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Autore: Gio_Snower    26/05/2015    3 recensioni
|| OS Elleo || Dedicata a @sheisntamuggle su twitter ||
Leo ed Elliot hanno una relazione puramente fisica, poiché Leo non vuole che Elliot gli si dichiari. Così i due continuano a volersi senza pronunciare quelle parole, quelle tante parole che non potrebbero esprimere del tutto quello che provano; ma che comunque servirebbero.
Leo non vuole sentirle perché se la loro relazione diventasse più profonda - più di quanto lo è già - lui non potrebbe più lasciare Elliot e la vergogna ricadrebbe su di loro; allo stesso tempo non riesce a mettere freno alla loro relazione perché sarebbe come dire addio a una parte di sé.
Tutti questi pensieri per il futuro...
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Leo

La sua mente era una tabula rasa, completamente bianca, azzerata. Non un solo pensiero disturbava quel vuoto; causato dalle labbra premute sulla sua scapola. Labbra che avevano lasciato e che lasciavano una scia rovente, tracce di una passione bruciante, inopportuna e completamente sconvolgente. Era come un fiume in piena, sgorgante e inarrestabile, senza vie di fuga né dighe ad arrestare la corrente.
Delle dita lunghe fredde, ruvide al tatto, erano appoggiate sulla sua pelle e contrastavano con il calore che creavano a ogni carezza, ogni singolo tocco delicato e possessivo, passionale. Socchiuse gli occhi ed emise un lieve gemito, con voce roca, appena la sua spalla fu morsa; dapprima leggermente, i denti stuzzicavano appena la sua pelle nivea, poi sempre più forte, lasciando un segno senza creare una ferita. Per un momento, se ne rammaricò.
Con gli occhi socchiusi, finalmente, si rivolse alla persona che lo stava toccando.
«Il mio padrone è diventato un cane?» domandò, prendendolo in giro con voce suadente.
Occhi azzurri febbrili lo fissarono, accedendosi a quelle sue parole, mentre le labbra fini si increspavano in un sorriso sfrontato. Assolutamente sensuale e pericoloso, che gli strappò un sospiro.
«Non ti facevo così masochista» ribatté Elliot, abbassandosi per sussurrargli all'orecchio e alzandosi appoggiando i palmi al suo petto, sedendo sopra di lui senza, però, appoggiare pienamente il suo peso. Se l'avesse fatto, gli avrebbe impedito di respirare, visto il suo fisico snello.
Sapeva da sempre che Elliot l'avrebbe potuto sopraffare in qualsiasi modo e momento; era più forte di lui in tutto. Eppure aveva sempre sopportato le sue risposte, gli aveva sempre sorriso, gli aveva sempre teso quella mano con il suo fare arrogante e sfrontato, senza saperlo lo aveva salvato.
Dalla solitudine, dalla rabbia, dalla paura.
Elliot, il suo padrone, era il suo mondo.
«Sono al suo servizio da anni, non è una prova sufficiente?» rispose, lanciando uno sguardo fintamente innocente al suo padrone, che sorrise, visibilmente contrariato.
«Non conosci proprio il tuo posto, Leo» sussurrò Elliot. In risposta, si sollevò, afferrandogli il volto con le mani, e gli morse il labbro; provando una certa soddisfazione quando lo vide sussultare.
Con il volto rosso, febbricitante, Elliot lo fissava. Gli occhi azzurri apparivano più intensi e offuscati, affamati di lui. Non poteva negarsi, poiché provava la sua stessa identica fame. In un attimo, fu capovolto e rivoltato, la faccia contro il cuscino e la schiena rivolta verso l'alto, così come le sue anche e il suo fondoschiena. Ansimò, mentre delle mani pallide e fredde toccavano il suo corpo, pronto e caldo.
«Aiutami» gli ordinò Elliot con voce roca, sbottonandogli i pantaloni. Non ammetteva repliche quando gli parlava così; non che lui c'avesse anche solo pensato a negarglielo. Non gli avrebbe negato niente in quel momento, sopratutto sé stesso. Tirò giù con le mani i pantaloni bianchi della divisa e li scalciò. L'aria fredda sulla pelle lo fece rabbrividire, un lieto ed eccitante contrasto con la sensazione di bruciore che lo pervadeva.
«Guardami» disse Elliot, abbassandosi su di lui e coprendolo. Si era tolto la giacca e la camicia, così la sua pelle nuda era premuta contro la sua. Il contatto, quel leggero sfioramento, lo incendiò. Sollevò il volto per quanto possibile e si ritrovò perso dentro due pozze d'acqua, le stesse che l'avevano guardato incuriosite la prima volta. La sua casa era lui, il suo mondo era Elliot. Da quando aveva stretto quella mano, era diventato suo; quel senso di appartenenza lo distruggeva, sentiva come se la sua vita senza Elliot... Non riusciva nemmeno a pensarci, non ne sentiva la possibilità. Lui non sarebbe morto, ai suoi occhi quell'eventualità era preclusa.
Le labbra di Elliot si incollarono al suo collo, mordicchiandolo leggermente con i denti, facendolo gemere. Sentiva il membro di lui spingere vicino alla sua apertura.
«Sono già pronto.»
«Ma...»
«Elliot» lo chiamò, perentorio, spingendosi contro di lui. Il sorrisetto che prima aveva disegnato sul volto era scomparso nel mezzo dei gemiti, troppo occupato a sentirsi bruciare per mantenere la sua aria sarcastica.
Le mani di lui si posarono sulle sue spalle e in un momento si sentì riempire dall'altro. Si fondevano, fino a diventare uno, erano l'uno dentro l'altro. Sospirò, pensando che aveva trovato nuovamente quel che cercava.
Solo in quei momenti smettevano di litigare, troppo assorti in quei sentimenti che non avevano mai espresso a voce. Elliot ci aveva provato, ma lui si rifiutava d'ascoltarlo; lo faceva per il suo bene, anche se sapeva che l'altro ci rimaneva male e non capiva. Non poteva.
Per lui le cose erano sempre state semplici, odiava i sotterfugi, la disonestà. Si rifiutava di vedere il grigio nel mondo, ostentando la sua determinazione e il suo coraggio; forse sarebbe pure riuscito a eliminare quel colore dalla sua realtà, se non fosse stato per lui. Per quei sentimenti, che avevano portato a tutto questo.
Elliot iniziò a spingere, mantenendo un ritmo costante, bruciante. A ogni spinta gemeva, soffocando la voce nel cuscino, come il volto. Sentiva i mormorii indistinti dell'altro, ma non capiva le parole che pronunciava.
Alla fine, crollò sopra di lui, schiacciandolo con il suo peso.
Si scostò da lui e si appoggiò al cuscino.
«Dovremo smetterla» brontolò Elliot.
Trattenne il fiato, incapace di pronunciare anche solo una parola. Era quello che voleva, ma che allo stesso tempo non voleva. Mettere fine a quello che desiderava per proteggerlo; era disposto a quel sacrificio. Solo non riusciva a decidersi, qualcosa dentro di lui si sarebbe spezzato inevitabilmente, così esitava.
Chiuse gli occhi ed inspirò.
«Sì» sussurrò.
«No» ribatté l'altro. Lo guardò, chiedendogli con lo sguardo, ma Elliot lo distolse. Si appoggiò, girandosi di schiena. Poco dopo, sentì il suo respiro diventare leggero e regolare, segno che si era addormentato. Si sporse, attento a non far cadere la chioma – troppo lunga, troppo scialba – sul corpo di Elliot. Lo osservò, incapace di fermarsi.
Il volto affilato e quel neo che aveva baciato tante volte, le sopracciglia castano chiaro premute sulla guance rosee e i capelli biondi, corti. Lo amava.
Quel che provava per Elliot poteva essere espresso in parte solo grazie a un insieme di parole. Amore, lealtà e fiducia non bastavano. Forse, nemmeno cento parole sarebbero state sufficienti.
«Elliot» sospirò. Lui si voltò e lo guardò, gli occhi azzurri aperti all'improvviso, il volto severo.
«Dormi, Leo» gli ordinò.
Lui annuì, nascondendo la sorpresa e qualsiasi sentimento. Sperò che nella sua voce non fossero trapelati i suoi sentimenti.
Si voltò e chiudendo gli occhi, per la prima volta, pregò Dio.
Ti prego, dai la colpa a me. Fai che le Casate non lo scoprano, fai che riesca a trovare la forza per non farlo affondare con me. Fai che le bugie che ho detto non vengano scoperte.
E che gli occhi di Elliot non si oscurino.
 
