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Autore: Eridani    24/05/2015    1 recensioni
Kirk non trova più soddisfazione nel suo lavoro e tutte le sue avventure non riescono più ad eccitarlo. McCoy prova a farlo ragionare e a dargli un consiglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avviso 1: Non so se i discorsi abbiano un senso.
Avviso 2: Kirk in tutta la sua debolezza.

Dedicata, come (non) promesso, a Made of Snow and Dreams.
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«È strano. Ho scelto di intraprendere questa carriera perché ero sicuro che non mi avrebbe mai annoiato, che mi avrebbe portato sempre nuovi stimoli, condotto a nuove scoperte, incontri e, perché no, pericoli. E invece sono lentamente caduto in uno schema così ripetitivo da farmi quasi paura: ricevo l'ordine dalla Flotta, compio la missione affidataci e poi bevo un bicchiere di brandy; ogni tanto qualche donna interessante distorce un po' il solito programma, ma nulla che doni quel tocco di eccitazione e brivido che avevo sperato di trovare qui, nello spazio, in mezzo all'ignoto.»
Prese tra due dita il bicchiere e lo mosse in piccoli cerchi, mentre osservava le onde del brandy infrangersi sulla parete liscia del vetro.
Un'altra missione era terminata; un altro pianeta era stato salvato da uno dei tanti esseri pieni di sé convinto di poter governare e sottomettere come burattini i poveri abitanti indigeni; un'altra onorificenza era stata aggiunta al suo già ricco palmares.
Un altro giorno era trascorso a bordo dell'Enterprise e il Capitano, come molte altre volte nell'ultimo periodo, si trovava tra quelle quattro mura metalliche che definivano l'ufficio dell'Ufficiale Medico Capo.
«Jim, non riesco a capire cosa vuoi di più. Hai raggiunto l'apice della carriera, sei il Capitano della nave che avevi adocchiato fin da quando sei riuscito a fare i primi passi e a dire le tue prime parole, l'equipaggio ti stima e si fida di te. Hai raggiunto il tuo obbiettivo.» disse McCoy, prima di portare il bicchiere alle labbra e buttare giù tutto d'un sorso il goccio di brandy che vi era rimasto.
«Forse è proprio questo il problema: ora che ho fatto quello che dovevo fare... cos'altro mi rimane, Bones? Mi sembra tutto così statico, privo di verve.»
«Capisco che ti piaccia l'azione, ma non puoi sperare di ricevere ogni settimana un attacco da parte dei Klingon e avere così l'opportunità di rischiare la vita. Va bene, ti annoi un po', ma è sempre meglio un po' di sana e buona routine invece di un'infermeria piena di giovani ufficiali al confine tra la vita e la morte, Scotty e il suo team alle prese giorno e notte con i circuiti bruciati o distrutti da chissà quale arma aliena e il resto dell'equipaggio che fa i salti mortali per coprire i turni degli assenti.»
«Oh, per quanto – devo ammetterlo – io mi diverta e prendere a calci nel sedere quei dannati Klingon, non so... nemmeno questo mi basta più. Forse è a causa delle tante perdite che ciò comporta, o più semplicemente per il fatto che anche l'ordine di puntare e sparare sia diventato per me un'azione così meccanica da risultare quasi impersonale. Ormai non so nemmeno più se le decisioni che prendo ogni giorno sono il risultato di un mio ragionamento o se sono il risultato dell'abitudine.»
«Senti, è ormai tre anni che va avanti questa missione; l'equipaggio si conosce e sa mettersi in moto ancora prima che una situazione si verifichi. È normale. Non ci vedo nulla di male. Anzi, direi che è un qualcosa da lodare, questo cameratismo che si è creato, questa lealtà verso di te e questa collaborazione.»
Il Capitano cadde nel silenzio. Prese in mano la bottiglia dal collo ricurvo, si versò altre due dita di brandy e poi la rimise sul tavolo, chiudendola col tappo arancione. Poi afferrò nuovamente il bicchiere e riprese a muoverlo, osservando il riflesso del suo volto sulla superficie, i suoi lineamenti distorti dalle increspature e i suoi occhi resi marroni dal colore dell'alcol. Era un sollievo poter guardare in quello specchio in mutazione continua, in cui l'incrociarsi delle onde non generava mai la stessa immagine, in cui ad ogni minimo movimento risultava un diverso viso, sempre lo stesso, sempre il Capitano, sempre James Kirk, ma continuamente diverso, in movimento, mai fermo, mai prevedibile. Qui non c'erano schemi. Eppure era ipnotico nel suo caos, così sconfusionato da perdervisi dentro.
«Hai pensato al fatto che il tuo problema possa non essere la missione in sé ma qualcos'altro?» chiese il Dottore, dopo aver lasciato all'amico qualche minuto per perdersi nella sua contemplazione.
