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Autore: Luxie_Lisbon    27/05/2015    2 recensioni
Sequel di "L'altra parte di me"
Vorrebbe smetterla di pensarci, vorrebbe dissolversi in una nuvola di nulla, ma oramai non c’è più niente che possa fare per elidere quei pensieri, quei pensieri che fanno parte di lui. Quei pensieri che lo costringono ad una punizione incessante.
“Reita” ricambia, una lacrima che sfugge dalle sue ciglia.
Peso attuale 46, ancora troppo poco per un ragazzo della sua età. Ma ci sta lavorando, davvero. Anche sulla distruzione del suo cuore, del suo amore per lui.
Perché sente che da lì a poco morirà sotto il peso delle sue menzogne. Perché è vero che ormai del peso gli importa poco, basta restare sotto ai 50. Quello che lo distrugge è l’insieme vorticante ed incessante di bugie che è costretto a pronunciare prima di lasciarsi andare ad un sospiro.
“Ti amo così tanto Reita”
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le ali di cartapesta
Un’altra parte di te
Il primo volo

Avverte il fuoco perforarli la pelle, incendiare le sue ossa di cartapesta, dilaniare i suoi organi interni. Lui si muove con delicatezza, teme che si possa frantumare sotto il suo peso, che possa restare soltanto un mucchietto di polvere di stelle.
Trema, lo fa in modo involontario, ad occhi chiusi, ma questa volta, non per il freddo. Non più.
Non ha ancora capito se si sente a suo agio in mezzo a quel caldo.
La risposta è nascosta sotto strati e stradi di abiti.

“Ruki” sussurra il suo Reita, il suo angelo custode, disintegrando quella barriera fatta di puro male, che ancora un po’ li separa.
Ruki la bilancia l’ha fatta sparire. Non ricorda neppure quando è stata l’ultima volta che si è pesato. Forse un mese fa, sotto costrizione. Ma a lui, della bilancia, ormai importa poco. Quello che più lo preoccupa è il peso che hanno assunto i suoi pensieri, il suo lacerante senso di colpa, che non lo sfiora più soltanto mangiando. Quel senso di colpa che lo distrugge ogni giorno, sempre di più, un senso di colpa che si è ingigantito, assumendo dimensioni cosmiche.
Vorrebbe smetterla di pensarci, vorrebbe dissolversi in una nuvola di nulla, ma oramai non c’è più niente che possa fare per elidere quei pensieri, quei pensieri che fanno parte di lui. Quei pensieri che lo costringono ad una punizione incessante.

“Reita” ricambia, una lacrima che sfugge dalle sue ciglia.
Peso attuale 46, ancora troppo poco per un ragazzo della sua età. Ma ci sta lavorando, davvero. Anche sulla distruzione del suo cuore, del suo amore per lui.
Perché sente che da lì a poco morirà sotto il peso delle sue menzogne. Perché è vero che ormai del peso gli importa poco, basta restare sotto ai 50. Quello che lo distrugge è l’insieme vorticante ed incessante di bugie che è costretto a pronunciare prima di lasciarsi andare ad un sospiro.
“Ti amo così tanto Reita”
 
                                                                         
“Non è stata colpa tua”
Quelle parole sussurrate alle sue spalle, in modo che non possa vedere il suo volto segnato dal dolore. Ruki china il capo, stringendosi il corpo tra le braccia, avvertendo una punta di ghiaccio tagliante perforargli il cuore. Il palco è deserto, il nulla più assoluto lo avvolge, dilaniandolo, e tutto quello che vorrebbe fare è piangere. Ma non ci riesce più, non se lo merita.

“Si invece” disse senza voltarsi, senza alzare il capo. Quando Reita si muove è soltanto per sospirare, lanciare la testa all’indietro e piangere, ripensando a quello che erano stati, a quello che c’era stato fra loro, a quello che avevano costruito e che adesso non esiste più.

