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Autore: Papillon_    24/05/2015    3 recensioni
Un incidente porta via a Blaine la persona con la quale aveva costruito una vita intera; suo marito, un uomo che amava dai tempi del liceo e con cui era pronto a costruire una famiglia. Devastato dal dolore, non permette a se stesso di credere che possa esserci una seconda possibilità per lui - almeno fin quando non conosce Kurt, un giovane uomo con un sorriso semplice e dolce, che sembra capire con uno sguardo ciò di cui Blaine ha veramente bisogno.
Piano piano, Kurt e Blaine cominciano a costruire la loro vita insieme, mescolandosi, imparando ad amare di nuovo, tutto da capo. E dopo del tempo Blaine crede che siano entrambi pronti per il grande passo.
Ma se c'è una cosa che Blaine non sa è che la vita spesso può essere imprevedibile, e dopo un avvenimento alquanto inaspettato si renderà conto che tutto ciò che stava costruendo insieme a Kurt non è così semplice come aveva immaginato.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Due anni dopo

 

Kurt raccolse con la palettina un po' di gelato al limone e lo cosparse con attenzione sul cono di biscotto che aveva preparato. Quando questo fu pronto, lo porse alla bambina che c'era al di là del bancone, sorridendo appena. “Ecco qui, piccola.”, le disse, e lei lo ringraziò e gli lasciò qualche moneta, dicendogli che i suoi gelati erano i migliori del mondo.

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore e gettò un'occhiata veloce verso l'orologio: ormai era quasi arrivata l'ora di chiusura. Brittany comparve dal laboratorio con un grembiulino viola allacciato attorno alla vita, i capelli sparati verso l'alto in una coda disordinata e il naso leggermente sporco di bianco.

Kurt rise leggermente, gettando verso di lei un piccolo panno e recuperandone un altro dal bancone, e poi cominciarono a pulire insieme.

Era una vita semplice, quella di Kurt Hummel. Un ragazzo di ventitré anni con tanti sogni nel cassetto e un sorriso dolce e semplice, di quelli che solo le persone che hanno sofferto sanno dare. Era cresciuto in Ohio, ma dopo il liceo si era trasferito nei pressi di New York per seguire la NYADA: si era anche laureato con il massimo dei voti, ma durante il suo percorso universitario nessuno gli aveva detto che in realtà Broadway non avrebbe mai cercato qualcuno come lui, un controtenore. Era quasi impossibile. Kurt aveva ricevuto così tante porte in faccia che ormai era stanco anche solo di sentir nominare la parola musical: per quello, e anche per motivi famigliari, un anno prima aveva acquistato quel monolocale abbandonato nei pressi del centro di Lima, dove era tornato. Aveva deciso di aprire una gelateria insieme a Brittany, una sua vecchia amica del liceo. Insieme formavano una bella squadra - e il gelato, a differenza della vita, non ti tradiva mai e ti faceva sentire meglio.

Kurt notò che fuori il tempo cominciava a farsi più brutto: per evitare che i tavolini che aveva sistemato all'aperto si bagnassero si precipitò fuori e cominciò a trascinarli dentro uno ad uno, e proprio mentre stava per andare a recuperare l'ultima sedia, come tutti i giorni all'orario di chiusura, davanti alla sua gelateria passò il ragazzo con i capelli ricci e lo sguardo triste.

Probabilmente non era un modo molto adeguato di chiamare qualcuno, ma Kurt non aveva la più pallida idea di quale fosse il nome di quel giovane uomo; sapeva solo che aveva i capelli ricci e, per le poche volte che si era soffermato ad osservarlo - le guance che gli diventavano inevitabilmente rosse - gli era sembrato che avesse uno sguardo triste. Nonostante passasse davanti alla gelateria praticamente tutti i giorni, Kurt non lo aveva mai visto entrare, o per lo meno fermarsi per dare un'occhiata alle vetrine, cosa che lo deludeva particolarmente.

Era imbarazzante, e Kurt lo sapeva. Insomma, avere una cotta per un ragazzo a cui non aveva mai parlato era molto più che imbarazzante – a ventitrè anni una persona dovrebbe essere capace di andare da qualcuno ed ottenere ciò che vuole, eppure Kurt non aveva mai trovato il coraggio di rincorrerlo e chiedergli semplicemente come si chiamava, che cosa faceva di bello nella vita, o perché avesse quello sguardo triste.

Forse era quella la condanna degli artisti – vivere attraverso qualcosa, ma non vivere davvero per paura di sbagliare o scottarsi. E Kurt per ora stava bene così: ad osservare quell'uomo da lontano, dal suo piccolo angolino di lavoro, dove tutto era più semplice e facile da controllare.

 

***

 

Un mercoledì mattina, quel ragazzo comparve inspiegabilmente prima del solito e si sedette sulla panchina esattamente di fronte alla gelateria.

Kurt ce la mise davvero tutta a non distrarsi continuamente; cercava di concentrarsi sui bambini e dava il loro il gelato, scherzava e rideva, ma i suoi occhi scivolavano continuamente al di là della strada, a cercare quel ragazzo con le gambe incrociate sopra la panchina che ogni tanto leggeva, ogni tanto si perdeva ad osservare il cielo.

“Kurt.”, mormorò Brittany a un certo punto. “...Kurt, tutto il gelato ti sta cadendo sulla mano.”

Kurt si scostò all'improvviso. “Oh, merda.”, imprecò, notando che buona parte del gelato che avrebbe dovuto dare alla bambina di fronte a lui si era sciolto finendo sulla sua mano, mentre lui fissava – probabilmente con la bocca aperta e con tanto di occhi a cuore – quel ragazzo. Si affrettò a sistemare il disastro e per farsi perdonare regalò alla bimba il gelato che aveva ordinato.

Quando lei uscì, Kurt sentì Brittany ridacchiare.

“Sei così maldestro.”, borbottò. “Santana dice che è l'amore a renderti così.”

“Santana deve smetterla di dire certe cose.”, sbuffò Kurt, mentre puliva alcune macchie che gli erano sfuggite. “N-non sono innamorato.”

“Continui a fissare quel ragazzo, Kurt.”, disse Brittany in tono ovvio. “Tipo...tutti i giorni.”

“Solo perché quel ragazzo passa di qui tutti i giorni.”, si difese Kurt. “E- uhm, ho notato che è triste, e mi chiedo cosa possa essergli successo.”

“Santana dice che ci rendiamo conto di cosa provano gli altri solo quando ci interessano.”, pigolò Brittany. “Quel ragazzo ti piace, è ufficiale!”

“Brittany, smettila!”, la rimproverò Kurt. “E' dall'altra parte della strada, potrebbe sentirci.”

Brittany si coprì la bocca con entrambe le mani, borbottando un piccolo e dolce “Oh, scusa.”. Kurt alzò gli occhi al cielo, ma inevitabilmente il suo sguardo rincorse sempre quel ragazzo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere almeno il suo nome.

“Perchè non provi almeno a parlargli?”, mormorò Brittany, dandogli un colpetto con la spalla. “Se non provi non lo saprai mai.”

Kurt sospirò leggermente. “Non lo so. Per paura, credo.”

“Paura di cosa?”

“Di un rifiuto.”, soffiò Kurt. “Non lo so, mi hai visto Brittany? Sono un ragazzo come tanti, io...non appartengo alla categoria di persone che ti colpisce. Non sono capace, mi...mi renderei ridicolo.”

Brittany sembrava triste. “E vuoi stare qui a guardarlo da lontano tutta la vita?”

Kurt si leccò le labbra. “No.”, sussurrò appena, cercandolo di nuovo con gli occhi. Gli venne da sorridere, il cuore che batteva appena più veloce.

Brittany a quel punto si illuminò, avvicinandosi al bancone dei gelati. “Mi è venuta un'idea, Kurt!”, esclamò, tirando fuori la paletta. “Perchè non gli prepari un gelato?”

Okay, molto spesso l'ingenuità di Brittany era a dir poco disarmante. Kurt alzò un sopracciglio.

“Ma sì! Il gelato piace a tutti, no? Non la trovo così una brutta idea.”

“Fammi capire.”, borbottò Kurt. “M-mi presento da lui e gli offro un gelato? Così, senza conoscerlo?”

“Che c'è di strano?”, chiese Brittany. “Se qualcuno lo facesse con me io- io credo che lo adorerei! Santana mi dice sempre che una persona va sempre corteggiata e fatta sentire speciale. Io credo che il gelato faccia entrambe le cose.”

Kurt ridacchiò, a quel punto, sentendosi un pochino più leggero. C'erano almeno un milione di motivi per non ascoltare Brittany: primo, la maggior parte delle cose le diceva senza pensare; secondo, non era così ovvio che qualcuno accettasse un gelato da uno sconosciuto. Ma per qualche strano motivo, una dolce trepidazione cominciò a nascere alla bocca dello stomaco di Kurt. Si avvicinò al bancone, portando con sé una coppetta da due gusti.

“Secondo te che cosa gli piace?”, chiese piano, osservando tutti i gusti che avevano.

“Uhm...”, sussurrò Brittany, grattandosi la nuca. “Mi sembra una persona seria. Forse, visto che è una persona seria, dovresti proporgli dei gusti seri.”

Kurt era perplesso. “Esistono gusti seri?”

“Credo di sì.”, mormorò Brittany. “Il latte è un gusto serio, e anche la nocciola. Invece il limone no, e nemmeno la fragola, perché di solito è come se- scoppiettassero sulla lingua.”

Kurt ridacchiò. “Io stavo pensando che, visto che magari è una persona seria, avrebbe bisogno di gelati che invece non lo sono.”, mormorò. “Una cosa come il cioccolato. E il biscotto.”

“Vedi?”, chiese Brittany dolcemente. “Non è così difficile.”

Kurt si mise a preparare il gelato per quel ragazzo, le guance rosse e il cuore che batteva forte. “Secondo te è una follia?”, domandò. “Voglio dire, forse- forse non è una grande idea.”

Brittany sembrò pensarci su, con quella semplicità mischiata a saggezza che spesso hanno solo i bambini. “Se tre anni fa Santana non fosse venuta a cercarmi, ora non staremmo parlando di matrimonio.”, disse semplicemente. “Forse nemmeno a lei sembrava una buona idea, ma alla fine lo ha fatto, e per fortuna che lo ha fatto. Se non ci vai, non saprai mai che gusti di gelato gli piacciono.”

Kurt a quel punto rise. E poi annuì, convincendosi che la maggior parte delle volte Brittany aveva ragione.

 

Il sole gli scaldava dolcemente le spalle, mentre camminava a testa alta verso quella panchina. Grazie a qualche buona stella quel ragazzo non alzò mai il volto, e così ben presto Kurt si trovò di fronte a lui, la gola secca e il gelato tra le mani. Strinse forte le palpebre, inspirò – e solo dopo trovò il coraggio di parlare.

“Ciao.”, esordì semplicemente con un piccolo sorriso. Gli occhi dell'altro furono quasi immediatamente nei suoi – erano ambra. O forse oro. O forse verdi. Kurt non riusciva a dirlo.

“Ciao.”, rispose il ragazzo, accennando un sorriso che si intrappolò nell'angolo destro della sua bocca. Kurt deglutì

“Uhm...i-io- so che sembra strano, ma ho pensato che potesse farti piacere, uhm...ricevere questo.”, disse piano. Gli porse la coppetta coi gelati. “Li stavo finendo, ed era un peccato buttarli via.”, una bugia, ma a quel punto Kurt sperò di essere abbastanza convincente. Quel ragazzo osservò prima la coppetta e poi di nuovo Kurt, un vago luccichio che inondava i suoi occhi perennemente tristi.

“Oh.”, soffiò appena. “N-non so cosa dire.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore. “Devi solo dire di sì, se il gelato ti piace.”, sussurrò appena. “Uhm...io e la mia collega ci siamo messi a discutere su quali gusti sarebbero potuti piacerti, e lei pensava a dei gusti seri, visto che sei una persona seria-”

“Esistono gusti di gelato seri?”

Kurt ridacchiò, facendo ridere anche lui. “A quanto pare sì.”, mormorò. “Ma io ho pensato di portarti dei gusti un po'...più allegri, se si può dire così. Cioccolato e biscotto. S-spero davvero possano piacerti, io- non è mia intenzione disturbarti, e se per qualche ragione dovessi essere- oh mio dio, non ci avevo pensato! Potresti essere allergico e io mi sono presentato qui con-”

Ma a quel punto Kurt si fermò, perché quel ragazzo stava – stava ridendo. Stava ridendo di gusto, il petto che si muoveva insieme a tutto il suo corpo e gli occhi chiusi, i riccioli neri che ballavano dolcemente sulla sua fronte.

