Anime & Manga > Tokyo Ghoul
Ricorda la storia  |      
Autore: marzia ds    28/05/2015    1 recensioni
"Graffi il legno sotto quel tappeto di boccioli e corolle, ti liberi dalla morsa che t’impediva di correre al suo fianco: lanci via la maschera che stringe spasmodicamente, gli riscaldi le mani gelide sperando che il suo corpo riprenda colore, gli baci le guance e le tue iridi non riescono a smettere di osservarlo, pregne di disperazione infinita.
Non accade nulla: lui non si risveglia, le sue gote non diventano porpora, non si gratta la nuca imbarazzato, non ti culla mentre ti rimprovera per quanto l’hai fatto preoccupare, per quanto abbia sofferto lontano da te."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaneki Ken, Nagachika Hideyoshi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Main theme

Cammini calciando via i ciottoli, circondato dalle ombre dei cipressi che danzano sulla strada sterrata, rincorrendosi giocosamente fra sassi e fili d’erba, foglie mangiate e vegetazione incolta.

Conti i passi che compi mentre il vento ti scompiglia i capelli bruni, osservi la strada senza mai distogliere lo sguardo, le nuvole recitano una tragedia senza orchestra dinanzi ai tuoi occhi stanchi e tu applaudi silenziosamente, commosso, fermandoti solo quando il sole fa calare il sipario e la sua luce ti carezza le ciocche scure, provocandoti un moto di fastidio.

Siedi sotto un albero quando la fame ti assale, il tuo corpo si nutre di fiori e frutti, assaggi e inghiotti mele e pere, ciliegie, castagne, more e uva, fragole: ti sembra di non esser mai sazio, continui a mangiare nell’ombra di una chioma maestosa, i pantaloni sporchi di terriccio.
Riposi cullato dalla brezza, leggi un libro dalla copertina logora e ammiri la dedica appuntata con una grafia elegante dal tuo defunto padre, contempli le dolci e affettuose parole rivolte a tua madre, rinasci rinvigorito da quell’amore parentale di cui senti nostalgia.

 
O forse totale mancanza?

Riprendi il tuo viaggio con passo lento, cadenzato, le tue iridi chiare analizzano il paesaggio scoprendone sempre nuovi dettagli, apprezzi i colori vividi che ti feriscono la vista, osservi interdetto la maestosità di un campo di fiori che sorge poco lontano da te e decidi di sedere su di un muricciolo, sbattendo le ciglia lunghe, le palpebre d’un tratto umide, madide come le tue guance rosate e le labbra screpolate.

Ogni girasole è perfetto, dalla corolla splendente, si erge fiero e si bea del calore premuroso di quell’astro che, generosamente, illumina e carezza, facendone crescere sempre più.

Non puoi che commuoverti dinanzi a tanta bellezza, il cuore palpita seguendo le note di una sonata che non ricordi, che simuli con lenti movimenti delle mani affusolate, deciso a fermarti solo quando, lontano, immerso nella distesa di foglie e petali, non scorgi un dettaglio fuori luogo, un bagliore riflesso che ti fa storcere il naso.

Balzi giù dal muretto a secco e t’incammini, muovi un passo dietro l’altro in quella foresta di steli stando ben attento a non rovinarne alcuno, premuroso verso quell’opera che ammiri, peccando d’infinita avarizia.

Ti mancano poche falcate e sarai arrivato, ne sei certo, i girasoli ti ostacolano la vista ma t’invitano, carezzandoti i fianchi, a continuare il tuo cammino.

La curiosità invade i tuoi sensi: la vista si acuisce, le dita fremono, l’olfatto tenta disperato di percepire nuove fragranze, l’udito è cullato dalla brezza che consegna il musicale cinguettio di passeri e pettirossi.

Cosa troverai mai in quel labirinto di petali? Continui a sperare che non sia nulla di sconveniente, sai bene come l’interesse eccessivo possa portare a disastri irreparabili.

