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Autore: Bellamy    24/05/2015    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Aprii gli occhi districandomi dagli strati di coperte e cuscini che avevo con me, cercando di svegliare i miei arti e me stessa.
Riconobbi il soffitto di casa mia.
Mi alzai di scatto con un gran senso di confusione e di disorientamento. Ero nella mia stanza. Uguale a come l’avevo lasciata l’ultima volta. Mi dovevano aver presa mentre dormivo, perché non mi ero svegliata? Come avevano capito dove mi trovavo? Conoscevano il posto? O avevano girato a vanvera?
Avevo voglia di urlare.
La casa era silenziosa. Brutto segno. Arrossii e mi nascosi sotto il letto, maledicendomi per l’avventura di ieri. La testa mi girava forte.
Scesi dal letto non sapevo quanto tempo dopo, la parte codarda di me si teneva nel letto con gli artigli infilzati su di esso. Tutto sommato dovevo andare a scuola.
Mi preparai velocemente cercando di fare il meno rumore possibile ma sapevo che loro sapevano che ero sveglia. Questo mi fece piccola piccola. Già sentivo le urla di tutti e pure le mie.
Tutto ad un tratto la rabbia che avevo prima era sparita lasciando il posto alla vergogna e all’imbarazzo.
Mi ero comportata da bambina. Che senso aveva avuto quella fuggita?
Ero solamente arrabbiata e volevo fare i capricci.
La mia mente ritornò al cottage fiabesco in mezzo al bosco, aveva una aura incantata intorno a sé. Volevo ritornarci. Poteva essere il mio rifugio segreto.  
“Sei stupida, Renesmee Carlie Cullen.”  Mi dissi davanti allo specchio, litigando con i miei capelli. Arrivavano quasi alle ginocchia e non li sopportavo più ma zia Alice e Rosalie non mi permettevano di tagliarli ed io, in fondo, non avevo tutto quel coraggio.
Guardai in cagnesco la spazzola, prendendomela con lei.
Non li tenevo mai sciolti, era impossibile. Mi piacevano le trecce, ogni tipo di trecce. Ma per quel giorno decisi di fare uno chignon veloce.
Scesi in cucina dove trovai Esme intenta a cucinare la colazione per me, era sola. Appena mi vide nella soglia della porta, spense i fornelli e appoggiò le mani sull’isola della cucina. Gli occhi bruciavano.
Aiuto.
“Non farlo mai più, signorina. Ti rendi conto di cosa hai fatto?”
Guardai fuori la finestra. Non avendo il coraggio di guardarla negli occhi, sentendomi così più stupida. “Ero nel bosco.”
Esme strinse le braccia al petto “Nel bosco quando noi ti avevamo detto di ritornare a casa. E non l’hai fatto.”
La rabbia ritornò in me “Non l’ho fatto perché era ormai troppo buio per me, potevo combinare altri guai. Vi avevo anche avvertiti.”
Mi rispose, con un espressione di disappunto mescolato con rabbia “E perché avresti mandato via i giovani Quileute? Ti dovevi far accompagnare da loro!”
La guardai, mi avevano trovata loro. Sapevano perché mi ero fermata. “Perché mi ero incuriosita di quella casa e avevo deciso di vederla. Non l’avevo mai vista prima.”
Mia nonna, che era veramente una madre per me, chiuse gli occhi e appoggiò le sue dita nelle tempie.
“Renesmee…”
La guardai non capendo il perché di quella reazione. Nel bosco c’eravamo solo noi, di notte soprattutto, chi potevo mai incontrare? Sapevo anche difendermi da sola, ero un po’ più forte rispetto agli umani.
Quella casetta era nascosto da quel profondo fogliame e dimenticata da tutti, chi poteva mai avvicinarsi o conoscerla?
“Conoscete il cottage? Sapete di chi é?” sussurrai.
Scosse la testa “Non parliamone ora, parliamo di te. Hai idea di quello che poteva succederti? Non ora che.” Si fermò, non finendo la frase. “Mangia la tua colazione, Renesmee.”