E wow, aveva così una bella risata.

Anche Kurt si ritrovò a sorridere. “Ho, uhm...detto qualcosa che non va?”

“No- no. Davvero, no.”, si affrettò a rispondere lui. “E' solo- era da tanto che non incontravo qualcuno che- che fosse così...così vivo, credo. Hai cominciato a parlare tutto veloce e solo- mi hai fatto ridere, tutto qui.”

Kurt sentì le proprie guance inondarsi di rosso. “Mi dispiace.”

“Non dispiacerti.”, soffiò lui. “Ti prego- non dispiacerti mai di strappare un sorriso alle persone, è la cosa più bella che potresti fare.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.

“Comunque non so come tu facessi a saperlo, ma il cioccolato è il mio gusto di gelato preferito.”

Kurt sentì il suo cuore riempirsi di orgoglio. “Intuito, credo.”, sussurrò, porgendogli la coppetta. Il ragazzo l'accettò volentieri, affondandoci dentro il cucchiaio per mescolarlo leggermente.

“Sono Blaine.”, disse, prima di portarsi una enorme cucchiaiata di cioccolato alle labbra. Kurt cercò di non fissarle troppo e sbattè più volte le palpebre.

“Io sono Kurt.”

Blaine gli sorrise dolcemente. “Vuoi sederti qui?”, chiese in un sussurro, indicandogli la parte di panchina vuota. Kurt non se lo fece ripetere due volte e la occupò, portandosi le ginocchia al petto.

“Sai- ti vedo tutti i giorni, Blaine.”, esordì Kurt, sperando che dopo quella frase Blaine non pensasse che fosse uno stalker. Lo vide sorridere appena.

“Uhm, sì, passo da qui tutti i giorni infatti. Faccio l'insegnate, rimango a scuola fino a tardi per preparare i corsi e aiutare alcuni ragazzi con le materie di sostegno.”

Kurt annuì, pensando che fosse davvero molto pesante rimanere al lavoro fino a quell'ora e svegliarsi così presto, circondato sempre dai libri.

“E' un bel lavoro.”

“Mi dà soddisfazioni, sì.”, confermò Blaine, leccando parte del cucchiaio. Kurt deglutì, respirando piano e poi abbassando la testa per non far vedere che era arrossito. “Anch'io ti vedo tutti i giorni.”

Il cuore di Kurt fece qualcosa di strano. “Mi- mi vedi?”

“Sì, uhm- quando passo davanti alla gelateria ti vedo sempre.”, sussurrò Blaine. Kurt voleva quasi gettarsi per terra e gridare di gioia perché non poteva credere che Blaine prima di quel giorno lo avesse notato. Pensava di essere invisibile ai suoi occhi. “Mi piace vedere i sorrisi dei bambini quando uscivano dalla tua gelateria. Sembravano davvero contenti.”

“Non sei mai entrato, però.”

Blaine gli regalò un sorriso triste. “Già. Non lo so il perché. Un po' mi dispiace, ci saremmo potuti conoscere prima.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore. “Beh, a quanto pare non siamo riusciti a scappare per sempre. Alla fine ci siamo incontrati.”

“Sì.”, sussurrò Blaine. “Se qualcosa deve succedere succede, certo.”

Kurt forse si rese conto solo in quel momento quanto esattamente quel ragazzo fosse – spento; c'era una velatura di malinconia che aleggiava attorno al suo corpo e che era penetrata nei suoi occhi, e lo si vedeva in ogni gesto, in ogni movimento, persino nel modo in cui sorrideva, come se si dovesse concentrare per farlo completamente. Kurt osservò Blaine e vide le crepe; le vide fuori e dentro il suo animo, e capì che, nonostante fosse o comunque sembrasse così giovane, alle spalle doveva avere una storia molto buia, e per qualche motivo sentiva il bisogno di conoscerla, e magari provare a far scomparire quei buchi.

“Allora.”, sussurrò a un certo punto Blaine. “Regali gelati a chiunque passa, eh?”

Kurt arrossì. “N-no, io, uhm-”, cercò di spiegare, sorridendo appena. “C'è un motivo per cui l'ho dato a te.”

Blaine ruotò il capo verso di lui. “E posso saperlo questo motivo?”

Blaine lo guardava attentamente, gli occhi enormi e le ciglia lunghissime che sbattevano come ali di farfalla. “Hai gli occhi tristi.”, mormorò Kurt, dandosi dello stupido subito dopo. Blaine assimilò la notizia con calma; non si accigliò, non disse nulla immediatamente, rimase semplicemente lì a contemplare Kurt mentre il gelato iniziava inesorabilmente a sciogliersi.

“Ho gli occhi tristi.”, ripetè Blaine, sorridendo in modo malinconico. “Succede, sai, quando la vita non è propriamente giusta con te.”

“Mi dispiace tanto, Blaine-”, rantolò Kurt, sentendosi in imbarazzo. “Non sentirti obbligato a dirmi niente. Non volevo essere inappropriato, devi scusarmi-”

“Non scusarti.”, sussurrò Blaine. “Io- mi va bene che gli altri vedano il mio dolore. Voglio dire, c'è, è lì, non posso farci niente. Non mi arrabbio di certo perché tu lo hai visto. Anzi, vuol dire che sei una persona che percepisce tante cose.”

Kurt strinse le sue ginocchia più forte. “Sei piuttosto unico.”

Blaine alzò un sopracciglio verso di lui, sembrando sorpreso.

“Voglio dire- la maggior parte della gente avrebbe cercato di nasconderlo, il proprio dolore. Tu invece- non ci hai nemmeno provato, perché probabilmente è talmente tuo che non hai paura che gli altri possano rovinarlo o portartelo via. È lì, è una parte di te, e tu ci convivi. E io penso che tu debba essere molto forte per farlo.”

Blaine sorrise, a quel punto – un sorriso lento e dolce, che smosse qualcosa nel petto di Kurt.

Non fu l'ultimo della serata. Ce ne furono molti altri, poi; e Kurt e Blaine nemmeno si accorsero che il cielo si stava facendo sempre più buio, almeno finchè Brittany non uscì per chiamare Kurt e dirgli che ormai era ora di chiudere, e Kurt raccolse dalle mani di Blaine la coppetta di carta, e gli sorrise un'ultima volta con la promessa che si sarebbero rivisti il giorno dopo.

 

***

 

In realtà non si videro il giorno dopo soltanto.

Ma quello dopo. E quello dopo ancora. E ogni nuovo giorno, come tante piccole gemme da mettere insieme e collezionare in un susseguirsi di momenti e piccoli sorrisi.

Blaine andava a trovare Kurt praticamente tutti i giorni, intrufolandosi nella sua piccola gelateria e rimanendo lì a parlare fino a orario di chiusura; c'erano dei giorni in cui parlavano così tanto che Blaine si dimenticava di prendere il gelato, altri in cui Kurt insisteva perché lo prendesse in modo che assaggiasse sempre gusti nuovi.

La malinconia dentro gli occhi di Blaine a volte era talmente viva e pulsante che Kurt si spaventava e sentiva il bisogno quasi viscerale di scavalcare il bancone ed abbracciarlo; a volte invece era lieve, così lieve che Blaine sembrava un'altra persona – o forse era proprio in quei momenti in cui era solo sé stesso.

Kurt si sentiva osservato mentre serviva i bambini; Blaine teneva gli occhi puntati su di lui come per studiarlo, sorridendogli dalle poltrone e di tanto in tanto ridacchiando alle sue battute. Un giorno in negozio arrivò un bambino che stava piangendo e Kurt per farlo stare meglio gli regalò un gelato, e poi lasciò Brittany per accompagnarlo a cercare la sua mamma che a quanto pare si era allontanata.

Quando Kurt era tornato in negozio con un lieve sorriso sulle labbra, dicendo che finalmente ora quel bambino era al sicuro, Blaine aveva cercato i suoi occhi e lo aveva bloccato sul posto, Kurt che sentiva di poter morire da un momento all'altro.

“Sei sorprendente.”, gli aveva detto in un sussurro, e in quel momento, proprio in quel momento, negli occhi di Blaine c'era solo pura, semplice verità e nient'altro.

 

***

 

Durante uno dei suoi giorni liberi, Kurt si dedicò a uno degli hobby che aveva cercato di sviluppare fin da piccolo: il disegno. Non era bravo come lo era nel cantare, ma era qualcosa che lo rilassava e lo faceva stare meglio. Si diresse a un ponte che c'era vicino alla sua gelateria; scavalcò con le gambe il cornicione e si mise a disegnare un piccolo uccellino che c'era a pochi metri da lui. Improvvisamente, forse perché si era spaventato, l'uccellino si spostò dalla vista di Kurt e questo fu costretto a mettersi in piedi per guardarlo meglio – le punte delle sue scarpe sfioravano il limite del cornicione, davanti a sé il vuoto.

“Kurt.”, disse a un certo punto una voce dietro di lui. “Kurt ti prego- qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, la possiamo risolvere.”

Kurt a quel punto ruotò il capo, la fronte aggrottata. Trovò Blaine a qualche metro da sé, le braccia leggermente tese in avanti verso di lui.

“Blaine...?”, chiese titubante. Blaine spalancò gli occhi.

“Ti prego ascoltami- so che a volte tutto può sembrare orribile. Ma non- non puoi gettarti via così. Scendi di lì.”

Se ne avesse avuto la forza, Kurt sarebbe scoppiato a ridere. Si limitò a passarsi una mano tra i capelli, sorridendo appena. “Blaine, ma che dici? Guarda che non voglio buttarmi giù! Sto semplicemente disegnando un gabbiano che c'è proprio qui.”

Blaine non si mosse, però. Rimase a guardarlo con gli occhi sbarrati e una tremenda paura negli occhi. “Kurt, scendi di lì, okay?”

“Che c'è, soffri di vertigini?”, chiese Kurt in un sussurro, addolcendosi. “Va tutto bene, ti giuro che sto bene okay? Guarda.”, disse Kurt, cominciando a camminare senza sforzo sul cornicione. Blaine fece un balzo in avanti.

“Cazzo- Kurt, non fare così. Scendi di lì, mi fai preoccupare.”

Kurt alzò gli occhi al cielo. “Blaine, dai, dammi solo un paio di minuti che finisco questo disegno-”

“Vuoi scendere di lì o devo venire a prenderti io?”, quasi gridò Blaine. E a quel punto Kurt si spaventò: Blaine non aveva mai alzato la voce con lui, mai, non era il tipo. Era dolce e sensibile e gentile, e non urlava mai. Kurt si strinse le braccia attorno al corpo e con un balzo tornò giù dal cornicione, e senza poter dire o fare niente si ritrovò le sue braccia attorno ai fianchi che lo aiutavano a rimanere in equilibrio.

“Stavo solo cercando di disegnare, Blaine-”

“Ma non capisci che non è un fottuto scherzo? Che non devi giocare con la tua vita?”, urlò nuovamente, questa volta ancora più vicino al suo viso. “Saresti potuto scivolare, okay? E se io non fossi arrivato in tempo?”

Le labbra di Kurt tremavano leggermente. Blaine lo teneva stretto per le braccia, le sue dita impresse sui suoi avambracci, probabilmente destinate a lasciargli dei segni. Kurt cercò i suoi occhi, sentendo i propri pizzicare. “P-perchè stai urlando, Blaine?”

Blaine sembrò risvegliarsi solo in quel momento – lasciò andare Kurt con un movimento repentino, staccandosi da lui e passandosi una mano tra i ricci, cercando di respirare per mantenere il controllo.

“I-io-”, soffiò Blaine a quel punto, mordendosi il labbro inferiore. “M-mi dispiace Kurt, mi dispiace- non avrei dovuto gridare.”, sussurrò. Kurt non lo aveva mai visto così devastato. “Solo- n-non farlo più. Me lo prometti?”

Kurt non sapeva cosa dire. Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non uscì proprio niente. Vide Blaine voltarsi e camminare lontano senza aspettare la sua risposta, mentre lui era rimasto lì, su quel ponte con l'album di disegno in mano, a tremare come una piccola foglia, senza capire che cosa era appena successo.

 

***

 

Per qualche strana ragione, quella stessa sera Kurt si mise a cercare l'indirizzo di Blaine sulla rubrica. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a trovarlo visto che comunque non conosceva il suo cognome, ma aveva la speranza nel petto di poter risolvere ogni cosa con lui e aveva tutte le intenzioni di andare fino in fondo.

