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Autore: ellephedre    29/05/2015    7 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero 7

Note: attenzione, non ho completato il pezzo del viaggio in Italia, saltando avanti di qualche mese.
Comunque non era indispensabile finire quella parte per scrivere questa, altrimenti non sarei riuscita a scriverne. Potete leggerla tranquillamente senza temere spoiler strani.

Per istinto e pensiero

di ellephedre

Marzo 1997 - Lasciarsi andare?

 

«È così difficile…»

«Cosa?» indagò Minako.

Ami accarezzò le cuciture del reggiseno rosa. «Non è semplice trovare dei modelli senza ferretto, o privi di coppe imbottite.»

Il negozio di biancheria intima aveva una gran quantità di modelli in esposizione, ma come al solito la scelta era limitata per chi come lei preferiva capi semplici e poco elaborati. Sospirò. Non era lì per scegliere qualcosa per sé. Dovevano trovare un regalo adatto alla luna di miele di Usagi. Makoto e Rei erano già sparite nei meandri ben illuminati degli stand.

Minako aveva sotto braccio un completino in pizzo giallo. «Ti danno ancora fastidio i ferretti?»

Visivamente, soprattutto. «Sono rigidi. Ma il problema è l’impressione che danno.»

«Cioè?» Minako sollevò un sopracciglio.

Perché le faceva domande ovvie? «Regalano una taglia in più. È un piccolo inganno.» Oh, ma non voleva dire che fosse una bugia cattiva. «Se è lo scopo, nessun problema, ma a me non va di…»

Minako stava sorridendo della sua ingenuità.

Ami sospirò, preparandosi alla lezione. «Cosa?»

«Chi è che dovremmo ingannare?»

Chiunque le guardasse, no?

Minako scuoteva la testa. «Proprio tu, che sei tanto logica, non ci arrivi? Ami, Ami… A chi ti mostri nuda?»

Ami avvampò, incavando la testa tra le spalle. «Shh!» Qualcuno per caso le aveva sentite? Si guardò attorno, frenetica.

«Sì, shh, certo!» Minako avvicinò la testa solo per accontentare il suo bisogno di privacy. «Anche indossando uno di questi, come fai a ingannare il tuo ragazzo se lui sa già perfettamente come sei fatta davvero?»

Ami non ebbe una risposta pronta.

Minako alzò un dito, continuando a insegnarle. «Questo tipo di reggiseno non è fatto per forza per essere visto, sai? Sotto i vestiti dà l’impressione di una bella curva alta sul petto, è a questo che serve.»

Sì, a dare l’impressione di un seno più grande. Era quello che aveva detto lei.

Minako era perplessa. «Se non ti piacciono i ferretti per una questione di comodità è un conto, ma le coppe imbottite… È bello guardarsi allo specchio e vedere una bella scollatura, tutto qui. Non c’entrano fidanzati, uomini da attirare o niente di simile. Una donna compra biancheria come questa per se stessa.»

Hm. Anche se la nascondeva per la maggior parte del tempo?

Minako la studiava. «Ho paura di chiederlo ma… vero che nei tuoi cassetti tu hai almeno una cosa di questo tipo?» Le sventolò il suo prossimo acquisto davanti agli occhi.

Ami ritenne che fosse meglio far finta di niente. «Cosa intendi?»

«Pizzo, Ami. Trasparenze. Qualcosa di provocante.»

Ma non avevano appena stabilito che una donna comprava biancheria come quella solo per sé? «Io preferisco il cotone.»

Minako roteò gli occhi al soffitto. «Questo pizzo è fatto di cotone. Hai mai provato un modello come questo almeno?»

«Il pizzo mi dà una sensazione di prurito sulla pelle.»

Minako le afferrò la mano. «Solo i modelli di cattiva qualità. Senti qui!» Le passò il palmo sul tessuto. «E se vogliamo una prova di delicatezza…»

Ami si ritrovò le mutandine di pizzo strofinate sulla guancia. «Cosa fai?!» si dimenò.

«Senti come sono morbide?»

«Okay, ma ora abbassale!» Stavano dando spettacolo!

Minako la osservò da dietro le palpebre socchiuse. Era lo sguardo di quando aveva un piano in mente.

«Cosa c’è?» le domandò Ami, sapendo di rischiare la dignità.

«Adesso vai in uno di quei camerini e provi questo completo!»

«Quello è tuo!»

«Ah, non ti preoccupare!» Con un saltello Minako recuperò un modello identico, di colore bianco. «Dato che siamo in tema nuziale…»

Ami provò a protestare, ma furono interrotte da un gridolino.

«Minako-san!»

Accanto a loro una ragazza saltellava a piedi uniti. «Non ci posso credere, Minako-san, sei proprio tu!»

Minako si immerse nei panni della diva che era diventata. «Ciao! Sei una mia fan?»

La giovane estranea iniziò a sommergerla di complimenti ed Ami si arrese. Col completo di biancheria intima in mano andò verso i camerini di prova.

In fondo non era da lei sottrarsi alle sfide. Poteva provare quei capi e dimostrare che non erano niente di speciale, né qualcosa che lei sentisse il bisogno di possedere.

No?

Si chiuse dietro una tenda. Appoggiò la borsa su uno sgabello e sollevò il completino che Minako aveva scelto.

Non era imbottito e non era così male. Le coppe erano sciolte, fatte completamente di pizzo bianco, leggero e morbido al tatto.

Intuendo che non lo avrebbe riempito bene, controllò la taglia sul cartellino.

Infatti, era per una coppa di una misura superiore alla sua, ma tanto... era solo una prova.

Iniziò a spogliarsi del vestito e adocchiò le mutandine appoggiate sulla borsa.

Erano molto più provocanti del reggiseno. La fantasia era identica, ma i ricami bianchi avrebbero lasciato in trasparenza tutto il sedere e il bassoventre, a eccezione di un piccolo scampolo di cotone sistemato per igiene in posizione strategica, tra le gambe.

Arrossì.

Aveva davvero voglia di indossare una cosa del genere? Non era da lei, non sentiva la necessità di apparire come una creatura tanto... sessuale.

È solo una prova.

Già, nessuno l'avrebbe vista.

Ripiegò con cura il vestito in tessuto di jeans - uno dei suoi preferiti - e si preparò a indossare la sua piccola sfida. Lo fece senza guardarsi allo specchio.

Terminando di sistemare le spalline del reggiseno, abbassò lo sguardo sul petto.

Le coppe erano comode e semivuote. I suoi seni erano poco sostenuti - forse doveva stringere le spalline? - ma il tessuto, per quanto era poco compatto, le dava una sensazione di... respiro. La seminudità era fresca, ideale per la stagione estiva.

Era strano vedere i suoi capezzoli tanto liberi, anche se... provò a tendere il pizzo sulla pelle e osservò la maniera in cui la trasparenza del tessuto incorniciò la sua areola, lasciandola intravedere sotto i ricami. Più che provocante, era una cosa... bella. Delicata.

