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Autore: Lydia_Allison    29/05/2015    0 recensioni
Dal testo:
"Ho una notizia per te, fratellino. E giuro che vorrei non dartela."
Sherlock sentì la terra tremare sotto i propri piedi.
"Si tratta di John. C'è stato un bombardamento improvviso sulla base militare e pochi di loro sono riusciti a salvarsi." Mycroft tacque per un momento che sembrò infinito.
Quel silenzio sfacciato e prepotente fu spezzato dal suono gutturale di Sherlock che delgutiva.
"John non ce l'ha fatta, vero?" chiese poi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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"Papà, papà!" esclamò Hamish, correndo alla porta.
"Hey, testolina, come stai?" chiese John, chiudendo la porta alle sue spalle.
"Bene papà! Cosa mi hai portato oggi?"
John rise e prese una busta dalla borsa del PC per poi porgerla al figlio che, entusiasta, l'afferrò e corse su per le scale, seguito dal padre.
Quando raggiunsero il piano superiore, Sherlock era in cucina, tutto infarinato.
"Hey, cosa stai combinando?" chiese il più basso avvicinandosi.
"È così strano il fatto che io sappia cucinare?"
"Chiunque può cucinare!" interruppe Hamish, citando Ratatouille.
John rise e posò un bacio sulle labbra di Sherlock, infarinando così le proprie.
"È Spiderman!"urlò all'improvviso Hamish.
"Cosa? Perché Spiderman?" chiese Sherlock sbigottito, guardando ad intermittenza ora John ora Hamish.
"Sta' zitto e lascia che sia un bambino." sussurrò John.
"Posso guardarlo ora, papà?". Gli occhi di Hamish erano desiderosi di un "sì" e fissavano intensamente quelli di John.
Il biondo si passò una mano tra i capelli, poi annuì.
Senza neppure ringraziare, il più piccolo della famiglia corse nella sua stanza e sparì per un paio d'ore.
"Perché Spiderman?" chiese di nuovo Sherlock.
"Oh, tesoro. Per favore, sii ragionevole per una volta. Ha dieci anni, è un bambino. Tutti i bambini di dieci anni guardano Spiderman. E leggono fumetti. Non puoi pretendere che legga - che so - il tuo sito. Io a dieci anni leggevo fumetti; Lestrade guardava Spiderman.
Se a te non interessavano non vuol dire che nostro figlio non debba avere la passione per una cosa normale!"
Sherlock rimase in silenzio per qualche attimo.
"Vuol dire che per te io non sono normale?" disse infine.
"Che- oh, Dio. Sherlock. Non l'ho mai detto." "Ma l'hai lasciato intendere.."
Da quando era nato Hamish Sherlock era cambiato. Si offendeva spesso e discuteva con John sempre più animatamente. Voleva una famiglia con lui, ma non riusciva a mantenerla. Non sapeva come si facesse il genitore; aveva paura di sbagliare qualcosa. Il minimo errore lo terrorizzava.
"Se avessi pensato, solo per una volta, che tu non fossi normale, secondo te ora sarei qui? Dopo tutti i problemi? Per favore, Sherlock. Stiamo insieme da dodici anni. Se non ti ho lasciato undici anni e undici mesi fa non credo di poterti lasciare più."
Quando era a casa, con la sua famiglia, lo scudo da sociopatico di Sherlock si sgretolava. Quando era con John ed Hamish era libero di essere sé stesso, e non la persona fredda che tutti pensavano che fosse.
Ora, con suo stesso stupore, aveva una famiglia con l'uomo che amava più di ogni altra cosa ed un figlio che guardava Spiderman e leggeva fumetti.
Durante la sua vita non l'avrebbe mai immaginato. Pensava che sarebbe rimasto solo, in compagnia di microscopi e spettrometri di massa. Ma Mycroft l'aveva obbligato ad iscriversi all'università, alla facoltà di medicina.
Lì, il primo giorno, conobbe il professor John H. Watson. Era anche lui giovane, diventato professore universitario da non più di un anno.
Aveva l'abitudine di svegliarsi tardi la mattina, a giudicare dai vari tagli di rasoio.
In meno di cinque minuti, Sherlock Holmes conosceva le abitudini di tutti coloro che erano presenti in quell'aula.
***
Passavano i giorni, e i corsi precedevano lenti, noiosi.
Soltanto un corso riusciva a prendere tutta l'attenzione di Sherlock: quello di medicina. Era l'unico corso in cui si impegnava, nonostante sapesse praticamente tutto.
Intanto era anche diventato amico di John. Ma non John-professore, ovviamente. Ma di John-fuori-dall'università.
Inoltre, aveva capito col tempo che tutto quello che aveva dedotto all'inizio dei corsi era esatto, sia sul suo insegnate-amico, sia su i suoi compagni.
Dopo un anno andarono persino a vivere insieme, dividendo l'affitto di un modesto appartamento in Bickenhall Street.