Verso tardo pomeriggio, dopo qualche tazza di caffè e immerso da liste di nomi ed indirizzi, Kurt stava per arrendersi, quando improvvisamente gli venne in mente che Blaine durante il loro primo incontro aveva detto lui che era un insegnate e lavorava alla scuola vicino alla gelateria. Non ci pensò nemmeno per un secondo: prese le chiavi della sua auto e guidò fino alla scuola primaria che era esattamente a un paio di chilometri dal suo posto di lavoro. Parcheggiò più vicino possibile, notando che dal portone stavano uscendo diversi bambini – probabilmente quelli che venivano seguiti nelle ore di recupero – ma non c'era traccia di Blaine. Nell'attesa, si rese conto che lì vicino c'era un minuscolo negozio di fiori e di nuovo, senza porsi troppe domande, Kurt entrò e chiese alla giovane commessa un mazzo di rose gialle e rosse. Non tutti i gesti avevano bisogno di una spiegazione, e Kurt voleva solo far capire a Blaine che gli dispiaceva molto per quello che era successo, che probabilmente aveva detto o fatto qualcosa che aveva urtato Blaine, e che non aveva alcuna intenzione di perderlo ora che si erano appena trovati.

Blaine uscì quando il sole era quasi completamente tramontato; teneva sotto braccio alcuni libri che avevano l'aria di essere molto pesanti, indossava degli abiti semplici e un paio di occhiali da vista – era trasandato ma dolcemente quotidiano, e il respiro di Kurt gli si fermò un attimo nella gola, prima che cominciasse a camminare verso di lui.

Quando Blaine lo vide i suoi occhi si allargarono leggermente e scivolarono sul mazzo di rose. Un piccolo sorriso sghembo si impadronì del suo volto, e le sue mani scattarono veloci tra i ricci e poi a sistemare gli occhiali sul naso che erano leggermente scivolati giù.

“Sono per te.”, disse piano Kurt, porgendogli il mazzo con delicatezza. Blaine lo prese con un gesto deciso; portò il mazzo di fiori al naso e rimase ad annusarlo a lungo, come se volesse imprimersi il loro profumo nell'anima.

“Ti ho detto tutte quelle cose e ho alzato la voce.”, sussurrò Blaine. “...e tu mi porti un mazzo di rose?”

Kurt si leccò le labbra distrattamente. “Io- uhm...volevo solo scusarmi. Anche se non capisco che cosa sia successo.”

“Non devi scusarti.”, disse immediatamente Blaine, avvicinandosi a lui con qualche passo. “Sono io ad aver sbagliato, dovrei scusarmi io.”

Kurt sorrise appena, avvolgendo il proprio corpo tra le braccia. “E' così strano.”, ammise in uno sbuffo.

“Cosa?”

“Il fatto che ti ho appena conosciuto, ma per qualche strana ragione oggi, quando ti ho visto andare via- ha fatto male.”

Gli occhi di Blaine erano enormi e luminosi. “Non volevo ferirti. Solo...mi sono spaventato a morte, non volevo ti accadesse niente.”

“Okay.”, sussurrò Kurt. “Non riuscivo a capire.”

“Di solito non lascio che le persone mi capiscano.”, soffiò Blaine immediatamente. “Ma...c'è un motivo per cui mi sono comportato così, credo. Anche se questo non rende il gesto meno sbagliato.”

“Non ce l'ho con te.”, disse piano Kurt. “Solo- per qualche strano motivo, mi spaventa l'idea di perderti, anche se non posso perderti, perché non sei mio.”, gli spiegò con calma. “Eppure anche adesso, l'unica cosa che vorrei è che tu mi dicessi che- che tra di noi è tutto a posto. Anche se non c'è nessun noi.”

Blaine lo osservava con un dolce sorriso sul volto. Si avvicinò a lui ancora di più, cercando una mano di Kurt con la propria e intrecciando le loro dita insieme. “C'è un noi.”, lo corresse con voce roca. “E' molto piccolo ancora, e lo so, ma- c'è un motivo se io osservavo te da lontano ogni singolo giorno, e tu lo facevi con me. Ci deve essere un motivo.”

Kurt sentì il proprio cuore scivolare fino alle caviglie e fu costretto a chiudere gli occhi per un singolo istante, cercando di assimilare le parole di Blaine.

“E quindi cosa succede?”, chiese Kurt a quel punto, la voce quasi impercettibile.

“Succede che ti chiedo scusa per come ti ho trattato oggi. E mi- mi dispiace di aver combinato un casino, ma la verità è che- è così tanto che non faccio avvicinare qualcuno a me, Kurt, che spesso mi dimentico di come si fa. Ma sì, per qualche strana ragione, anch'io ho paura di perderti. Di perdere quel piccolo noi.”

Kurt sbattè le palpebre diverse volte, prima di immergere i propri occhi in quelli di Blaine. “La prima volta che ci siamo visti mi hai detto che la vita non è stata tanto giusta con te.”, mormorò. Blaine annuì, così Kurt decise di continuare. “Sai, non è stato propriamente giusta nemmeno con me, quindi forse siamo solo- qualcosa di frastagliato, di rotto. Però in qualche modo- forse insieme possiamo funzionare.”

Blaine gli sorrise piano e lentamente. “Possiamo.”

Kurt ricambiò il sorriso. “Blaine?”

“Mmmh?”

“Ti va di dirmi i modi in cui la vita ti ha spezzato?”

 

Circa un'ora dopo stavano passeggiando per le minuscole e deserte vie di Lima. Blaine gli aveva raccontato della sua infanzia e della sua adolescenza, parlandogli della sua famiglia; suo padre lo aveva lasciato da molto tempo, era morto quando Blaine ancora andava al liceo, quando ormai era divorziato da sua madre da diverso tempo. Aveva un fratello che non si fermava mai e viaggiava per il mondo alla ricerca di qualcosa che, secondo Blaine, non sapeva nemmeno di volere.

Kurt gli disse di essere orfano di madre, ma di avere un padre che si era preso cura di lui e che gli aveva dato tutto l'amore di cui aveva bisogno. Gli disse di essersi laureato alla NYADA, ma dopo un repentino peggioramento della salute di suo padre a causa di un tumore benigno che gli avevano diagnosticato, Kurt aveva preso la decisione di tornare a Lima e di aprire lì la piccola gelateria. Suo padre ora stava bene, ma si sentiva decisamente meglio lì, a Lima, dove prendendo la macchina poteva raggiungerlo in pochi minuti, piuttosto che in un grande città a sentire la sua mancanza. New York gli mancava, e lo disse anche a Blaine. Blaine dal canto suo gli disse che c'era stato solo una volta, e che uno dei suoi più grandi desideri era quello di andare ad abitarci.

“Allora.”, disse a un certo punto Blaine, avvicinandosi a lui in modo che le loro spalle si sfiorassero. “Storie passate?”

Kurt arrossì immediatamente dopo aver sentito quella domanda. Cercò di ridacchiare per smorzare un po' la tensione, ma la verità era che per via di storie Kurt ci sapeva fare proprio come se la cavava un cucciolo di pinguino. Alzò gli occhi verso il volto di Blaine, ma non rimase a guardarlo a lungo, divorato dall'imbarazzo.

“Uhm- beh...ho avuto un ragazzo per qualche mese, al college.”, borbottò, passandosi una mano tra i capelli. “E davvero, vorrei potertene parlare bene perché dicono spesso che le prime storie non si scordano mai, ma per me non è stata un'esperienza piacevole. È durata una cosa come un paio di mesi. Lui era veramente preso da me, ed era...era carino, davvero. Un po' imbarazzante, quando mi faceva le serenate davanti ai suoi amici.”

A quel punto Blaine scoppiò a ridere.

“...l'ho lasciato io. Non perché non mi trovassi bene con lui, solo...mi sembrava di prenderlo in giro. Non pensavo quasi mai a lui, lo vedevo per inerzia. Mi piaceva la sua compagnia, ma mi resi conto presto che lo stavo facendo per non stare da solo.”

“Non era quello giusto.”, disse semplicemente Blaine, cercando i suoi occhi. Kurt sentì il cuore nella gola.

“Non era quello giusto.”, confermò, sorridendo appena. Fecero qualche altro passo, poi, dopo un bel respiro, Kurt trovò il coraggio di fare la stessa domanda a Blaine.

“E tu?”

Blaine a quel punto si incupì. Fu come se improvvisamente una bolla lo avesse avvolto completamente, impadronendosi dei suoi occhi e dei suoi movimenti. Sorrise appena, un accenno di sorriso in realtà.

“Sono stato sposato.”, disse semplicemente. Kurt continuò a camminare solo perché anche Blaine lo stava facendo, ma improvvisamente era come se tutto il mondo stesse andando al contrario. “Per quasi tre anni. Lui è- è morto in un incidente due di anni fa.”

Il cuore di Kurt perse qualche battito. Sentì la testa più leggera, come se improvvisamente non riuscisse più a stare in piedi con le proprie forze, e si sentì in dovere di fermarsi, costringendo anche Blaine a fare lo stesso. Blaine lo guardava da sotto le ciglia scure, un velo di lacrime che gli sporcava gli occhi.

“M-ma...”, soffiò Kurt, separando appena le labbra. “Ma come...Blaine-”

“Non ti preoccupare.”, sussurrò Blaine dolcemente, interrompendolo. “N-non devi dire niente. So quanto sia difficile avere a che fare con il dolore degli altri. Io...non mi sento miserabile, se devo essere sincero- mi rendo conto che per quanto ho potuto ho avuto tre anni con Ryan- s-si chiamava Ryan, sai.”, balbettò. “S-siamo stati felici, te lo garantisco, poi però è rimasto coinvolto i-in un incidente e- beh, non sono cose che puoi prevedere, no?”, chiese Blaine, passandosi una mano tra i capelli, maledicendosi per il fatto che la sua voce si stesse incrinando. Cercò di sorridere in mezzo a quel disastro. “D-devi scusarmi, penso sempre che sia facile parlare di lui ma-”

Kurt lo inglobò in un abbraccio, sollevando entrambe le braccia per poter immergere una mano nei ricci di Blaine e per ancorarsi con l'altra alla sua schiena. Appoggiò la fronte al suo collo, stringendosi forte a lui e chiudendo forte gli occhi, e Blaine – Blaine aveva sentito così tanti Mi dispiace nella sua vita, così inutili e vuoti di cui non si faceva niente, e invece ora un ragazzo che aveva conosciuto da poco lo stava stringendo dandogli tutto, ogni piccola cosa. E valeva molto di più delle frasi fatte e dei sorrisi di circostanza, e proprio per quello Blaine si ritrovò a stringerlo a sua volta, facendosi piccolo piccolo contro di lui e immergendo il capo nell'incavo del suo collo, lì dove spesso la pelle sapeva di casa e di dolore.

“Blaine, mi dispiace.”, soffiò quasi impercettibilmente Kurt, stringendolo appena di più. Blaine poteva sentirlo tremare con sé. “Non potevo immaginare- mi dispiace.”

E Blaine sentiva quanto realmente gli dispiacesse, sentiva il tremolio del suo cuore e percepiva il modo in cui le dita erano strette attorno al suo corpo per non lasciare che Blaine cedesse e si spezzasse. Sentiva la sua voce, e anche le sue lacrime. E gli credeva.

Rimasero abbracciati così per molto tempo, in mezzo a quel sentiero deserto di Lima illuminato dal bagliore di alcuni lampioni che c'erano sulla strada. Non seppero dire quanto tempo dopo Kurt si staccò da Blaine per guardarlo negli occhi – e c'era così tanto da dire ma al contempo non c'erano parole da usare, e così si arresero e lasciarono parlare le loro anime.

“Ti- ti va di ascoltarmi, Kurt?”, chiese Blaine a quel punto, abbozzando un piccolo sorriso. Kurt arricciò le labbra in risposta, e avrebbe tanto voluto dirgli che era lì, che era lì e non se ne sarebbe andato, che poteva dirgli tutto, e che non era più solo.

“Certo che puoi.”

 

Erano seduti al Lima Bean, uno di fronte all'altro; Kurt aveva ordinato due cappuccini per entrambi che ora si stavano raffreddando tra le loro dita, e Blaine non faceva altro che spostare lo sguardo da lui a quella tazza fumante, le guance rosse e le ciglia umide di pianto.

Cominciò a raccontare sovrastando il chiacchiericcio di quel posto, stringendo la ceramica della tazza tra le mani e senza staccare gli occhi da quello strano groviglio di dita.

