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Autore: Little_Lotte    26/05/2015    5 recensioni
Gli ultimi istanti fra una madre e il suo bambino.
Yocheved e il suo sacrificio.
Quanto può essere difficile rinunciare a qualcosa di tanto prezioso, se il prezzo da pagare vale almeno quanto una vita intera?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aronne, Jocabel, Miriam, Mosè
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è dedicata a Innominetuo, che grazie alle sue parole - combinate all'ascolto di buona musica - è riuscita ad ispirarmi.
Buona lettura.






Yal-di ha-tov veh ha-rach

Al ti-ra veh al tif-chad

 


Un altro giorno di dolore qui, in questa maledetta terra d'Egitto, sta oramai giungendo al termine.

Per tutte le vie della città si odono le urla di dolore dei miei fratelli, esausti e straziati dalle fatiche di un'ennesima giornata di torture e sofferenze, insopportabili soprusi che questi maledetti egiziani sembrano quasi divertirsi ad infliggere senza mostrare loro alcuna pietà.

Da troppo tempo, ormai, la mia gente sembra aver perso ogni dignità.

Resi schiavi da un popolo troppo crudele per riuscire a trattarci con rispetto, viviamo da sempre con un grande peso dentro al petto, talmente gravoso ed opprimente da non permetterci più di sopportare il duro lavoro come avremmo fatto un tempo.

I nostri tiranni non ci considerano al pari delle proprie genti, per essi valiamo meno del loro bestiame e del terreno ruvido, fangoso e accidentato sul quale posiamo i nostri piedi stanchi.

Non siamo e non saremo mai liberi, questo è un privilegio al quale sappiamo fin troppo bene di non poter ambire.

E' un destino crudele il nostro e neppure le preghiere continuamente rivolte al nostro Dio sembrano dare alcun frutto; Egli è come sordo alle nostre parole e gli egiziani continuano a farci sentire oppressi, sfruttati, maltrattati e disprezzati.

Persino temuti, in un certo senso.

E' come se questa schiavitù eterna fosse dettata dalla paura, come se gli egiziani temessero di vederci crescere e rivoltarsi contro di loro, unire le forze per distruggere tutto ciò che hanno creato ed assumere, infine, tutto il loro potere.

Niente di più ridicolo, penso io.

A noi ebrei non importa assolutamente niente del potere, noi vogliamo soltanto la nostra libertà! Non ambiamo ad altro che ad una Terra Promessa, un luogo dove poter essere noi stessi, liberi di professare un credo che per troppo tempo ci ha condannati ad una vita di stenti e sofferenze.

Eppure i nostri oppressori continuano a guardare a noi con acceso timore, costringendoci a pagare a caro prezzo questo infausto destino al quale ci ritroviamo nostro malgrado abbandonati. Diventiamo sempre più numerosi – così dicono loro – e questa invasione deve finire, nell'unico modo che il Faraone ritiene possibile.

Uccidere tutti i bambini appena nati.

Ho già assistito a questa scena: i soldati irrompono nei nostri quartiere, strappando via i bambini dalle braccia delle loro madri ed uccidendoli proprio lì, davanti ai loro occhi; le donne piangono, crollano a terra e si disperano, impotenti di fronte al potere d'Egitto e del Faraone.

Vite spezzate, assieme a quelle dei loro piccoli, innocenti martiri.

So bene che questo fato spetterebbe anche a me, ma al contrario di tutte le mie sorelle che hanno semplicemente deciso di arrendersi a una tale crudeltà, io non intendo piegarmi alle leggi. Per questo mi trovo qui, adesso, il mio ultimo nato - un esserino di poche settimane, ancora troppo piccolo ed indifeso da riuscire a comprendere la tragica sorte cui sarebbe destinato – fra le braccia ed il cuore traboccante di paura, un sentimento di terrore misto a speranza, quella di riuscire a salvarlo da una morte certa, alla quale nessuna misericordia sulla terra potrebbe mai risparmiarlo.

Osservo i miei figli più grandi, Aronne e Miriam – ormai troppo grandi da ritrovarsi nel medesimo pericolo del fratello – e sento il cuore stringersi dentro al mio petto; i loro sguardi, così intensi e rigonfi di paura, suscitano in me la stessa inquietudine e lo stesso terrore che riesco a leggere nei loro occhi.

