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Autore: Gobbigliaverde    28/05/2015    5 recensioni
Dal testo: "Se lei stava male, stava male anche lui. Inutile dire che la lontananza da casa non faceva bene a nessuno dei due. Anche se vivevano da cinque anni negli Stati Uniti, il loro cuore era rimasto là, nella loro vera casa, sulla spiaggia, al Rikki’s, e specialmente a Mako. Eppure lui ne sentiva la mancanza solo quando era lontano da lei, quando non la stringeva a se, quando non sentiva il suo profumo… Lei era la sua vera casa."
-coppia Cleo/Lewis... :)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’appartamento silenzioso le dava ai nervi. Era sveglia dalle sette di mattina e non era ancora riuscita a rivolgere la parola ad anima viva. Come al solito. Erano quasi nove mesi che se ne stava sdraiata su quel maledetto divano in pelle. E ogni giorno si sentiva più arrabbiata con il mondo. Ormai conosceva ogni più piccolo dettaglio del salottino con le pareti color sabbia. L’unica cosa che variava di giorno in giorno era l’accumularsi della polvere, che sembrava aver coperto ogni cosa. Non poteva aspettarsi che lui imparasse a fare le pulizie senza rompere nulla. Lewis viveva nel suo mondo, era distratto, fastidioso, e talvolta anche troppo pignolo, soprattutto quando si fissava in testa di fare qualcosa. Eppure quando alla sera, sentiva il rumore dei suoi passi sulle scale del condominio, e le chiavi di casa nella serratura, le sue orecchie si drizzavano come antenne, e tutta la malinconia della giornata passata in solitudine svaniva.
    Quel giorno però, sembrava tutto diverso. Lui era tornato prima, dovevano prepararsi per andare a fare l’ennesima ecografia. Questa probabilmente sarebbe stata l’ultima, prima del parto. Le sembrava strano pensare di perdere da un giorno all’altro quell’enorme pancia che aveva visto crescere e gonfiarsi per intere settimane. Era appena riuscita a farci l’abitudine.
    Ma c’era qualcos’altro che la turbava, un tarlo che le trapanava la mente da ormai diversi giorni. Il marito percorse a grandi falcate la stanza, dirigendosi verso di lei per sedersi sul divano vicino al suo grembo, come ogni giorno. Forse era quello il momento migliore per prendere coraggio. Glie lo avrebbe chiesto.
    — Lewis… Vorrei… Vorrei tornare a Mako…
    Lui sorrise e le diede un buffetto sul naso. — Appena la gravidanza sarà finita ti porterò dove vuoi.
    Si avvicinò alle labbra di Cleo, fino a sfiorarle, ma lei scostò il viso con sguardo infastidito. — Sai cosa intendo.
    — Non esiste. Non posso portarti a Mako proprio adesso. Sai bene che anche solo alzandoti in piedi rischi di perdere il bambino — disse lui, rabbuiandosi.
    — Io devo andarci — replicò sostenendo lo sguardo severo del compagno.
    Lewis scosse il capo. Non poteva permettere di farle mettere in pericolo se stessa e suo figlio. Le accarezzò il ventre, la pelle tirata lasciava scorgere i calcetti che il piccolo dava ogni tanto. Un brivido di commozione gli percorse la schiena. Aveva sposato la donna che amava di più al mondo e stava per diventare padre, non avrebbe mai potuto desiderare di più nella sua vita.
    — Mi manca… — La voce triste di Cleo lo riscosse.
    — Mako? — chiese lui.
    — No, la trasformazione… Voglio dire… Da quando sono rimasta incinta la luna piena non ha più nessun effetto su di me… E se…
    — Cleo, sei ancora una sirena. Anche se non ti trasformi a causa della gravidanza, è una cosa che fa parte di te. Ti prometto che appena posso compro i primi biglietti per l’Australia e ti porto a Mako. Lo giuro.
    Se lei stava male, stava male anche lui. Inutile dire che la lontananza da casa non faceva bene a nessuno dei due. Anche se vivevano da cinque anni negli Stati Uniti, il loro cuore era rimasto là, nella loro vera casa, sulla spiaggia, al Rikki’s, e specialmente a Mako. Eppure lui ne sentiva la mancanza solo quando era lontano da lei, quando non la stringeva a se, quando non sentiva il suo profumo… Lei era la sua vera casa. Ma in questo periodo la sentiva così distante, così distaccata…
    Lewis si alzò di scatto dal divanetto e infilò nuovamente la giacca. Cleo lo guardò perplessa per alcuni secondi. — Dove stai andando?