“Ci conoscemmo l'ultimo anno di Liceo.”, disse con un sorriso dolce, l'ombra di quello che gli aveva lasciato il passato. “Io fino al quarto andai alla Dalton Accademy, e avevo intenzione di diplomarmi lì, ma poi mio padre morì e per mia madre fu impossibile continuare a pagarmi la retta, così fui costretto a trasferirmi al liceo pubblico di Westerville.”, spiegò lentamente. “Ryan era all'ultimo anno come me, lui- beh, penso che lo avresti notato subito anche tu. Era così genuino e naturale, lui- se ne fregava di quello che la gente aveva da dire. Era dichiaratamente gay, pronto a schierarsi contro chiunque se lo fave sentire inferiore per questo. Si candidò come rappresentante di istituto, e ci conoscemmo durante la campagna elettorale. Lui un giorno semplicemente si presentò e mi disse che mi voleva come suo vice. Scoprì solo dopo che anch'io ero gay. Non ero esattamente il tipo che andava a sbandierarlo ai quattro venti.”, disse Blaine, sorridendo di nuovo. “Ci vedevamo tutti i giorni, e ti lascio immaginare. Dopo pochi mesi eravamo insieme, ed io- ero felice. Lo ero davvero. Avevo perso tutto quell'ultimo anno: mio padre e i miei amici non c'erano più, mia madre era sempre via di casa, e poi improvvisamente era arrivato Ryan, ed era come se la mia vita potesse essere di nuovo colorata.”

Kurt annuì, il cuore che nel petto batteva come mille cuori nel vedere quanto Blaine fosse stato incredibilmente forte.

“...terminato l'ultimo anno ci trasferimmo a New York. I primi mesi furono perfetti, poi...beh, arrivarono le prime litigate, i primi veri problemi. Ci lasciammo anche per qualche mese, un giorno che Ryan era tornato al nostro appartamento per dirmi che si era preso una cotta per un ragazzo più grande. Ero devastato, io- lo amavo davvero tantissimo, e non riuscivo a crederci che stesse gettando via tutto per qualcuno che era arrivato dal nulla. La loro storia durò pochissimo, lui...tornò da me poco prima che cominciasse il terzo anno di college. Ci volle del tempo per tornare ad essere come prima, per fidarmi di nuovo di lui, ma riuscimmo a farla funzionare, e quella stessa estate mi disse che voleva chiedere a mia madre il permesso di sposarmi.”

Kurt spalancò appena gli occhi, a quel punto.

“Noi...noi ci amavamo davvero tanto, Kurt. So che può sembrare strano dopo quello che ti ho detto, ma a volte per trovare una persona hai bisogno di perderla, e quei mesi per noi furono davvero importanti per capire che non volevamo nessun altro al nostro fianco. Nessuno. Con questa consapevolezza, ci sposammo l'estate subito dopo la laurea.”

Kurt si rigirò la tazza tra le mani. “Cosa- cosa gli è successo?”

Blaine a quel punto si morse il labbro inferiore, scrollando le spalle leggermente. “Poco prima di sposarci mi disse che voleva arruolarsi per diventare militare. Lo amavo troppo per lasciarlo per una sciocchezza del genere, così gli dissi che per me andava bene, anche se dentro di me ero- devastato. Quello del militare è un lavoro così pericoloso, e non riuscivo a immaginare una vita in cui ero perennemente preoccupato per lui. I primi tempi cercai di resistere. Stava via mesi interi, io ero sempre solo. Quando potevamo sentirci al telefono piangevo quasi sempre. Poi c'erano i momenti in cui tornava, e quelli- dio, ero così felice. Era un amore così: mi dava tutto e poi lo trascinava via, lasciandomi vuoto.”

Kurt vide quanto tutto quello stesse facendo male a Blaine. Si sporse leggermente, raccogliendo una sua mano.

“L-lui...v-voleva dimettersi. Mi aveva promesso che lo avrebbe fatto. Cominciavamo a parlare di trasferirci in un appartamento più grande, volevamo una famiglia. Doveva tornare la prima settimana di Settembre, e invece-”, un sussulto, e Blaine strinse forte le palpebre. “N-non tornò più. Incidente aereo. Non trovarono più nessun corpo. Se n'era andato- così. Non mi aveva lasciato niente. Persino la sua bara era vuota.”

“Blaine.”, sussurrò piano Kurt, avvicinandosi a lui il più possibile. “Fermati, puoi fermarti se vuoi-”

“Lo sai la cosa che più mi ha fatto male?”, chiese Blaine in un sussurro, cercando i suoi occhi. “Che è stata colpa mia.”, ringhiò, come se tutta la rabbia che sentiva non riuscisse più a contenerla. “E' stata colpa mia, lui- lui sarebbe dovuto tornare la settimana dopo, io gli ho chiesto di tornare prima e quello stupido aereo è finito in mezzo a quella stupida tempesta e-”

“Blaine, no.”, sussurrò piano Kurt, raccogliendo entrambe le sue mani. “Non farti questo- non puoi dire questo.”

“Mi sembra di avercelo messo io su quell'aereo, Kurt.”, borbottò Blaine, calde lacrime che scendevano copiosamente dai suoi occhi. “Io gli ho chiesto di tornare, io. Io l'ho praticamente ucciso-”

“Blaine.”, soffiò Kurt, il fiato incastrato nella gola. Allungò le mani per avvolgere il suo viso, impedendogli di continuare oltre. “Non dire così. Non osare mai più dire una cosa del genere- non pensarlo nemmeno.”

Blaine a quel punto si rannicchiò vicino al corpo di Kurt con un sospiro tremolante, lasciando che il castano riempisse i suoi vuoti e avvolgesse il suo corpo come poteva, immergendo una mano tra i suoi capelli e permettendogli di appoggiare il viso alla sua spalla.

“Lui doveva tornare.”, soffiò Blaine poi, le labbra che vibravano contro il collo di Kurt. “Doveva tornare, e non è tornato per colpa mia. Perché io volevo qualche stupida manciata di ore in più.”

Kurt lo strinse un pochino più forte, immergendo la punta del naso tra i suoi capelli. “Non dire così, Blaine.”, sussurrò. “Sono sicuro che anche lui volesse quelle ore in più, esattamente come le volevi tu. Stava tornando da te, e sono certo che non aveva esitato, perché quelle ore lui le voleva.”, continuò piano. Mosse la mano per appoggiare due singole dita sotto il mento di Blaine, permettendo ai loro sguardi di incontrarsi. “Le avrei volute anch'io, Blaine.”

Blaine sbattè le palpebre un paio di volte, a quel punto, perché era quasi certo che la creatura che lo stava tenendo tra le braccia non fosse reale – non era reale il fatto che qualcuno lo cullasse come aveva fatto Kurt, non poteva essere reale che qualcuno avesse dentro di sé tutta quella forza e quella grazia, e che sapesse mescolarle per tenerti in vita. Blaine si perse a osservare i dettagli del suo viso, le piccole lentiggini che si vedevano solo da lì che gli cospargevano il naso, gli occhi lucidi e le ciglia chiare, e pensò che un ragazzo del genere meritava solo bellezza dalla vita, bellezza e coraggio, perché qualcuno con un cuore così enorme non poteva conoscere il buio, o gli sbagli, o la tristezza.

Per tutto quel tempo Blaine aveva sempre avuto paura di avvicinarsi a qualcuno, di provare di nuovo, di sentire la vita scorrere nelle vene. Ma per la prima volta dopo anni, vedere Kurt e il colore dei suoi occhi gli faceva venire voglia di provare tutto da capo - di spezzarsi, ancora e ancora, tutto da capo. Non gli faceva più paura.

Per la prima volta dopo la morte di Ryan, Blaine smise di sentirsi in colpa per qualche istante. Per la prima volta dopo la morte di Ryan, sentì il cuore battere per qualcosa che non fosse dolore. E per quello si aggrappò al corpo di Kurt, forte, perché non poteva impedire che quella luce gli scivolasse via dalle dita, non ancora.

 

***

 

Le stelle erano piccoli puntini che allagavano il cielo che li sovrastava mentre camminavano per tornare verso la macchina Kurt, e Blaine per tutto il tragitto non aveva fatto altro che perdersi nelle parole che quel giovane uomo gli diceva, nella sfumatura della sua voce, nella dolce curva che le sue labbra assumevano quando rideva e scherzava. Blaine non aveva mai davvero creduto che il tempo potesse dare seconde opportunità – il dolore, quello vero, ti si insinuava dentro e a volte aveva la capacità da toglierti la voglia, e Blaine credeva davvero di non poterla trovare più. Ma stare tra le braccia di Kurt – essere protetto da qualcuno che non fosse sé stesso era stata una tortura. E Kurt sembrava così ignaro di essere al centro dell'attenzione – così forte e bello e irraggiungibile e incredibilmente bello, quasi come un'entità inafferrabile – e Blaine lo voleva afferrare.

Riportarlo sulla terra e tenerlo con sé.

“E' da quando abbiamo lasciato il Lima Bean che mi guardi in modo strano.”, soffiò Kurt, dandogli una leggera spallata. Blaine non riusciva a smettere di guardare i suoi occhi.

“Non è vero.”, mormorò. “Ti guardo e basta.”

“Mi guardi e basta.”

“E' facile guardare le cose belle.”

Blaine non aveva notato con quanta facilità Kurt arrossisse, ed era qualcosa di nuovo e che faceva pungere qualcosa di inaspettato nel suo petto. Far ridere le persone, farle sentire speciali. Era qualcosa che credeva di aver dimenticato.

“Sai, non- non avevo mai detto a nessuno di Ryan.”, disse piano Blaine, continuando a camminare. Non voleva che la conversazione si concentrasse solo su quello, ma aveva bisogno che Kurt gli credesse. “Poi arrivi tu.”

Kurt ebbe la presunzione di sentirsi privilegiato. “Sono contento che lo hai fatto. Sembri- sembri proprio quel tipo di persona che tenta di nascondere il proprio dolore per dimostrare agli altri che sta bene, sai? Ma a me puoi dirlo, Blaine. Non devi fingere.”

“No?”

“Mai.”, soffiò Kurt. “Se c'è qualcosa su cui non devi fingere è il dolore.”

Blaine voleva dirgli che era d'accordo, voleva dirgli un'infinità di cose, in realtà, ma erano arrivati alla macchina troppo presto e adesso entrambi avrebbero cercato di capire il modo più consono di salutarsi e Blaine non voleva lasciarlo andare, non così, non adesso. Voleva almeno altre mille passeggiate, e voleva quel sorriso, quelle mani appoggiate alle spalle.

Kurt si voltò verso di lui per cercare qualsiasi cosa da dire, il viso concentrato in un dolce sorriso che sapeva di Ci vedremo presto, vero? “Allora, uhm- penso che andrò-”

“Posso rivederti?”, chiese Blaine a quel punto, avvicinandosi a lui con un gesto repentino ma lento, e Kurt si ritrovò a spalancare gli occhi di sorpresa.

“Certo. Certo, ci vediamo sempre, Blaine-”

“Al Lima Bean-”, sussurrò Blaine, mordicchiandosi piano il labbro inferiore. “C'era qualcosa che volevo dirti mentre mi stavi stringendo. Ma non ci sono riuscito.”

Kurt annuì.

“Dopo Ryan, io- non c'è più stato nessuno, Kurt.”

“Va bene così.”

“Dici davvero?”, borbottò Blaine. “Perchè la maggior parte delle volte mi sembra di essere- non lo so, un adolescente alla sua prima cotta, che non ha la più pallida idea di cosa fare e come farlo. E mi sento così- così piccolo, io-”

“Non lo sei.”, soffiò appena Kurt. “Non penso a quello quando sto con te- è l'ultima cosa a cui penso, io vedo solo quest'uomo incredibilmente forte che ha voglia di ricominciare.”

“Sono davvero imbranato, Kurt.”

“Non m'importa.”, borbottò Kurt, sbuffando una risatina. “Siamo in due.”

“Tu sei incredibile.”, lo corresse Blaine, annullando la loro insignificante distanza e prendendo il volto di Kurt tra le mani. Le loro fronti si scontrarono dolcemente e Kurt si sentì – soffocare, quasi soffocare. Separò le labbra per immagazzinare più aria che poteva e chiuse gli occhi, le mani che tremavano infossate nella giacca di Blaine.

“Stiamo-”, soffiò appena. “Stiamo correndo troppo, non credi?”

“N-non lo so.”, rispose semplicemente Blaine, la voce che traboccava di sincerità. “Io non- non lo so, ti giuro che non lo so, è come se non potessi decidere quando tu mi sei vicino.”, sussurrò vicino alle sue labbra. “Solo- sono abbastanza adulto e ho sofferto abbastanza nella vita da capire che tu sei qualcosa di diverso, Kurt, e sei qualcosa che voglio tenermi stretto. Non ti permetto di andare via.”

