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Autore: quirke    24/05/2015    2 recensioni
"E mi guardi di soppiatto, i capelli umidi di pianti nascosti, le scosse interne, i terremoti forti e silenziosi. Il tuo petto che vibra, le labbra che traballano e le mani che tremano.
Ma gli occhi fermi, mai a lasciarti scoprire di sfuggita, o le parole mai dette se non soffocate. Il corpo immobile, il passo veloce. La voce cristallina e i sorrisi forzati, la fronte imperlata e il cuore che balla, traballa ma non é mai contento."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Non prometto nulla, ho bisogno solamente di ricevere quanti più pareri possibili, correggetemi e fatevi sentire, per piacere :)
ecco a voi johanna& karina
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Via col vento

1
 

“Ma mi ami,
se ci provi e stritoli le tue ossa tra le tue mani ruvide, 

mi ami ancor più di prima

 

Johanna corrugò la fronte, incastrando le morbide ed unte ciocche dei suoi capelli dietro le orecchie.
Stravolta dalle canzoni che solo i diciassettenni abbattuti e solitari sono soliti ascoltare, impugnò fermamente il suo scooter, procedendo verso il sentiero deserto e stretto da entrambi i lati da mari di campi di grano e girasoli. Più in là , lungo l'orizzonte, percepiva a malapena l'odore acerbo dell'immenso oceano.
Tra i capelli, il formicolio impetuoso della solitudine, qualche meche chiara e crespa. Di rado, e comunque microscopici, ci trovava barlumi di freschezza giovanile e libertà, stritolati dal suo nuovo casco azzurro pastello.
Aspettò che il furgoncino le passasse davanti, montò sul suo scooter, ben prestando attenzione a che gli auricolari non le scivolassero dai timpani, ed imboccò la strada, finalmente a casa. Magari più tardi, verso casa.
Per ora, Johanna voleva solo passare un po' di tempo lontano da quell'edificio instabile, da quelle mura imperlate di ansia e grida di chi é egoista e impetuoso. Preferiva dondolare e crogiolarsi nel silenzio più totale quel pomeriggio, abbandonare ogni sorta di studio o impegno che le avrebbe stritolato il cervello. Voleva semplicemente avanzare lungo la stradina tortuosa, diritta fino a scontrarsi contro la spiaggia.
Anche se a dirla tutta preferiva una compagnia particolare, le mancava un pochino ... Sì, Regina le mancava e le dispiaceva da morire doverla abbandonare a casa, magari si stava nascondendo sotto il letto per evitare quelle inutili discussioni nate tra un sospiro di sollievo e uno sbuffo pesante.
Si mordicchiò le labbra, aggrottò le sopracciglia e strinse sotto le mani morbide e avvillite il manubrio dello scooter, prestando attenzione a curvare senza rischaire nulla.
Il paesaggio intorno a lei era quasi monotono, spento per via del cielo tempestoso. Perché altrimenti, qualsiasi cosa sembrava gridare da tutti i pori che la primavera era arrivata. E sopratutto quelle distese di fogliame verdeggiante e potente che scrosciavano e danzavano insieme al vento, e quei manti di fiori di ciliegio che coprivano i tetti spioventi della città, coloravano i sentieri illuminando finalmente l'asfalto di dolcezza ed innocenza.
Ma il sentiero che Johanna stava attraversando non poteva vantarsene, dato che era in piena periferia ed era stretta da entrambi i lati da campi infiniti di grano o erba lussureggiante, intatta, accarezzata da lievi sbuffi di vento.
Avanzò ancora per molto, fino a che il cielo non iniziò ad assumere colori bluastri e più scuri, passando così il tempo a far visita ai suoi più profondi pensieri ed allo stesso tempo cancellare ogni problema con furore e spavalderia, inutilmente. Le nuvole cominciarono ad amalgamarsi con il tepore notturno, un acido odore si sollevò dall'asfalto umido e Johanna curvò per l'ennesima ed ultima volta, imboccando un sentiero tortuoso e stretto, lontano dalla sua meta iniziale.
Inspirò profondamente l'aria gelida e pungente, addentrandosi dentro un bosco, illuminato da piccole lanterne attaccate ai rami.
Strinse gli occhi piccoli ed impugnò ancora una volta il motorino sotto alle sue mani, rallentando una volta avvistato un palco luminoso e pimpante.