“Smettila” disse con una punta di rabbia nella voce, sentendosi impotente difronte al dolore della sua unica ragione di vita. Reita vorrebbe tanto avere ragione, vorrebbe che la colpa della sua morte non fosse di Ruki, ma mentirebbe ad entrambi se sostenesse il contrario. Tutti loro sanno per certo che non sarebbe mai successo se…

“Voglio tornare a casa” disse Ruki gelido, scostando lentamente la sciarpa nera dal volto, poi senza voltarsi si incamminò verso la batteria di Kai, verso gli scalini ed infine verso la porta che lo avrebbe condotto all’uscita. Reita lo lasciò fare, senza dire una parola.
Nel guardare quel palco vuoto avvertì una dolorosa fitta allo stomaco che lo costrinse a chinarsi, a stringere i denti. Soffriva.
Il dolore lo stava distruggendo sempre di più, conducendolo ad un insieme vorticante di pensieri malsani che lo ridussero quasi in fin di vita. Quando si scoprì il braccio pieno zeppo di cicatrici, tutti i ricordi di quella maledetta sera affiorarono, rendendolo inerme.
Avrebbe dovuto andare con lui, morire, e basta. Perché la colpa era anche la sua, anche se Ruki lo odiava ancora di più quando udiva quelle terribili parole.
Era colpa di tutti, perché lo avevano lasciato solo, confidando nella sua forza, in quella forza che non esisteva più, in quella forza che aveva smesso di esistere quando la rabbia lo aveva reso vulnerabile. Era stato debole, gli altri troppo ciechi per accorgersene, convinti che dovesse sempre e comunque tenere duro, convinti che dovesse sempre camminare a testa alta, perché lui non aveva mai sofferto.
Avevano avuto torto, peccando di egoismo.
Dischiuse le labbra e pianse, pianse sino ad esaurire tutte le sue lacrime, e quando ne ebbe abbastanza si sollevò in piedi, nascondendo il braccio ed allontanandosi dal parco vuoto.
I fantasmi di un milione di fans urlanti, felici, lo salutò, e quello che rimase fu soltanto il nulla, il nulla più assordante. Perché non era rimasto nemmeno il ricordo di quei concerti, il ricordo di quando erano felici.
La morte aveva lo straordinario e malefico potere di cancellare tutto sotto al suo passaggio, dilaniando i corpi dei superstiti e cibandosi dei loro ricordi racchiusi nelle menti. Si divertiva a farlo, godendo del loro dolore, di quel dolore che era ingiustificato, un dolore arrivato troppo tardi.
Non meritavano neppure di piangere.
 
https://www.youtube.com/watch?v=pEq62PV2GUM
“A che ora è l’appuntamento?” chiese Reita accostando davanti all’ingresso dal palazzo che costudiva lo studio dello psichiatra dove Ruki era costretto ad andare due volte alla settimana. Dopo il ricovero i medici avevano insistito affinché l’ex vocalist dei The GazettE fosse seguito da un professionista, perché lo aiutasse a restare abbastanza grasso. Ruki detestava con tutto se stesso quella situazione, ma non poteva farci niente, doveva continuare a mentire e lottare contro un uomo che sosteneva di possedere i mezzi necessari per aiutarlo a non ricadere nell’anoressia.

“Alle cinque. Abbiamo tutto il tempo” rispose Ruki accanto a lui, giocherellando con un filo che pendeva dalla manica del suo maglione, cercando di tenere la mente occupata.

“Bene. Allora vuoi andare a fare un giro da qualche parte?” chiese Reita al ragazzo voltandosi a guardarlo. Ruki scosse la testa.

“Puoi lasciarmi qui. Tanto mancano venti minuti. Aspetto in sala d’attesa” rispose Ruki sorridendo lievemente. Quando Reita strinse forte la sua mano, il ragazzo scosse la testa, ritirandola con uno scatto e portandola sotto alla coperta che teneva sulle gambe.

“Perché non posso più toccarti?” disse Reita serio, guardandolo negli occhi, tanto che Ruki fu costretto a distogliere lo sguardo, a disagio.

“Non complicare le cose, ti prego. Non ce la posso fare” rispose scuotendo la testa. Reita era furioso, furioso con se stesso, furioso con lui, ma con Ruki no, non ne era più in grado, aveva smesso di provare rabbia nei suoi confronti quando la sua piccola farfalla aveva rischiato di smettere di volare, crollando tra le sue braccia. Lo amava ancora di più, e non riusciva a capire come questo fosse possibile, non riusciva a capire perché Ruki non provasse più le stesse cose. Perché se la sentiva, lui non lo amava più.