Si voltò.

Il riflesso nello specchio le fece salire un fiotto di calore alle guance. Corse a coprirsi tra le gambe.

Così era indecente!

Trovò il coraggio di girarsi, per guardarsi di schiena.

Arrossì ancora di più, schiacciandosi contro il muro.

In quello stato era praticamente nuda. Che senso aveva indossare della biancheria intima? Poi tutto quel pizzo era scomodo tra le gambe, pizzicava e... No, ammise. Non prudeva. Non era diverso dal tessuto di puro cotone che normalmente preferiva. Era una soluzione di abbigliamento molto fresca, solo perché sentiva di non portarla nemmeno.

Schiacciò la fronte contro la parete, vergognandosi da sola.

Era una sciocca. Perché si imbarazzava? Stava solo guardando il proprio corpo.

Inspirò a fondo e decise di osservarsi con più calma, analiticamente. Si voltò di nuovo.

Okay. La cosa che le sembrava più sessuale in assoluto era la vista dei peli pubici attraverso il pizzo. Non erano tanti perché lei li teneva curati, ma... Si voltò di lato, poi a centottanta gradi, per avere la visuale completa del proprio profilo.

Quelle mutandine erano proprio comode.

Ma... come faceva la popolazione femminile adulta ad andare in giro vestita in quel modo? Quel tipo di trasparenza era diffuso su tanti dei modelli in commercio, almeno la metà. Lei l'aveva sempre evitata di proposito, tuttavia... Sì, non era scomoda, però...

Poco convinta, rimuginò.

La sessualità era negli occhi di chi guardava, no? Nei suoi. In realtà quel modello, come qualunque altro, si limitava a svolgere la sua funzione di sostenere e coprire laddove era igienico non avere un contatto diretto con l'aria o altri tessuti.

Tornò a voltarsi. Sul retro la cucitura delle mutandine seguiva la linea di separazione tra le natiche, abbracciandole i glutei con ricami di fiori bianchi posati su un finissimo intreccio semi-trasparente. Tutto ciò la denudava, di fatto, o forse... sottolineava solo che lei aveva un sedere? Ed era la verità.

Quel completo di biancheria, quindi, si limitava ad affermare che lei aveva un corpo composto di parti piacevoli, che valeva la pena di valorizzare.

Hm. Vista così...

Usò le mani per tirare di nuovo su le spalline del reggiseno. Sullo stand avrebbe scommesso che, per i suoi gusti, quelle coppe in pizzo le avrebbero dato un'impressione di volgarità, ma dovette ricredersi. L'effetto finale era soave e romantico. Le piaceva molto.

Controllò il prezzo dei due indumenti.

... Sì. Li avrebbe comprati.

Mentre si rivestiva, sorrise, mordendosi un labbro.

Okay. Per quella volta si era sbagliata.

 

Alla cassa non la seguì nessuno. Makoto e Rei erano ancora alla ricerca del regalo perfetto - c'era da battere di Michiru, a quanto aveva sentito - e Minako era scomparsa. Probabilmente si stava nascondendo dalle fan. Seguendo un impulso, Ami prese un secondo reggiseno con la stessa fantasia, questa volta con coppe imbottite. Non lo provò. Se non le fosse andato bene, avrebbe passato il secondo reggiseno a Usagi.

Era fatta così, pensò mentre pagava. Quando si accorgeva di aver fatto un errore e di non aver esplorato un intero mondo di possibilità, si buttava a capofitto negli esperimenti, almeno fino a che la sua cautela non tornava. Era meglio comprare due reggiseni finché era ancora piena di coraggio.

Oh. «Aspetti» disse alla commessa dietro la cassa.

Recuperò un secondo paio di slip bianchi e li appoggiò sul bancone. Non aveva senso comprare due reggiseni e una sola mutandina.

Sentì un brivido lungo la schiena.

«Fai acquisti.»

Sobbalzò. «Minako!»

Lei aveva indossato un cappellino e un paio di occhiali da sole.

«Cosa compri, Ami-chan?»

La commessa era stata così gentile da mettere i suoi capi in un sacchetto. Le comunicò il prezzo ed Ami tirò fuori i contanti. «Ehm, cose.»

«Capisco.»

La risatina di Minako, inquietante, proseguì per mezzo minuto buono.

Ami cercò di non arrossire. «Vuoi dirmi qualcosa?»

«No, no. A me basta vincere.»

Lasciandola nel suo pozzo di imbarazzo, Minako danzò alla ricerca di Rei a Makoto.

 

A casa, Ami guardò l'orologio appeso alla parete. Le sette di sera. Aveva mezz'ora prima della cena, poi aveva programmato una sessione di studio dalle otto fino a mezzanotte.

Ale-chan si strusciò contro le sue gambe.

«Ehi.» Ami lo prese in braccio, rimirandolo da capo a piedi. «Come stai crescendo!» Strofinò la guancia contro quella pelosa di lui, inspirando il suo odore di cucciolo di sei mesi.

Assieme ad Ale-chan e al sacchetto dei suoi acquisti, salì le scale. «È sempre bene essere ordinati, sai? Bisogna mettere subito a posto le proprie cose.» Gli accarezzò la schiena. «Come mai non ti piace questa regola? Ho visto che hai lasciato la tua cannetta di piume sul divano in salotto.»

Comunque, a lui avrebbe perdonato di tutto: adorava osservarlo mentre giocava.

«Non ti annoi a casa da solo? Luna o Artemis sono venuti a portarti fuori oggi?» Non lo sapeva, avrebbe dovuto chiamarli.

Lasciava una finestra unita, da aprire con una spinta, apposta per permettere a loro due di entrare quando lo desideravano. Entrambi si erano affezionati ad Ale-chan ed Ami non avrebbe potuto esserne più felice.

Posò il micio sul materasso del letto.

«Se ti servissero vestiti da gatto, te ne comprerei moltissimi.» Rise, mostrandogli quello che avevo preso. «Ma questi sono per me. Ti piacciono?»

Ale-chan aggredì una delle bretelle del reggiseno. Una delle sue piccole unghie si incastrò tra i ricami di pizzo.

Con una smorfia, Ami separò la zampetta di lui dal suo acquisto. «Ti piace troppo.» Sollevò il reggiseno in aria, rimirandolo. «Lo provo di nuovo, questo è della mia taglia.» Non aveva osato fare una seconda prova per paura di essere scoperta da Minako, ma non era servito a niente.

Vincendo la ritrosia, alla fine a Minako aveva detto un bel, 'Sì, ho comprato quello che pensi.'

Minako l'aveva guardata con nuovo rispetto. 'Brava ragazza'. E le sue prese in giro erano finite.

