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Autore: Kary91    31/05/2015    6 recensioni
[One-Shot|Post-saga|Gale & Haley (bimba) Mellark]
E tu, papà di Joel?” azzardò poi in un soffio. “Anche tu mi proteggeresti se arrivassero quelli che mi vogliono mandare agli Hunger Games?”
“Haley, nessuno ti manderà agli Hunger Games” ribadì l’uomo, sollevando il mento della bambina, per poterla guardare negli occhi. “Hai solo fatto un brutto sogno.”
“Ma se succedesse…” insistette la ragazzina, “… Mi proteggeresti, vero? Come fanno gli angeli custodi?”
L’uomo sospirò; le prime avvisaglie di nervosismo, miste alla stanchezza, erano arrivate a infastidirlo.
“Sì” promise infine, passandosi una mano sul volto. “Certo che ti proteggerei.”
Anche se non ne sono capace, aggiunse mentalmente. Anche se non ho potuto fare nulla per salvare tua zia, che era solo una bambina; una bambina come te.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bimba Mellark, Gale Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Premessa. Questa storia è parte della serie “Il Pilota e la cometa”. È ambientata a diversi anni di distanza dall’epilogo di Mockingjay; Gale Hawthorne è tornato a vivere nel Distretto 12 assieme a suo figlio, Joel, e alla sua fidanzata, Johanna Mason. Haley è la primogenita di Katniss e Peeta ed è anche la migliore amica del piccolo Joel.

La storia partecipa alla fase due dell’iniziativa “Ready, set, prompt” indetta dal gruppo Facebook “The Capitol”; è stata scritta con il prompt “Haley/Gale -  ho fatto un brutto” sogno, lasciatomi da Kyrean is on Fire.

 

 

 

 

«E così pensavo io: “Succede sempre verso sera, quando tutti i bambini lontani da un genitore sono più tristi.

Se riescono a stare vicino a qualcuno che li aiuta a cullarsi nei ricordi belli anche senza parlare,

non hanno più paura della paura, perché quella arriva con il buio e loro sono già addormentati.»

Il bambino di Cioccolato. Roberto Grande

 

 

Resti con me?

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Gale si rigirò nel letto e cambiò lato al cuscino per cercare un po’ di freschezza. Il sonno, come ogni sera, tardava ad avvolgerlo e la sua mente arrancava fra pensieri scomodi e ricordi lontani.

Sentì Johanna borbottare qualcosa nel sonno e si voltò verso di lei, sorridendo appena. In quel momento un rumore leggero di passi lo sorprese alle spalle. La porta della stanza si aprì e una figurina minuta si disegnò nel buio, avanzando incerta.

“Gale?” soffiò poco dopo una voce infantile.

L’uomo si passò una mano sul volto in un vano tentativo di cancellarne la stanchezza.

“Che cosa c’è, Haley?”

La figurina azzardò qualche passo verso il letto e, quando Gale accese la lampada sul comodino, le ombre sfumarono e al loro posto comparve una bambina. Haley Mellark aveva una guancia striata di rosso per via dei segni lasciati dal cuscino e gli occhi contesi tra la l’imbarazzo e l’inquietudine. Era la prima volta che la ragazzina trascorreva la notte in casa Hawthorne, complici le sue suppliche e quelle di Joel.

Dormire in una casa diversa dalla propria non era sempre semplice, per questo Gale non si stupì quando la bambina appoggiò la schiena al bordo del letto, mordicchiandosi una manica del pigiama.

“Che succede, Hales?” chiese ancora l’uomo, tentando di addolcire il tono di voce.

La ragazzina tentennò, prima di rispondergli.

“Ho fatto un brutto sogno” sussurrò infine, azzardando un’occhiata intimorita a Johanna. Quando si accorse che stava ancora dormendo, sembrò rilassarsi leggermente. “Non ti volevo svegliare, però avevo paura e Joel dormiva e non volevo restare da sola.”

“Non mi hai svegliato, ero già sveglio” la rassicurò l’uomo, sfilando la manica del pigiama dalla bocca della ragazzina. “Che cosa hai sognato?”