È in quel preciso istante che i tuoi piedi arrestano il loro cammino, che la tua mente, repentinamente, inizia a mostrarti l’ombra di una figura che corre e sorride e consola, entità vestita di bianca luce.

Percepisci il suo sorriso ma non sei in grado di rimembrarlo, sei scosso dalla consapevolezza della sua magnificenza eppure il tuo stesso corpo freme e intralcia il processo di reminiscenza.

Non sapresti dire a chi appartiene l’ombra nei tuoi ricordi eppure il peso che ti opprime il cuore dichiara a gran voce quanto questi importasse per te, quanto l’aver dimenticato ti renda complice di un fosco crimine in grado di macchiarti l’anima.

Un sasso s’intromette nel vaneggiar dei tuoi pensieri, crolli al suolo e i tuoi vestiti si sporcano di terra e polvere mentre i fiori intorno a te disegnano sulla tua figura arabeschi di petali bagnati dal sole, rendendoti dunque parte della composizione naturale che ti affascina e circonda.

Allunghi una mano dinanzi a te e le tue dita incontrano del tessuto, consistenza totalmente estranea nonché fonte di quel bagliore che da lontano ti attrae simile a un faro che, aggettante sulla scogliera scoscesa, invita a sé navi e naufraghi.

Incroci le gambe e siedi nel bel mezzo di quel campo senza confini, la felpa cangiante appena rinvenuta stretta fra i palmi sporchi, pregna di un odore si famigliare ma al quale non riesci a dare una provenienza, un’identità.

Profuma di casa, di nostalgia, di carne succulenta e di piacevoli pomeriggi passati in compagnia, non più solo ma affiancato da quella persona che cerchi disperatamente di ricordare pur non riuscendoci mai.

Il campo sparisce, la notte cala, il freddo ti scuote le membra e tu sei di nero vestito, ti mescoli al paesaggio, a quella brughiera notturna che non riconosci, a te totalmente estranea.

Continui a camminare, la felpa ora indosso, la rabbia che comincia a montarti in petto e tu non sai assolutamente come gestirla: sei sempre stato paziente, mansueto, una tale foga non ti appartiene, ti sfianca.

Il bisogno di correre ti assale, serri le palpebre mentre il vento ti contrasta, l’odore intriso nella trama del tessuto ti ovatta i sensi e la tua mente ricicla scene della tua vita sofferente.

Lo sguardo corrucciato di Touka ti trapassa le membra, le sorridi goffamente e procedi verso il prossimo tavolo, due tazze di caffè strette al petto.

Hinami ti sorride, ti corre incontro e ti abbraccia più che può: il suo affetto spropositato ti culla, la sua fiducia incrollabile ti lusinga, le concedi velocemente una carezza e corri a prendere la prossima ordinazione.

Irimi e Koma seguono i tuoi movimenti, ti concedono un sorriso e continuano a parlare con i clienti seduti al bancone, la bruna composta e intenta ad asciugare alcuni bicchieri, il castano invece tutto preso nel raccontare con foga un qualche aneddoto.

Yoshimura è appena rientrato, guarda litigare Touka e Nishio, concede loro uno sguardo benevolo e si ritira al piano superiore, lasciando ogni cosa nelle mani di quella che è la sua famiglia.

È una scena quotidiana, vissuta moltissime volte, ti rende felice.
                           Eppure qualcosa non va.

I tuoi passi rimbombano sul parquet, risuonano unendosi al caos del locale: tutto improvvisamente tace.

Scivoli, crolli riverso sul pavimento, ti volti per capire cosa possa essere successo e ti ritrovi in una pozza limpida di sangue.

Trasalisci, le tue spalle vengono scosse da infiniti gemiti, non puoi fare a meno di urlare e strepitare mentre la tua voce riecheggia in quella landa desolata.

I tuoi capelli sono tinti di bianco candido ora, il kakugan risplende nel buio della notte, la luna illumina la tua figura solitaria immersa nell’acqua di un lago che non sapevi di aver raggiunto.