Canticchiando, Ami si spogliò di nuovo del vestito blu e indossò la combinazione di reggiseno con coppe sciolte e mutandine di pizzo bianco. Si osservò nello specchio della propria camera.

Sì, si piaceva. Il completino le stava bene e lei era carina in una maniera dolce, sensuale.

Si accarezzò i gomiti, coprendosi lo stomaco.

Aveva fatto un bel primo passo, ma per il momento lo avrebbe tenuto per sé. Prima doveva abituarsi a portare quel tipo di indumenti, da sola, poi un giorno...

Non tanto presto, si ripromise, sentendo il battito che accelerava. Tutto quello che aveva pensato all'inizio di quei capi - che erano troppo provocanti, e sessuali - Alexander lo avrebbe ingigantito cento volte tanto.

Morì di imbarazzo.

Non era pronta a farsi vedere da lui così. Nemmeno doveva. C'era tempo e certamente loro non avevano bisogno di altri stimoli in campo intimo: non mancavano d'inventiva, né di entusiasmo.

Lei non si vergognava - di quello mai - perché le loro esperienze erano fantastiche, naturali e spontanee, e continuavano a travolgerla volta dopo volta. Insieme le stavano trasformando piano piano e non avevano ancora bisogno di reinventarsi. Avevano una buona vita sessuale.

Era incredibile - pensò guardandosi allo specchio - che pensarlo non la facesse arrossire da capo a piedi. Era cresciuta.

Suonò il campanello di casa.

Ami saltò in piedi e si rivestì di corsa, buttandosi sopra la testa il vestito con cui era uscita.

Chi poteva essere a quell'ora? Un venditore porta a porta? Un fattorino che aveva sbagliato casa?

Allacciò la cerniera sulla schiena mentre scendeva le scale, preparandosi a scoprirlo.

 

Alexander non aveva mai visto Ami che sbiancava nell'incontrarlo.

«Ciao» le disse, ridendo tra sé. «Ho pensato di farti un'improvvisata.»

«Ah...» Lei ancora non chiudeva la bocca.

«So che è serata di studio, non te la rubo. Ma possiamo cenare insieme, se ti va.»

Le spalle di Ami persero tensione. «Scusa. Certo. Ero solo... sorpresa.»

Lui se n'era reso conto. Ma lei stava già sorridendo, in un modo che gli disse che era il benvenuto a entrare.

Ami gli fece spazio e Alexander attraversò l'uscio di casa Mizuno, abbassandosi per togliere le scarpe.

«Come va per l'esame di domani?»

Sollevò il pollice bene in alto. «Sono pronto. Il cento è già mio.»

Lei lo guardò fiera: era orgogliosa dei suoi risultati e del suo impegno. Non si incontravano da quattro giorni, apposta per dargli il tempo di concentrarsi sugli ultimi esami dell'anno accademico.

«Non ho ancora deciso cosa preparare da mangiare» gli fece sapere Ami. «Hai qualche preferenza?»

Lui non ne aveva nessuna, il cibo era quasi una scusa. «Sono venuto solo per stare con te.»

Generò la tenerezza che aveva cercato. Ami fece un passo verso di lui, per abbracciarlo, ma si fermò all'ultimo momento, esitando su un piccolo brivido.

Alexander non capì. Non chiese solo perché lei scosse la testa - nel solito modo tenero, invitandolo a lasciar perdere.

Mentre camminavano verso la cucina, lui notò che il suo vestito era slacciato di qualche centimetro. «Aspetta.» Le posò una mano sulla schiena. Ami si irrigidì, riprendendo a respirare solo quando Alexander tirò su la cerniera.

«Ah... grazie.» Lei si scostò veloce.

Si comportava in modo strano.

«Hai qualcosa?»

Per lui fu una domanda divertente, per lei una ragione per sussultare. «Niente.»

... invece aveva qualcosa.

Inspirando per ritrovare la calma, Ami si diresse a una credenza, aprendo un'anta e sollevandosi sulle punte dei piedi. «Ho questo preparato per due. Oppure...» Aprì il frigo. «Ho del cous cous vegetariano già pronto.» Iniziò a leggere le istruzioni sulla confezione. «È da riscaldare in padella.»

Lui scrollò le spalle. Andava bene qualunque cosa.

Serena, Ami scelse da sola. «Scusa. Non sono una brava cuoca.»

Nemmeno lui lo era. «Mi sto facendo dare delle ricette da Nanny Shoko.» Andò a sedersi sul tavolo e rimase a guardarla mentre lei trafficava tra i tegami. Apparentemente, Ami era tornata normale. Gli stava dando attenzione, in attesa di sentirlo continuare.

«Sono pigro. Proverò a fare qualcosa solo quando andrò a vivere per conto mio.»

«Ormai mancano due settimane.»

«Già.» Due settimane al trasloco, poi l'ex appartamento di Yamato sarebbe diventato la sua nuova casa.

Gli sarebbero mancati i manicaretti della sua tata. «Nanny Shoko continua a dire che può venire a prepararmi qualcosa quando ho bisogno.»

«Ti vizia.»

Era vero. «Il mio stomaco non protesta.»

Ami stava accendendo il fuoco. «Hai già provato a stare per un paio di settimane con cose cucinate solo da te, no?»

Sì, non era andata a finire bene.

«Alla fine sei ricorso ai ristoranti.»

Purtroppo. «Ora mi posso permettere solo le piccole trattorie. Sopravviverò.»

Ami sorrideva in silenzio.

«Non hai fiducia, hm?»

Lei sollevò tra le mani la confezione che si apprestava ad aprire. «I moderni supermercati si sono attrezzati. Per chi non ama cucinare, come noi, c'è una vasta scelta di cibi che richiedono solo pochi minuti per essere pronti da servire.»

Ami sembrava una pubblicità.

«Il tuo problema» continuò lei, «é che sei esigente in fatto di gusti. Non ti piacciono le cose che non sono fresche.»

Sì, i ristoranti lo avevano abituato male. Il cibo era un piacere fatto per essere gustato e doveva essere cucinato da mani esperte.

Ami scuoteva la testa. «Ti avverto: dubito che diventerò una di quelle donne che cucinano bene. Quando vivremo insieme e toccherà a me nutrire entrambi, dovrai accontentarti di pochi piatti ben fatti.»

«Non voglio altro.» Per lui era già una cosa grandiosa sentirla parlare del loro futuro insieme con tanta sicurezza. «Questi mesi in cui vivrò da solo mi serviranno a perferzionarmi. Comprerò dei libri di cucina, così, quando andremo al lavoro di mattina, ti farò trovare uno di quei bento ben preparati, con tante cose diverse.»

La dolcezza del sorriso di lei lo riempì di gioia.

In cucina si fece vivo un miagolio vivace.

Alexander si piegò sotto il tavolo. Trovò il suo omonimo che stava disegnando una esse tra le gambe di Ami.

«Poverino, ha fame.»

