa e l’esterno era considerevole, sebbene fosse ancora settembre. Emma rabbrividì, probabilmente non soltanto per il freddo.
Per un qualche assurdo motivo, si aspettò quasi di vedere la sua moto, quella che per anni l’aveva accompagnata a scuola e a lezione. Si aspettò che qualcuno le porgesse un casco, un casco fin troppo familiare.
Ma la sensazione durò poco.
Vide l’uomo incamminarsi verso la grande auto nera che, qualche ora prima, aveva creduto appartenesse al ricco imprenditore.
«È tua!» mormorò a bassa voce, non aspettandosi che lui la sentisse.
«Non capisco perché ti stupisca così tanto…»
L’uomo spinse un bottone sul portachiavi che stringeva in mano e l’auto si illuminò.
«Vieni o no?!»
Emma arrancò verso di lui, spazientita. Una cosa era certa: in quegli anni, entrambi non avevano mai perso il loro orgoglio.
Entrò in macchina e si accomodò sul sedile di pelle, troppo freddo per le sue gambe scoperte.
Killian mise in moto, cercando di non fissarla troppo, di non distrarsi. C’erano così tante cose che voleva chiederle…
Emma dal canto suo, fissava la macchina cercando di trovare un minimo segno, un qualche indizio sull’uomo accanto a lei. Ma era vuota, neanche un portachiavi, un mozzicone di sigaretta, uno scontrino dimenticato. Nulla che indicasse che quell’auto appartenesse a qualcuno. A differenza di quella, il suo maggiolino sembrava vecchia ferraglia. Ma, per nulla al mondo lo avrebbe scambiato per una di quelle macchine, vuota, fredda e anonima.
Il silenzio calò sull’abitacolo. Era pesante, pungente, opprimente. Emma si sentiva soffocare, notava di tanto in tanto le occhiate sfuggenti dell’uomo accanto a lei, si chiedeva perché diavolo non cominciasse il suo interrogatorio. Perché era sicura che ne avesse uno.
Un altro secondo in più e gli avrebbe detto che sarebbe scesa lì, a chilometri di distanza da casa sua, soltanto per porre fine a quell’incontro imbarazzante.
«Dove abiti?»
La sua voce era ritornata bassa, piatta, disinteressata. Emma credette di essersi completamente sbagliata, lui non aveva proprio niente in serbo per lei, tutto ciò che voleva era fare una bella figura agli occhi dei loro nuovi datori di lavoro, offrendole un passaggio. 
Dopo avergli spiegato la strada più corta per raggiungere il suo appartamento, scivolò di nuovo il silenzio.
Minuti interminabili, lenti, vuoti, silenziosi.
Emma credeva di poter sentire il suo cuore battere più del normale.
Fu lui, di nuovo, a rompere il silenzio.
«Chi è Henry?»
Stupido. Di tutte le domande che avrebbe voluto porgerle, tra tutte le risposte che pretendeva da lei, quella era sicuramente la più banale.
«Mio figlio»
Killian non poté evitare di alzare il sopracciglio e stringere la presa sul volante.
Cosa?
Suo figlio?
Emma Swan aveva un figlio? La sua Emma, la piccola bambina indifesa, era diventata mamma?
Si corresse mentalmente, dandosi dello stupido. Non era mai stata sua. 
Non seppe spiegarsi perché, ma sentiva lo strano impulso di fermarsi a vomitare.
Probabilmente lo avrebbe fatto se non avesse avuto i suoi occhi verdi puntati addosso, pronti a cogliere ogni minima reazione. Strinse la mascella, cercando di mostrarsi indifferente. Non poteva dargliela vinta, non avrebbe avuto la soddisfazione di vederlo crollare.
«Quanti anni ha?»
Emma sospirò, stanca. Uno strano sorriso le si dipinse sul viso.
«Piantala, Killian. Sappiamo entrambi che hai domande più importanti di questa!»
Erano ormai arrivati di fronte al condominio in cui la donna viveva. Le luci erano spente, segno che sia Regina che Henry erano già a letto.
Killian parcheggiò lì vicino, spense la macchina e si voltò a guardarla.
La guardò, per la prima volta in quella serata, senza preoccuparsi di nulla. Senza preoccuparsi di risultare indiscreto. I suoi occhi indugiarono sul suo viso, sulle poche lentiggini che le erano rimaste sul naso, sulle sue labbra. Era cambiata, eppure sembrava essere sempre la stessa.
«Hai ragione, Emma. Ho molte altre domande da farti…» ammise, più a se stesso che a lei.
Sospirò.
La donna guardò fuori dal finestrino, aspettando il primo insulto, la prima accusa. Desiderava soltanto che si sbrigasse, per poi scendere da quella macchina e non voltarsi mai più.
Desiderava non aver mai accettato quel lavoro, desiderava che la sua vita non si fosse mai incrociata con quella di Killian Jones.
Desiderava soltanto che chiarissero il prima possibile, così da poter lavorare meglio.
Ma ciò che stava aspettando tardò ad arrivare.
«Tuttavia credo si sia fatto tardi. È meglio se ritorni a casa, la tua famiglia ti starà aspettando…»
Emma si voltò di scatto. Quella parola le provocava ancora uno strano effetto, sembrava vuota, priva di significato soprattutto pronunciata dalle sua labbra.
Restò ferma al suo posto, immobile e in silenzio.
Di certo non si sarebbe mai aspettata che l’avrebbe lasciata andare via così.
«Voglio che tu te ne vada Emma» sibilò.
Le sue parole furono taglienti, affilate. La colpirono in pieno, come un secchio di acqua gelida. Fissò la sua espressione. Avevo lo sguardo puntato dritto di fronte a sé, la mano sulla chiave pronta a partire e la mascella serrata.
«Grazie per il passaggio, ci vediamo presto…» si sentì mormorare.
Detto questo scese dalla macchina, con una matta voglia di urlare. Le salì uno strano groppo in gola e le lacrime arrivarono a pungerle gli occhi, ma lei le ricacciò indietro ostinata.
Quel bastardo.
Lo odiava, lo odiava con tutta se stessa. Godeva nel vederla in difficoltà, si stava riservando lo spettacolo per un momento più appagante, non vedeva l’ora di vederla supplicare il suo perdono. Ma si sbagliava.
Stronzo.
Non avrebbe voluto rivederlo mai più. Invece quel “presto” incombeva su di lei.
Presto significava vederlo tutti i giorni, lavorarci assieme, collaborare, sopportare quelle occhiate.
Attraversò la strada senza mai voltarsi indietro. Sentì soltanto il rumore di una macchina che si allontanava e poco dopo, il rombo familiare di una moto. Non seppe mai se quest’ultimo fu reale o semplicemente frutto della sua immaginazione o della sua coscienza che riportava piano piano a galla ricordi che, seppur felici, avrebbe preferito dimenticare. 
 