“N-non voglio andarmene.”, disse Kurt. “Solo- non hai paura?”

“Da morire.”, disse di rimando Blaine, accarezzandogli piano i capelli. “Ma era- era un'intera vita che non provavo certe cose e ora sono qui- e mi sembra di rinascere, Kurt.”, ammise chiudendo gli occhi. “Ecco cosa mi fai.”

C'era un filo a separarli, un filo d'aria insignificante e inesistente eppure nessuno dei due si avvicinò per colmarlo, e così Blaine si limitò a lasciare le sue labbra sulla guancia di Kurt, respirandolo, facendo proprio il suo profumo e lasciando che gli penetrasse nella pelle, sotto la carne dove c'erano i muscoli e i nervi e il sangue scorreva, lì al centro della vita.

“Ma non così.”, disse infine. “Esci- esci con me, va bene? Una cena, questa volta. Qualcosa di importante, ti porto- ti porto in un posto speciale, ti piacerà, lo prometto.”

A Kurt brillavano gli occhi. “Un appuntamento?”

“Sì.”, disse fermamente Blaine, ed era così felice che era intossicante, quasi, tutto grazie a quel ragazzo giovane e speciale. “Hai ragione- non dobbiamo per forza correre. Non correremo, lo prometto.”

Kurt annuì lentamente e si perse ancora un po' in quegli occhi fatti d'oro – e si chiese il momento esatto in cui la sua vita era definitivamente cambiata così drasticamente, ma tra le braccia di Blaine, in quell'istante, non riusciva proprio a capirlo.

 

***

 

Quel venerdì sera, Blaine guidò fino all'appartamento 6a di una via abbastanza lontana dal centro di Lima, quella che Kurt gli aveva pazientemente indicato in un foglio spiegazzato di un vecchio taccuino. Parcheggiò fuori dal vialetto e andò all'ultimo piano, e quando arrivò di fronte alla sua porta gli bastò suonare diverse volte, prima che qualcuno gli aprisse.

“S-sono impresentabile e terribilmente in ritardo.”, esordì Kurt dall'altra parte della porta. “Aspettami in salotto, fa' come se fossi a casa tua- giuro che ci metto poco.”

L'ultima cosa che rimase a Blaine fu la scia del suo profumo. Entrò e lo vide sparire su per le spalle, e l'unica cosa che potè veder fu un scorcio del suo corpo slanciato, avvolto da vestiti non ancora sistemati.

Blaine si guardò intorno, sfiorando e immergendosi in quello che poteva definire come il mondo di Kurt. C'erano piccole e grandi cose che gli appartenevano e che lo facevano il giovane uomo che Blaine aveva conosciuto – e c'erano aspetti nuovi di lui, tutti da scoprire, come una passione sfrenata per Vogue (a giudicare dalle innumerevoli riviste sui comodini) e dei libbriccini che parlavano di musica.

Esattamente diciassette minuti dopo, Blaine sentì dei passi provenire dalle scale e si voltò dalla poltrona sulla quale si era seduto – Kurt lo guardava dall'alto, un completo semplice che fasciava il suo corpo longilineo in un modo quasi perfetto, la giacca che cadeva mollemente sulla spalla, tenuta su con due dita.

“Wow.”, bisbigliò Blaine, le labbra che gli si curvavano in un sorriso.

Kurt rise, cercando di nascondere il rossore presente sulle sue guance. “Non è nulla di che.”, borbottò, scendendo piano piano, come se volesse farsi assaporare. Kurt non aveva paura di essere guardato; non c'era malizia in quei gesti, però, solo pura e semplice grazia, e voglia di piacere, ma nel senso più naturale del termine.

Fu Kurt a sporgersi per dargli un bacio sulla guancia, e Blaine chiuse gli occhi, facendo finta per un attimo che quel tocco potesse durare più di una manciata di secondi. Quando si staccarono, il volto di Kurt era arricciato da una smorfia felice.

“Allora.”, esordì. “Dove mi porti?”

Blaine gli porse la mano, e Kurt l'accettò senza un minimo di esitazione.

“Vedrai.”

 

C'erano tavolini elegantemente apparecchiati all'aperto e lucine dappertutto, e Kurt per un attimo si chiese se i vestiti che aveva scelto fossero minimamente abbastanza per un posto del genere – un posto in cui c'era un'orchestra, e i camerieri vestiti di tutto punto, diversi tipi di posate. Blaine sembrava assolutamente tranquillo, nel suo sorriso indossato con disarmante complicità. A volte Kurt aveva quasi paura del modo in cui Blaine sorrideva, a maggior ragione perché sapeva quanto avesse sofferto. I sorrisi delle persone che hanno sofferto sono quelli veri, quelli non celati, liberi da qualsiasi costrizione. Blaine sorrideva perché voleva.

“Rilassati.”, gli sussurro vicino all'orecchio, prima che furono sistemati in un tavolino al centro dell'enorme terrazza che dava su un piccolo lago lì a Lima. “Sembri teso.”

“Questo posto dà l'idea di costare una fortuna.”, disse semplicemente Kurt, raccogliendo la carta del menù. C'erano pesci di cui non aveva mai sentito il nome.

Blaine sorrise, un sorriso piccolo che voleva dire Non è qualcosa di cui voglio che ti preoccupi – e poi Kurt pensò al modo in cui si stava comportando, pensò a come lo avesse visto a suo agio, e per la prima volta si chiese se Blaine avesse scelto quel posto perché magari era stato importante per lui e Ryan e-

“E' la prima volta che vengo qui.”, sussurrò Blaine, come se avesse capito le sue preoccupazioni. “Il proprietario- lui è un amico abbastanza intimo di mio fratello, si chiama Noah Puckerman. È un personaggio piuttosto unico, dovresti conoscerlo.”

Kurt lasciò andare l'aria che non sapeva di star trattenendo. Scelsero il menù di quella notte, poi Blaine gli raccolse una mano tra le sue.

“Allora.”, soffiò. “Bellissime le stelle questa notte, non è vero?”

 

C'era qualcosa di estremamente intimo nel guardare uno specchio d'acqua quando si faceva buio. Kurt aveva sempre pensato che quando l'acqua diventava scura come la pece nascondesse qualcosa di orribile, e che solo i più coraggiosi avevano la forza di guardarla. Lui con Blaine lo stava facendo: ai piedi di quel laghetto, dopo un magnifica cena, rannicchiati vicini su una panchina poco illuminata, i loro occhi scivolavano tra l'acqua e le stelle sopra di loro.

Blaine lo teneva vicino come non lo aveva tenuto vicino nessun uomo prima di lui, e lo guardava in un modo dolce e aperto che faceva contorcere qualcosa di enorme nello stomaco di Kurt. Si era tolto la giacca e l'aveva posata sulle sue spalle esili senza dire niente e Kurt gli era infinitamente grato, perché nonostante fosse ancora estate, Settembre si stava avvicinando, e l'aria di sera era più pungente.

C'era una vena – una piccola vena sul collo di Blaine, invitante e calda che spuntava fuori dal colletto della sua camicia, e Kurt non riusciva a staccarle gli occhi di dosso quella sera. Si chiese come potesse essere sfiorarla con le dita e con le labbra, che suoni avrebbe fatto Blaine se lo avesse fatto. Se fosse stato un pochino più audace, Kurt si sarebbe sporto e l'avrebbe baciato come fanno gli amanti – ma Kurt non era capace, era un novellino, e Blaine un uomo, un uomo che per di più era stato sposato, e-

“I tuoi pensieri sono rumorosi.”, borbottò Blaine, facendolo ridacchiare.

“No, uhm- solo- guardavo le stelle.”, cercò di giustificarsi Kurt. Blaine gli fece passare le dita attorno ai fianchi, e Kurt si sentì autorizzato a lasciare andare la testa contro la sua spalla – lì dove il suo profumo era netto e pungente e Blaine, solo Blaine.

“Sai- ripenso spesso alle cose che ti ho detto giorni fa.”

“Non sono più arrabbiato, Blaine.”

“No, lo so, l'ho capito.”, soffiò Blaine. “Io volevo solo che sapessi- non lo faccio apposta. Credo sia successo perchè- meccanismo di difesa, suppongo? Ho già perso tanto, non voglio perdere ancora qualcosa.”

“Lo avevo capito.”, mormorò Kurt. “Dopo che mi hai detto di Ryan avevo capito tutto.”

Kurt si fece ancora più piccolo contro il suo corpo, e Blaine lo strinse più forte.

“Non devi avere paura di lui.”, soffiò tra i suoi capelli. “Di parlare di lui, o qualsiasi cosa. È passata.”

“Mi sembra sempre di- invaderti, non lo so.”, si scusò Kurt. “E' come se fossi un intruso. Come se stessi sbirciando la tua vecchia vita da una porta troppo grande.”

“Io non voglio che sbirci. Io voglio che tu sappia tutto, Kurt.”

I loro occhi si trovarono a quel punto, ambra dorata in un oceano di certezze mischiate e vulnerabilità – Blaine sollevò una mano e avvolse la guancia di Kurt, gli sorrise dolcemente.

“Ti voglio nella mia vita, Kurt.”

“Okay.”

“Ma non credo- non credo mi basti più vederti da lontano, desiderarti da lontano.”

Kurt deglutì, l'iride quasi scomparsa per via del buio e lo stupore. “O-okay.”

“Se volessi di più, Kurt?”, sussurrò Blaine. “Se volessi di più, tu cosa diresti?”

“Direi di sì.”, mormorò Kurt, e non ci pensò minimamente. “Mille volte sì.”

“Allora devi- credo che tu debba fare qualcosa, capisci Kurt? Devi farlo tu però, perché io- io ho come l'impressione di non riuscirci, come- è come se mi fossi dimenticato. Ho dimenticato come si fa.”

Kurt fece scivolare il proprio sguardo dalle labbra piene e morbide di Blaine ai suoi occhi, e poi ancora, e di nuovo, fino a quando i suoi occhi avevano tracciato ogni singolo contorno del suo viso – e poi sorrise appena, una linea leggermente sollevata.

“Ti insegno io.”, mormorò semplicemente, quasi senza fiato, prima di far incontrare le loro labbra. Si baciarono a bocca chiusa, sotto la luce fioca dei lampioni, e tutto ancora era fragile e complicato tra di loro, senza sapere nulla del futuro, o di cosa avrebbero fatto il giorno dopo. Ma non smisero. Rimasero a baciarsi per ore intere, e smisero di essere timidi e innocenti e Blaine avvolse il volto di Kurt completamente per tenerlo fermo e sforzare la sua bocca con la lingua e e Kurt ridacchiò nella sua bocca, aggrappandosi alla sua camicia leggera, tremando di paura e di emozione.

Perchè quello era ciò che Blaine era. Emozione.

 

Blaine, nella stanza da letto del suo appartamento piccolo e buio, spogliò Kurt come se fosse qualcosa di estremamente prezioso e speciale. E fragile. Un miscuglio che lo faceva impazzire e che gli faceva ribollire il sangue per quanto lo voleva – voleva quel giovane uomo, nonostante avesse paura che non fosse abbastanza volere qualcuno per sistemare il proprio cuore, nonostante Kurt fosse dannatamente giovane e lui vivesse con il cuore spezzato, ma Kurt quel cuore lo aveva preso tra le dita e lo aveva tenuto al sicuro per quanto possibile, e per la prima volta dopo anni – dopo anni, un'infinità di ore e di minuti – Blaine cominciava a credere che l'amore in una persona poteva rinascere, se lo volevi.

Kurt lo baciava come se avesse paura di perderlo.

Lo baciava come se lo volesse tenere al sicuro.

Lo baciava come se volesse afferrare con le dita ogni fibra del suo cuore e ricomporla, proprio come si fa con le fondamenta di una casa. Lo baciò e lo baciò e lo baciò ancora, e si attaccò alla piccola vena che aveva appena sopra la linea arcuata che portava alla spalla, facendolo ansimare di piacere e stupore insieme.

Si concessero di fare tutto con calma. Si sdraiarono sul letto e si spogliarono, concedendo ai propri occhi di venerare il corpo dell'altro accompagnati dalle loro mani – e c'erano frasi piccole e frastagliate, e si infrangevano sulla pelle del petto, o del viso, del collo o dei fianchi.

“Sei bellissimo.”

“Non so come ho fatto a trovarti.”

“Promettimi che quest'adesso è per sempre.”