Rallentò e frenò davanti al cancello, spense il veicolo e prima ancora di rimuovere il casco diede un'occhiata al cellulare che teneva nella tasca del giubbetto.
Sbuffò esasperatamente.
Rimosse in fretta e furia il casco blu pastello, incastrò il suo scooter alla ben e meglio, bloccandolo e si diresse di corsa verso l'entrata.
Ormai le sfumature di luce solare erano svanite in quelle che il palco emanava, l'acido odore di asfalto umido era sommerso da quello di alcoolici e nicotina. Gruppetti di ragazzi che non conosceva, di adulti e bambini, si aggrovigliavano davanti alla piazza estesa ai piedi dell'edificio teatrale.
Davanti a quest'ultimo si ergeva un palco costruito quel pomeriggio stesso, propenso ad illuminare la serata e obbligato a celebrare l'anniversario della libertà della città.
Aggrottò le sopracciglia, si leccò le labbra, concentrandosi.
"Johanna"
Si girò a destra.
"Joh!"
E anche dalla parte opposta, ma quelle luci le stavano fulminando gli occhi, le si imbattevano ogni volta contro. E quella voce familiare proveniva da tutte le parti, non riusciva proprio a ritrovarla in un punto preciso.
Ma così, all'improvviso, e sopratutto spaventandola a morte, delle labbra appiccicose le scroccarono un sonoro bacio all'altezza del collo nudo, dato che i capelli le arrivavano a fatica a sfiorare le clavicole e per quella sera, subito dopo essersi liberata del casco, se li era stretti in un'alta e scomoda coda. Saltò sul posto, avvampando e tremando per qualche secondo, e poi tutta quella paura, mista a un'enorme quantità di sorpresa, divenne furia, e rabbia, ed impazienza e solo alla fine frustrazione.
Era Karina, solo e soltanto quella Karina.
Alta un metro ed ottantacinque, sbadata e stracolma di profumo ad ogni ora della giornata.
"Johanna!" saltellò quest'ultima, afferandole il braccio e cominciando a camminare.
Quasi a correre, verso chissà dove.
"Sei in ritardo, e ti stavamo aspettando da venti minuti belli e buoni" iniziò a borbottare, stringendole il bicipite senza nemmeno rendersene conto. E le stava facendo davvero male. "Le ragazze stavano iniziando a spazientirsi e abbandonarti, ma le ho fatte riflettere e ripensarci un po', no? Siamo compagni di classe, e questo anno dovremmo condividerlo insieme, e sopratutto non cadere in drammi inutili, che si potrebbero evitare se ti decidessi per una buona volta a venire in orario"
"Karina, siamo state noi ad invitarle"
"Sì, sì lo so. Ma erano in maggioranza, ed io" inacidita si indicò più volte, "ero sola. Quindi non potevo fare molto, no?"
"Ma perché le hai invitate?"
"E perché venirci da sole? Potremmo conoscerci meglio, e passare una bella serata tutte insieme. Mi sembrava una bella idea!"
"Io non penso"
"E smettila con questo pessimismo!"
Senza nemmeno rendersene conto, Johanna notò di essere stata trascinata con forza davanti a un gruppetto di ragazze rumorose e stridule, totalmente dissonanti  con la sua personalità.
Karina, aveva stretto i capelli in un elegante chignon che permettava solo a due ciocche ricciolute di decorarle il viso paffuto.
Una camicia a righe nere e sottili le sfiorava le coscie magre, avvolte a loro volta da un pantalone in faux cuir, naturalmente. Ed ai piedi agili, un paio di adidas colorate, rosso fuoco.
E senza nemmeno farci apposta, incorporato al jeans skinny, Johanna ci aveva aggiunto una tshirt a righe orizzontali blu, al contrario di quelle verticali della sua amica e nere.
"Ciao Noora, Sigrid! Beha, Loulou!" squillò Karina, aggrappandosi al suo braccio per evitare che Johanna l'abbandonasse, "Vedete che alla fine é arrivata!"
Le prime due ragazze scattarono indietro, con furore ed antipatia. Squadrarono Johanna dall'alto al basso, irrigidirono le labbra in una linea dura che il secondo dopo traballò in un sorriso rassicurante, quasi benevolo.