“Tu non mi ami più” gli disse senza distogliere lo sguardo dalla sua nuca. Ruki smise di guardare la strada per guardare lui, spalancando gli occhi, in lacrime.

“Come puoi dire questo. Sei pazzo? Io ti amo più di qualsiasi cosa al mondo. Sei la mia vita” disse, la voce ridotta ad un sibilo.

“Allora dimostramelo” urlò Reita picchiando con forza le mani sul volante, furioso. Ruki lo guardò in preda al panico mentre picchiava con rabbia la fronte sul voltante, crollando poi su di esso.

“Reita io…” cercò di parlare senza successo, mentre le lacrime gli annebbiavano la vista. Non era in grado neppure di pensare, era più forte di lui. Poi un’immagine gli balenò davanti agli occhi, un’immagine che lo fece tremare dalla testa ai piedi, un’immagine a cui non era più abituato. Un’immagine che gli mancava davvero tanto, da morire.

“Scendi dalla macchina” disse serio. Reita smise di piangere per guardarlo, sbattendo più volte le palpebre.

“Che cosa?” chiese in preda alla confusione più totale, ponendo fine a tutto.

“Scendi ho detto” disse Ruki furioso, scendendo a sua volta dall’auto, facendo il giro sotto lo sguardo allarmato di Reita il quale non riuscì neppure a muovere un muscolo. Quando il ragazzo aprì la portiera dal suo lato, Reita lo guardò come se fosse impazzito.

“Spostati” gridò Ruki furioso, facendo spostare il ragazzo dalla parte del passeggero.

“Che cazzo ti prende?” gridò Reita scuotendo la testa ma si mosse, sedendosi al posto di Ruki, il quale mise in moto, chiudendo con uno scatto la portiera. Si allontanò dal parcheggio dove Reita aveva accostato, e guidò senza dire una parola. Reita inizialmente lo guardò a bocca spalancata, in preda alla confusione, poi la richiuse lentamente, guardando Ruki guidare in lacrime. Pianse a sua volta, cercando di toccare la sua mano adagiata sul cambio ma Ruki non glielo permise neppure una volta.
Quando Ruki accostò accanto al palazzo dove vivevano, Reita disse

“Che accidenti vuoi fare? Parlami”

“Scendi e basta” disse Ruki spegnendo il motore e scendendo dall’auto lentamente. Reita fu costretto ad imitarlo anche se non comprendeva ancora il perché di quello strano comportamento, poi lo seguì senza dire una parola. Ruki aprì il portone d’ingresso poi si fece seguire da Reita lungo le scale che conducevano al loro piano. Lentamente, un gradino alla volta, con fatica. Non riusciva neppure a respirare, stava facendo troppa fatica, ma doveva farcela, doveva, per lui, per loro, per quello che credeva ci fosse ancora.
Reita lo seguì senza comprendere, poi avvertii la mano di Ruki stringersi attorno al suo braccio, quello destro. Tremò senza essere in grado di impedirlo, sbattendo le palpebre. Ruki inserì le chiavi di casa nella serratura poi spinse il corpo del ragazzo all’interno dell’abitazione, seguendolo subito dopo e chiudendosi la porta alle spalle.

“Dici che non ti amo non è vero?” disse Ruki a Reita voltandosi verso di lui, iniziando a sfilarsi gli abiti. Lentamente si tolse le scarpe, sistemandole accanto al divano, poi la sciarpa, il soprabito nero.

“Ruki io…” tentò ti parlare Reita tremando, ma Ruki scosse la testa avvicinandosi a lui. Lentamente lasciò cadere il cappotto sul pavimento, allungando le mani tremanti al corpo di Reita. Gli tolse la giacca di pelle, la sciarpa leggera, lui non aveva mai troppo freddo.

“Togliti gli anfibi” gli sussurrò piangendo. Reita lo guardò a lungo prima di fare quello che gli aveva detto, sfilandosi le scarpe per poi adagiarle accanto a quelle di Ruki il quale sorrise, leggiadro come una farfalla. Quando le sue dita gelide sfiorarono il collo di Reita per sfilargli la fascetta, il ragazzo scoppiò in lacrime.