E Blaine lo teneva saldo al letto sotto di lui, premendo le mani sulla sua schiena e baciandolo a lungo, imparando di nuovo come si faceva a baciare e abituandosi alle labbra di Kurt – si modellò a quel corpo, e fu quasi sopraffatto dalla paura che provò nel realizzare che sembravano costruiti per combaciare. Blaine sembrava stato plasmato per scomparire tra quelle cosce, le loro mani per trovarsi e colmare i vuoti formati dalle dita.

Kurt ansimava e inarcava la schiena e sussurrava il suo nome in continuazione, e fu più o meno quando Blaine gli tolse i boxer che cominciò ad agitarsi, insistendo per mettersi a sedere.

“Blaine, c'è una cosa che devo dirti.”, borbottò, cercando i suoi occhi enormi. Blaine si leccò le labbra, senza smettere di osservarlo.

“Non ho mai- sì insomma, è la prima volta che...”

Blaine annuì, perché semplicemente lo sapeva. Gli baciò una guancia, gli chiese se volesse che continuassero.

“E' solo- so che ho ventitré anni, okay Blaine? E che sono grande, e che è assurdo che magari non l'abbia ancora fatto, è solo che non ho mai trovato nessuno, capisci? Poi arrivi tu, e improvvisamente- improvvisamente aspettare non ha più senso.”

Blaine lo baciò, piano e lentamente, permettendo a Kurt di perdersi. Disegnò cerchi sul suo stomaco e sulle sue guance, poi Kurt lo baciò un pochino più forte – e aprì gli occhi.

“Voglio davvero fare l'amore con te.”, soffiò lui. “Ma ho paura.”

“Anch'io sono terrorizzato.”, ammise Blaine. “Ma entrambi avremo qualcosa di insegnare all'altro.”

Lasciarono scivolare i loro corpi l'uno addosso all'altro fino al momento in cui la frizione fu troppo bella troppo perfetta troppo troppo troppo da sopportare e allora Blaine allungò le dita verso il comodino e prese un preservativo e il lubrificante e li gettò verso Kurt, sorridendo appena. Si sporse verso il suo orecchio, lo leccò in parte.

“Voglio che sia tu a farlo con me.”

Blaine percepì il corpo di Kurt tendersi come un arco contro il suo, i suoi occhi cerulei che si riempivano di incertezze ma al contempo di cieca aspettativa e allora si mossero insieme, Blaine che ora era sotto Kurt con le gambe aperte, Kurt che tremava sopra di lui.

“Io-”, farfugliò, accarezzandogli le guance. “Blaine, io-”

“Va tutto bene.”, gli promise Blaine, prendendogli il volto tra le mani. “Con calma.”

“Con calma.”, ripetè Kurt, baciandolo sulla fronte, sulla tempia, vicino alla bocca. E poi lo preparò con cura, ascoltando i suoi gemiti e imparando a conoscere il suo corpo, vedendolo tendersi per lui, sentendosi potente come mai in vita sua. E poi si perse, infilando il suo membro nell'apertura di Blaine e cominciando a muoversi come in apnea, dentro e fuori dentro e fuori dentro e fuori, a un ritmo cadenzato e straziante, piano, per farlo durare il più possibile, Blaine che tremava e si aggrappava al suo corpo come se stesse annegando.

E piano piano il piacere si annidò in ogni parte del loro corpo e i loro movimenti smisero di essere cadenzati e gentili e li portarono alla deriva, ed entrambi vennero con dei suoni sgraziati che abbandonarono le loro gole e poi Kurt si accasciò su Blaine, lasciandosi cullare dal tepore del dopo orgasmo.

Blaine gli accarezzava i capelli e gli sussurrava continuamente grazie all'orecchio – grazie di avermi trovato, grazie per essere stato qui, grazie perché mi hai salvato da una vita senza senso.

E Kurt voleva dirglielo. Fare quella follia perché aveva senso ora che avevano fatto l'amore; c'erano quelle parole attorcigliate lì sulla sua lingua – Ti amo ti amo ti amo è presto lo so ma ti amo e non sono mai stato sicuro di niente ma di questo sono sicuro - ma sapeva che era terribilmente presto e che Kurt non sapeva nulla di quel sentimento, quindi spinse via tutto ripetendosi che non era arrivato il tempo. Non ancora.

Ebbe l'impressione che Blaine gli avesse detto “Un giorno non avrai paura di lasciarti andare”, ma Kurt era già quasi completamente addormentato, troppo disinibito per capire se si trattasse di un sogno o di realtà.

 

***

 

Il mattino dopo, pallidi raggi di sole accarezzavano la pelle di Kurt. La sua schiena era esposta e tesa, la linea netta del corpo che usciva fuori dalle lenzuola attorcigliate attorno al suo bacino e poi giù, nelle gambe. Mosse le dita nello spazio attorno a lui, con leggerezza e attenzione, e non trovando niente si svegliò quasi subito, sollevandosi con un colpo di reni.

I suoi occhi erano ancora piccoli e poco abituati alla luce, ma era certo di essere solo. “Blaine?”, chiamò cautamente, rigirandosi tra le coperte e passandosi una mano tra i capelli sfatti. “Blaine?”, disse più forte, cercando la sua figura appena dopo la porta che dava sul corridoio, la stessa porta che la notte prima avevano chiuso con calma per lasciare il resto del mondo fuori da quella stanza. “B-Blaine?”, quasi urlò per farsi sentire, un certa ansia che cominciava ad attanagliarli il petto, e proprio mentre Kurt stava scivolando fuori dal letto, Blaine comparse sulla soglia con addosso una camicia aperta sul davanti e un paio di boxer, i riccioli scuri e morbidi che gli ricadevano un po' dappertutto, e un vassoio colmo di cibo tra le mani.

“Ehy, buongiorno.”, sussurrò dolcemente, gli occhi che brillavano di qualcosa di non detto che fece contorcere lo stomaco di Kurt. Si ritrovò a sorridere a sua volta, ingoiando il groppo che gli era nato nella gola.

“Ehy.”, soffiò. “Pensavo- non ti vedevo qui, e ho pensato-”

“Che me ne fossi andato?”, borbottò Blaine, camminando verso il letto lentamente e sedendosi, appoggiando il vassoio di lato, così da poter essere vicino a Kurt. “E' il mio appartamento, non posso andarmene.”

“Sì, uhm- lo so.”, borbottò Kurt, le gote che gli si tingevano di puro imbarazzo, mentre Blaine lo guardava con gli stessi occhi che gli aveva riservato mentre facevano l'amore. Lasciò che si avvicinasse e che facesse passare un braccio attorno alla sua vita e lo attirò a sé, baciandolo piano e languidamente, modellando le loro bocche insieme, come in un miscuglio di colori, e Kurt gemette perché a parte il lenzuolo era completamente nudo ancora da quella notte, e Blaine stava disegnando cerchi irregolari sulla parte bassa della sua schiena, i nervi a fior di pelle.

“B-Blaine-”, tentò di dire Kurt, quando Blaine abbandonò le sue labbra per dedicarsi alla mascella e alla parte più esposta della gola, lì dove spuntavano piccoli marchi delle ore precedenti. “Questa notte- uhm- è-è stato perfetto. Voglio dire- uhm, non esiste la perfezione, credo-”, farfugliò, prima che Blaine lo baciasse piano sulle labbra, tenendogli la testa ferma. “M-ma quello che è successo stanotte è ciò che più ci va vicino, per me.”

Blaine gli sorrise e lo baciò più a fondo, le sue mani che cominciavano a muoversi per inglobarlo in una stretta e Kurt sospirò quando la pelle dei loro corpi entrò in contatto, la stoffa della camicia di Blaine che era l'unico, stupido impedimento.

“Ti voglio ancora.”, sussurrò Blaine sulla pelle arrossata delle sue labbra, muovendo le mani sul suo stomaco e con le dita di una sola raggiungendo il suo membro già teso. “Così tanto, non hai idea.”

Kurt non riuscì a controllare il rantolo che scappò via dalle sue labbra, che si infranse sulle labbra rosse e tumide e violate di Blaine da quella notte. Con una spinta Blaine si si distese sopra di lui, senza mai smettere di muovere le dita, strappando a Kurt gemiti e mugolii di apprezzamento.

“Dovremmo-”, soffiò Kurt, immergendo una mano tra i suoi ricci. “Dovremmo fare colazione, Blaine-”

Blaine ridacchiò, baciandolo piano sul naso. “Non la stiamo già facendo?”, chiese con un ghigno largo e disinibito, prima di spostare la bocca su uno dei suoi capezzoli, avvolgendolo languidamente. Kurt gettò la testa all'indietro con un grido soffocato, inarcando la schiena e non vedendo altro che bianco bianco bianco attraverso le palpebre chiuse.

“C-credevo a-avessi fame.”, borbottò. Non sapeva nemmeno perché riuscisse a parlare, ma gli sembrava un buon quesito da porre a Blaine.

“Infatti ce l'ho. Fame, così tanta fame, non hai idea.”, Blaine rispose con voce roca e dolce, spostandosi sempre di più verso il basso, lasciando una scia bagnata con la punta della lingua. “Di te.”

Kurt lasciò che accadesse, stringendo forte i pugni attorno ai riccioli soffici di Blaine e per un attimo dimenticandosi il suo nome, da dove provenisse, tutto ciò che credeva fosse una certezza nella sua vita – perché Blaine gli portò via tutto. La sua bocca era calda e bagnata e dolce ed esperta e profonda e – Kurt si sentì sopraffatto perché ogni cosa stava cambiando nella sua vita, e forse era tutto quello ciò che aveva aspettato, quel brivido, quell'emozione che lo travolgeva e lo risucchiava.

 

Blaine si era mosso così lentamente dentro di lui che Kurt aveva creduto che si fossero addormentati in certi punti, semplicemente – scivolati in un sonno profondo e piacevole, insieme, carne nella carne, con Blaine che gli sfiorava i capelli con il naso e lo baciava con la lingua e poi gli diceva che si sentiva sopraffatto, che non credeva di poter provare ancora, che Kurt lo aveva salvato.

Kurt non credeva di essere abbastanza forte da salvarlo. Non riusciva a capire nemmeno come avesse fatto, ma dal modo in cui Blaine lo guardava non sembrava mentire, e allora provò a crederci, chiudendo gli occhi e annegando. Impresse le dita nella schiena di Blaine, probabilmente lasciandogli i segni delle unghie, e poi si mosse, si mosse veloce contro di lui per sentirlo tutto, per dargli e volere tutto, ogni piccola cosa.

E Blaine gliela diede senza riserve.

Quando finì Blaine venne guardandolo negli occhi – e non ci furono parole per minuti interi, solo due corpi che tentavano di riprendere fiato uno addosso altro. E poi Blaine si sporse e lo baciò, separandogli le labbra stanche con la lingua, e fu lento, lento lento lento, e Kurt ebbe l'impressione di precipitare nel buio.

Quando Blaine si staccò, Kurt alzò le dita e premette il pollice contro il suo labbro inferiore, facendo scorrere il suo sguardo tra le sue labbra e gli occhi che narravano mille storie diverse e tutte dolorose, ma in ogni caso quello che era appena successo sembrava un finale perfetto.

E Kurt era davvero sul punto di dirglielo, dire quelle due piccole fragili enormi immense parole-

“Dimmelo.”, soffiò Blaine, senza distogliere lo sguardo. “Kurt- dimmelo. Non avere paura.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore e gli concesse un sorriso appagato, si sollevò per baciargli una guancia e morderla piano, l'eco di un desiderio viscerale. “E' troppo presto, Blaine. N-non so sono pronto. E se lo sei anche tu.”

Blaine annuì semplicemente, come se avesse già capito tutto da tempo. “Ma un giorno lo saremo, vero?”

Kurt immerse il volto nell'incavo della sua spalla. “Sì. S-sì, lo saremo. Lo spero tanto. Sì.

 

***

 

A Kurt piaceva sbirciare nella vecchia vita di Blaine, perché se Blaine era la persona che era adesso, l'uomo di cui si stava perdutamente e irrimediabilmente innamorando, era grazie a quello, il suo passato.

Quindi la sera a volte aspettava che si addormentasse sul divano per sgusciare via dalla sua stretta e così andare alla ricerca di foto vecchie e consunte, di un Blaine liceale e felice, o un po' più piccolo, quando le sue guance erano ancora morbide e tonde. Esaminò le foto della sua famiglia, imparò i lineamenti di sua madre – una donna bellissima – e lo rivide nel volto di suo padre.

Una sera Blaine era letteralmente crollato sul divano, rannicchiandosi con il volto schiacciato sul bracciolo dopo aver corretto un'infinità di compiti – Kurt gli aveva sfilato gli occhiali con cautela e poi si era avvicinato a un cassetto che c'era lì in salotto, un cassetto che Kurt non aveva ancora aperto, in quei mesi in cui lui e Blaine avevano creato qualcosa.