«Lo nutro io.» Si alzò e andò verso il ripiano in cui era sistemato il cibo da gatto. Afferrò una lattina.

Ami sorrideva. «Naturalmente lui verrà a stare con noi. Per allora troverò qualche lavoretto, così manterrò sia me che Ale-chan.»

Anche a lui piaceva molto fare progetti di quel tipo. Solo, non era felice che dovessero preoccuparsi dei soldi. Ce ne sarebbero voluti parecchi per mantenere entrambi, una casa e le loro carriere universitarie. Per non parlare di quell'idea di famiglia che non poteva aspettare più di un altro anno e mezzo.

Nel presente Ami era serena. «Dovrai anche imparare a fare le pulizie.»

«Sono capace.»

Lei non era così convinta. «Non sei disordinato, ma è sempre stata Shoko-san a pulire per te i pavimenti, a togliere la polvere dai mobili, a farti il bucato. Ah, e a stirare. Sei fortunato, a me piace stirare.»

Ah, sì? «Quindi verrai a farlo per me?» Versò il cibo del gatto nella ciotola.

«Non scherzare. Mi riferivo a quando vivremo insieme.»

Lui scoppiò a ridere.

Ami non capì. «Adesso ho da stirare la roba mia e di mamma. Non verrò a casa tua a farlo per te!»

Lui si divertì ancora di più. «Lo so! È solo che... Nanny Shoko me l'avrebbe offerto.» Un altro tipo di ragazza lo avrebbe fatto. Ma Ami era indipendente e assolutamente estranea a logiche di suddivisione dei ruoli in base al sesso. Non era nata per essere casalinga e lo affermava con forza.

Gli occhi di lei erano socchiusi per il sospetto. «Non sono la tua governante.»

«E non vorrei che lo fossi.» Al di fuori di qualche strano e perverso giochino erotico, almeno. «Mi piace che tu non pensi nemmeno di fare una cosa simile. Non devi servirmi o riverirmi più di quanto non debba fare io con te. Tutti e due abbiamo un cervello e due mani: possiamo pensare a noi stessi e non pesare sull'altro.»

Ami annuiva. «O possiamo aiutarci a vicenda, suddividendoci i compiti in modo equo.»

Tanto lui sapeva già come sarebbe andata a finire. «Non ti piace lavare i piatti, giusto?»

Ami scrollò le spalle. «No.»

Sì, lei non gradiva il contatto coi residui di cibo. Una sua fisima. «Io e le stoviglie sporche ce la caviamo bene invece.»

Lui provava uno strano piacere nel grattare via lo sporco dalle superfici, rendendole di nuovo immacolate. «Alla fine ci divideremo i compiti in questo modo: a me il lavaggio dei piatti, a te lo stiro.» Tornò a sedersi a tavola.

Ami aveva incrociato le braccia. Sorrideva furba. «Stirare richiede almeno un'ora - due, quando ci sono di mezzo lenzuola e coperte. Per lavare i piatti ci vogliono al massimo quindici minuti.»

Ah. Stavano già negoziando? «Ho la soluzione.»

Ami sollevò un sopracciglio.

«Lavastoviglie e servizio di lavenderia. E tutti contenti - soprattutto le nostre menti, che avranno più tempo per dedicarsi a compiti più interessanti.»

Lei lo trovò divertente. «Sono servizi che costano, Alex.»

Lui ne era consapevole. «Non preoccuparti di questo.»

Ami non disse più niente. Si voltò per tornare a cucinare.

Quella era una discussione che continuavano a non affrontare, ma a lui andava bene così. Quando fosse venuto il tempo, avrebbe trovato il modo - qualunque modo - per far sì che i soldi non fossero un problema. Era capace di mantenere se stesso e una famiglia. Non era dell'idea che solo un uomo potesse portare soldi in casa, ma finché Ami aveva da studiare... E se volevano davvero avere presto un bambino...

Lei lo guardava. «A cosa pensi?»

Trovò una buona scusa. «Non mi hai ancora dato un bacio di benvenuto.»

Ami si strinse nelle spalle, timida. Lanciò un'occhiata al cous cous che aveva messo sul fuoco e lo rigirò con energia un'altra volta. Si mosse verso di lui. «Devi tenere le mani a posto.»

Perché? Ma non fece domande quando Ami si chinò e posò le labbra sulle sue in un sorriso, tenendogli ferme le braccia.

Poiché aveva solo la bocca a contatto con lei, lui usò quella e la lingua per suscitarle sensazioni. Dapprima baciò piano, convincendola a non allontanarsi con la pressione delle labbra. Poi massaggiò quelle di lei una ad una, disegnandone l'orlo col respiro, con piccoli sfregamenti. Ami aprì la bocca e Alexander poté assaggiarla. Lentamente riuscì a prenderla per la vita, stringendola.

«Aspetta.»

C'erano ritrosie a cui lui non obbediva più. Ami a volte voleva fermarsi senza motivo, solo per ricomporsi. La circondò meglio con le braccia, spingendola a sedersi sulle sue gambe.

In risposta udì un sospiro contro l'orecchio. Era sceso con la bocca sul collo di lei, sul nervo che le dava maggiori sensazioni. Lo baciò una volta, dandogli una leccata leggera.

Ami lo graffiò sulle spalle. «La cena.» Si allontanò da lui con una spintarella veloce, tornando in piedi. Sistemò la gonna mentre si distanziava, ancora tremando.

Alexander decise di essere sincero. «Non ho così fame.»

Lei gli aveva dato le spalle. «Non eri venuto per mangiare?»

Certo, ma era una persona che sapeva adeguare i propri obiettivi alla situazione. «È quasi pronto, no? Possiamo spegnere il fuoco.»

Lei continuava a non voltarsi.

Lui le andò dietro, mettendo un braccio tra il suo stomaco e la cucina. Non la voleva troppo vicino a delle fiamme per quello che stava per dirle. «Questo cibo si può riscaldare di nuovo, love. Io ora vorrei scaldare te.»

Ad Ami sfuggì un piccolo suono, una via di mezzo tra un gemito e un lamento. «Alex...»

«Hm?» Girò la manopola del fornello per lei, spegnendolo.

«Vorrei cambiarmi.»

Perché?

Ami si girò tra le sue braccia, facendo un passo laterale. «Ho bisogno di cambiarmi.»

Lui non era contrario. «Ti metti qualcosa per me?» scherzò.

L'imbarazzo di Ami contenne una traccia di... qualcosa. Qualcosa di sconosciuto.

«Cosa c'è?»

«Niente.»

«Fai così da prima.»

Lei guardò per terra. «Ecco... Non è nulla, solo che... Ho bisogno di un momento.»

Per qualche faccenda femminile, supponeva. «Okay.»

Sollevata, Ami si diresse verso il salotto. Lui la seguì.

«Ehm... Non puoi aspettare in cucina?»