"Ti davamo per dispersa!" commentò Noora, allungando una mano sui suoi capelli e ravvivando le ciocche ribelli.
"E sinceramente mi stavo arrendendo al fatto che ... Beh pensavo ci dessi buca!" mormorò a fil di voce Sigrid, mordicchiando le labbra sottili.
Johanna, semplicemente, deglutì rumorosamente, forzando un sorriso stridulo ed involtariamente fin troppo acido. Cercò inutilmente di addolcirlo, piegando la testa verso il basso ed accarezzandosi la nuca in imbarazzo.
Magari, quell'indifferenza, quell'apatia quotidiana che ogni mattina l'affiancavano a scuola, e con le quali si era allontanata dalle sue compagne di classe fin dal primo momento condiviso, l'avevano dipinta di una differente sfumatura ai loro occhi.
Non che se ne curasse, certo, ma in quel momento cinque paia d'occhi la punzecchiavano senza darle tregua, afflitte e demoralizzate. Lei, caparbia e goffa.
Si guardò intorno, abbozzando un tenero sorriso, illuminato dalle luci soffuse delle bancherelle di ogni tipo.
"Che ne dite di prendere qualcosa da Soo?" propose, cercando invano di rimediare alla precedente beffa.
Tutte le ragazze sorrisero, annuendo e dirigendosi verso quel bitorsoluto furgoncino che ancora, e dopotutto, riusciva a reggersi in piedi.
Il proprietario era un arzillo anziano, pomposo ed ancora vivace, di origini cinesi. Aveva un piccolo locale in periferia, meta preferita di Johanna e Karina durante i weekend, ma si presentava spesso anche durante piccole festività locali, sempre con quel suo caldo sorriso e un paio di tavolini davanti, che a fatica si reggevano in piedi.
Lungo il largo sentiero, bancherelle luminose costellavano il cammino, accompagnate da tenere risate, conversazioni gradevoli e brevi uscite in famiglia.
E sopratutto quel ventotto settembre, tutto questo era stato intensificato. Gente mai vista prima d'ora pullulava rumorosamente, risate sconnesse germogliavano da qualsiasi angolo, innocenti baci scanditi con furore e purezza zampillavano nascosti ai piedi del lago, immenso ed onorato ospite di quella sera, ricoperto da lanterne dorate sulla superficie limpida.
E il sentiero ne circondava che tre lati, dato che le bancherelle e la maggior parte della gente ignoravano completamente la parte nord del lago e la stradina apposita, anche perché il palco era stato proprio allestito all'entrata, a sud di quell'immensa distesa d'acqua argentata.
La luna brillava alta nel cielo, gorgogliando appena soffici e deboli raggi, prolungati fino alle chiome maestose degli alberi che circondavano il lago, ed infiltrandosi ecco che riuscivano a scoccare una veloce carezza sulla pelle nuda degli invitati.
Johanna si ritrovò traballante, a malapena riusciva a restare in piedi. Poggiando una guancia sul palmo della mano calda, scavando con il gomito la superficie di uno dei tanti tavolini alti di Soo, aspettando che l'ordine le arrivasse tramite Noora, o Sigrid, o le altre.
Voleva semplicemente qualcosa di caldo, dato che non era nemmeno riuscita a pranzare.
Davanti, ilare e allegra, ancora Karina, che a stento riusciva a decifrare il suo viso pallido. Stanchezza? Delusione?
"Mi annoio a morte" pronunciò Johanna, parole strascicate da un tono pungente.
"Già, quest'anno le bancherelle non sembrano così tanto interessanti. Le abbiamo viste quasi tutte, ma ..."
"Jo" era Noora a gridare, e Johanna si girò di scatto verso il furgoncino, attratta da un braccio sventolato da tutte le parti. "Erano ravioli al vapore, no?"
Johanna, tristemente, annuì. Ritornando subito dopo a prestare la sua attenzione a Karina, a ciò che vulnerabile e colorato si espandeva dietro le sue spalle, quei barlumi di colori accesi che si attingevano ormai a un congedo definitivo dall'estate.
La sua schiena si ricurvò ancora un po' di più.
"Dovremmo aspettare il concerto per un po' di divertimento, allora!" terminò Karina, quindi.
E anche quella volta, Johanna accennò a un debole sì mimato con la testa.