«Del tipo?» domandò Kirk, senza distogliere lo sguardo dal suo bicchiere.
«Forse ciò che ti opprime non è tutto ciò che ti circonda, la Flotta, la nave, l'equipaggio, gli incarichi, il comando. Forse è qualcosa che ha a che fare con te stesso. Se non fosse il mondo ad essersi fermato e ad essere caduto nell'apatia ma tu ad esserti intrappolato nei tuoi pensieri?»
«Pensieri...» ripeté a bassa voce il comandante, come distratto.
«Sì, pensieri che ti hanno afflitto così a fondo da condizionare la tua visione del mondo.»
«Depressione?» sintetizzò il biondo.
«No, non la definirei in questi termini.» precisò il Dottore «Oserei dire che la tua mente è così concentrata a risolvere un problema che non riesce a metabolizzare come si deve quello che succede al resto del corpo. Non riesci a godere delle tue esperienze perché tu stesso sei altrove mentre sbarchi su un nuovo pianeta, incontri un nuovo popolo o ti imbatti in una nuova cometa. Ti sembra che tutto sia meccanico perché in un certo senso sei tu stesso a renderlo meccanico, in modo tale da poter impiegare meno energia possibile nello svolgimento di quelle azioni che il tuo cervello reputa meno importanti, e permettendoti così di concentrarti sul problema che sta invece occupando tutto il resto della tua mente.»
McCoy si interruppe e lasciò che le sue parole venissero assorbite lentamente dal suo amico. Quando Kirk alzò lievemente gli occhi verso di lui, il Dottore capì che ciò che aveva detto era stato compreso e assorbito.
«C'è qualcosa che ti turba, Jim?»
«Nulla di nuovo.» rispose brevemente.
«Non è detto che debba essere qualcosa di recente. Anzi, più questo dubbio è vecchio, più esso ha potuto mettere radice e crescere, insinuarsi.»
Quando McCoy vide che il suo superiore non si decideva ad aprire bocca, chiese di nuovo: «C'è qualcosa che ti turba, Jim?»
La sua domanda, ripetuta, non portò immediatamente ad una risposta. Kirk fermò il movimento della sua mano, appoggiò il bicchiere sulla scrivania e incrociò le mani sul grembo, inclinando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi.
«Se questo fantomatico problema è quello che credo, allora la mia mente è più ostinata di quanto immaginassi. O semplicemente più stupida.»
Kirk fece un respiro profondo, trattenne l'aria nei suoi polmoni il tempo necessario a fargli sentire il battito del suo cuore pulsare nel suo petto, salire lungo il collo, le orecchie, il lobo occipitale del suo cranio... poi aprì la bocca e lasciò andare la presa. Attraverso le palpebre la luce artificiale proveniente dal soffitto si mischiava al colore rosso derivante dallo sforzo, creando delle forme aranciate e indefinite agli occhi chiusi del biondo.
«Vorrei ci fosse una cura. Mai quanto in questo momento vorrei che tu mi potessi iniettare un hypospray sul collo ed eliminare così questo dannato pensiero dalla mia testa.» sospirò.
«Se qualcosa del genere esistesse, non servirebbero più gli psicologi o gli psichiatri e io avrei speso un sacco di tempo sui libri per nulla.»
«Però sarebbe tutto molto più semplice.»
«Certo. Dimenticare lo è sempre.»
Kirk drizzò la testa e guardò dritto negli occhi del Dottore.
«Io non voglio dimenticare.» affermò.
«E cos'è che vuoi?»
Dopo qualche secondo di silenzio, Kirk rispose:
«Una pausa.»
«Da cosa?» lo incalzò McCoy.
«Dall'affetto.»
Il Capitano alzò leggermente le mani e volse il palmo verso l'alto; le sue dita tremavano, compivano piccoli scatti, come se indecise se chiudersi a pugno o stendersi, rimanendo così in un limbo tremolante, leggermente ricurve e completamente rigide.
«Dal desiderio.»
Quasi con rabbia immerse il suo viso nei palmi bianchi di fatica. Le unghie si insinuarono nei capelli, i polpastrelli andarono a massaggiare e allo stesso tempo a creare un doloroso attrito sul suo scalpo e le sue tempie.
«Da...»
«Jim...»
«Dal bisogno.» sussurrò; le sue parole rimasero quasi intrappolate tra le sbarre di carne e ossa, prima di arrivare debolmente alle orecchie del Dottore.
