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Autore: Nurelnico    28/05/2015    4 recensioni
Newton Creek, una piccola città del South Dakota, dove forse le persone sanno più di quello che vogliono dire. Mentre Ryan e Victoria cercheranno di trovare le risposte ai loro dubbi, tra bugie, rapimenti, incomprensioni e paura, la storia ruoterà intorno ad un circo abbandonato nella zona di Hampton, nella periferia della città, che forse non è poi così abbandonato come si credeva da tempo, ma è il luogo ideale per nascondere qualcosa di importante ed evitare che qualche ficcanaso vada a curiosare.
Però la curiosità è una brutta bestia, soprattutto se alimentata dalla speranza.
Dal capitolo 2 "«anzi, non è bene neanche che vi siate incrociati. Devo gestire meglio gli orari» disse sedendosi sulla poltrona come tante altre volte."
è il mio primo esperimento, quindi vorrei avere dei commenti da voi lettori su come migliorare. Spero che vi piaccia e che con il passare dei capitoli vi appassioni.
Dal capitolo 3 "Salì e partì facendo stridere gli pneumatici sull’asfalto.
-Devo assolutamente tornare a casa.-"
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Bianco. Solo un’infinita distesa bianca, senza dettagli, senza ombre.
Un immenso e sconfinato spazio vuoto.
Impossibile orientarsi, definire se ci si stava muovendo realmente oppure se qualcosa si stava muovendo, poiché non c’erano punti di riferimento.
Ryan era cosciente di esistere in quello spazio, almeno credeva di esserlo ma non aveva minimamente idea di dove si trovasse.
«Dove sono?» Disse ad alta voce, oppure stava pensando di averlo detto?, ma niente o nessuno venne in soccorso per rispondere alla domanda. Era in un limbo, forse intrappolato per l’eternità.  «Sono morto.» fu il suo secondo pensiero. «Solo l’aldilà può essere un posto così vuoto e pieno di luce. »
Questa sensazione di vuoto lo stava facendo sentire male, tuttavia un leggero vento lo distolse dai suoi pensieri. Proveniva dal basso e aumentava a ogni secondo che passava, diventando quasi un getto d’aria simile a quello che aveva visto tante volte durante i documentari sui tornado. Immaginò di stare volando proprio come un supereroe, poi pensò di essere in caduta libera, pronto ad aprire il paracadute, anche se non era esattamente come lo aveva immaginato.
Un puntino nero comparve da fronte ai suoi occhi, proprio nella direzione da cui proveniva il vento, in un punto che il ragazzo definì come “orizzonte”. Quel puntino si stava avvicinando, diventando sempre più grande come se si stesse avvicinando, o forse era lui che si stava avvicinando a quell’oggetto misterioso, ora poteva distinguerne i contorni neri e squadrati, come se si stesse avvicinando a una scatola nera, ma questa s’ingrandiva ancora e ancora.
In un attimo capì che non era una scatola, ma una porta «forse è la mia via d’uscita!» pensò quasi sollevato.
Prima di schiantarsi contro quella porta misteriosa, tutto si fermò lasciandogli la possibilità di osservarla meglio: all’apparenza sembrava una normalissima porta di legno, a doppia anta, con delle maniglie in ottone lucido lavorate con una fantasia simile a delle foglie.
Fece un giro intorno al curioso passaggio e notò che anche sulla parte opposta rispetto a dove era arrivato, la porta era identica, perfettamente speculare.
Ryan si guardò intorno, perplesso, indeciso e insicuro sul da farsi; provò ad appoggiare prima una mano sulla porta, giusto per essere sicuro che fosse realmente lì, poi ci mise un orecchio contro, sperando di percepire qualche suono, sebbene fosse già riuscito a fare un giro completo intorno alla porta, ma non sentì alcun suono. L’unica soluzione era aprire la porta e vedere cosa c’era oltre.