Gli venne da ridere. «Tornerai qui sotto? Stai diventando davvero audace.»

Lei avvampò e di nuovo si rannicchiò le spalle. «No, solo che...»

Dalla spallina del suo vestito stava spuntando una bretella di pizzo bianco.

Alexander la indicò col mento. «È una nuova canotta?»

Ami abbassò gli occhi e saltò per aria. «No! Cioè... È un... è una...»

Era la fonte del suo strano disagio, chiaramente. «Non è pulita?» A lui sembrava pulita, persino nuova dato che non l'aveva mai vista. «Non importa. Tanto devi toglierla, no?»

Ami si vergognò ancora di più.

«Ehi...»

Lei stava indietreggiando verso le scale. «Ti prego, non seguirmi.»

«Va bene. Ma non devi avere paura di me.»

Lei si fermò con un piede sul gradino. «Non ho paura.»

«Paura di quello che penso.» Come se ci fossero ancora cose che lei poteva vergognarsi di mostrargli.

Ami provò a rispondere, poi chiuse la bocca. «Mi hai... sorpresa, arrivando oggi. Non ero preparata.»

Certo, ma se lei stava pensando al tipo di preparazione che richiedeva profumi o rasoi... «Per me non ha importanza.»

Su di lui lo sguardo di Ami era intenso, concentrato su molti pensieri. Lei ne focalizzò uno, sorridendo. «Sei venuto a trovarmi per questo, hm?» Indicò con la testa il piano di sopra, quasi fosse un'idea troppo maliziosa da mettere a parole.

Lui aveva avuto un unico scopo. «Volevo vederti. Mi mancavi.» Trovarsela davanti a tavola, mentre cenavano, sarebbe stato sufficiente. Guardarla dal vivo per un minuto lo sarebbe stato. Sentirla al telefono non era abbastanza.

Sulle scale Ami lo osservava, colpita come se lui avesse espresso quel sentimento per la prima volta. La sorprendeva il bisogno, lo comprendeva solo quando lui glielo dimostrava. Ne gioiva quando alla fine ci credeva e lui non vedeva l'ora di convincerla di nuovo, un'altra volta, in continuazione.

Sentì il petto stringersi quando Ami si arrese a se stessa, allungando una mano verso di lui. «Vieni.»

Coprì la distanza tra loro in due passi, fermandola sulle scale per un bacio, la dita tra i suoi capelli.

Lei respirava veloce. «Aspetta.» Indietreggiò, salendo, le gambe poco stabili ma sicure della direzione. Lo teneva per la mano.

Mentre oltrepassavano la porta della stanza Alexander notò che Ami si stava mangiando le labbra. Lei lo faceva quando voleva risentire il sapore di un bacio - una volta glielo aveva confessato.

Lui la trattenne, gliene dietro un altro - migliore, più profondo, un braccio sulla vita per invitarla a non cercare pause. Le diede tutto il gusto che cercava, con lunghi assaggi morbidi, umidi, che lo inebriarono del sapore che creavano insieme. Ami ansimava contro la sua bocca, innaturalmente eccitata. Mise una mano sul suo petto.

Lui udì la richiesta. «Cosa?»

«Non pensare male.»

In che senso?

Lei portò le mani dietro la schiena e lui capì che stava per scoprire cosa la innervosiva.

Ami tirò giù la cerniera dell'abito che indossava. Il rossore sulle sue guance divenne così intenso che Alexander le lasciò fare un passo indietro, verso il letto.

Lei posò le mani sulle spalle, lasciando scivolare le dita sotto il tessuto del vestito blu, il petto che si muoveva ritmicamente, forte. Si spogliò fino a metà braccio. Con più coraggio lasciò cadere il vestito fino allo stomaco.

A lui bastò un'occhiata al suo torso per sentire un colpo al basso ventre, tanto intenso da lasciarlo senza fiato. 

Aprì la bocca per respirare, o forse solo per inneggiare alla vista di lei. My God.

Allungò una mano. Deviò in tempo per prendere quella di Ami, che lo stava guardando con due chiazze rosse sulle guance, quasi dolorante per l'imbarazzo.

Alexander riuscì a stento a riderne. «Non... dovevo pensare male?» Non avrebbe mai potuto. C'erano solo bene e dieci mondi di piacere dietro quella cosa semi-trasparente.

Dio, chi aveva mai inventato un indumento che delineava tanto bene dei capezzoli?

Quelli di Ami iniziarono a indurirsi sotto i suoi occhi, facendogli stringere i denti, aumentando la morsa all'inguine.

«L'ho comprato perché era carino. Non per...»

Non gliene importava nulla.

«Non per il sesso» espirò lei.

Lui la guardò negli occhi. «Non vuoi che lo usiamo per questo?» Avanzò, facendola indietreggiare verso il letto.

Ami cadde a sedere e lui si inginocchiò, le mani sulle sue gambe. «Non ti piace che ti guardi?» Voleva farglielo ammettere, perché non era disposto a toglierle subito quel reggiseno. Voleva giocarci, farne un mezzo per adorarla.

Per il bisogno che aveva di accarezzarla strinse nel pugno la sua gonna ed Ami sussultò. «Sotto ho un'altra cosa che... Gli slip sono uguali, ma più trasparenti.»

Se lei voleva farlo venire con le parole, ci stava riuscendo.

Alexander espanse l'eccitazione lungo tutto il corpo, diramandola, controllandola. Non aveva alcuna intenzione di perderla - per un'ora, se possibile, o per il resto della nottata. Al pensiero, morse le labbra.

Ami lo notò e si riempì d'aria. Gli coprì le mani con le proprie. «Mi piace quando... mi piace tutto quello che fai.»

Lui lo prese come un assenso. Con un dito le sfiorò lo stomaco.

Lei si tese, gli occhi socchiusi per la delizia della sensazione. «Non so perché ancora mi vergogno.»

Non so perché stiamo ancora parlando. Ma gli entrò in testa il tono di supplica che chiedeva una mano, e l'ossigeno tornò al suo cervello. «Cosa vuoi nascondere?» Non seppe perché fu così sincero, ma per farsi perdonare le aprì una mano, baciandole il palmo.

Ami faticava a pensare. «Non voglio nascondere il mio corpo. Non sono brutta.»

«Sei la più bella che abbia mai visto.» Ragazza, donna, creatura - non importava la categoria.

A lei sfuggì un lamento, commozione e resa. Gli prese la testa tra le mani, piegandosi in avanti. «Non voglio più pensare.» Chiuse la sua bocca in un bacio.

Lui si sollevò lentamente, senza smettere di ricambiarla. Si sentì un poco crudele nell'insistere. «Hai paura che sappia quanto lo vuoi, Ami love?»

Lei scosse la testa, la fronte contro la sua.

Alexander si appoggiò con le mani sul materasso, mentre lei ricadeva col peso sui gomiti. Si sdraiò.