Haley sospirò e si sedette sul bordo del letto.

“Ho sognato che la mamma doveva andare di nuovo agli Hunger Games” mormorò, fissandosi i piedi scalzi. “Il papà piangeva, poi hanno portato via anche lui e io e Rowan rimanevamo soli. E loro li vedevamo in televisione, ma io avevo tanta paura che morivano e…”

“Shhh…”

Gale si premette un dito sulle labbra e le indicò Johanna con un cenno del capo. La bambina, che aveva alzato il tono di voce, tornò a sussurrare.

“È stato un sogno bruttissimo, papà di Joel” riprese, mentre l’uomo si sedeva di fianco a lei. “Sembrava proprio vero...”

“Adesso, però, è tutto finito.”

Gale le accarezzò i capelli e Haley ne approfittò per appoggiarsi a lui.

“I tuoi genitori stanno bene e gli Hunger Games non esistono più.”

“E se li rifanno?” sussurrò la ragazzina, fissandolo allarmata. “E se poi siamo io e Rowan a dover andare agli Hunger Games? Io ho paura.”

Gale scosse la testa.

“Non accadrà” promise in tono di voce fermo. “Tu e tuo fratello siete al sicuro, Haley. I tuoi genitori non permetterebbero mai a nessuno di farvi del male.”

La bambina annuì, visibilmente rincuorata.

“E tu, papà di Joel?” azzardò poi in un soffio, sollevando una mano dell’uomo. Incominciò a giocare con le sue dita, piegandole e riaprendole, come aveva fatto spesso Joel quando era più piccolo. “Anche tu mi proteggeresti se arrivassero quelli che mi vogliono mandare agli Hunger Games mentre sono qui?”

“Haley, nessuno ti manderà agli Hunger Games” ribadì l’uomo, sollevando il mento della bambina, per poterla guardare negli occhi. “Hai solo fatto un brutto sogno.”

“Ma se succedesse…” insistette la ragazzina, “… Mi proteggeresti, vero? Come fanno gli angeli custodi?”

L’uomo sospirò; le prime avvisaglie di nervosismo, miste alla stanchezza, erano arrivate a infastidirlo.

“Sì” promise infine, passandosi una mano sul volto. “Certo che ti proteggerei.”

Anche se non ne sono capace, aggiunse mentalmente mentre si voltava verso Johanna; controllò che non si stesse agitando nel sonno, come le capitava di fare spesso mentre stava avendo un incubo.  Anche se non ho potuto fare nulla per salvare tua zia, che era solo una bambina; una bambina come te. 

“Dai, torniamo a letto, adesso” chiuse il discorso, prendendola in braccio.

Attraversò il corridoio che dava sulla camera di Joel, con le braccia di Haley aggrappate al proprio collo. Stava per depositare la ragazzina nel suo letto, quando si accorse che le dita di Haley stavano inseguendo qualcosa lungo la parte alta della sua schiena. Una linea biancastra e in rilievo che partiva dal collo e si estendeva storta verso il basso.

Un brivido di rabbia lo scosse, prima che potesse fare in tempo a reprimerlo.

“No” dichiarò secco, posando la bambina sul letto.

Haley lo squadrò intimorita per qualche istante, tormentandosi la manica del pigiama.

Nel riconoscere l’inquietudine negli occhi della bambina, Gale si sentì in colpa.

“Che cos’hai sulla schiena?” chiese in un soffio Haley.

“Niente” liquidò la questione l’uomo, facendole segno di mettersi sotto il lenzuolo.

La bambina lasciò che gli rimboccasse le coperte, ma continuò a fissarlo guardinga. Gale sostenne infastidito quello sguardo: in quel momento ricordava così tanto la madre che non poté fare a meno di distogliere gli occhi dai suoi.

“Non è vero” mormorò la ragazzina, appoggiando la testa al cuscino. “Io lo so che cos’hai: sono delle cicatrici.”