Poggiò la mano sulla maniglia, rabbrividendo al contatto con il freddo metallo. Fece una leggera pressione facendola ruotare, fino a che non si aprì.
Sebbene la porta fosse aperta, Ryan non vedeva altro che il bianco, come se il passaggio non portasse a nulla. Mosse un passo in direzione dell’apertura e ci passò attraverso.
Lo stupore che lo colse fu enorme: si aspettava di ritrovarsi ancora in quel mondo bianco,, come gli occhi gli avevano suggerito, eppure adesso era in un corridoio come l’ingresso di un circo, con un pavimento a scacchi bianco e nero e delle pareti costituite da drappi di pesante velluto nero, mentre alcune candele rappresentavano l’unica forma di luce.
«Deve essere un sogno.» disse avanzando con circospezione. «E se avessi ragione, adesso dovrei svegliarmi.» continuò a voce più alta prima di fare una pausa, in attesa di qualcosa che non avvenne.
Fece un sospiro sentendosi sconfitto per la totale mancanza di controllo sulla situazione in cui si trovava e per farsi coraggio per continuare ad avanzare.
Il corridoio sembrava più corto di quanto si stesse realmente rivelando, ma alla fine si ritrovò in un enorme salone in stile vittoriano.
Un grande camino troneggiava al centro della stanza, facendo luce su due poltrone in pelle separate da un piccolo tavolino, ma quello che subito dopo attirò l’attenzione del ragazzo fu la quantità di libri che ricoprivano le pareti: non era in un normale salone. Era in un’enorme biblioteca.
Si avvicinò alle poltrone con il naso ancora all’insù a osservare i libri provando a stimarne il numero, ma senza successo. Come urtò una delle due sedie si girò e solo allora si rese conto che erano vuote, ma non si aspettava affatto di sentire una voce.
«Benvenuto nella mia umile dimora, giovane Ryan.» lo salutò una voce. Aveva qualcosa di familiare, era calda, sicura e decisa eppure si percepiva che non voleva incutere timore e non era ostile. L’uomo cui apparteneva la voce si trovava in cima alle scale, guardando in basso verso il giovane. Era ben vestito, come se dovesse partecipare a un evento pubblico, con un vestito gessato scuro, le mani appoggiate al parapetto lasciavano intravedere un anello alla mano destra che rifletteva la luce proveniente dal camino, tuttavia i lineamenti del suo viso rimanevano incerti: poteva vedere la sua mascella squadrata, ma nessun altro dettaglio era apertamente distinguibile, come se una leggera nebbia nascondesse il volto dell’interlocutore.
«È finalmente giunto il momento del nostro incontro, sebbene sia stato tu a decidere il momento e il luogo. » continuò l’uomo, iniziando a scendere lentamente le scale.
Ryan lo seguì con lo sguardo rimanendo abbastanza confuso dalle sue parole, cercando di comprendere effettivamente come fosse possibile che fosse stato lui a organizzare un incontro del genere con un perfetto sconosciuto che sembrava, tra le altre cose, conoscerlo direttamente.
«Sì, Ryan. Siamo in un sogno.» esordì la figura misteriosa prima che il ragazzo potesse esprimere i suoi dubbi «e non ha minimamente importanza chi io sia, poiché sono frutto del tuo subconscio. Una personificazione di qualcosa che hai sempre saputo e che non hai mai collegato alla realtà» continuò l’uomo prima di invitarlo a sedersi.
«Non hai mai notato che tutte le foto di famiglia hanno qualcosa di strano? Come se mancasse una parte importante o che fossero state modificate?» chiese guardandolo negli occhi.
Effettivamente il ragazzo ricordava che da piccolo i suoi genitori non gli avevano mai permesso di portare le foto di famiglia a scuola durante le giornate di “mostra e racconta”, ma era troppo piccolo per insistere e le spiegazioni ricevute erano state sufficienti a placare la sua curiosità.