Lui respirò contro le sue labbra, gli occhi chiusi. «Per cosa dovevo pensare male?» Voleva aiutarla a capire.

«Perché non ho pudore.»

Lui voleva che lei non ne avesse. E voleva che niente, nulla in assoluto, le desse dubbi mentre stavano insieme.

Fu una prova di quanto l'amasse il fatto che non potesse smettere di baciarla sulla bocca, nonostante il desiderio che aveva di usare le labbra sul suo corpo in altri modi. Ma Ami che lo abbracciava e cercava forza nello stringerlo era paradisiaco, era il bisogno che lui aveva di lei riflesso, dichiarato.

«Farei di tutto» gli disse lei e senza fiato Alexander le passò una mano sotto la schiena. Aiutandosi con le gambe la spostò verso l'alto, dove avrebbero avuto spazio per qualunque idea.

La confessione le era costata, ma lui aveva capito. «È una debolezza. Non ti fermi più se ti lasci andare.»

Deglutendo, Ami annuì.

Le faceva male sentire di doversi limitare, ma non stavano parlando di sesso. Se lei si lasciava andare completamente poi chiedeva troppo, voleva troppo - di questo aveva paura. Di non sapersi più frenare e di non essere in grado di mettere se stessa in secondo piano rispetto a lui - il suo concetto di massimo amore. Lo aveva già spinto al limite per amarlo, arrivando a una contraddizione da cui non sapeva uscire.

Ci voleva tempo, pazienza. Lui aveva ancora tanto da darle, e nessuna intenzione di smettere. «Un po' alla volta» le sussurrò, riferendosi a ogni cosa. «E vedrai che andrà tutto bene.»

Lei spinse il naso contro la sua guancia. Lo strinse con tutta la propria forza per la comprensione che stava ricevendo, poi rise piano. «Va bene non andare tanto piano. Per questo, adesso.»

Era contento di sentirglielo dire, perché voleva perdere un po' il controllo con lei. Non pretendeva di risolvere tutto in una sera, ma c'era una cosa che teneva a farle dire. Un altro passo avanti.

«Voglio farti tante cose, Ami.» Non smise di guardarla mentre lei smetteva di respirare. «Let me

Sì, le chiedeva di lasciarlo fare - una concessione di fiducia a scatola chiusa. Perché lui la conosceva, lei e i suoi limiti, e lei doveva saperlo, doveva fidarsi.

Nel suo sconvolgimento Ami fu abbastanza stabile. Riuscì persino a sorridere. «Ti piace così tanto questo pizzo?»

Gli piaceva lei che faceva quei discorsi, e la sensualità del suo mormorio, più dolce del solito. «Da morire.»

Ami assorbì le sue parole. Alexander seppe di essere osservato mentre abbassava lo sguardo sul petto di lei. Non si trattenne più, le accarezzò il torso con una mano, arrivando sul bordo bianco del tessuto che si adagiava sui suoi seni, teso sulle punte turgide e rosate che premevano sui ricami. Ami sfiorò con un dito quella che lui stava guardando, facendogli spalancare gli occhi.

«I'm letting you

Per nessun'altra frase lui avrebbe alzato la testa.

«Fa' tutto quello che vuoi. Va bene.»

Non aveva calcolato quanto forte sarebbe stato il pugno di eccitazione, la sorpresa. Imbambolato, non fece niente.

 

Ami non aveva voglia di aspettare. Sì, gli avrebbe lasciato fare ogni cosa, perché era così bello vederlo tanto intento su di lei e sentire di avere fiducia - anche per cose che non conosceva, che si sarebbe sentita troppo spudorata a provare, ma non importava. Voleva dimenticare, voleva dirgli di sì. Voleva lasciarsi andare e cadere per davvero - era eccitata a tal punto e non poteva uscire da quel momento, doveva viverlo per non perderlo.

Mise una mano sulla felpa di lui, sullo scollo. Gli sfiorò le clavicole, poi smise di toccarlo per portare le dita sul suo stomaco - l'unico modo di spogliarlo di qualcosa.

Alexander le prese il polso, spostandole la mano di lato, contro le coperte. «Ricordi la prima volta?»

«Hm?»

«L'effetto che ti hanno fatto i baci sui seni.»

Lei capì subito di cosa stavano parlando.

«Ho sempre voluto capire se era stata la novità, o se sei davvero così sensibile.»

Ami sentì il sangue che pulsava dai piedi fino al petto, più forte tra le gambe. Le unì, le strofinò. Non stava più arrossendo in faccia, ma dove lui stava per baciarla.

«Proviamo.»

Alexander non appoggiò le labbra, non sfiorò. Inglobò con la bocca tutta la sua areola, compreso il pizzo. Succhiò.

Lei gli graffiò le braccia, tirando indietro la testa. Sentì il movimento della lingua sul capezzolo - piccoli colpi continui, lenti e veloci, che accesero tutte le sue terminazioni nervose. Non aveva un solo muscolo che non fosse contratto, o parte di lei che non volesse essere toccata, strofinata, leccata.

So good.

Lui allontanò la bocca, la sostituì con un dito sulla punta del seno. «Ti ho bagnata di saliva. La senti sulla pelle?»

Lei annuì con la testa, gli occhi chiusi. Non era per la vergogna che non voleva vedere: voleva concentrarsi. Sul tatto, pensò, stringendogli la parte alta delle braccia, senza lasciare che l'ostacolo della felpa le impedisse di sentire il calore del suo corpo, la forma dei muscoli a cui poteva tenersi.

Ora lui stava usando un polpastrello su di lei, tracciando il contorno dello stesso capezzolo che aveva tormentato, spingendolo da un lato, dall'altro. Usò due dita per stringerlo, solo per un istante, poi la stuzzicò con un'unghia, lo strofinio col tessuto ricamato che acuiva le sensazioni.

L'aria usciva da lei senza scampo. La sua bocca si apriva, tremava, e l'idea di essere vista non era più un problema - era un regalo, qualcosa da condividere. Insieme respiravano convulsamente.

«Così lo rovino.» Lui abbassò le coppe del reggiseno, tutte e due, e per un momento fece quella strana cosa che facevano tutti gli uomini secondo Rei. Si riempì le mani dei suoi seni, un gesto che non portava sensazioni, se non mentali e solo a lui. Per tentare di nuovo di capirle Ami aprì gli occhi ma Alexander era già andato oltre e con due dita per seno - indice e pollice - stava facendo roteare piano entrambe le sue punte.

Incrociarono gli occhi, un istante che non le diede il tempo di sfuggirgli. Arrossì, ma non smise di guardarlo. Anche lui non riusciva a tenere le labbra chiuse. Erano più scure, come i suoi occhi. Alexander era diviso tra tormento e piacere, il suo volto identico a quando era coinvolto con tutto il corpo in quell'atto. Allargando i gomiti riuscì a chinarsi di più su di lei, senza smettere di muovere le dita. In realtà perse un po' di ritmo su una mano, ma sopperì con l'assaggio della bocca.