“Non piangere” sussurrò piangendo a sua volta, scuotendo la testa, e Reita mandò all’indietro la sua, lasciando che le lacrime gli rigassero le guance. Ruki portò le dita alle sue braccia, e sfiorando le sue cicatrici ebbe un violento sussulto. Reita finse di non essersene accorto e chiuse gli occhi. Avvertì il tocco del ragazzo sul corpo, le sue dita che chiedevano che sollevasse le braccia. Lo fece, senza timore, facendo in modo che Ruki gli sfilasse la maglietta bianca.

“Non avrei mai voluto che ti facessi del male, ti prego perdonami” disse Ruki sfiorando le sue braccia ancora una volta. Reita scosse la testa senza dire una parola, e quando le sue dita sfiorando la stoffa del maglione di Ruki, lui fremette.
Senza essere in grado di impedirlo.
Si vergognò tanto. Aveva dimenticato quei gesti, stava vivendo un piccolo sogno.
Reita si avvicinò a lui, poi lo baciò, lo baciò come se temesse di perderlo. Ruki sorrise tra le lacrime, lasciando che il suo più grande amore gli sfilasse il maglione nero. Reita lo strinse poi forte tre le braccia, perché sapeva quanto Ruki odiasse il suo corpo, quanto odiasse guardarsi allo specchio, e non voleva che si specchiasse nei suoi occhi, non ancora, perché sapeva che faticava ancora a vedersi come lo vedeva lui. Bellissimo, dolce, perfetto.

“Vieni” sussurrò Ruki prendendo la sua mano e conducendolo alla loro camera da letto. Quando la sua schiena nivea sfiorò il lenzuolo, Reita non riuscì a credere a quello che stava vivendo. Erano mesi che Ruki non si faceva toccare in quel modo da lui, mesi che non facevano l’amore, mesi che non gli permetteva di amarlo come meritava di essere amato. Avrebbe voluto stringerlo a se più forte ma temeva di fargli del male.

“Piano” sussurrò Ruki quando Reita gli sfilò delicatamente i pantaloni.

“Non guardarle, ti prego” lo pregò poi, quando notò lo sguardo di Reita sulle sue gambe. Reita sorrise tornando a baciarlo, portando le dita ai suoi capelli, stringendo qualche ciocca.

“Vieni qui” ripeté Ruki e Reita si sollevò, in modo che Ruki potesse sfilargli i pantaloni a sua volta. Le loro gambe si unirono, in una lenta danza che tolse il fiato ad entrambi. Il muro si infranse, per un attimo Reita credette di essere tornato a toccare il cielo con un dito, credette che fra loro fosse tornato tutto alla normalità.
Ma quando Ruki iniziò a piangere quando gli accarezzò il corpo, Reita comprese che stava mentendo a se stesso. Lo strinse a se con forza, sino a fargli male, sollevandolo.

“Smettila, tu sei bellissimo” disse con un velo di cattiveria nella voce e Ruki lo guardò sbattendo le palpebre, mentre calde lacrime gli rigavano le guance.
“Ti amo” disse soltanto prima di lasciarsi andare alle sue carezze, chiudendo gli occhi.

Reita credette davvero che fosse sincero, ci credette con tutto se stesso, con ogni fibra del suo essere.

***
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“Non ti sei presentato alla seduta del martedì” sussurrò il suo psichiatra, portando le dita magre al volto, sfilandosi gli occhiali dalla montatura elegante e guardandolo a lungo. Ruki smise di muovere i ferri da calza e la lana blu gli cadde in grembo. Da giorni stava cercando di confezionare una sciarpa per Reita, ma perdeva spesso i punti e c’erano soltanto rammendi.

“Ho avuto un imprevisto” rispose poi riprendendo i ferri e tornando a concentrarsi sul suo lavoro. Fare l’amore dopo mesi con Reita non era certo un imprevisto, ma la sua mente malata voleva che uscisse questo pensiero, e nessun altro. Non era ancora in grado di esternare la verità.

