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Autore: Silvar tales    27/05/2015    10 recensioni
Sorrideva, senza aprire gli occhi, e continuava ad accarezzare quello sbuffo caldo di vita nato dal suo seme, con il viso immerso nei lunghi riccioli di Padmé, resi se possibile ancor più forti e belli dalla gravidanza.
Sono due... pensò nel dormiveglia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Padmè Amidala
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Simulacra








Quel ragazzo aveva preferito gettarsi nel vuoto piuttosto che afferrare la mano che Fener gli tendeva.
Era precipitato per metri, e metri, e metri, e, complici la poca gravità e un pizzico di fortuna, si era salvato.
Ma questo non era importante. Ciò che davvero pesava, nel cuore di Fener, era che in quell'attimo il ragazzo era convinto di morire. Aveva fatto una scelta e aveva scelto la morte, piuttosto che afferrare la sua mano.

Mio figlio si è suicidato davanti ai miei occhi. È vivo ma non importa. Era convinto di morire. Si è suicidato davanti ai miei occhi.

Chiuso nella sua camera circolare, un guscio nero fuori e bianco dentro che si apriva e si chiudeva similmente alla bocca di un mostro meccanico, con i denti superiori che andavano a baciare le gengive inferiori e viceversa, Fener sedeva immobile.
L'enorme schermo, tramite il quale esercitava il controllo sull'universo, e tramite il quale Darth Sidious esercitava il proprio controllo su di lui, era spento. Era spento, tranne che per una spia rossa, intermittente e fastidiosa. Fener la fissò e cercò di non pensare ad altro, solo all'intervallo regolare di tempo che separava una pulsazione dalla precedente e dalla successiva, e così via.
Ma un'armatura quale la sua, nera, spaventosa, non serviva comunque a tenere fuori i pensieri. E in quanto all'armatura che avrebbe dovuto costruirsi dentro, tanto tempo fa, ormai non vi era più speranza di forgiarla. Pertanto i pensieri uscivano, entravano e turbinavano liberamente, senza alcun controllo, come passassero attraverso un tessuto poroso.
Un pugno di metallo si contrasse dentro un guanto. La mascella si strinse, gli occhi si inumidirono di quel poco che riuscivano a bagnarsi, e i denti si serrarono come dovessero frantumarsi li uni con gli altri.
Ricordi che non credeva di possedere ancora riaffiorarono, come teste di mostri dalla superficie melmosa di un lago.
Aveva visto Padmé altre volte, dopo la loro separazione, ma era sempre stato in sogno. E invece, ora, il suo viso galleggiava lì, dietro ai suoi occhi, nitido.
Era certo, era sicurissimo di aver dimenticato le sue sembianze, e invece eccola lì, con il volto contratto dalle lacrime, dall'angoscia, e dal sentore di una catastrofe già avvenuta.
Eccola lì, a rifiutare anche lei la sua mano.

Non verrò mai con te!

Le parole erano di Luke, ma a pronunciarle era stata Padmé, tanto tempo prima.

La luce rossa intermittente era ancora lì, conficcata nella sua retina, ma non era più la spia dello schermo che lo collegava direttamente all'Imperatore, era il pulsante di accensione della sveglia, posta sul suo comodino.
Anakin aprì pigro gli occhi, la guancia sinistra era premuta contro un cuscino foderato di seta. I riccioli biondi gli cadevano sul naso, e li scostò per vedere meglio l'ora.
Mancava poco alle prime luci dell'alba. l'alba giungeva prima per chi abitava le vette dell'Ecumenopoli di Coruscant, mentre coloro che abitavano in prossimità della superficie rischiavano di non vederla mai.
Un vento fresco e pacato gonfiava le bianche tende, unica divisoria che separava la camera dall'ampio balcone. Il vento ghiacciava la sottile patina di sudore che ricopriva la sua schiena nuda, rivolta verso il soffitto.
Era stata una notte calda, e calda lo sarebbe stata anche senza le loro interminabili giravolte tra le coperte, che si erano inoltrate sino ai preludi del mattino.
Anakin si sentì eccitato al solo ricordo.
Erano trascorsi ormai due anni dal loro furtivo matrimonio su Naboo, e tante notti da non poterle contare. Eppure, la passione tra loro ancora non accennava ad attenuarsi. Erano ancora pazzamente innamorati l'uno dell'altra, anche se i loro ruoli avevano cambiato di segno.
Anakin era infine cresciuto, una volta per tutte. Non era più il ragazzino impulsivo che su Geonosis si era buttato a capofitto tra le fauci della rovina, era un uomo. Non più un Padawan, ma un Cavaliere Jedi. La treccia gli era stata recisa, e ora i suoi capelli gli arrivavano alle spalle. La loro differenza di età, se prima era lampante, ora si era del tutto appianata.