McCoy, che aveva assunto una postura diritta e controllata, quasi imponente, si lasciò andare sullo schienale della sedia, lasciando solo un braccio molle a collegarlo alla scrivania, reggendo nella mano il bicchiere vuoto. Guardò l'amico crogiolarsi nel suo dubbio e nella sua disperazione; nella triste convinzione di un sentimento non ricambiato; nella punizione di una solitudine autoinflitta e tanto inutile quanto ingiusta.
«Dopo quella assurda conversazione sulle api e i fiori e i salmoni di cui mi hai raccontato, pensavo che tu e Spock aveste imparato che a volte tenersi tutto dentro non è la scelta migliore. Ma la testardaggine è un tratto che vi accomuna; ed è alquanto difficile da livellare, a quanto sembra.» disse. Poi si versò del brandy e ne bevve un piccolo sorso, il tutto mentre il Capitano, con movimenti così lenti da sembrare appartenenti ad un sogno e con uno sguardo colmo di shock, alzò la testa quel tanto che bastava a far sì che le iridi verdi e quelle azzurre potessero incontrarsi.
«Se non l'avessi capito, non sarei né un buon dottore, né un buon amico, né tantomeno un buon compagno di bevute.» affermò McCoy con un lieve sorriso «Volevi un hypospry? Non ne ho. Ma ho una soluzione ugualmente efficace: parla con lui.»
Kirk scoppiò in una piccola risata, al limite tra la disperazione e l'isteria.
«Sarebbe più semplice se mi trovassi di fronte ad un romulano e dovessimo concordarci su un trattato di pace tra il loro Impero e la Federazione. Evento che ritengo alquanto improbabile, se non addirittura impossibile.» disse, per poi ingollare metà del contenuto del suo bicchiere.
«Ho detto che sarebbe stato efficace, non che sarebbe stato facile. Anche se... chissà...» McCoy abbassò la voce, quasi a rivelare un segreto «potrebbe andare in modo alquanto diverso da ciò che ti aspetti...»
Bevve un altro sorso. Ormai gli rimaneva solo un goccio.
«E se io non volessi farlo?» chiese Kirk, posando di nuovo lo sguardo sulla superficie del liquido. Aveva un effetto calmante.
«Non credevo che James Kirk fosse un codardo.» lo canzonò.
«Ci sono situazioni in cui è meglio essere prudenti. Tutto qui.» si difese.
«E ci sono situazioni in cui non ci si può permettere la prudenza: bisogna irrompere a passo di carica dove anche gli angeli esitano ad entrare.»
«E questa è una di quelle?»
«Resta a te deciderlo.»
Il Dottore bevve anche l'ultimo sorso. Poi afferrò la bottiglia e si alzò, dirigendosi all'armadietto che conteneva la sua scorta segreta e posandola sulla più alta delle tre mensole.



Kirk diede la colpa all'alcol. Era più semplice in quel momento addossare le sue responsabilità su qualcun'altro – o, in questo caso, qualcos'altro. In parte diede la colpa anche alla noia, alla nausea che lo accompagnava da settimane ovunque egli andasse, a quella stanchezza, quell'assenza di vita che aveva tentato di descrivere al suo amico e dottore neanche un'ora prima.
Era spossato, stanco di quelle sensazioni a metà che lo colpivano ma che non erano in grado di rivitalizzarlo.
Era un rischio, come lo erano state tante altre sue mosse durante gli anni. Eppure questo sembrava un rischio maggiore di tutti gli altri. Le probabilità di successo erano contro di lui, le possibili conseguenze un arco che conteneva una vita priva di stimoli, la perdita di un'amicizia e, in un lontano angolo, un'agognata e lontana soddisfazione, una felicità sperata.
Quando suonò non era affatto pronto; non sapeva né cosa fare, né cosa dire, né come comportarsi, né aveva pensato ad un'eventuale via di fuga in caso il tutto fosse andato per il verso sbagliato.
Ma ormai la porta si stava aprendo, e Kirk non poté fare altro che alzare un poco le spalle, quel tanto da eliminare almeno in parte l'angoscia dalla sua figura. Poi fece un passo in avanti e lasciò che la porta si richiudesse dietro di lui.
Per la seconda volta in quel giorno si trovava tra quattro mura metalliche. Era quasi soffocante. Il suo respiro accelerò inconsciamente di una piccola frazione per cercare di assorbire più ossigeno.
«Capitano.» lo accolse una voce calda e profonda.
«Spock.»
Il comandante rimase lì fermo, osservando la figura che gli stava di fronte, libera della divisa e avvolta invece in un elegante tunica nera. I suoi pensieri si oscurarono a quella visione e quelle poche parole che era riuscito a portare alla mente ora sembravano perdersi su un foglio ricoperto d'inchiostro. Per la prima volta nella sua vita tutti i suoi sensi gli dicevano di scappare, di abbandonare il campo di battaglia.