“Beh Takanori, magari la prossima volta avvertimi prima, così posso annullare la seduta” disse il medico con un tono di voce serio. Takanori annuì, poi si concentrò sulle domande di routine che il dottore gli porse, cercando di essere il più sincero possibile. Anche se avrebbe voluto continuare a mentire, per tornare indietro.
L’amore di Reita lo aveva salvato, almeno di questo era certo. Ma soltanto una cosa continuava a dargli il tormento. Non riusciva ancora a capire se lo voleva davvero. Voleva davvero continuare così, a stare lontano da quella malattia, per non morire? L’amore di Reita non gli bastava più? La malattia gli aveva tolto anche i sentimenti, gli unici che gli erano ancora rimasti?
Nascose gli occhi abbassando il volto e concentrando tutta la sua attenzione sulle sue scarpe.

“E come ti senti adesso Ruki? Non avresti dovuto saltare la seduta precedente. Stai prendendo i farmaci?” chiese lo psichiatra annottando qualcosa sul suo blocco.
Ruki non poté assistere alla scena, e mosse in modo impercettibile la testa.

“E’ un si?”

“Si dottore”

“Molto bene. Ok, credo che per oggi sia tutto Ruki. Abbiamo parlato anche troppo della tua infanzia. Credo che nella prossima seduta potremo iniziare ad affrontare i ricordi legati a tuo padre, che ne dici?” concluse lo psichiatra sorridendo, chiudendo il blocco per appunti e premendo il tappo della penna. A Ruki venne un brivido, fu costretto a deglutire per non vomitare.
Brutto bastardo. Con il cazzo che ti parlo di quella merda di mio padre

“Certo dottore” rispose, anche se avrebbe voluto mandare al diavolo quell’uomo, che gli era stato commissionato dai medici della clinica. Reita aveva insistito perché andasse alle sedute quando Ruki non avrebbe mai voluto mettere piede in quella stanza. Non aveva bisogno di parlare, ma soltanto di starsene in silenzio. L’unico modo per uscire da quell’inferno era inventare, inventare e dire bugie. Non aveva altra scelta.

“Bene ragazzo. Ci vediamo la prossima settimana. Ora se mi vuoi scusare ho un altro paziente” e detto questo lo psichiatra si alzò, dando le mano a Ruki perché gliela stringesse. Il ragazzo fece quello che faceva sempre alla fine di ogni seduta con riluttanza, sfiorando la mano dell’uomo. Odiava essere toccato, non sapeva nemmeno come facesse a farsi toccare senza paura da Reita, l’unico di cui si fidava ancora nonostante tutto il male che gli aveva arrecato.

“La ringrazio dottore. Ci vediamo la prossima settimana” disse per poi allontanarsi dalla sedia dove aveva trascorso quasi un’ora, facendo scivolare il lavoro a maglia nella borsa nera e conducendola alla spalla. L’uomo sorrise facendo un piccolo inchino e congedando il ragazzo.
Quando Ruki raggiunse la porta chiusa, ebbe quasi un attacco di cuore perché quella si aprì piano davanti a lui. Fu costretto a scostarsi per non ricevere un colpo alla nuca, e lentamente vide un volto spuntare dalla soglia. Era quello di un ragazzo, un ragazzo alto, dai capelli mossi, castani, un castano che Ruki non aveva mai visto prima di allora. Assomigliava moltissimo al miele. Quando lo sconosciuto lo notò, lo guardò come se stesse assistendo ad uno spettacolo doloroso e pieno di male, perché il suo sguardo era così freddo, triste, annebbiato. Non sembrava neppure averlo visto, sembrava navigare nella nebbia, una nebbia fitta, che gli offuscava la vista.