«Apri.»

Lei non aveva chiuso le labbra, ma comprese la supplica. Non bastava, bisognava averne di più. Inumidì apposta le labbra, come lui, per premerle umide contro le sue - una sensazione divina per come riuscivano solo a sfiorarsi e dovevano tendersi per trovare uno strofinio interno, delizioso proprio perché era breve, scappava.

Alexander si scostò di colpo, abbassandosi per premere la bocca aperta contro il suo capezzolo, il dorso della lingua insistente, duro, una tortura grandiosa.

Ami tese il petto e anche il bacino contro il corpo di lui, di mezzo la gonna del vestito arrotolata sopra i fianchi. Manovrò senza successo, o scopo, ma Alexander provò a trovarne uno mettendole una coscia tra le gambe. Non poté più muoversi senza strofinarglisi addosso.

Sul seno lui cominciò a morderla piano, alternandosi nel leccare.

Ami si procurò piacere da sola quando sollevò di nuovo il ventre. Spalancò la bocca, senza riuscire a crederci. Ripeté il movimento e mugolò.

Non l'aveva mai sentito in quel modo. Tutta la sua carne morbida aveva qualcosa di compatto contro cui sfregarsi. Era divino, piacevole da impazzire. Lo fece di nuovo, stringendo i denti per trattenere il suono.

Alexander si tirò su per metà, appoggiandosi su un fianco. Senza riflettere lei provò a non lasciar andare la sua gamba, ma lui ci mise di mezzo una mano, infilandola di lato nei suoi slip. Si bagnò le dita senza neppure provarci e lasciò scivolare il pollice verso l'alto, tra le sue pieghe. Quando lei sussultò, lui iniziò a descrivere un piccolo cerchio, con intento, letteralmente rubandole il cervello.

«Così» la pregò, ansimando e tornando con la lingua sul suo petto.

Lei si mosse a tempo col suo dito, non capendo neppure più cosa la tenesse ancorata al letto. Fu corpo invece che mente - divenne un tutt'uno con gli spasmi che le crescevano nel ventre, coi fianchi che roteavano cercando altra estasi. Sentì di nuovo la suzione nel punto più sensibile del seno, che tirava a sé sensazioni, le richiedeva.

Una breve leccata innocua si portò dietro lo spasmo finale, talmente forte che la colse di sorpresa, facendo scattare verso l'alto tutto il suo bacino.

Si agitò in movimenti ampi, sapendo per istinto come dimenarsi per amplificare la pulsione, le contrazioni di muscoli che si scioglievano a ritmo, senza perdere la forza della morsa. Le assecondò, perdendo ogni resistenza.

Appena il piacere iniziò a morire lentamente, deliziosamente, aprì con uno scatto le mani, smettendo di graffiare.

Controllò col palmo di non aver tirato fuori del sangue dietro il collo di lui. Trovò piccole scie asciutte, in rilievo. Contrita, massaggiò tutto intorno, poi gli accarezzò i capelli.

Alexander si tirò su senza smorfie di dolore, appoggiandosi sulle ginocchia e usando le mani per tirarle giù la gonna.

Lei gli diede una mano e non chiese quando si sentì spostare di lato, verso il bordo del materasso. Le salì un brivido - eccitazione, sgomento - quando lo vide scendere dal letto e inginocchiarsi sul pavimento, le mani sulle sue cosce per tirarla verso di lui, verso la sua faccia.

Aspetta.

Non le uscì la parola, perché col primo tocco lui riposizionò i suoi slip, sistemandoli per coprila. La massaggiò lungo tutta la stoffa con un solo dito, espandendo la chiazza umida.

«Come la prima volta» disse senza guardarla, chinandosi e appoggiando a occhi chiusi la bocca su di lei, per baciarla.

La luce era accesa e questa volta Ami vide con una chiarezza sconosciuta. Con le sopracciglia unite, perso, lui riceveva piuttosto che prendere, anche quando tirò fuori la lingua e assaggiò, premendo tanto forte che risultò chiaro che voleva sentire il sapore. Lo cercava, lo voleva.

Ami si portò le mani alla faccia, sussultando involontariamente. Cercò di tenere aperte le gambe, di non chiuderle - perché anche se le veniva da gemere per il contatto, la possibilità che lui potesse sfilarle gli slip... Oh, Alex lo avrebbe fatto e lei non avrebbe avuto più il minimo pudore. Non avrebbe più potuto difendersi se- se lui... Iniziò a provare un nuovo picco di piacere, contenuto e languido. Lo strofinio di lingua e cotone frammentato insieme era immensamente piacevole, mobile e scivoloso, da togliere il fiato. Direttamente sulla carne sarebbe stato...

Lei non voleva sentire così tanto! Lo pensò anche mentre i suoi fianchi tremavano in risposta, ondeggiando.

Alexander smise, si staccò per guardarla in volto.

Con tutte le sue forze lei provò a non fargli vedere alcuna esitazione. Lui non lo meritava e lei non capiva - non capiva! - perché ancora non riuscisse a dargli tutto, che cosa le facesse paura.

Io sono già tua, no? Era così vero, qual era il problema?

Lui si stava tirando su, piano, le mani appoggiate sul materasso, ai lati del suo corpo. Respirava forte e non aveva smesso di osservarla. Invece di avvicinarsi ad abbracciarla, si allontanò all'improvviso, facendo il giro del letto. Seguendolo con gli occhi, Ami si tirò indietro, tornando distesa nel verso lungo del letto.

Non si alzò, non si sedette. Rimase a guardare mentre lui apriva il cassetto dove avevano concordato di tenere i preservativi.

Le uscì un sospiro - sollievo. Si sollevò per spogliarsi.

Alexander aveva in volto un'espressione sofferente. Tirò via la felpa e gettò la confezione del profilattico sul letto prima di abbassare la zip dei pantaloni, facendo attenzione a non farsi male. «Ami...» Liberò in fretta le gambe e tornò da lei. «Perché fai quella faccia?»

«I love you.»

Quando riuscì ad abbracciarlo, capì. Comprese quando lo tenne stretto, quasi con disperazione, il naso contro il suo e gli occhi aperti per non smettere di guardarlo.

Non so per quanto tu sarai mio.

Lui la abbracciava forte, di rimando. «... vuoi che smettiamo?»

«No» sussurrò decisa. Al contrario, voleva continuare. Era davvero lei quella che voleva prenderlo, tenerlo in eterno. Ma non era possibile fare una cosa simile a una persona.

Eppure, lo baciò con trasporto e tutta se stessa. Cercava di dimenticare il limite, era una persona egoista. Voleva chiedere e avere tutto, anche se non era più una bambina. Non sarebbe uscita intera quando avesse dovuto ricordarsi che tra le persone doveva esserci distanza, spazio.