Elliot
 
Non capiva, ma la pace che provava stando con Leo... Quella sensazione era l'unica cosa chiara fra loro. Ed era strano, per lui che aveva sempre voluto le cose chiare, senza sotterfugi, senza cose non dette.
Avrebbe voluto dirglielo, ma lui scappava. Ogni volta.
Per un solo momento, si chiese se non stesse sbagliando; poi scosse la testa.
Leo era una parte di lui, ormai.
Gli era così grato... Ma per orgoglio, sapeva, non glie lo avrebbe mai detto. Non l'avrebbe mai ammesso.
Forse era nato sbagliato, forse la loro relazione era malata, diversa dal normale. Era pazzo e il suo onore... Era rimasto intatto, insieme a quei sentimenti che altri avrebbero giudicato, una volta scoperti. E non se ne pentiva minimamente.
Come gli aveva insegnato Vanessa, pregò. Non invocò le catene né il nome di Dio. Non pronunciò i nomi dei suoi Antenati.
Si limitò a rivolgersi a Egli, uno sconosciuto che sperava ci fosse.
Dammi la forza di proteggerlo.
 
†††
 

Stava morendo, lasciandolo. Per un secondo, sorrise.
Leo si sarebbe arrabbiato, gli avrebbe urlato contro che era uno stupido, che non si doveva comportare così un Nobile. Pensando a lui, ai suoi peccati, alle cose che aveva rifiutato di vedere e sentire, rimpiangendo le parole che non era riuscito a dire... E dandosi dello stupido, pronunciò quelle parole:
“Humpty Dumpty, Io ti rigetto”.
Addio, Leo.
   
 
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