Poco lontano da te sosta una piccola imbarcazione, una nave funeraria, barca dalla quale tracimano fiori d’ogni colore, tanto iridescenti da esser visibili nonostante il buio della sera.

I tuoi abiti sono zuppi, le tue membra implorano pietà, sfinite, eppure la consapevolezza di aver raggiunto finalmente la tua meta ti spinge a continuare, a camminare ancora finché il tuo animo non sarà finalmente quieto.

Sfiori ritroso le assi di legno lucido, galleggi nell’acqua torbida e rifletti sul da farsi: tutto il tuo essere è inquieto, scosso, ti spinge a profanare quel sepolcro senza curarti delle conseguenze di quel tuo empio gesto eppure, una minima parte di te, continua ad ancorarti alle correnti che ti circondano e ti trascinano verso il basso, in profondità.

Cosa fare, dunque?

La risposta che cercavi ti cade fra le braccia, scivola via dal mazzo al quale apparteneva e si ferma fra le tue dita tremanti: l’ultimo ricordo che hai di una calla risale alla tua infanzia, alla morte di tua madre eppure non riesci a considerarlo un segno malevolo, tutt’altro.

Pensavi fosse molto più ostico quel tuo gesto profano eppure le tue gambe ti spingono naturalmente verso l’alto, le tue braccia superano facilmente il confine di quei fiori, il tuo intero corpo sembra spronarti a entrare.

La tua schiena s’inabissa fra decine di gigli del ragno rosso, ti circondano ma non sembrano soffocarti, ti trasmettono una soffice fitta al petto ma non lo trovi eccessivamente doloroso.

Quel che ti crea dolore, invece, è ciò su cui si posano poco dopo le tue iridi, divenendo umide prima che tu possa rendertene conto: è vestito di bianco e stringe fra le mani la tua maschera, i suoi capelli biondi sono corti come quando eravate ancora insieme, il suo viso è contratto in una smorfia di dolore mentre le sue labbra sono naturalmente curvate verso l’alto.

“Hide!”

Urli il suo nome e cerchi di raggiungerlo, ti senti goffo e i fiori sembra che t’impediscano di proseguire.
Perché? Perché?!

Lui non risponde, il suo volto è rischiarato dal bagliore della luna, i suoi muscoli sono immobili.
Dovevo salvarti, dovevo salvarti!

Vuoi raggiungerlo, vuoi stringerlo, vuoi condividere il tuo tempo con lui, tutto quello che ti rimane.
Non può essere successo davvero.

Vuoi che ti risponda.

Graffi il legno sotto quel tappeto di boccioli e corolle, ti liberi dalla morsa che t’impediva di correre al suo fianco: lanci via la maschera che stringe spasmodicamente, gli riscaldi le mani gelide sperando che il suo corpo riprenda colore, gli baci le guance e le tue iridi non riescono a smettere di osservarlo, pregne di disperazione infinita.

Non accade nulla: lui non si risveglia, le sue gote non diventano porpora, non si gratta la nuca imbarazzato, non ti culla mentre ti rimprovera per quanto l’hai fatto preoccupare, per quanto abbia sofferto lontano da te.
Come hai potuto abbandonarlo?

Alzi le sue braccia inerti, poggi l’orecchio contro il suo petto e ti fai stringere in quel freddo abbraccio, desiderando solo di poter morire lì, insieme a lui, di scomparire nell’illusione di quel vostro ultimo istante.

Piangi, la barca si allontana, il suo viso si distende in un sorriso sincero e tu respiri a pieni polmoni il suo odore.

Sei finalmente tornato a casa.


Angoletto Autrice

Prendete questa storia come un viaggio compiuto da Kaneki dopo la sua morte, itinerario svolto alla ricerca di colui che gli è sempre stato accanto e che gli è morto fra le braccia, Hide. Ambientata nell'universo del root A, scritta dopo aver rivisto l'ultimo episodio della serie.
Spero che vi sia piaciuta.

Bye By marzia ds  
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Ghoul / Vai alla pagina dell'autore: marzia ds