<< Mamma? >> mi domanda Miriam, con voce rotta dalle lacrime << Che cosa ne sarà di lui? >>

Io chiudo gli occhi e stringo il mio piccolo al petto, sospirando profondamente e posando con dolcezza un lungo bacio sulla sua morbida fronte.

Non sono pronta a dover dire addio, non ancora.

<< Lui vivrà, Miriam. >> rispondo infine, senza staccare del tutto le mie labbra dalle tempie di mio figlio << Lontano da qui e da tutto questo orrore, sarà destinato ad una vita migliore di quella alla quale verrebbe strappato, se solo osassi tenerlo qui con noi ancora per una notte. Credimi, figlia mia... Non è questo il luogo giusto per tuo fratello, non in questa vita. >>

Miriam si volta in direzione dell'altro fratello, Aronne, ed i due si stringono con forza la mano, come in cerca di conforto. Io mi muovo con cautela fra le rovine della nostra abitazione e mi guardo intorno con fare circospetto, il piccolo ancora saldamente stretto fra le mie braccia.

Ho come la sensazione che stia per mettersi a piangere e così provo a cullarlo per qualche secondo, dolcemente, mormorando a mezza voce una tenera cantilena per placare la sua inquietudine. Lui mi guarda con i suoi occhioni scuri, sembra quasi implorarmi di non lasciarlo andare e di restare con lui, come ogni giusta madre dovrebbe fare con proprio figlio.

A fatica riesco a resistere a quelle suppliche.

<< Mi dispiace, piccolo mio. >> bisbiglio con voce rotta dal dolore, senza smettere di cullarlo con dolcezza << Vorrei poterti tenere con me, ma non posso: non ho più niente da offrirti qui, la tua vita verrebbe spezzata in meno di un soffio di vento. Debbo lasciarti, amore mio, solo così tu potrai vivere ancora... Solo così potrai diventare grande e forse - un giorno - io potrò rivederti, se Dio lo vorrà. >>

Soffoco a stento i singhiozzi – non posso permettere che qualcuno mi senta, ne va della vita di mio figlio – e avvolgo il mio piccolo in una coperta, per poi nasconderlo nell'ampia tunica della mia veste. Faccio cenno ai miei figli di seguirmi fuori dall'abitazione e insieme ci precipitiamo in strada, in mezzo ai soldati egiziani che brutalmente irrompono in ogni casa, armati di spade e cieca obbedienza.

Intere stragi si consumano di fronte ai miei occhi ma io devo mostrarmi impassibile, non posso destare alcun sospetto; un solo movimento falso, significherebbe rendere vano ogni mio tentativo di salvare la vita di mio figlio.

Un ultimo cenno a Miriam e Aronne, prima di scappare via lontano, dove nessuno potrà seguirci; i soldati corrono avanti e indietro, irrompono in ogni casa, e per nostra fortuna sembrano non accorgersi di questa innocua, insignificante famiglia di ebrei intenta a scappare chissà dove, nascondendo chissà quali inconfessabili segreti.

Raggiungiamo in fretta le rive del fiume, molto più in fretta di quanto avessi pensato.

Adesso il momento di dire addio si fa sempre più vicino ed io continuo a non essere pronta, non riesco ad accettare di essere solamente ad un piccolo passo dalla separazione.

Dolcemente mi adagio sulla sabbia e libero il mio piccolo dal suo nascondiglio, cullandolo ancora una volta per assicurarmi che quel brusco gesto non costituisca per lui alcun trauma; lo stringo fra le braccia ed accarezzo il suo volto un'ultima volta, prima di adagiarlo, con estrema attenzione, in una cesta di vimini che Miriam mi ha aiutato a trasportare fino a qui.

Lui mi guarda silente e il suo sguardo, in questo istante, sembra valere molto più di un milione di parole.

“Resta con me” sembra voler dire “Non lasciarmi, ti prego.”

Con le lacrime agli occhi, lascio che le mie dita sfiorino ancora una volta il suo viso, suscitando in lui una piccola e leggera risatina il cui suono contribuisce ad accentuare ulteriormente il mio pianto.

<< Eccoci qui, piccolino... E' arrivato il momento dell'addio. >>

Lui continua a fissarmi, imperterrito, senza versare alcuna lacrima; il suo stato d'animo è placido e pacato, e mi chiedo se questa mancanza di reazione non debba in qualche modo farmi sentire preoccupata.