Strinsi le mani in pugno “Non ora che cosa?”
“Devi andare a scuola, mangia o faremo tardi.”
“Non ora che cosa?!” gridai con tutta l’aria che avevo nel polmoni.
Seguì un minuto di silenzio interminabile. La tensione tra me ed Esme si poteva tagliare con il coltello. Non era mai successo prima.
In quel urlo c’era lo sfogo di molti anni, ancora lo sentivo riecheggiare nel mio orecchie. Dentro di me sentivo l’adrenalina scorrere nelle vene. Il senso di colpa, però, m’invase ma lo scacciai subito. Non potevo continuare in quel modo, dovevo sapere, volevo sapere la verità.
Vedevo negli occhi di Esme sofferenza mista ad indecisione, perché?
Esme non sembrava colpita dal mio urlo, era rimasta impassibile. “Ci sono dei vampiri in giro. Non sono come noi, e non sono affatto amichevoli. Non sono i vampiri neonati.”
La sua espressione cambiò subito: da furiosa a metà come se si fosse levata un peso dallo stomaco dopo tanto tempo.
Ora capii il collegamento con i licantropi. Li avevano avvertiti, o li avrebbero uccisi direttamente.
Per quale motivo il Clan di Denali ci aveva avvertiti di un avvistamento di vampiri neonati? Che si fossero sbagliati?
“Chi sono?”
Lei chiuse di nuovo gli occhi, una espressione di dolore le colpì forte il viso ed io mi sentii mancare il fiato.
In quel preciso momento non riuscivo a pensare niente, mi sentivo sospesa nell’aria, i secondi passavano tirandomi ancora in alto con lentezza. Tutto questo seguito dal viso preoccupato di mia nonna che mai mi aveva fatto più male.
Non era la prima volta che la vedevo triste o preoccupata. Quando succedeva pensavo fosse per nostalgia, nostalgia della sua vita da umana, nostalgia di suo figlio. Per qualcos’altro forse.
Ma quella Esme era dilaniata dalla paura.
“I Volturi. Sono qui.” Sussurrò alla fine.
Annuii. Capii. Carlisle mi aveva raccontato di loro. Nei primi anni della sua vita era stato in Italia a studiare, ospitato proprio da questo potente clan, forse il più potente di tutti.
Li consideravamo i protettori della nostra razza. Nessuno, però, si azzardava a sfidarli perché la fine sarebbe stata certa e uguale per tutti. Tutti ne parlavano bene ma nessuno si azzardava ad avvicinarsi alle Alpi o al Mediterraneo. I nostri tre Signori avevano nella loro Guardia i vampiri più potenti e più capaci, potevano distruggere un clan in pochi secondi.  
Io non li vidi mai di presenza, solo tramite quadri, nella stanza dei quadri che era presente in ogni nostra casa, che raccontavano un po’ la storia della nostra famiglia.
Avevano un aspetto molto regale, erano degli intellettuali, appassionati di scienze, cultura e di tutto ciò che era nuovo. Erano dei bravi trovatori di doni.
“Dove sono gli altri?” domandai.
Esme guardò fuori la finestra, stranamente quel giorno c’era il sole. “Carlisle è in ospedale. Gli altri sono nelle loro proprie case, verranno presto.” L’espressione perplessa non le lasciò pace.
Mi avvicinai a mia nonna e le strinsi la mano “Sarà solo una visita. Non c’è niente di cui preoccuparsi.” La rassicurai con un sorriso, forzato.
Ricambiò la stretta ma non il sorriso “Si, ma non farmi più uno scherzo del genere, mi hai fatto prendere un colpo. Mangia.” Mi ordinò.
 
Scesi dalla macchina. Mi aveva accompagnata Esme e questo era insolito. Nelle giornate soleggiate non mi accompagnavano mai, andavo da sola a scuola. La luce del sole non mi causava problemi, solo un leggero bagliore inosservato all’occhio umano in confronto alla pelle di diamante dei vampiri colpiti dai raggi solari.