«Si sente bene?»
Kirk portò una mano alla tempia ricoperta di sudore. Era questo il vero effetto della paura? Non riusciva a muovere un muscolo, si sentiva come intrappolato in un cubo di marmo, impossibilitato a fare un passo ulteriore o a correre indietro. La sua bocca si spalancò di qualche millimetro per far passare l'aria che sempre più era necessaria al suo cervello che cercava di fare ordine tra tutti gli stimoli che lo stavano percuotendo.
«Jim.» lo chiamò l'Ufficiale.
Kirk sentì una mano forte e solida afferrarlo e, come se risucchiando la forza da quella stretta, si risvegliò dal suo stato di turbamento.
Guardò in alto negli occhi scuri che si trovavano ora a nemmeno mezzo metro dai suoi e riuscì a sciogliersi in un lieve sorriso.
«E' successo qualcosa?» chiese il vulcaniano, mantenendo la mano sul braccio del suo Capitano, come se timoroso che, una volta lasciato andare, il suo superiore potesse cadere.
«Dev'esserci un motivo se sono qui, giusto? Non sarebbe logico, altrimenti.» cercò di scherzare.
«Sei sempre il benvenuto.» rispose invece Spock, con viso serio, ma con un movimento agli angoli della bocca che accennava quasi all'ombra di un sorriso.
«E se succedesse qualcosa? Qualcosa capace di destabilizzare la nostra amicizia... sarei ancora il benvenuto?» chiese timoroso il Capitano.
«Non credo esista nulla del genere. Ma se anche ipotizzassimo per un attimo la sua esistenza, ciò che ho detto rimane invariato.»
«Ne sei sicuro?»
«Ho mai affermato nulla di cui non fossi sicuro, Jim?»
Ancora una volta Kirk poté scorgere un piccolo movimento su quelle labbra sottili. Quando si rese conto di aver mantenuto troppo a lungo il suo sguardo su di esse, scosse la testa e si liberò dalla stretta che ancora lo imprigionava e sorreggeva.
«E io ti ho mai tradito?»
Spock rimase interdetto per qualche istante da quella domanda inaspettata.
«No.» rispose poi con convinzione.
«Eppure potrei farlo proprio ora. Cosa impedisce a te di dire un'affermazione e poi fare il contrario?»
«La mia natura di vulcaniano.»
Era una risposta così semplice e diretta che Kirk non potè fare altro che credergli.
«Quindi sarai in grado di perdonarmi.»
«Non vedo il motivo di chiedere perdono, quando ancora non sei sicuro se le tue azioni porteranno o meno ad un mio eventuale... allontanamento.»
Ancora una volta Kirk diede la colpa all'alcol. O, più propriamente, gli attribuì il coraggio; perché altrimenti Kirk non avrebbe saputo dire da dove gli fosse venuta la forza di compiere quel folle e semplice gesto.
Portò una mano ad appoggiarsi sulla guancia dell'Ufficiale.
Era così calda al suo tocco, così liscia e morbida. Tutte queste sensazioni gli diedero tanta euforia che aprì la bocca per parlare... ma quelle parole non uscirono mai.
Spock portò la sua mano a ricoprire quella del Capitano e l'altra a sfiorare i capelli corti sulla sua nuca, prima di afferrare con dolcezza e forza il collo del suo superiore e attirarlo a sé.



Ancora un ordine dal Comando. Si andava a caccia di comete.
Kirk non aveva mai sopportato quei periodi di calma estenuante utilizzati per mappare nuove regioni di spazio, o osservare per giorni gli ultimi cicli finali di una stella, o rincorrere quelle scie bianche di roccia e acqua per raccoglierne campioni e analizzarne la composizione.
Eppure ora trovava piacere anche in questo.
Quando la cometa venne proiettata sul visore, il Capitano rimase estasiato dalla sua bellezza eterea. Le sue polveri si disperdevano nel vuoto dello spazio e si allontanavano tra di loro lentamente, quasi volenterose di disperdersi ed esplorare anche loro nuovi angoli ignoti; il grande masso ricoperto di ghiaccio viaggiava indisturbato lungo la sua traiettoria, inconsapevole dei numerosi occhi che lo stavano osservando.
Quando Kirk volse il viso verso destra, subito il suo sguardo incontrò quello dell'Ufficiale Scientifico che come lui, anche se all'apparenza non si sarebbe detto, era rimasto meravigliato da quella celestiale visione.
Kirk sorrise, uno di quei sorrisi che raggiungono gli occhi, e sulle labbra del vulcaniano poté scorgere ancora una volta quel lieve accenno di sorriso che solo a lui veniva timidamente mostrato.
Quindi tornò nuovamente a godersi lo spettacolo.

   
 
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