Sommessi mugolii dissero ad Anakin che Padmé stava aprendo gli occhi. Si voltò verso di lei, e vide tuttavia che i suoi occhi rimanevano chiusi, ma le labbra si erano piegate in un dolce sorriso, e il suo respiro regolare si era interrotto.
«Torna a dormire amore mio», le sussurrò all'orecchio, accarezzandole i capelli in disordine. «Non è ancora l'alba».
«Ti stavo sognando, Ani». Prese un profondo respiro. «Ti stavo sognando, poi sei uscito dai miei sogni. Dovevi proprio svegliarti? Scommetto che eri proprio tu ad essere nel mio sogno, e che anche tu stavi sognando la stessa cosa».
In verità Anakin non aveva affatto sognato Padmé quella notte, ma non osò dirglielo. Lasciò che si crogiolasse nei dolci pensieri del risveglio, che ancora sapevano di onirico.
«E cos'hai sognato, se posso chiederlo?»
Lei sorrise, cristallina e imbarazzata, e finalmente aprì gli occhi.
«Non puoi».
«Oh, qualcosa che non si può dire?» Rise Anakin, rotolando sopra di lei e passando le mani lungo i suoi fianchi accaldati.
«Che non si può dire, ma che si può fare».
Padmé sollevò il bacino ad incontrare i fianchi di Anakin, e Anakin scivolò piano dentro di lei, stringendo in pugno le lenzuola. Padmé chiuse le ginocchia attorno ai suoi fianchi forti, che si muovevano sempre più veloci. Gli passò un braccio dietro al collo, e gli carezzò i capelli umidi sulla nuca, fino a che non arrivò a stringerli forte in pugno. Continuava a chiamare il suo nome, come se cantasse. Lo ripeteva sempre più forte.
Anakin ansimava contro il suo orecchio, la baciava sul collo, talvolta tirava fuori la lingua e la leccava un poco sul rilievo della clavicola, sulla guancia, dietro l'orecchio.
Finché, man mano che andava avanti, non gli fu più possibile fare alcunché che stringere gli occhi e i denti, e possederla soltanto.
Infine sentì il delicato corpo sotto di lui irrigidirsi, e poi d'un tratto rilassarsi subito dopo. E allora seppe che doveva farla finita in pochi altri colpi, se non voleva procurarle fastidio. E così fece.
Dopodiché, Anakin si sfilò dalle sue gambe, e rise sommessamente. La solleticò sulla pancia, e poi disse, senza preavviso: «apri la mano».
«Quale mano?» chiese Padmé, fingendo di essere risentita. Anakin rise, annuendo con convinzione, per poi nascondere il viso nell'incavo del suo collo e solleticarla con il proprio respiro, reso affannoso dal riso, sulla sua pelle. «Quella con cui mi hai fatto lo scalpo...»
Anakin le afferrò il polso della mano sinistra, e aprì quelle dita sottili che prima si erano chiuse con tanta forza sui suoi capelli. Sulla pelle pallida del suo palmo, spiccavano alcuni fili biondi. «Ah eccole, le prove... Ahi!» Scherzò Anakin, massaggiandosi la testa e corrugando il viso, fingendo di provare dolore.
«Quante storie, mio forte Cavaliere Jedi, per qualche capello strappato...» Lo rimbeccò lei.
Risero ancora, si rotolarono ancora un po' tra le coperte, ma poi fu il momento di tornare seri.
Anakin scese dal letto. Padmé invece si mise a sedere sul cuscino. Raccolse le ginocchia al petto, coprendo la sua intimità, e osservò Anakin che si affaccendava per la stanza, cercando di radunare i suoi vestiti. Padmé strinse le cosce, come se cercasse di mantenere più a lungo possibile il suo calore tra le gambe. Le sue guance erano arrossate, i suoi capelli arruffati, le sue labbra erano piegate in un sorriso soddisfatto, il suo seno tremava e al contempo si abbassava e si alzava frenetico.
Anakin sorrise, dedicandole un profondo sguardo denso di sentimenti. Solo lui aveva il privilegio di vedere la senatrice Amidala in una tale intimità: senza trucco a sbiancarle il viso, senza profumo a coprire il suo naturale pizzicore, senza vestiti, senza pudore, senza cerimonie.
«Devi già andare, non è vero?»
«Non era mia intenzione. La mia intenzione era quella di scaldarti il letto anche per la notte che viene, e per quelle successive, e perdermi tra le sue falde fino a dimenticarmi di tutto il resto, mia senatrice».
«Potresti farlo», tentò lei, pur essendo consapevolissima di parlare retoricamente. Con un balzo scese dal letto e gli circondò la vita. Ora sotto le sue mani non c'era più la sua pelle, ma la scivolosa stoffa sintetica della sua tunica.
«Non dovresti parlare così a un Cavaliere Jedi», la prese in giro lui, pizzicandole i fianchi e rubandole qualche risatina. «Noi proteggiamo la Galassia, e anche il suo regalissimo sedere, mia senatrice», la provocò, pizzicandola sulla natica destra.
«Oh!» Padmé prese a schiaffeggiarlo per scherzo. Anakin rise e la spinse all'indietro, fino a farla cadere nuovamente sul letto.
La baciò sulla fronte e la guardò a lungo negli occhi.
Padmé ricambiò il suo sguardo, e non ci fu bisogno di dire altro.