Non feci obbiezione quando Esme mi spinse in garage e prese la sua Audi, forse era un modo per essere sicura che io arrivassi a scuola sana e salva con i Volturi nei paraggi, pronti a non sapevo cosa.
I Volturi potevano essere pericolosi, se veniva messa a dura prova la loro pazienza ma non capii il terrore che colpì mia nonna al solo pronunciare il loro nome.
Non avevamo fatto niente di grave, nessun umano aveva scoperto la nostra reale identità o tantomeno eravamo usciti di casa quando il sole era alto prepotente nel cielo.
Non avevamo fatto niente. Carlisle era un loro grande amico, parlava sempre bene di loro.
Forse l’inquietudine di Esme era solo ingiustificata, forse era la prima volta che capitava questa visita da parte dei vampiri italiani e lei non sapeva cosa aspettarsi. Speravo.
 
Nina mi aspettava seduta nel marciapiede, alle sue spalle la scuola. Indossava delle scarpe da ginnastica, pantaloncini e una maglietta a maniche corte, come se per lei l’estate non era ancora finita. Il vento tirava le sue lunghe ciocche bionde dietro, come faceva con le mie.
Le tesi la mano per aiutarla ad alzarsi e lei la prese con gratitudine. “Buongiorno!” esclamò.
“Buongiorno a te! A cosa è data tutta questa allegria?” l’invidiavo.
Nina guardò in alto il cielo facendo un gridolino di gioia, subito dopo mi strinse forte con tutte e due le braccia. Risi.
Ricambiando il suo abbraccio, vidi qualcosa di strano negli alberi del bosco, non lontano dall’istituto. Per niente lontano dalla scuola.
Erano delle figure nere, tanto simili a quelle del mio incubo. Tutto ad un tratto il cielo divenne grigio. Sentii il ghiaccio bruciare nei palmi delle mie mani. Sentii la confusione. Fui scossa da dei brividi freddi che cercai di scacciare immediatamente. Sbattei le palpebre e tutto era tornato come prima, non c’era nessuno in mezzo agli alberi. Nessuna ombra, nessun mantello nero.
“La storia delle farfalle allo stomaco è vera.” Mi rispose Nina sprizzante di gioia, continuando a stringermi.
Mi sentii cadere dalle nuvole, mi schiarii la voce. “Chi è il fortunato?”
Sciolse la stretta e mi strinse la mano “Te lo farò vedere in una delle prossime lezioni!”
Le sorrisi ma sapevo che ero poco convincente, i miei occhi vagavano ancora tra gli alberi, la strada e le macchine. Mi sentivo osservata, chiusa in una stanza senza finestre né porte.
La mia amica mi guardò aggrottando la fronte “Che succede?” si girò per capire cosa stessi guardando ma ritornò a guardare me, non capì nulla.
Le presi di nuovo la mano e la trascinai con me dentro l’edificio “Niente, sono solo molto stanca. Non ho dormito questa notte. Ma soprattutto sono felice per te!” Per quella volta il sorriso era sincero.
Nina iniziò a saltellare, il buon umore era ritornato. Per tutto il tragitto fino in classe mi raccontò di quanto bella la vita fosse.
Le ore di lezione passavano lente e non ci fu un attimo a cui avessi prestato attenzione a ciò che dicevano i professori o a quello che mi diceva Nina.
Non riuscivo a staccare gli occhi dalla finestra e da quello che c’era fuori. Tutto scorreva con tranquillità ma io avevo visto qualcosa. Non era stato un brutto scherzo dei miei occhi.
Mi sentivo strana, inquieta, avevo una brutta sensazione che mi camminava sopra le braccia come un ragno pericoloso.
Non mi sentivo sicura, non sentivo sicura la mia famiglia. Avevo intenzione di usare la scusa dei dolori mestruali – che io assolutamente non conoscevo -, correre in infermeria e chiamare qualcuno che potesse venirmi a prendere, solo per assicurarmi che la mia famiglia stesse bene.
