Capitolo 38
Quando rientrammo a Fort George
ringraziai di avere ancora una notevole resistenza fisica, anche se nonostante
ciò avevo perso sensibilità alla spalla sinistra, che aveva retto il peso di
Charles per tutto il tragitto. Trasportarlo fino al nostro covo e dargli la mia
camicia non era servito a diminuire i sensi di colpa. Sentirlo respirare a
fatica e vederlo sporco e infreddolito non mi faceva sentire in diritto neanche
di guardarlo in faccia. Per non parlare dell'odore dolciastro che stavo inalando
da almeno mezz'ora, tutto quel sangue ormai incrostato alla
stoffa aveva iniziato a darmi il voltastomaco.
Abbassai lo sguardo sulla mano
sinistra di Charles, stretta alla sua stessa carne all'altezza dello stomaco e
il gorgoglio che sentimmo poco dopo mi fece intuire che soffrisse per i crampi
dovuti alla fame. Istintivamente accelerai il passo, sperando che riuscisse a
starmi dietro. «Ce la fai?» Col braccio sinistro gli diedi una spinta da sotto
l'ascella, tirandolo su e alleggerendo di poco il peso. «Coraggio, mancano pochi metri.» Annuì in silenzio, la testa china
e gli occhi tenuti aperti a fatica.
Sussultai quando la porta che
collegava il piazzale e l'interno del forte si aprì sola, lasciandomi
interdetto e con la mano a mezz'aria.
«Charles!» Jenny comparve nel mio campo
visivo, attaccandosi con uno slancio al collo di Lee. Lo vidi sorridere appena
mentre mia sorella singhiozzava sulla sua spalla. «Amore mio, cosa ti è successo?» Charles non rispose, limitandosi
a guardarla con aria stanca mentre lei gli teneva entrambe le mani sul viso.
«Deve mangiare e riposare, ti
spiegherò tutto più tardi» intervenni. Mi lanciò un'occhiata preoccupata, asciugandosi
una lacrima con una mano.
«Sto bene.» Guardai il mio pupillo e deglutii
nonostante avessi la lingua secca come un pezzo di legno. «Finché respiro non c'è bisogno di
piangere.»
Per riflesso gli strinsi di poco il polso destro, il suo braccio ancora intorno
al mio collo.
«Smettila, non sai quanto mi hai
fatta preoccupare» e ignorando la mia presenza, Jenny gli schioccò un bacio
sulla bocca, mentre Charles gemeva per il brusco contatto con il labbro
spaccato. Nonostante questo sembrò apprezzare, riservandole uno sguardo
innamorato.
Io grugnii. «Avvisatemi quando la smettete di
copulare, voi due. Potreste avere almeno la decenza di farlo dentro.» Avanzai trascinando Lee oltre la
soglia, lasciando che si appoggiasse al muro e approfittandone per riposare i
muscoli. Lo guardai con la coda dell'occhio mentre mi massaggiavo la spalla con
una mano. Era pallido e a stento stava in piedi. La camicia era completamente
imbrattata di sangue, assumendo sfumature più sbiadite lì dove le ferite erano
meno profonde.
«Ti faccio preparare qualcosa di
caldo» ed eccola lì, Jennifer Scott, a
crogiolarsi nel ruolo della mogliettina premurosa e amorevole che ha sempre
tutto sotto controllo. «Io ti preparo l'acqua per il bagno» Charles distese le labbra in un
sorriso tirato, annuendo e prendendosi l'ennesima carezza, osservando poi Jenny
incamminarsi su per la rampa di scale.
«Riesci a salire?» Domandai riavvicinandomi. «O magari vuoi una moina anche da
parte mia?»
Sogghignai in risposta all'occhiataccia di Lee, che non reagì nemmeno quando
gli pizzicai una guancia con il pollice e l'indice.
«Ce la faccio» si staccò dal muro con un colpo
di reni e seguì Jennifer, salendo su per la rampa di scale senza mai togliere
la mano dalla parete.
Entrati nello stanzino da bagno
notai immediatamente la tinozza di legno piena d'acqua. Era grande abbastanza
da contenere una persona al suo interno, ma Charles non era in condizioni di
scavalcare ed immergersi. Puntò la punta del piede destro contro il tallone
sinistro, sfilando uno stivale e lasciandolo al centro della stanza; stessa
sorte toccò all'altro.
Jenny lo aiutò a togliersi la
camicia, che finì appallottolata in un angolo della stanza. La guardai un po'
dispiaciuto: mi sarebbe toccato buttarla, viste le condizioni in cui verteva.
Ma il peggio doveva ancora arrivare.
«Santo cielo» non riuscì a trattenersi davanti
al grumo di sangue che Lee aveva sul pettorale sinistro, lì dove mancava il
capezzolo. «Ma
che ti hanno fatto?» Chiese con un misto di ribrezzo e paura, ma Charles non
rispose, abbassando gli occhi sulla cintura e aprendosi i calzoni, anch'essi
sporchi, facendoli scivolare fino alle caviglie.
Non avrebbe parlato se non avessi
iniziato io il discorso, lo conoscevo bene. E cosa avrebbe dovuto dire, poi?