Karina aveva ragione, e la stava amando incondizionatamente in quel momento. Il suo stomaco era sazio, quei ravioli erano stati deliziosi. Le ragazze erano riuscite di tanto in tanto a strapparle un debole sorriso, sopratutto dopo che aveva preso qualche sorso di birra per sciogliersi un po'. Johanna, semplicemente, stava attraversando un brutto periodo che le stava tradendo ogni più piccola debolezza, spogliando da quei manti di spensieratezza giovanile  e sicurezza involontaria di cui da sempre si vantava.
E solo in quel momento, incastrata da spalle sconosciute, bocche spavalde e pelli umide. Da capelli colorati, tinte economiche e risate grossolane, dalla musica scadente che pompavano dall'enorme palco, da quelle luci psichedeliche che si divertivano di acciecarla di tanto in tanto.
Stringeva la mano di Karina, al suo fianco, un po' brilla probabilmente. E si stava divertendo!
Amava anche il cantante in quel momento, terribilmente.
"Finalmente, un po' di vita!" gridò Karina, quasi rischiando di assordarla.
Johanna si permise di scoppiare a ridere, dandole ragione.
Le loro amiche si trovavano davanti, saltavano, ridevano. Si stavano divertendo dopo due terribili settimane di scuola colme di test, finalmente.
L'aria stava diventando calda, odore di acerbo e sudore. Di gioventù.
Johanna, senza far alcun rumore, si guardava intorno. E, dopo l'ennesima spinta, si permise di girarsi alla sua sinistra e chiedere scusa a quel povero braccio che torturava inconsciamente, dato che si ritrovava ogni volta spinta da qualcuno alle sue spalle verso quella, di spalla.
Si girò, lentamente, e "Scusa!"
Il ragazzo schiuse appena gli occhi, a fatica, svalutando la cosa e quindi tranquillizzandola.
Non ne seppe il motivo, ma da quel momento, dopo averlo visto, ritrovò piacevole il fatto di urtarsi debolmente proprio con la spalla di quel tipo.
Sembrava alto, e ragionevolmente non avrebbe dovuto fargli tanto male.
Sembrava, quasi quasi, che il concerto insorgesse da lui e dal suo gruppo di amici che davanti a lei, sul palco. La musica era diventata quasi un sottofondo, sopratutto da quando avevano deciso di allontanarsi dal palco, e dall'aria soffocante.
Non riuscì a rimuovere lo sguardo dal ragazzo, dalle mani esperte che giocavano con una cartina, le spalle che ondeggiavano al ritmo della musica, i strani giochi di luce. L'immenso cielo notturno che si estendeva infinitamente sopra le loro perplessità e i loro ricordi.
Sembrava, in effetti, che da quello sprazzo di coraggio che l'aveva spinta a scusarsi, lei avrebbe smesso di considerare il cantante, e la musica e tutto quanto e si fosse concentrata solamente su quel gruppo di ragazzi sconosciuti dalla pelle  olivastra, scura e decisamente interessante.
E l'odore acido che poco prima le torturava le narici, le faceva scoppiare il cervello, era stato rimpiazzato dalla colonia deliziosa di questo ragazzo. E se mai avesse pensato di andarsene, e mollare tutto quel disagio e l'irritabile scomodità di essere attorniata da centinaia di persone, ora non ne trovava assolutamente un ragionevole motivo.
Di tanto in tanto, questo gruppo si allargava in un cerchio atipico permettendo ad un ragazzo alla volta, sempre di quel gruppo, di entrarvi e ballare senza alcuna regola precisa, dare rilievo alla sua personalità ed improvvisare qualche passo di freestyle, ed a quanto pare a qualcuno riusciva veramente bene.
E tutta quella realtà era così lontana dalla quotidianità di Johanna, che ne era rimasta letteralmente affascinata, attratta.
Diede una gomitata a Karina, indicandole appena ciò che stava prendendo forma accanto a lei, sicura che le avrebbe fatto piacere, ed infatti l'amica non controllò un "Wow", sfuggitole rapidamente dalle labbra secche e carnose.
E continuò così, Johanna e qualche volta anche Karina. A lasciarsi invogliare dall'odore di erba bruciacchiata illegalmente, dalle risate di quei ragazzi sconosciuti.