“Mi vuoi dire che hai?!” mi chiese Nina opprimendo un urlo. Eravamo a mensa ed io guardavo davanti a me la mia insalata, la mia bottiglia d’acqua e la mia mela, completamente intatte. Io ero completamente nel mio mondo, continuavo a stropicciare l’orla della mia maglietta.
La guardai e mi sentii in colpa, aveva ragione a lamentarsi. “Scusami.” Sussurrai.
Fermo le mie mani nervose e me le strinse “Che c’è che non va?” sussurrò, era così tenera che ebbi l’impulso violento di abbracciarla.
Scossi la testa “Niente, problemi a casa.” Volevo mordermi la lingua, dovevo stare attenta a ciò che dicevo e dove lo dicevo.
Lei annuii, comprensiva. “Se vuoi parlarne, io sono sempre qui.”
Mi alzai dalla sedia di plastica e l’abbracciai “Grazie. Non c’è niente di cui preoccuparsi, tutto va bene, tutto è al suo posto.”
  
Quando l’ultima campanella suonò, strinsi velocemente Nina in una abbraccio e scappai fuori. Presi una grande boccata d’aria e chiusi gli occhi. Il malessere interiore non cessò, si amplificò.
 
Era pomeriggio, mi trovavo seduta a terra nel salone di casa, la tv stava trasmettendo un documentario sull’Antica Grecia. Stavo facendo i compiti di Inglese mentre mi gustavo il mio sangue umano, rigorosamente zero negativo. Lo zero negativo aveva un sapore diverso dagli altri tipi di sangue, era il mio preferito. Non capii il perché ma Esme me lo offrì ed io non riuscii a dire di no.
Tutti erano a casa: Alice e Rosalie erano elettrizzate dalle nuove spese che avevano fatto per me. Mi mostravano i nuovi capi come se fossero roba da vendere all’asta. Emmett e Jasper stavano giocando a poker, bisticciavano animatamente e scommettevano cose grosse.
Esme e Carlisle erano dietro di me, seduti tranquillamente nel divano, accoccolati.
Tutto era perfetto, nessuna ansia, nessuna paura, nessuna preoccupazione.
La paura sia mia che di Esme era irrazionale. Dentro me feci un respiro di sollievo, grata. Grata che tutte quelle paura erano infondate. Dovevo scusarmi con Nina per averla spaventata, non se lo meritava.
 Nessuno aveva fatto cenno riguardo i Volturi o di imminenti visite di vampiri.
Ma dentro di me sentivo quella sensazione martellante che picchiava il mio petto.
 
Stavo imparando un nuovo spartito, il mento appoggiato al violino. Prima di dormire mi sgranchivo le mani in quel modo. Esme adorava sentirmi suonare, la commuoveva. Avevo un repertorio esclusivamente dedicato a lei.
Bussarono alla porta e fecero capolino Esme e Carlislie. “Possiamo entrare?” chiese lui.
Annuii facendo segno di sedersi nel letto. Posai violino e archetto accanto a me.
Non mi aspettavo visite. Chiusi gli occhi, quasi li strizzai. Ecco un nuovo rimprovero in arrivo.
“Tranquilla, il rimprovero l’avrai dopo, se ti aspetti questo.” Disse Carlisle in tono scherzoso, mi diede un bacio nella fronte.
Non riuscii a decifrare la loro espressione, divennero immediatamente concentrati. Soprattutto il nonno.
Gli strinsi la mano e gli chiesi. “Tutto bene?”
Si sedette insieme a sua moglie davanti a me, gli occhi dorati liquidi. “Dobbiamo dirti una cosa.” Iniziò lui. “Ti sembrerà non molto piacevole. Non è piacevole per nessuno di noi.”
Cercai di sorridere per alleviare la tensione che si era creata ma il sorriso non fece in tempo ad arrivare alle mie labbra che morì subito.
Strinsi di più la sua mano. “Che cosa?”
Mio nonno mi guardò negli occhi. “Devi lasciarci, Renesmee.”
“No.” 
  
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