Che era stata colpa mia? Che l'avevano portato via con l'inganno per fargli
ammettere l'omicidio di Washington? No, non l'avrebbe mai fatto. Aveva difeso
il mio onore davanti alla morte, Jenny non poteva di certo competere con un
paio di pinze o una frusta.
«Ha salvato me» farfugliai. Glielo dovevo,
dopotutto. Se avesse dato aria alla bocca dopo il primo pugno avrebbe salvato
il capezzolo e qualche litro di sangue, invece aveva preferito tacere. Tacere
per me, per l'Ordine, era il minimo che potessi fare.
Jenny si voltò nella mia
direzione, mentre Charles si sfilava definitivamente i pantaloni, restando in
mutande. «Come
sarebbe?» Gli lanciai un'occhiata piena di
gratitudine, prontamente ricambiata da un sorriso di circostanza che
interpretai come un semplicistico "ho
fatto solo il mio dovere, Signor Kenway", e
la cosa non mi piacque. Non mi piacque affatto. Non volevo che mi difendesse perché
ero un suo superiore, perché era un suo dovere. Mi piaceva pensare che lo
facesse per affetto. Per motivi più intimi e personali.
Mentre prendevo coraggio per
parlare, Lee si appoggiò al recipiente con le mani, piegandosi leggermente in
avanti in attesa di Jenny, che intanto stava riempiendo d'acqua un secchio più
piccolo. Glielo rovesciò piano sulla testa, bagnandogli i capelli, il collo e
le spalle, iniziando poi a strofinare le pelle sporca di sangue con un panno
insaponato. E se Jennifer era più che disposta a fare del bene, sul viso di
Charles c'era solo tanta umiliazione. L'amore che Jenny metteva nel pulirgli le
macchie incrostate non era sufficiente a farlo sentire meglio, al contrario lo
convinceva del fatto di essere un debole, qualcuno di cui occuparsi, per cui
stare in pena.
Giunsi le mani dietro la schiena e
sospirai, appoggiandomi alla parete. «Artemas ha rapito Charles, poi l'ha
torturato per fargli ammettere di aver ucciso George Washington» con la seconda secchiata d'acqua
la pelle di Lee iniziò ad assumere un colorito normale, lavando via gran parte
del sangue secco ed evidenziando il contrasto con le ferite.
Jenny rallentò in prossimità di un
taglio sulla scapola, facendo scivolare l'altra mano fino alla nuca di Charles,
tra i capelli, in quello che interpretai come un gesto d'affetto. «E tu non hai detto nulla, vero?» Lo sapeva. Lo sapeva anche lei,
da lui non ci si poteva aspettare altro.
«Ho giurato» torse il collo di lato,
esasperato per la posizione scomoda e la carne martoriata. «Quando sono entrato nell'Ordine ho
giurato di difenderne i principi ad ogni costo, anche con la vita, se
necessario.»
Ed io, in quanto Gran Maestro, avrei dovuto salvaguardare la vita dei miei
uomini. Era uno dei miei compiti principali, ed ero stato a tanto così dal
perdere il mio ultimo fratello, nonché successore. «Non avevo scelta.» Non meritavo tanta fedeltà, e
riceverla incondizionatamente non aiutava a gettarmi alle spalle le mie
mancanze come Templare.
«Deve pagarla.» Alzai gli occhi da terra e guardai
mia sorella. «Deve
pagarla cara, Haytham. Non puoi lasciar correre» no, non posso, ma che faccio?, lo ammazzo e
rischio la forca per aver ucciso un generale dell'esercito continentale?... Oh,
beh, ho già sulla coscienza l'ex comandante in capo, per un banale sottoposto
non dovrebbe accadermi nulla. Come no. «Poteva ucciderlo, per la miseria.
Devi fare qualcosa.» Devi. Devi, Haytham Kenway, non hai una
coscienza se non brami vendetta neanche per Charles.
E fu
lui a rispondere al posto mio. «No, non dovete fare niente.»
«Non essere sciocco!» Strillò smettendo di sfregargli
il braccio e voltandosi verso di me. «Che fine ha fatto la giustizia,
eh? Quell'uomo ha torturato Charles senza prove, ha lasciato l'esercito senza
un comandante» anche io, «dovranno punirlo in qualche modo!» Quindi puniranno anche me? E che ne sarà dell'Ordine? «Se non ci pensa il Consiglio lo
farai tu!»
«Smettetela.» Guardai ancora Charles, le mani
appoggiate al bordo di legno, l'acqua che gli gocciolava dai capelli. «Sono solo discorsi campati in
aria, non potete fargli nulla. Né a Ward né a Philip
e Israel.»
Jenny sbatté con frustrazione il
panno insaponato contro la tinozza cui era appoggiato Lee. «E perché?,
per la loro carica militare? E la tua non vale niente?»
«Se li fate arrestare non avrò più
qualcuno che guidi le truppe, il che significherebbe perdere la guerra. È
questo ciò che vuoi? Vuoi essere uccisa dalle giubbe rosse? Io no!»