Si imbattè in diverse foto in cui c'era Ryan insieme a Blaine. Kurt – Kurt sapeva del loro amore, aveva in un certo senso sentito l'amore di Blaine per quell'uomo attraverso di sé, amandolo, ma vederli – vederli era diverso, era ammettere che quella vita fra di loro fosse realmente esistita. E Kurt – non era geloso, non poteva essere geloso di qualcosa che non aveva potuto controllare, di un Blaine che non era suo, ma vederlo lì, immortalato nel giorno del suo matrimonio con il sorriso più bello e sincero che gli avesse mai visto fece male al livello del petto, e francamente Kurt non aveva la più pallida idea di come controllare quella sensazione.

La mano che gli strinse la spalla e che poi gli accarezzò la schiena fu totalmente inaspettata e così sussultò, ritrovandosi poi tra le braccia di Blaine, che lo stava stringendo, lì messo in ginocchio.

“Eravate così felici.”, soffiò Kurt.

“Sì. Lo eravamo.”

Kurt ripose le foto nell'enorme cassetto che aveva davanti, rifiutandosi di osservarne altre. Gli sembrava di violare qualcosa di sacro, come se stesse disperatamente cercando di vedere e capire qualcosa che era dietro una porta chiusa.

“A volte-”, esordì, schiacciandosi verso il corpo di Blaine, appoggiando la testa al suo collo, lì immerso dalle sue spalle. “A volte ho così tanta paura che mi divora, Blaine.”

Lui gli baciò i capelli. “Di cosa, splendore?”

Blaine aveva preso l'abitudine di chiamarlo splendore, perché diceva che non era solo bello, era splendido, di più, di più, sempre e solo di più.

“Di non essere all'altezza.”

Kurt sentì il corpo di Blaine irrigidirsi. “All'altezza di cosa?”

Kurt giocherellava con le proprie dita, torturandosele. “Blaine, tu- sei stato sposato. Io non ho mai avuto una storia seria- e forse non lo vedi, ma questa cosa è terrificante, per me. Mi sveglio ogni mattina tra le tue braccia, e ogni mattina mi chiedo perché stia funzionando, perché tu abbia scelto me. E ogni mattina non riesco a darmi una risposta.”, soffiò. “Non so se sono all'altezza, Blaine.”

A quel punto Blaine gli avvolse lentamente il volto tra le mani, ruotandolo in modo che potessero guardarsi negli occhi. “Kurt, io non voglio che tu sia all'altezza di nessuno.”, sussurrò. “Io voglio che tu sia tu. Non devi superare nessuna aspettativa, tu- tu non sei abbastanza. Tu sei tutto. Sei tutto e molto di più, e non ti ho scelto perché volevo che fossi all'altezza di qualcuno. Ti ho scelto perché sei tu. Tu, Kurt, solo tu, non voglio nient'altro.”

Blaine gli baciò la punta del naso, il centro della fronte, una lacrima che era scivolata giù, sullo zigomo.

“Mi hai salvato la vita, lo sai questo? Riesci a capirlo? Non ne hai idea, vero, di quello che hai fatto per me.”, un bacio a bocca aperta sulla guancia. “Non ne hai idea.”

Kurt si schiacciò contro di lui ancora di più, praticamente scomparendo nel suo corpo, quasi come Blaine lo dovesse inglobare, e a conti fatti lo inglobò con le braccia, baciandolo e facendo scomparire i suoi dubbi. Tenendolo stretto e vicino.

“Kurt?”, lo chiamò Blaine, il viso immerso nel suo collo liscio e pallido e illibato e bollente. “Io sto cominciando ad amarti.”, sussurrò Blaine, e fu un suono leggero e così piccolo e fragile che Kurt pensò di poterne morire. “E non credo di riuscire più a fermarmi, adesso.”

Kurt espirò ogni briciola di fiato e strinse forte Blaine a sé, schiacciando le mani sulla sua schiena, sperando di poter scomparire. “Io credo di aver cominciato ad amarti dall'inizio Blaine.”, ammise, le labbra che sfioravano i suoi vestiti. “Va bene lo stesso?”

Blaine gli baciò un orecchio, poi le sue dita superarono il maglioncino di Kurt per infilarci sotto le dita, e tutto smise di avere senso. “Non lasciarmi, okay? Non mi lasciare mai.”, gli disse piano Blaine, baciandolo con possesso e forza, quella forza che hanno le persone che amano tanto, e che pensano sia normale fare l'amore sul tappeto vicino a un cassetto di ricordi dimenticati, per demolire i demoni e cancellare le paure e colmare i vuoti che le altre persone lasciano per noi.

 

***

 

I momenti li collezionavano tutti in un album di fotografie – a forza di sfogliarlo gli angoli delle pagine si erano ingiallite ed erano un po' consunte, ma loro lo amavano, perché conteneva perle di vita che potevano tenere con loro per sempre.

Mille foto di loro appena svegli la mattina, Kurt coi capelli sfatti e la maglia del pigiama che scivolava giù dalla spalla spigolosa, oppure ancora, Blaine che gli baciava una guancia durante una gita, le loro dita intrecciate, le dita ossute dei piedi immersi in un giardino. E ancora, e ancora, e ancora, finchè i mesi passarono e la loro vita si consolidò ancora di più.

Ci fu il momento in cui si dissero ti amo senza riserve – Blaine aveva preparato a Kurt una sorpresa, portandolo a New York e facendogli vedere un appartamento appena fuori città. Gli aveva tenuto una mano sugli occhi durante i primi momenti, poi lo aveva lasciato andare e Kurt – Kurt semplicemente era a corto di fiato e si era aggrappato a lui, facendosi piccolo piccolo contro il suo corpo.

“Blaine-”

“E' per noi.”, lo aveva interrotto Blaine, baciandogli un angolo di mento. “Se lo vuoi.”

“Mi stai chiedendo di trasferirmi qui a New York con te? La città che praticamente sogno da una vita? Certo che lo voglio, Blaine.”, sussurrò Kurt, cercando le sue labbra per un breve attimo. Blaine sorrise appena, trascinando via con un pollice una lacrima che era caduta sulla sua guancia. Si guardarono a lungo senza dire nulla, momenti e momenti di mille cose non dette che scorrevano tra di loro, e Blaine sembrava sereno, così sereno, era cambiato così tanto dall'uomo triste che Kurt vedeva ogni giorno di fronte alla sua gelateria, e poi-

“Ti amo.”, soffiò Blaine, accarezzando piano le sue guance. “Ti amo davvero tanto, Kurt.”

Gli occhi di Kurt si spalancarono e si riempirono di lacrime, e Kurt per un breve attimo pensò di essere sul punto di cedere – c'era comunque Blaine a sostenerlo, tenendogli il corpo con le braccia al livello dei fianchi.

“Ti amo anch'io.”, disse semplicemente Kurt di rimando, perché era così dal primo momento, da quando si erano parlati in quel lontano giorno di fine estate con quel gelato che si scioglieva e le guance arrossate, o forse anche prima - qualcosa di primitivo.

Lasciarono che quell'amore accadesse. Lasciarono che li consumasse – e che li portasse in salvo.

Kurt si aggrappò a Blaine e baciò le sue labbra con forza – le labbra di Blaine sapevano di sogni, e un po' di lacrime, e un po' di quel sapore dolce amaro che sa di conquista. E lo amava. Kurt lo amava con ogni piccola fibra del suo corpo, e si promise che avrebbe fatto di tutto per proteggere quell'uomo e tenerlo vicino.

 

***

 

Un anno e mezzo prima, un uomo senza nome passava regolarmente davanti alla gelateria di Kurt Hummel – un uomo che aveva un sorriso spezzato e a metà, di quelli dolci ma che potrebbero essere più grandi.

Un anno e mezzo prima, Kurt dava il suo cuore ormai inerme a quello stesso uomo, che un nome ce l'aveva – un nome dal suono dolce, Blaine. Blaine Anderson, quasi trent'anni, bello come solo le persone semplici possono essere, rotto in mille modi diversi, fragile come vetro eppure forte come un uragano.

Un anno e mezzo dopo, Kurt lavorava da Vogue.com, a New York, in un appartamentino che distava a diversi chilometri dal centro con un forno a microonde che non si rompeva ogni settimana – e con quello stesso uomo, con Blaine, che gli aveva insegnato che la vita è piena di sorprese se noi siamo abbastanza pronti a lasciarci sorprendere.

Kurt quel pomeriggio stava lavorando insieme ad Isabelle – Isabelle Wright, quella Isabelle Wright, una delle più famose icone dello stile americano, sua musa e fata madrina – ad una nuovissima serie di capi primaverili. L'inverno ormai stava quasi finendo e Isabelle aveva avuto la folle idea di lanciare la moda dello strappo – era convintissima che ormai dovesse ritornare il jeans strappato, il pantalone nero strappato, ogni cosa strappata, ecco, e Kurt voleva solo renderla felice e dirle di sì, soprattutto ora che stava per diventare zia.

Kurt camminò velocemente verso il suo ufficio con in mano un paio di caffè – le dita praticamente gli bollivano per il calore che la tazza da trasporto emanava, ma il sorriso che gli concesse Isabelle gli fece dimenticare tutta la fatica di quel periodo.

“Hai i jeans strappati.”, disse Isabelle con un largo ghigno, osservandolo da capo ai piedi. “Mi rendi fiera di te.”

Kurt ridacchiò, posando il lunghissimo di Isabelle sulla sua scrivania e andandole dietro per dare un'occhiata i modelli che stava osservando. Parlarono a lungo di colori e forme e novità che avrebbero lanciato a breve, finchè il ticchettio familiare dell'orologio accanto a loro li avvisò che era quasi l'una e mezza e, come da copione, la giovane assistente di Isabelle entrò nell'ufficio dopo due brevi colpi di nocche contro la porta, cercando con i suoi occhietti timidi quelli di Kurt.

“M-mi scusi, signor Hummel.”, lo chiamò con voce dolce. “Giù c'è il signor Anderson che la sta aspettando.”

Il volto di Kurt si illuminò – letteralmente, quando sentì che come tutti i giorni Blaine, dopo aver terminato le sue lezioni a una scuola elementare lì vicino era passato a prenderlo per concedere loro un breve pranzo insieme. Kurt si abbassò per lasciare un bacio sulla guancia di Isabelle – recuperò il suo trench dall'attaccapanni li accanto e iniziò a correre verso la porta.

“Scappo.”, borbottò, un sorriso enorme che gli increspava le labbra.

“Qualcuno è impaziente, vedo.”, lo punzecchiò Isabelle, prima di immergere nuovamente la punta delle sue dita smaltate di rosso nelle mille e mille riviste che aveva davanti. Kurt non la stava più guardando, però – con grazie e velocità si lasciò alle spalle il suo ufficio e chiamò l'ascensore per andare al piano terra e, quando lo raggiunse, trovò Blaine a qualche passo da lui, bello come sempre con il suo giaccone scuro invernale, un pezzetto di camicia variopinta che fuggiva appena da dove si intravedeva il collo, e poi i suoi occhiali enormi da lavoro, un po' storti sul naso e pendenti verso destra – dettaglio che lo faceva sembrare ancora più adorabile agli occhi di Kurt.

“Ehy.”, sussurrò Blaine, prima che Kurt senza dire nulla si gettasse tra le sue braccia avvolgendo il suo volto tra le mani e baciandolo, baciandolo lentamente, con trasporto, dandogli tutto quello che poteva dargli.

“Ciao.”, soffiò a bacio finito, probabilmente sembrando irrimediabilmente e infinitamente stupido.

“Mi sei mancato.”, borbottò Blaine, spostandosi per lasciargli un bacio sulla guancia. Afferrò una sua mano saldamente e lo trascinò fuori, nelle vie di New York, cominciando a parlare senza sosta di quello che aveva insegnato ai suoi alunni quel mattino, con quegli enormi e pieni di sogni che Kurt amava con ogni fibra del suo essere, e quell'aria impacciata ma dolce e in qualche modo protettiva.