“Dottore…sono in ritardo?” disse entrando, superando Ruki con un passo. Quando il corpo del ragazzo sfiorò per un attimo quello di Ruki, il ragazzo ebbe un violento capogiro, ma grazie al cielo non crollò a terra. Lo guardò per un attimo, un attimo soltanto prima di lasciare la stanza. Anche il ragazzo lo guardò mentre il dottore era impegnato a sistemare gli appunti che riguardavano Ruki, dando di conseguenza le spalle ad entrambi.
Il ragazzo dischiuse le labbra in una delicata o, sorpreso, guardando Ruki, quasi spogliandolo con lo sguardo. In realtà si stava chiedendo chi fosse, se fosse arrivato in ritardo alla seduta. Anche Ruki lo guardò, per un attimo. Indossava un paio di jeans chiari, un cintura marrone ed una camicia a scacchi scura. Sembrava essere appena arrivato da un paesaggio campestre, questo pensò Ruki mordendosi il labbro per non scoppiare in una risatina.
Il ragazzo lo guardò ancora un po’, e prima che lo psichiatra parlasse, il suo sguardo si addolcì. Sembrò quasi sorridere a Ruki, mordendosi il labbro inferiore per poi dischiudere le labbra in un sorriso reale. Fu allora che Ruki abbassò lo sguardo in imbarazzo, per poi voltarsi ed uscire. Prima di lasciarsi definitivamente la porta alle spalle udì in modo distinto, corretto, chiaro, cristallino il dottore ridere ed esclamare

“No Derek, sei puntualissimo, come sempre”.
Ruki non ci rifletté neppure su, sul fatto che per un attimo si era dimenticato come si respira, il modo corretto per lasciar entrare dentro aria pulita. Per un attimo, quel sorriso lo aveva fatto sentire bene, a posto con se stesso, quasi fosse rinato. Era questo che provava, in quell’istante.
Si sentiva rinato.
Sorrise, per tutto il tempo, camminando lungo il corridoio che conduceva alla porta d’ingresso dello studio del suo psichiatra, quasi camminando tre metri sopra il pavimento. Quando uscì, la luce del sole lo avvolse, e lentamente indossò gli occhiali da sole dopo averli estratti dalla borsa.
Quando volse la testa alla sua destra il suo sorriso si spense. Vide Reita fermo accanto alla sua macchina, che lo stava aspettando. Quando lo vide Ruki indietreggiò, e Reita se ne accorse perché smise di sorridere. I due si guardarono a lungo. Ruki non ne fu certo, non ricordò chi dei due mosse per primo il piede, poi l’altro, chi dei due mosse il corpo verso l’altro. Non ne fu certo, ma lui non si era mosso. Quando le braccia di Reita avvolsero il suo corpo, Ruki adagiò la fronte sul suo petto, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare alle lacrime.

“Perché piangi?” chiese Reita conducendo le labbra ai capelli di Ruki, chiudendo gli occhi a sua volta.

“Perché sono tanto felice” rispose Ruki.
Questa volta non stava mentendo, diceva la verità, almeno in parte.
 Non c’era bisogno di parlare, so che è felice di vedermi.
Questo pensò Reita, sorridendo lievemente.
Non c’è bisogno di parlare, so che mi ha creduto.
Questo pensò Ruki, odiandosi, e scontrandosi di nuovo con il disgusto che provava per se stesso.
Perché era vero, era felice, ma non di vedere Reita. Per un secondo, per un attimo soltanto, ripensò allo sguardo di quel ragazzo, di Derek.
E le sue ali di cartapesta fremettero ancora un po’.
Si stavano per liberare, ancora una volta

***note***
Ciao a tutti ^//^ So, lo so! dovrei aggiornare le altre storie,e lo farò, lo prometto, il capitolo nuovo della nuova Reituki è pronto ;) lo sto tenendo in caldo per voi ;) Ma questa cosa la doveva fare. Avevo in mente di scriverla da tempo, soltanto che non riuscivo mai a trovare l'ispirazione e il momento adatto, ma adesso ci voglio provare. Non sarà molto lunga, al massimo quattro capitoli come la precedente, oppure meno, dipende da come mi escono ** 
Che dire, vi ho postato ancora una volta le canzoni che mi hanno ispirata, in special modo la prima, e spero davvero che le parti con quelle canzoni in sottofondo vi siano piaciute ^^ La prima parte in grassetto è il presente, quella in corsivo il passato...
Che cosa succederà nelle vite di Reita e Ruki dopo il disastro? Che cosa è successo agli altri?
Non vi dico altro, spero vi sia piaciuto, che vi abbia trasmesso qualcosa e ci vediamo alla prossima **
Luxie
  
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