Venni scosso da un paio di brividi
e improvvisamente sentii freddo. Il discorso di Charles era così razionale da
sembrare falso, quasi come se Artemas gli avesse
imposto di dissuaderci dai nostri propositi di vendetta.
«Ma ti stai ascoltando?» Guardai ancora Jenny, paonazza di
rabbia. «Hai intenzione di lasciar correre
solo perché altrimenti non vinceresti la guerra?»
«Non si tratta di vincere o
perdere, ma di vivere o morire» rispose acidamente, come se per noialtri fosse un concetto
troppo complicato da afferrare. «E poi non avrebbe senso. Lasciate
perdere, per favore» sussurrò passandosi una mano sugli occhi. «Lasciate perdere.»
«Non capisco» Jenny diede voce ai miei
pensieri, esternando tutto lo stupore di cui era capace.
Effettivamente era strano. Charles
non era così, non lo era mai stato. Lui era vendicativo e impulsivo, una testa
calda che spesso ero stato costretto a sedare. L'unica spiegazione che davo a
quell'atteggiamento così remissivo e controllato era la paura. Era ancora
sconvolto per ciò che gli era successo, e temeva che tirare la corda con Artemas gli avrebbe causato altri guai.
«Non c'è niente da capire!» Sbottò. «Io non sono come lui, e non ho
intenzione di abbassarmi a questi livelli. Senza contare che se puniste Ward dovrebbero subire lo stesso trattamento anche Philip e
Putnam.» Quindi la pensava veramente così?
Ripagare un uomo con la stessa moneta equivaleva ad abbassarsi al livello di un
omicida? Perché Charles sarebbe morto se non l'avessi trovato in tempo, i fatti
stavano così.
No, non ero d'accordo. Pretendere
giustizia non mi conferiva nessun potere decisionale sulla vita altrui, non
avrebbe dovuto elevarmi a essere superiore conferendomi l'onore di decidere chi
poteva vivere e chi doveva morire, semplicemente doveva ristabilire un
equilibrio compromesso, nulla di più.
Siamo uomini, no? Noi non
perdoniamo, siamo esseri imperfetti, e come tali sbagliamo. Ma c'è chi può porre
rimedio, ci sono le leggi e le norme morali appositamente per chi non sa vivere
secondo le basilari regole di convivenza del contratto sociale. E sarebbero
dovute valere anche per me. Ero un assassino, un omicida senza scrupoli, ma ero
scaltro. Scaltro e fortunato, talvolta, ma nel caso avessero trovato le prove
sarei finito sulla forca. Per Charles era diverso. Era innocente, Dio, non
avrebbero potuto torcere un capello a me, figuriamoci a lui.
«E qual è il problema?» Intervenni. Aveva ragione Jenny,
c'era poco da fare. Non mi importava chi fosse coinvolto, poteva esserci di
mezzo Gesù Cristo in persona, non avrei cambiato idea. Nessuno poteva credere
di fare i suoi porci comodi con uno dei miei uomini e sperare di farla franca. «Nominerai altri tre generali.»
«Il problema è che vanificherei gli
sforzi fatti finora solo per la vendetta!» Sbatté un palmo contro il legno,
il bicipite in tensione e pronto a scattare in un altro attacco d'ira.
«Stai mettendo da parte l'onore per
la tua carriera, santo Dio, Charles!» Parlò ancora Jenny, che con
stizza gettò a terra la pezza bagnata. «Dovresti rivedere le tue priorità!» Gli urlò contro.
«Vincere questa fottutissima guerra
mi darà onore! Quei tre figli di puttana mi aiuteranno a cacciare gli Inglesi
dalle colonie, e finché ci sarà anche solo una giubba rossa su queste terre non
vi permetterò di alzare un dito su di loro!» Ci guardò entrambi, un dito
accusatorio puntato contro Jenny. «Non ve lo posso permettere!»
«Quei tre ti hanno quasi ammazzato» dissi ancora. Avanzai di qualche
passo, Charles mi guardava in silenzio. «Ti hanno lasciato in uno
scantinato legato a una sedia, senza cibo e acqua per tre giorni. Ti hanno
ferito e picchiato, credi davvero che uscito di qui ti accoglieranno a braccia
aperte una volta tornato al comando?»
Deglutì a vuoto, serrando i denti
e il pugno sinistro. «Faranno ciò che gli ordinerò. Sono il comandante, devono
farlo!»
«Sai bene anche tu che non lo
faranno. Nelle migliori delle ipotesi tenteranno di sabotare i tuoi piani,
esattamente come hai fatto tu con Washington, o potrebbero ucciderti nel sonno,
mal che vada. Non aspettarti nulla di buono da Ward,
e neanche da Putnam! È un codardo opportunista!»
«Non permetterò che un intoppo del
genere rovini tutto. Questa è la mia occasione, non posso sprecarla!»
Ebbene sì, lol, dopo tre settimane ricompaio dal nulla. È tutta colpa
della sessione estiva, lo giuro, mi sta prosciugando l’anima.
Vaaaa beh, grazie come sempre a
chi lascia un parere e a chi legge soltanto, a presto –si spera, lol-.