Erano scivolati in quella dolce routine, da quando si erano trasferiti a New York – la città che non dorme mai, e che in qualche modo sembrava rispecchiare perfettamente ciò che entrambi amavano fare. Avevano i loro lavori stabili, Kurt come consulente di Isabelle e Blaine come insegnante di inglese e musica in quella scuola elementare; di sera spesso andavano a teatro o a passeggiare per Central Park o incontravano amici che avevano conosciuto – spesso però si bastavano, e rimanevano a casa cucinando lentamente e e guardando qualche film che ormai recitavano a memoria, per poi sgattaiolare in camera e tenersi stretti per la notte, o sussurrarsi promesse mentre facevano l'amore – lento, forte, intossicante. Era in quei momenti che Kurt sentiva di essere vivo davvero – quando Blaine entrava dentro di lui e gli prendeva il viso tra le mani e gli diceva che lo amava come se fosse un segreto che andava tenuto lontano dal mondo, e Kurt annegava, andava giù, in un posto che non conosceva, ancora e ancora, fino a scomparire, esistendo solo per e grazie a Blaine.

Blaine aveva perso l'ombra amara che inondava i suoi occhi i primissimi giorni che si erano incontrati, facendo diventare tutto quello un semplice e lontano ricordo – Kurt tentava ancora di sbirciare nella sua vecchia vita, senza la paura di non essere abbastanza, perché per qualche strana ragione su sette miliardi di persone Blaine aveva deciso di amare lui e di proteggere lui, di tenerlo stretto nelle notti di pioggia e di ascoltarlo quando tutto diventava buio – per qualche strano motivo, Blaine in quel momento stava stringendo la sua mano, e lo stava guardando come se fosse la cosa più bella dell'universo.

E Blaine era – così genuino, e così tutto. Con i suoi occhiali sporchi e la voglia di insegnare e gli spartiti che completava per darli poi ai bambini – Perchè Kurt, vedi, a volte non ti dicono che in realtà nel mestiere dell'insegnante sono molte di più le cose che impari, e non che insegni, fidati di me.

Ed era il loro piccolo angolino di universo perfetto – un universo che era bel lontano dall'essere perfetto perché aveva strappato via una madre da Kurt e un padre e un marito a Blaine, ma che per qualche motivo ora stava agendo per dare loro una seconda e meritata opportunità.

Mangiarono da McDonald's – Kurt una semplice insalata e Blaine quanti più panini poteva ingurgitare, e risero, risero raccontandosi dei loro sogni e delle loro paure come il primo giorno, e poi Blaine insistè per riaccompagnare Kurt da Vogue, e per farlo passarono davanti a una gioielleria, e l'occhio di Blaine cadde sul luccichio di una piccola fede illuminata da un pallido raggio di quel sole fioco d'inverno.

“Non stancarti troppo, okay?”, mormorò, prima di attirare Kurt a sé e baciarlo dolcemente. “Conserva un po' di forze per me stasera.”

Kurt arrossì nel vedere il sorriso disinibito di Blaine, e lo baciò di nuovo. “Nemmeno tu. Non voglio che ti venga il mal di testa, come quando correggi troppi compiti.”

“Promesso.”, sussurrò Blaine, stringendo Kurt prima di lasciarlo andare via. Il luccichio della fede era ancora lì, brillante, come un promemoria.

Sei tutto ciò che voglio.

Quello di cui ho bisogno.

Ti ho cercato da una vita – non voglio aspettare ancora.

Credo che sia arrivato il momento di vivere di nuovo.

Voglio farlo insieme a te.

Costruiamo un per sempre – il nostro.

Tu – tu mi hai salvato la vita, Kurt.

“Ti amo, okay Kurt?”, mormorò Blaine vicino al suo orecchio, cautamente. Kurt tremò appena tra le sue braccia, facendosi ancora più piccolo contro di lui.

“Anch'io ti amo.”, gli disse semplicemente. Si staccò e gli accarezzò una guancia lentamente, gli occhi luminosi, così tanto che il luccichio della fede in confronto era quasi buio. “Ti preparo qualcosa di buono stasera, va bene?”

E poi Blaine lo vide scivolare via, veloce e tagliente e netto e reale, e quel giovane uomo era suo, solo suo, per qualche ragione lo amava nonostante Blaine fosse stato rotto – un uomo perduto che aveva trovato la sua strada, un uomo strappato che aveva trovato la sua colla.

Senza pensarci un attimo di più, entrò in quel negozio di gioielli con un piccolo sorriso sul volto.

Un'ora dopo, Blaine prese il treno che lo avrebbe portato in Ohio, dal padre di Kurt.

 

***

 

Blaine doveva ancora fare l'abitudine alla tremenda somiglianza degli occhi di Burt a quelli dell'uomo di cui era innamorato – il colore era estremamente simile, c'era forza una sottile somiglianza, probabilmente dovuta all'età, all'esperienza e alla saggezza. Cose che Kurt avrebbe ottenuto con il tempo, magari insieme a lui.

“Ehy, Blaine!”, lo salutò sulla soglia. “Ma che sorpresa, io non- Kurt non ci ha detto niente!”

Blaine scomparì nel suo abbraccio. “E' stata un'improvvisata, nemmeno Kurt sa niente.”, borbottò Blaine, guadagnandosi da Burt un'occhiata perplessa.

“Vuoi dire- uhm- lui non è con te?”, chiese Burt lasciandolo entrare in casa, e camminando poi fino alla cucina.

“No.”, sussurrò semplicemente Blaine. “Lui sta lavorando, ecco- io speravo di poter parlare con lei. È importante.”

“Mi stai spaventando, Anderson.”

Il sorriso di Burt smorzò la tensione e lo fece ridere un po'. Blaine si lasciò cadere sulla sedia più vicina – due ore di treno non erano l'ideale, ma le aveva fatte più che volentieri per essere lì. Cercò gli occhi di Burt direttamente, leccandosi le labbra e sentendo il cuore battere furiosamente nel petto.

“Sarò breve e andrò dritto al punto, signor Hummel.”, iniziò, la voce che tradiva una vena di emozione. “Sono...sono innamorato di suo figlio. Infinitamente. Io...francamente non credevo di poter trovare di nuovo l'amore, dopo che Ryan mi ha lasciato, come sa. Era qualcosa che non avevo messo in conto, e invece è successo, e...ho lasciato che accadesse. Certe cose non hanno un inizio o una fine, succedono e basta, e tu devi lasciarti- trascinare, credo. Ecco, Burt, suo figlio mi ha trascinato. E voglio che continui a farlo per il resto dei miei giorni.”

Burt aveva un'espressione serissima, la linea delle labbra netta e orizzontale.

“Credo...credo di aver conosciuto abbastanza dolore nella mia vita da riconoscere la felicità quando la vedo, e- e questa per me è felicità, signor Hummel. Suo figlio mi ha salvato la vita, in un modo che temo lui non riesca a comprendere. Ma lo ha fatto. Lo fa ogni giorno, quando mi protegge e lascia che io lo protegga. Quindi, signor Hummel, io...”, un respiro profondo, e gli occhi di Blaine scivolarono un po' ovunque prima di ritrovare quelli di Burt. “Voglio chiederle ufficialmente il permesso di chiedere a Kurt di sposarmi.”

Gli occhi di Burt si allargarono di poco, ma non troppo, perché infondo non era poi così stupito. Insomma, il ragazzo di cui il suo unico figlio era perdutamente innamorato improvvisamente si presenta alla sua porta dopo ore di viaggio: Burt non era molto intelligente, ma nemmeno stupido.

“So che pensa che Kurt sia molto giovane.”, borbottò Blaine. “Uhm- ma la nostra convivenza sta andando benissimo. Ecco- certo, a volte litighiamo, Kurt è davvero testardo e io sono un- un disastro in casa, lascio le cose dappertutto e a volte suono fino a tardi e lo tengo sveglio e lui lo odia ma-”

“Blaine.”, lo fermò Burt, un leggero sorriso sul volto. “Per me va bene.”

Blaine deglutì, senza fiato. “Cos- davvero? Voglio dire- sul serio- davvero?”

Burt ci mise del tempo a rispondere, raccogliendo tutte le forze che aveva in corpo. “Quando Elizabeth mi ha lasciato, anch'io credevo di non poter più provare quello che avevo provato per lei per un'altra persona. Il dolore era così forte- mi sentivo come- anestetizzato, come se non fossi più in grado di provare nulla. Improvvisamente è arrivata Carole, però.”

Blaine si rendeva conto solo in quel momento quanto esattamente lui e Burt fossero similari.

“...e sai, forse è come dici tu. Certe cose non hanno un inizio e una fine, succedono e basta, ma menomale che succedono. Non sarei nulla oggi come oggi se non avessi lei.”

Blaine non si preoccupò di nascondere le lacrime che erano nate nei suoi occhi – leggere e reali, e le lasciò cadere, e sorrise, sorrise come un pazzo, perché amava Kurt più della sua stessa vita, ed era pronto a dimostrarglielo nel modo più completo che conosceva.

Si lasciò abbracciare da Burt.

Si diede il tempo di una settimana per preparare tutto – poi avrebbe chiesto a Kurt di essere suo per sempre.

 

***

 

Blaine non poteva sapere che la sua vita stava per cambiare di nuovo.

Blaine non poteva sapere che certe cose succedono anche nella vita reale, e non solo nei romanzi che leggeva di tanto in tanto o nei film che amava guardare con Kurt.

Quattro giorni dopo quel viaggio a Lima, Blaine stava facendo lezione durante la terza ora di inglese nella sua seconda preferita la classe in cui i bambini facevano sempre i compiti e non urlavano mai, rispettandolo e apprezzando le sue canzoni.

Stava disegnando la pancia tonda di una D, quando la segretaria gli disse di recarsi nell'ufficio della preside. Gli dissero che alcune persone lo stavano aspettando, gli dissero che era urgente e che non c'erano problemi, poteva lasciare la classe scoperta per un po'. Blaine corse per i corridoi praticamente senza fiato, continuando a chiedere alla ragazza che lo aveva cercato se Kurt stesse bene, ma lei diceva continuamente che quelle persone non le avevano riferito nulla, solo che era urgente.

Blaine aveva le dita che tremavano quando aprì la porta, il volto sereno di Kurt di quel mattino stampato nelle retine, e la sua testa che lo bombardava di parole come Ti prego fa che stia bene Ti prego non posso perderlo Ti prego non lui-

Blaine aprì la porta, ad attenderlo due uomini in divisa militare e una dottoressa con gli occhi color del ghiaccio, i capelli giallo grano e un sorriso comprensivo.

“Signor Anderson, sarebbe così gentile da seguirci in ospedale? E' successa una cosa- è un caso molto...molto delicato, e raro, e non credo che questo sia il luogo più consono per parlarne.”

Blaine sentiva le proprie dita tremare. “K-Kurt sta male? Ha avuto un incidente, ha-”

“Mi scusi, Kurt chi è?”, chiese in un sussurro la dottoressa.

“Il mio compagno.”, rispose automaticamente Blaine. Perplessità e dubbio scoppiarono nel suo petto come una bomba ad orologeria, perché se non era per Kurt non riusciva a capire perché fossero venuti a cercarlo.

“Non siamo qui per Kurt.”, disse semplicemente lei, quel sorriso dolce che era molto di più, studiato per essere un'ancora. “Ci segua in ospedale, okay?”

“Voglio sapere perché.”, Blaine alzò la voce, non capendo nemmeno perché lo stava facendo. “Sto lavorando- non potete piombare qui come se niente fosse e farmi spaventare a morte-”

“Blaine.”, l'uso del nome era perfettamente consapevole, voluto. Un tentativo forzato di avvicinarsi a lui. “Si tratta di suo marito.”

Il sangue di Blaine si congelò. Fissò gli occhi della dottoressa – gli uomini dietro di lei, finalmente la loro divisa acquistava un senso. “M-mio marito?”

“Ryan James Forbes, giusto?”, indagò lei.

“S-sì.”, borbottò Blaine, stringendo forte le palpebre, come per scacciare via un brutto sogno. “Sì, ma non capisco, mio marito è morto in un incidente più di due anni fa-”

“Per questo deve seguirci in ospedale, signor Anderson.”, lo interruppe la dottoressa, avvicinandosi cautamente e cercando i suoi occhi. “So che è difficile crederlo, e so anche che è brutale dirlo così, ma in tutta la mia vita non ho mai incontrato un caso di questo tipo, e mi deve perdonare se sarò inadeguata, ma credo che abbia tutto il diritto di saperlo.”

Blaine non riusciva più a respirare, proprio come se improvvisamente la sua cassa toracica si stesse disintegrando e comprimendo nel suo stesso corpo.

“Sapere cosa?”, chiese in un soffio quasi inudibile.

“Ryan è vivo, Blaine.”, rispose la dottoressa. “C'è stato un errore, in realtà non è mai morto in quell'incidente.”

.





 

.





 

.

Credo che la storia sia decisamente più delineata, ora. Scusatemi se vi ho fatto aspettare così tanto.
A breve, la terza ed ultima parte.
Un grazie speciale a tutti coloro che sono passati!
   
 
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