*




Sei mesi dopo, il letto era diventato più stretto.
Anakin si svegliava ancora nel cuore della notte, di tanto in tanto. E quando accadeva, circondava il torace di Padmé passando le mani sulla sua pancia, e sotto le dita sentiva lo spigolo di un minuscolo piede. Sorrideva, senza aprire gli occhi, e continuava ad accarezzare quello sbuffo caldo di vita nato dal suo seme, con il viso immerso nei lunghi riccioli di Padmé, resi se possibile ancor più forti e belli dalla gravidanza.
Sono due... pensò nel dormiveglia. Un pensiero che pareva così concreto ottenebrato dalla notte, ma che puntualmente svaniva come fosse foschia da evaporazione la mattina, scacciato dalla luce impertinente del giorno.
«Padmé...» Anakin allungò un braccio verso la sua scapola, le girò delicatamente il volto e prese a baciarla, a baciarla, a baciarla...
Ma le sue braccia erano di metallo e non riuscivano più a trasmetterle alcun calore, le sue labbra e le sue guance erano ustionate, e Padmé si allontanò con ribrezzo, con il disgusto dipinto in volto.
Poi prese a picchiarlo furiosa, a piangere e a gridare qualcosa che assomigliava a una richiesta d'aiuto e al contempo a una maledizione.
E Anakin non poté far altro che alzare impotente le braccia meccaniche davanti al viso, nel tentativo di proteggersi da quei colpi ciechi e furibondi.
«No, amore mio, fermati, basta, mi dispiace... mi dispiace! Io ti amo! Vi amo! Non volevo... volevo solo tenervi al sicuro... volevo solo salvarti...»
Ora la pelle di Padmé non era più rosea, i suoi occhi e i suoi capelli non più castani, il suo vestito non più azzurro. Ora vedeva ogni cosa colorata di una virtuale sfumatura verdastra, ogni oggetto e ogni volto scomposto e ricomposto in un reticolato fatto di innumerevoli microscopici quadratini.
«Ci hai abbandonati! Ci hai traditi! Ci hai uccisi!»
Non era più Anakin, era Darth Fener. E Darth Fener non poteva permettersi il lusso del ricordo.

Fener aprì gli occhi su un mondo nero.
Si era addormentato. Era una cosa che gli accadeva di rado, e ancor più di rado gli accadeva di sognare. Era convinto di aver dimenticato il volto, le sembianze, il nome di Padmé Amidala, ma i volti di Luke e Leila, così simili a lei e così simili a lui, erano riusciti a riesumare dai più bui recessi della sua anima ricordi che davvero non credeva di possedere ancora. Da sveglio.
Le sporadiche volte in cui aveva sognato Padmé, ogni volta i sogni procedevano alla stessa maniera: un ricordo, vero e vivido come appartenesse al presente, un ricordo dolce, che poi degenerava sempre allo stesso modo.
I baci di Padmé diventavano morsi, e poi le sue urla pregne di angoscia, il suo pianto, un misto di odio e dolore. Era come se la sua anima inquieta continuasse a incolparlo, come se non trovasse riposo fintanto che lui non avesse trovato riposo.
Fener alzò una mano a coprire la plastica che gli schermava gli occhi. C'era mai stato un momento, nella sua vita, in cui il suo cuore fosse rimasto sgombro dal conflitto?
Il fantasma dolente e rancoroso di Padmé sicuramente non esisteva in altro luogo che nella sua mente, eppure ciò bastava a tormentarlo, quei rari momenti in cui riappariva.
Ma il fantasma era nel torto. Tutti loro erano nel torto, Padmé, Obi-Wan, Leila, Luke... lui aveva tracciato davanti ai loro piedi una strada di luce e salvezza, una strada che conduceva verso l'onnipotenza, e gli stolti, uno dopo l'altro, avevano deciso di non percorrerla, lasciandolo da solo. Avevano preferito rifugiarsi nelle falde della loro falsa democrazia, nella loro parvenza di libertà. Usavano parole eleganti per esprimere concetti nobili, ma tutto ciò a cui quelle parole e quei dinieghi servivano era non accettare la loro debolezza.
Erano deboli, tutti quanti.
Se solo avesse potuto, avrebbe pianto, ancora tramortito dalla violenza e, soprattutto, dal sudario di felicità che aveva assaggiato in sogno. Ma ciò che non avrebbe mai ammesso a sé stesso, era che le sue lacrime sarebbero state un'ulteriore maschera per dimenticarsi che il debole fu lui.

La spia rossa smise di lampeggiare, e lo schermo si accese, e quella luminosità accecante spazzò via anche gli ultimi residui del sogno.
Fener piegò un ginocchio a terra.

«Sì, mio signore».







Oh, sweet sleep,
Rest subduing fear.
Oh, sweet sleep,
Rest subduing fear,
Oh death, sweet sleep.

   
 
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