«Non è il mio compito spiegarti queste cose, anche perché non posso, visto che sono una figura derivata dalle tue conoscenze, quindi neanche io so cosa stai cercando in maniera inconscia, né perché dovresti farlo,» si fermò alzandosi e dirigendosi verso una finestra «ma posso dirti dove andare a cercare qualcosa che potrebbe aiutarti. Vieni a vedere.»
Ryan si alzò accostandosi all’estraneo guardando fuori dalla finestra: da lì riusciva a vedere il vecchio tendone del circo di Hampton, una zona in periferia abbastanza larga da poter ospitare un circo e un parco divertimenti, anche se ormai era chiusa da diversi anni.
«Quale sarebbe il collegamento tra le foto, il circo e questo?» chiese il giovane «perché dovrei andare in un posto del genere? Senza neanche sapere cosa sto cercando?» continuò alzando la voce. Questa mancanza di certezze lo infastidiva visibilmente e andava peggiorando a causa della convinzione che non avrebbe ottenuto molte informazioni da quella conversazione.
«Capisco la tua frustrazione, Ryan,» disse l’uomo quasi come se gli avesse letto nel pensiero «ma tutto quello che so è esattamente quello che sai tu, solo che il mio compito è di farti ricordare qualcosa. Anche se non so a che scopo.» rispose l’uomo poggiandogli una mano sulla spalla. «Ora che ho assolto il mio dovere, è giunto il momento di congedarci».
Il giovane fece in tempo a sentire il fruscio della stoffa e il suono metallico del cane di una pistola che veniva caricata, prima che il rumore assordante dello sparo lo costrinse a tapparsi le orecchie.
Vide il corpo dell’uomo cadere a terra.
La testa ormai era diventata una massa informe e rossa.
Il ragazzo provò a cercare aiuto, a urlare, ma l’unica voce che sentì fu il suo urlo come si ritrovò nel proprio letto, nella sua camera, nella sua casa, nella realtà.
Dalla luce che entrava dalla finestra, ormai doveva essere giorno. Il ragazzo si mise seduto sul letto e si stropicciò gli occhi con ancora le ultime immagini del sogno stampate nella mente.
Finalmente tutto era finito, quel folle sogno era ormai acqua passata e presto lo avrebbe dimenticato come tutti gli altri sogni, anche se la sensazione di disagio rimaneva.
Fece un respiro profondo e si voltò a prendere il telefono e solo allora vide il biglietto lasciato davanti ad un pupazzetto di un clown.
 
VALIDO PER UN INGRESSO OMAGGIO AL CIRCO!
Ricorda di portare un amico, così ci divertiremo di più.
 
Il ragazzo prese il biglietto e lo osservò mentre un misto di emozioni, tra cui sorpresa, paura e perplessità, lo assaliva: evidentemente quel sogno non era del tutto infondato.
Il rumore di passi, però, interruppe i suoi ragionamenti.
Chi aveva lasciato il biglietto doveva essere ancora dentro l’appartamento.
Si alzò di scatto e, cercando di fare meno rumore possibile, uscì dalla stanza ma solo dopo avere impugnato la mazza da baseball poggiata di fianco alla porta.
Tese l’orecchio cercando di captare ogni minimo suono proveniente dalle stanze, ma tutto taceva. Controllò tutte le stanze fino a che non si rese conto che la porta era spalancata. L’intruso doveva essere già uscito.
Il ragazzo fece un sospiro per scaricare la tensione e tornò in camera per osservare meglio il biglietto: era un comunissimo biglietto del circo, come quelli che venivano lasciati dagli ambulanti ai semafori in cambio di una moneta, eppure questo risultava inquietante, quasi alieno, in relazione a quanto era successo poco prima.
Decise che era il caso di parlare di queste cose prima con il dottor Bennett e poi con la polizia, ma prima avvertì la necessità di una doccia, visto che l’appuntamento con lo psicologo era fissato per il primo pomeriggio del giorno stesso.
  
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