«Non ti è piaciuto?» Lui stava provando a staccarsi. «Non lo farò più.»

«No.» Parlò a occhi chiusi, contro le sue labbra. «È bello tutto quello che fai.» Era incredibile amarlo e stare insieme. Ma lui doveva andare in America per mesi, era già deciso. Lei poteva andare a trovarlo tutti i giorni, ma forse non doveva farlo? Forse Alex lo avrebbe trovato complicato, forse non avrebbe voluto distrazioni.

Magari era giusto staccarsi un po'.

Lui le accarezzò la tempia, facendole aprire gli occhi. Aveva tanta voglia di chiedere e capire, ma comunicarono come sapevano, sentendo entrambi che cosa desideravano di più - e non si trattava di spiegazioni.

Alexander si scostò per levare i boxer e lei infilò una mano sotto l'arco del suo braccio, per prendere il profilattico che lui aveva schiacciato. Glielo passò, attese. Lo accolse quando tornò a sdraiarsi accanto a lei.

Era quella la cosa più bella. Le piaceva il sesso e sì, amava il sensazioni, ma quando sentiva lui con tutto il corpo, e non c'era parte di lei che non lo avesse e che non gli appartenesse. Era l'esperienza più... «I love it» gli disse, allargando i fianchi sotto i suoi, sentendolo entrare. Lo avvolse con le braccia, nel loro momento perfetto. «I love you so much.»

«I adore you, Ami love.» Alexander non si mosse con lei, restò fermo a godersi l'unione, i baci lievi. «Dopo dovrai dirmi perché facevi così.»

Lei non ne aveva alcuna intenzione. Gli voleva troppo bene per intrappolarlo e ricattarlo con l'amore.

Aveva avuto un momento di debolezza perché era imperfetta, una ragazza comune. Ma sapeva come amarlo ed era fortunata. «Sono felice.» Lo incitò a muoversi, ottennendo una piccola e deliziosa spinta.

Alexander aveva chinato la testa. Lei lo sentì sorridere contro un lato del suo viso. «Davvero?»

«Sei venuto a trovarmi, ti mancavo.»

«Tantissimo.»

Aveva già così tanto di lui. Ondeggiarono di nuovo e lei volle ripetergli la verità. «Mi manchi anche quando non ti cerco.» Quando non poteva dirglielo, per timore di chiedergli più di quanto doveva.

«Lo so.»

Volle mettersi a piangere di gioia, ma non fu così sciocca. Semplicemente, si lasciò andare. Era capace, un giorno ci sarebbe riuscita completamente. Come diceva lui, sarebbe andato tutto bene alla fine, piano piano.

Mozzò il fiato e si abbandonò al momento. Lasciò vincere l'amore e fu la persona più felice, più completa e adorata.

 

C'erano cose - pensò Alexander alla fine, sdraiato - che ancora non capiva di Ami.

Lei sorrideva serena, piena di energie mentre si rivestiva accanto al letto, guardandolo. «Vado a finire la cena.»

Lui si sarebbe alzato per accompagnarla, ma gli era venuto un incredibile colpo di sonno.

Ami aprì l'armadio e tirò fuori una trapunta. «Quanto hai dormito stanotte?»

«Sei ore. Credo.» Se finiva prima di studiare, si era detto, avrebbe avuto un po' di tempo libero quella sera.

Allargando le braccia, Ami distese la trapunta sopra di lui.

«No.» Alexander provò ad alzarsi, ma lei lo fece ricadere sul materasso, le mani sulle sue spalle. «Certo che sì. Riposa.»

«Non-»

«Hai studiato tutto o no?»

«Sì.» Odiava ridursi all'ultimo momento. Studiando in quegli ultimi giorni in realtà lo aveva fatto: stava dedicando troppo tempo al lavoro sulla tesi - con grande anticipo, per prepararsi a ogni eventualità sul loro futuro.

«Ti sveglio io, prima che rientri mamma. Ti do il tempo di mangiare insieme, poi torni a casa.»

Lui riuscì a ridere. «Così sembra che sia venuto da te solo per...»

Ami gli regalò un sorriso adulto, molto diverso dall'imbarazzo di inizio sera. «Non mi sarebbe dispiaciuto.» Si chinò su di lui, sistemandogli le coperte sulle spalle. «Dormi.» Lo baciò sulla fronte. «Veglio io su di te.»

Ne risero insieme, poi lei lo lasciò solo.

Lui faticò a tenere aperti gli occhi.

Doveva davvero ricordarsi di avere più pazienza. Poi Ami era capace di far finta di nulla ed essere anche soddisfatta ma... non c'era ragione di far esistere il disagio, solo perché lui aveva avuto fretta. Quando andavano piano, ai tempi di lei, andava tutto bene.

Non voleva più vederla esitante, voleva solo farla felice.

Abbassò le palpebre.

.. avevano tutto il tempo.

 

Marzo 1997 - Lasciarsi andare? - FINE

 


NdA: Eh. Qui ho introdotto un concetto di cui stavo parlando già da un po' in spoiler vari. Mi rendo conto che possa non essere chiarissimo, considerato che, come mio solito, salto da un momento temporale all'altro, senza finire di raccontare bene cose precedenti. Questa è la prima volta nel suo percorso che Ami definisce tanto bene nella sua testa quello che prova. Delineavo uno dei motivi di questo suo atteggiamento nell'ultimo capitolo di Acqua viva, parlando del rapporto con suo padre.

Ami è una ragazza cresciuta con l'idea che, se si ama qualcuno, bisogna lasciarlo andare. Bisogna lasciare che le persone che si amano (suo padre, ma anche sua madre) si occupino delle cose che amano davvero (il lavoro, l'arte) rispetto alle quali lei deve accettare di stare in secondo piano.

È una cosa dolorosa da accettare per un bambino, per una persona, ma Ami la ritiene normale.

Lei non si è detta con chiarezza che il suo atteggiamento dipende dai suoi genitori - non so nemmeno fino a che punto ne sarà consapevole in futuro, ma scoprirlo non la aiuterà a cambiare definitivamente modo di fare. Ormai fa parte di lei.

Quindi, questo sarà il problema che lei dovrà risolvere nel suo prossimo futuro. Non da sola, ovviamente, ma la domanda è: fino a che punto può essere spinta la pazienza di Alexander? A livello sessuale, pare che non ci siano problemi (:D). Per questi due conta molto il livello emotivo. Lui può essere forte fino ad un certo punto, perché - come spiegavo in passato - questo suo voler dare e dare nasconde un'insicurezza di fondo con riguardo ad Ami. Cioè, anche lui ha il timore che, se non è abbastanza bravo e generoso, sarà mollato.

Eh. Non si prospettano tempi facili per questi due.

Come al solito cercherò di descrivere bene tutte queste vicende.

Grazie di aver letto!

ellephedre

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

   
 
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