    — Non hai detto che volevi andare a Mako? Beh, ci stiamo andando — concluse stampandole un bacio sulla fronte.
    Cleo scattò in piedi per poi scivolare tra le sue braccia. Le girava la testa, le tremavano le gambe, il senso di nausea non se ne andava, il cuore le batteva all’impazzata per paura di poter abortire da un momento all’altro, ma le sue braccia forti erano sempre pronte a sorreggerla, a tenerla lontana dai guai. Lui era la sua salvezza.
    Il viaggio in aereo non fu affatto facile. Aveva una paura folle di volare. Il braccio protettore di Lewis la tenne stretta a se per tutto il tempo, senza nemmeno lasciarle spazio per pensare al vuoto sotto di loro. Il cuore le si sciolse nel petto quando intravide dal finestrino la sua terra. E subito una forza che non conosceva le riempì i muscoli deboli che per mesi non avevano fatto altro che rimanere immobili.
    — Se sono preoccupato? Sì cavolo, sono preoccupato!
    Cleo ridacchiò alla reazione di Lewis. Sembrava tutto così diverso da un tempo. Lui non indossava più le camice sgargianti da spiaggia che portava quando erano ragazzini. No, affatto. Aveva ancora il camice da laboratorio indosso, si era scordato di toglierlo. Ma a lei piaceva da morire vestito così.
    — Vuoi andare un po’ più veloce? Non vorrei partorire in barca! — scherzò lei, vedendo che la fronte gli si era imperlata di sudore e la mano era stretta convulsamente sul timone del motoscafo.
    Le lanciò uno sguardo assassino. — Non so se comprendi la gravità della situazione ma
    Lei lo zittì con un gesto della mano. Un dolore lancinante alla pancia le aveva tolto il fiato.
    — Che succede? — chiese preoccupato.
    — Sta zitto e guida questo coso velocemente fino a riva — sibilò stringendo i denti per lo sforzo di non gridare.
    — Oh mio Dio. Ti si sono rotte le acque… Cerca di resistere, siamo quasi arrivati — biascicò in preda all’agitazione, con le mani tremanti che cercavano di tenete stretto il timone.
    Lei alzò gli occhi al cielo. — Non sono io che decido quando partorire, Lewis. Portami alla grotta, subito.
    — No, tu sei folle. Io non ti faccio partorire in una grotta, tantomeno senza un medico — concluse lui girando la barca, e iniziando ad allontanarsi da Mako.
    Un’altra fitta. Questa volta non riuscì a soffocare il gemito. Piantò le unghie nel legno della barca cercando di respirare profondamente. — Lewis McCartney, portami subito in quella stramaledetta grotta o giuro che chiedo il divorzio.
    Il ragazzo sembrò congelarsi. Poi, la barca riprese la rotta per Mako.
    Arrivarono nella grotta che stava facendo buio. Lewis posò Cleo a terra dopo averla portata in braccio fino a lì. Aveva la schiena in pezzi, ma non gli importava. La stava mettendo in pericolo, e non gli piaceva questa situazione.
    — Mi mancava questo posto — sussurrò lei in un bagno di sudore.
    Lui non replicò. Il cuore gli batteva all’impazzata e la lingua non riusciva a staccarsi dal palato. Dire che fosse terrorizzato era un eufemismo. Fu allora che la vide. La magia, identica a quando erano ragazzini. L’acqua ribolliva nella grotta, e la luna, una palla di fuoco sopra le loro teste che rischiarava l’ambiente con il pallore bluastro della sua luce. E lei, bellissima come non mai, anche se era sudata, con i capelli bruni umidi e appiccicati alla fronte, e una smorfia di dolore dipinta in volto. Solo in quel posto magico poteva essere tanto bella da mozzargli il fiato.
    — Lewis, aiutami! — Nuovamente la voce di Cleo lo fece riscuotere.
    Le passò un braccio dietro al collo, e la strinse a se, lei piantò i talloni sul pavimento e prese un grosso respiro.
    — Immagino che questo sia il momento in cui ti devo dire ‘spingi’… — sussurrò il ragazzo, pallido come un cencio.
    Lei inclinò la bocca in un leggero sorriso. — Quando torniamo a casa, ricordami di non permetterti più di guardare ‘Grace Anatomy’.
    — Ti amo — balbettò Lewis, cercando gli occhi di Cleo con lo sguardo.