E lui, proprio lui, dopo un po' semplicemente si stancò. Lasciando passare una comitiva tra la sua pelle scura e quella rosea di Johanna, sbuffando, e prosciugando una minuscola sigaretta, buttandola a terra poco dopo, si permise di avvicinarsi spudoratamente, senza vergogna, lentamente e dolce, furbo e rapido. Furtivo, sicuro.
Johanna si accorse solo dopo di essersi lasciata cullare dalla sua spalla, incastrando per bene la testa sulle sue spalle e stringendo sempre più debolmente la mano di Karina, incontrollabilmente eccitata, spudorata e comunque, ancora, apparentemente tranquilla.
Johanna pregava solamente che l'amica non la tradisse da un momento all'altro, permettendosi di lanciarle un'occhiata maliziosa sotto gli occhi di quello sconosciuto.
"Non balli?" soffiò delicatamente sulla sua fronte il ragazzo, quel ragazzo.
Erano immobili, o qualche astratto e debole accenno di movimento di tanto in tanto.
"Ora no" rispose Johanna, facendo attenzione a non muoversi troppo.
"Prima ti sapevi davvero muovere"
Ma se non ho fatto nulla! Voleva proprio dirlo, Johanna, ma si ammutolì, lasciandosi scappare un sorriso furbo una volta giratosi verso di lui.
Lui, semplicemente, scrollò le spalle.
Partì l'ultima canzone, sotto un cielo costellato di minuscoli barlumi di luce, sotto migliaia sbuffi delusi di gente che voleva protendere la serata ancora per molto.
Sentiva il calore della pelle del ragazzo bruciare quegli strati di vestiti, penetrare nelle sue ossa vuote e solitarie, quell'ammaso di aggressiva testardaggine che le aveva permeso di attorniarsi di tante persone e non ritrovare nessuno con cui passare un bel sabato sera, se non ci fosse stata Karina.
Sospirò, senza vergogna.
Il petto del ragazzo si muoveva rapido, sfiorandole la schiena, indietreggiando. Graffiando il suo orgoglio il secondo seguente, e subito dopo si ritirava furente. Stanco?
"Sono davvero stanco" pronunciò difatti lui, non muovendosi più, nemmeno un accenno di oscillazione sotto le ultime note dell'ultima canzone.
Voleva rispondere, ma fu bloccata da una gomitata. Sbigottita, incrociò lo sguardo di Karina. Annuì.
Dolcemente, si staccò dal suo corpo, sentendo freddo ormai. Si girò, forse con troppa rapidità, si scontrò con la sua mascella, oscillando, si avvicinò al suo orecchio, prendendo fiato, a fatica.
"Dovrei andare"
"Nawar"
"Cosa?" Johanna indietreggiò, permettendosi di guardarlo negli occhi, confusa.
"Mi chiamo Nawar" ripeté il ragazzo, sorridendo "Scambiamoci il numero, no?"
Johanna traballò per un istante, e allungò la mano con cui stringeva il suo telefono, permettendogli dunque di digitare il suo numero di telefono.
"Nawar" ribadì ancora una volta, "Sono Nawar"
Johanna annuì, muovendo un passo indietro, per allontanarsi e raggiungere Karina.
"Inviami un messaggio appena puoi, con il tuo nome" quasi urlò Nawar, quando Johanna si voltò e fece per andarsene. Ma le arrivò il messaggio, lo percepì troppo tardi per poter rimediare.
Si era accorta solo in quel momento di non aver pronunciato parola, di essere rimasta lì impalata come una stupida bambina, inesperta. Stupida, stupida.
Si girò un'ultima volta, vedendolo di sfuggita sorriderle pesantemente, stanco. Cancellato poco dopo da decine di visi che si precipitavano all'uscita, sfumando i suoi occhi brillanti, i capelli spettinati e tirati indietro. La mascella rigida, tesa. Le labbra morbide, il tocco dolce di poco prima che si era plasmato sul suo collo quando si era allungato a pronunciarle il suo nome.
Nawar?
Dolce e irrequieto allo stesso tempo, il suo tocco le era rimastro impresso anche dopo, quando tra la campagna silenziosa, si dirigeva tranquillamente con il suo motorino verso casa, stretta da dietro da un corpo agile ma affaticato. Karina, addormentata.

 

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