 
Killian si maledisse non appena la vide scendere dall’auto, per la seconda volta in quella sera. O forse la terza, ormai aveva perso il conto. Si era ripromesso di non lasciarsela sfuggire, di metterla con le spalle al muro e farsi gridare le risposte che da anni desiderava, ma l’aveva lasciata andare. E lei era lì, camminava leggera su quella strada nera e si infilava in un portone, un portone simile a tutti gli altri, un portone di fronte al quale era passato così tante volte. Adesso era il suo. Adesso sapeva che c’era lei lì dentro, lei e tutti i suoi segreti, la sua famiglia, i suoi sogni e la sua ambizione.
Adesso non sarebbe più stato un portone come gli altri.
Killian aspettò che entrasse e ripartì.
Sfrecciò sulle strade di New York, abbandonandosi a quell’ebrezza che la velocità gli donava. Per un attimo sentì la nostalgia della sua moto, del vento tra i capelli. Fu un solo istante, perché quel ricordo ne portò a galla degli altri, inevitabilmente con Emma aggrappata dietro di lui.
Lasciò la macchina e si diresse verso il suo appartamento. Sperò che David se ne fosse andato o che stesse già dormendo, non aveva nessuna voglia di raccontargli come fosse andata la cena, perché avrebbe dovuto menzionare Emma e raccontargli tutto e lui, non era ancora pronto.
Infilò la chiave nella serratura e fu invaso dal solito profumo di legno e vernice. Tutto era buio, immerso nel silenzio. Killian accese la luce, buttò la cartellina contente i progetti da qualche parte sul tavolino e si slacciò la cravatta. Odiava quel maledetto aggeggio. Non riusciva a capire perché dovesse sempre indossarla.
Ispezionò la casa e notò che il suo amico non c’era.
Trovò un paio di bottiglie di birra vuote e un biglietto in cui David annunciava che avrebbe fatto ritorno nella sua caverna.
Killian sorrise. Forse gli avrebbe fatto bene parlarne con lui, forse sfogarsi gli sarebbe servito.
Controllò l’orario e valutò l’ipotesi di chiamarlo ma era troppo tardi.
Così lentamente scivolò in camera sua, si tolse i vestiti e si fece una doccia. L’intenzione era quella di farla fredda, gelata così da raffreddare ogni suo pensiero, ma non ci riuscì. Lasciò scorrere l’acqua calda sul suo corpo, chiuse gli occhi e cercò di non pensare a niente.
Dopo un tempo che non riuscì a contare uscì, si infilò il pigiama e si buttò sul letto.
Si passò una mano sugli occhi stancamente, fissando il soffitto.
Forse, forse non era ancora pronto, dopotutto.
Forse temeva le risposte a quelle domande e non riuscì a spiegarsi perché.
Chiuse gli occhi e si addormentò.
Quel “presto” incombeva anche su di lui.
 
 
 
 
 
 
 
 


Eccomi qui! :)
Finalmente Emma e Killian si sono rivisti. Ormai, nessuno dei due ci sperava più eppure, il destino (vale a dire io xD) aveva altri piani per loro!
Il loro primo incontro non è stato tra i migliori come avrete potuto notare. A dividerli ci sono tante cose, forse troppe. Killian non è riuscito a perdonare Emma per ciò che ha fatto, ma allo stesso tempo, non ha voluto sapere niente.
Questa volta, la fine è un po’ più tranquilla! Presto, già nel prossimo capitolo suppongo, vedremo i due all’opera!
Come sempre non posso non spendere due parole per tutti voi, che continuate a leggere e a seguire questa storia! GRAZIE MILLE!
E un grazie particolare va come sempre a tutte coloro che mi lasciano una recensione! Grazie, davvero!! Siete fantastichee! Non sarei mai arrivata fin qui senza il vostro supporto!
Ringrazio già in anticipo chi vorrà, anche questa volta, lasciarmi un commento! Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!
A prestissimo,
un abbraccio
Kerri :*
   
 
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