Di certo, renderà un po' più semplice la nostra separazione.

<< Bravo, bambino... Così, non piangere. >> gli dico con voce morbida, le lacrime che ormai scivolano ininterrottamente lungo le mie guance << Andrà tutto bene, non temere. >>

Lui sbadiglia e afferra il mio dito, mi guarda con la sua solita dolcezza e adesso, per la prima volta, ho come la sensazione che voglia darmi il permesso di lasciarlo andare. Un leggero sorriso si fa strada lungo le mie labbra, malinconico e rassegnato, mentre la mia voce incomincia ad intonare una tenera ninnananna.

Lo faccio per tranquillizzarlo o, più semplicemente, per essere certa che anche da grande lui possa ricordarsi di me; desidero che la mia voce sia l'ultima cosa che oda prima di andarsene, così che anche da grande ne conservi la memoria dentro al suo cuore.

<< Non devi piangere mio dolce amor, il fiume ti cullerà. Fa che il mio canto ti resti nel cuor, così insieme a te crescerà... * >>

Le lacrime soffocano le mie ultime parole e lentamente lascio andare la presa, in una lunga ed estenuante separazione. Miriam e Aronne si guardano afflitti, mentre saluto il mio bimbo con un ultimo bacio sulle tempie, prima di richiudere la cesta che da questo momento in poi costituirà il suo rifugio.

<< Mamma. >> interviene improvvisamente Aronne, accortosi della mia incertezza << E' il momento. >>

Annuisco e, infine, mi decido ad entrare in acqua e ad abbandonare il mio piccolo al suo incerto destino.

<< Addio, cuore mio. >> bisbigliò con voce rotta e le lacrime che scendono a fiotti << Qualunque cosa la sorte abbia in servo per te, io pregherò affinché sia migliore di questa. >>

Infine, lascio che sia la corrente a portarlo via.

Non riesco neppure a muovermi e lascio che sia Miriam, più curiosa ed incosciente di me, a seguire lungo le rive l'intero tragitto percorso da quella piccola cesta; la bimba corre lungo le sponde, spia con lo sguardo ogni singolo movimento, mentre i miei occhi da lontano osservano un piccolo frammento del mio cuore allontanarsi pian piano, fino a sparire del tutto nell'orizzonte.

Se n'è andato per sempre, non tornerà più.

O forse lo farà un giorno, fra moltissimi anni, e Dio solo sa se sarà ancora in grado di ricordarsi di me. In ogni caso sarà salvo, e per quanto oggi possa far male il pensiero di aver rinunciato ad una delle cose più preziose ed importanti che possiedo, so che presto ne sarà valsa la pena.

Presto il mio sacrificio, sarà ricompensato con la sua vita.

<< Mamma? >> Aronne si avvicina a me e mi strattona gentilmente per un braccio, cercando di attirare la mia attenzione << Mamma, va tutto bene? >>

Io mi volto nella sua direzione e sorrido, rivolgendo lui uno sguardo rassicurante e pieno di amore.

<< Sì, figlio mio... Va tutto bene. >> rispondo << E se Dio ascolterà le nostre parole, tutto continuerà ad andar bene. >>

A queste mie parole, Aronne china immediatamente il capo e si posiziona a mani giunte, muovendo lentamente le labbra in una silente e solenne preghiera.

Io, invece, adesso non riesco a trovare il tempo per Dio: penso solamente a mio figlio, disperso fra quelle acque irrequiete, alla ricerca di un nuovo rifugio e di una via di salvezza.

A lui sono rivolte le mie lacrime, i miei sorrisi e le mie ultime immortali speranze.

A lui soltanto il vento sussurra le mie ultime parole.

 

Yal-di ha-tov veh ha-rach

Al ti-ra veh al tif-chad **



 


N.D.A:  * Estratto dal testo “Ascoltaci”, traduzione italiana dell'originale “Deliver Us” presente nel film

** "Oh mio buono e tenero figlio, non aver paura".  Anche questa frase è presente nella canzone, cantata dalla stessa Yocheved per tranquillizzare il piccolo.

Questa fic è stata un esperimento dettato dal cuore: amo "Il principe d'Egitto", la cultura ebraica e la scrittura... Aggiungendo una profonda sensibilità nei confronti delle madri costrette ad abbandonare, loro malgrado, un figlio, questo non poteva che essere il risultato.

 


 

  
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