    Sarebbero potuti rimanere a casa. In questa situazione rischiava di perdere sia lei che il bambino. Era un chimico, non un medico! Il massimo che sapeva fare era fermare un epistassi, nulla di più. Avrebbe dovuto imporsi, non poteva vederla soffrire così.
    Cleo si aggrappò con le unghie al braccio del marito. Sentì i suoi muscoli contrarsi senza però lamentarsi. Aveva bisogno di lui, e lui c’era. Strinse i denti e cercò di non pensare al dolore. Impossibile. Era lì, come se qualcuno le avesse piantato un coltello nel basso ventre. L’unica cosa che voleva in quel momento era vedere quel bambino fuori dalla sua pancia. Subito. Contrasse gli addominali in uno sforzo, e questa volta non riuscì a trattenere le grida.
    — Cleo? — sussurrò lui.
    Aprì gli occhi lentamente. La vista era offuscata, ma riusciva chiaramente a distinguere il profumo della sua pelle, e le sue carezze. Sentiva in lontananza un suono dolce, delicato, ma non riusciva a capire da dove provenisse. Non ricordava neppure dove si trovava. Piano piano i ricordi riaffiorarono alla mente, mentre le immagini si facevano più nitide. Lewis era seduto a gambe incrociate di fronte a lei con un neonato avvolto nel suo camice bianco come in un fagotto tra le braccia. Dondolava leggermente e intonava a bassa voce una dolce cantilena, di cui Cleo conosceva ogni singola parola a memoria.
    — No ordinary girl? Davvero? — chiese con aria un po’ sfacciata, voltando leggermente il viso verso di lui.
    — È tutta la mamma… — sorrise, mentre una lacrima solitaria, di commozione gli solcava il viso sporco di terra e sudore.
    — Cleo socchiuse gli occhi. Era una bambina. Ed era una sirena, come lei. Era la notizia più bella che avesse mai ricevuto.
    — Come la chiamiamo? — Chiese Lewis distendendosi a fianco alla moglie.
    — Cassidy. Cassidy Emma McCartney — sussurrò lei, mentre la stanchezza cercava di trascinarla nuovamente in un sonno profondo.
    — Ciao piccola Cass — disse Lewis baciando la piccola fronte della bambina. Era diventato padre. Ora c’erano due persone in tutto il mondo che amava più della sua stessa vita. Cassidy e Cleo. E le avrebbe protette a costo di lasciarci le penne.
    Si voltò verso la moglie. Non stava bene, non era in forma. Era magra più del solito. Gli ultimi mesi di gravidanza l’avevano distrutta, ma forse lui sapeva come sistemare le cose. Il sole era tornato a splendere alto nel cielo, e i raggi caldi filtravano nella grotta, baciando per la prima volta il viso della piccola Cass, che si era addormentata con la testa appoggiata alla spalla del padre, intento a bagnare la fronte di Cleo con un lembo della maglietta imbevuto dell’acqua della fonte.
    Il risultato fu immediato. La stoffa umida sulla sua fronte le restituì tutte quelle forze che la il parto le aveva portato via. Si sentì rinascere, e finalmente, dopo nove lunghi mesi, poteva riavere la sua coda.
    — Ti amo anche io — sussurrò Cleo, tirandosi a sedere con le braccia, in modo da sfiorare con la punta delle pinne l’acqua della piscinetta naturale.
    Lewis posò delicatamente le sue labbra su quelle morbide di lei.
    — Non torniamoci più a New York… Voglio che mia figlia cresca in tutto questo — piagnucolò Cleo.
    Lui annuì. — Non ho mai messo in conto i biglietti di ritorno… Non andremo più via da casa nostra.










L'angolo della gobbiglia :)
Saranno secoli che non vedo questa serie, eppure mi viene ancora da ridere a pensare a quando io e mia sorella litigavamo su chi doveva essere Rikki/Cleo/Emma, per giocare a 'sirene' alle terme... :')
Mi sembrava giusto un tributo per questa serie, che assieme ad altre (che ora non fanno più, tipo Sleepover Club, iCarly, Hannah Montana, i Maghi di Waverly... Mi vien da piangere...) mi hanno accompagnata nella crescita... Ora, dopo essermi dilungata nella mia nostalgia per i giorni delle Scuole Elementari e Medie, vi lascio, sperando che la storia possa essere di vostro gradimento (Sempre che ci sia ancora qualcuno qui) :)
Buona notte a tutti :)

  
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