Poi, all'improvviso, un fulmine a ciel sereno: l'esercito inglese aveva bisogno urgentemente di un altro medico in Afghanistan, ed il destino aveva puntato il suo dito malevolo su John Watson.
In meno di una settimana, ogni cosa che apparteneva al dottore, sparì dall’appartamento.
Si sentì solo ancora una volta, e la rabbia dentro di lui veniva alimentata dalla solitudine e dal silenzio che risuonava assordante tra le quattro mura.
Non andò più all'università, con gran disappunto di Mycroft. Si chiuse in sé stesso e non usciva nemmeno sul pianerottolo. Nonostante ciò, continuava a dire di star bene, e di non aver bisogno di aiuto.
Dopo sei mesi riuscì a mettere piedi fuori la porta. Ogni giorno camminava per un paio di isolati e poi, una volta tornato a casa, si raggomitolava nella sua vestaglia blu, si stendeva sul divano e guardava un punto fisso nel vuoto.
Nonostante le incomprensioni, Mycroft voleva bene al suo fratellino, e per questo gli trovò un nuovo appartamento: il 221B di Baker Street.
Così, per i successivi due anni, visse da solo, in quell'appartamento troppo umido, senza sapere nulla di John.
Senza sapere nulla sulla sua salute, fisica e mentale.
Un giorno, tornando da lavoro, Sherlock sentì il squillare il suo cellulare.
"Mycroft, sono appena andato via. Di cosa hai bisogno?"
La voce del fratello sospirò, poi gli disse di tornare in ufficio. Una volta arrivato, raggiunse Mycroft nel suo studio.
"Ho una notizia per te, fratellino. E giuro che vorrei non dartela."
Sherlock sentì la terra tremare sotto i propri piedi.
"Si tratta di John. C'è stato un bombardamento improvviso sulla base militare e pochi di loro sono riusciti a salvarsi." Mycroft tacque per un momento che sembrò infinito.
Quel silenzio sfacciato e prepotente fu spezzato dal suono gutturale di Sherlock che delgutiva.
"John non ce l'ha fatta, vero?" chiese poi.
"Ho paura di no, Sherlock. Non siamo riusciti ad identificare i cadaveri, e John non è con gli altri. Mi dispiace. ".
Per Mycroft era difficile parlarne e si vedeva. Gli dispiaceva dare un ulteriore dolore a suo fratello. Già soffriva molto, anche se non voleva darlo a vedere. Dirgli che molto probabilmente John era morto sotto un bombardamento l'avrebbe devastato.
Nonostante tutto, Sherlock annuì e senza aggiungere nulla uscì dalla grande stanza.
***
Pochi mesi dopo le giornate di Sherlock procedevano nella stessa maniera: piegato sul microscopio, nel suo appartamento. Si svegliava e subito a lavoro; si occupava dei casi che gli offrivano soltanto per passare il tempo, e mantenere la mente occupata, per quel che poteva.
Il suo sguardo non era più attento come prima; da quando Mycroft gli disse che il suo migliore amico era stato colpito da un bombardamento, i suoi pensieri, più di prima, viaggiavano verso il dottore.
Alle volte non dormiva per notti intere e durante il pomeriggio si addormentava sulla poltrona di John.
Era molto più alto del medico militare, quindi quella poltrona era comoda quanto uno scoglio, ma nonostante tutto la tenne con sé.
Quel giorno si svegliò e si mise a lavorare, ma aveva la costante sensazione che qualcosa sarebbe cambiato.
Non era un tipo emotivo, il suo cervello stava impazzendo, ecco tutto. Ignorò quella sensazione e continuò sul suo caso noioso.
Doveva pur passare il tempo, no?
Durante il pomeriggio la porta si aprì e, senza girarsi, iniziò a parlare a suo fratello.
“Sai, Mycroft, mi stavo chiedendo per quale motivo il mio corpo reagisce così alla morte di John. Io provo a non essere così emotivo, a distaccarmi i miei sentimenti. Non ci riesco, semplicemente. Sono passati quasi tre anni, e niente riesce ad affievolire la mancanza di quel ragazzo.
E’ così che si sentono gli esseri umani quando la persona che amano è lontana da loro?”
Mycroft si schiarì la voce, inspirò ed espirò lentamente.
“Sì, Sherlock. Si sentono esattamente così.”
Quella voce. Sherlock spalancò gli occhi e voltò la testa verso la porta.
Il dottore era lì, fermo sulla soglia della porta, poggiato ad una stampella e vestito della sua mimetica.
Sherlock non poté fare a meno di notare che le sue braccia erano più muscolose e forti quando corse ad abbracciarlo.
 
 
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Saaaalve a voi, persone che sono arrivate fino a qui!
Questa è la mia prima Johnlock, una OS scritta dopo secoli che non scrivevo nulla. Chiedo venia per lo scempio che ne è venuto fuori :c
Spero vi sia piaciuta, un abbraccio pandicornoso a tutti!
   
 
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