Gale non disse nulla; finì di rimboccarle le coperte e attraversò la stanza per dare un’occhiata al figlio, ancora profondamente addormentato. Si chinò su di lui per dargli un bacio sui capelli e il contatto lo fece istintivamente sentire meglio. La presenza di Joel era una delle poche cose che non falliva mai nell’allontanare la tensione dal suo corpo. Suo figlio, almeno per il momento, non sembrava portarsi dentro quel vento[1] di cui invece era fatto lui e che alimentava da sempre il fuoco del padre.

“Come te le sei fatte?” chiese ancora Haley, sedendosi sul letto. Si strinse nelle spalle, quando lo sguardo teso di Gale tornò a posarsi su di lei. “A me piacciono tanto le cicatrici. Gioco sempre con quelle della mamma e del papà, ci passo sopra le dita!”

L’uomo serrò la mascella, avvertendo il nervosismo crescere; non amava parlare dei segni che gli sfregiavano la schiena e, ancor meno, tollerava che qualcuno li toccasse. C’era il suo fuoco in quei segni, le fiamme del ribelle che era stato e che gli anni avevano cercato di soffocare, di nascondere. Non poteva permettere che fosse proprio la figlia di Katniss a scottarsi per colpa sua. Doveva tenerla alla larga da quel passato che aveva già ferito sua madre e sua zia. Doveva proteggerla, così come non era riuscito a fare con Joel, che spesso prendeva le veci del padre per rassicurare lui e Johanna, quando li sentiva sussurrare nel sonno.

“Buonanotte, Haley” mormorò con voce ferma, dando le spalle ai due letti.

Non aveva ancora raggiunto la porta che l’ostinazione della piccola Mellark si era già messa d’impegno per trattenerlo.

“Aspetta!” lo richiamò la ragazzina, sgusciando fuori dal letto. Nella penombra, la vide cercare a tentoni la lampada sul comodino. “Non mi lasciare sola,  per favore!”

La luce si accese e gli occhi spaventati di Haley trapassarono quelli di Gale come frecce appuntite. L’uomo tornò a irrigidirsi, conteso fra il nervosismo e il senso di colpa. Faceva male quello sguardo intimorito, perché era stato lui a disegnarlo sul suo volto. Stava abbandonando una bambina di sette anni in pasto ai propri incubi per paura di trasmetterle anche i propri.

“Per favore…” ripeté Haley, raggiungendolo a testa china. Gli prese una mano, ma non cercò di trascinarlo come faceva di solito, quando s’intestardiva su qualcosa che doveva mostrargli.

Aspettava, supplicandolo con quella stretta esile aggrappata alle sue dita.

Gale si accovacciò di fronte a lei; ancora una volta lo sguardo spaurito di Haley gli fece bruciare gli occhi, ma lui sostenne ugualmente il proprio.

“Non sei sola” cercò di rassicurarla, addolcendo il tono di voce. “C’è Joel qui vicino. Lui è molto bravo a difendere le persone dagli incubi. Se dovessi averne un altro, ti proteggerà.”

Haley esitò; le lacrime incominciarono a formarsi agli angoli dei suoi occhi atterriti.

“Voglio il mio angelo custode” mormorò infine in un soffio, appoggiando la testa al petto di Gale. “Non essere arrabbiato con me, non te lo chiedo più delle cicatrici” promise, stropicciandosi un occhio umido con la manica del pigiama.

Gale sentì la canottiera inumidirsi di lacrime; la rabbia e il senso di colpa si fecero strada attraverso quel contatto, mescolandosi al dolore di episodi che facevano parte del suo passato.

Ricordò una ragazzina spaurita dagli occhi azzurri come quelli di Haley, che piangeva con il capo sulla sua spalla, terrorizzata dalla partenza della sorella agli Hunger Games.

Ricordò una giovane in lacrime perché il ragazzo che amava – non lui, non Gale – era tenuto prigioniero a Capitol City; forse vivo, forse morto.

Ricordò e vide Haley, ma anche Prim e poi Katniss, aggrappate alla sua canottiera, che lo imploravano alla ricerca di conforto.

Allargò le braccia; Haley allacciò i polsi attorno al suo collo e si lasciò prendere in braccio, mentre il primo singhiozzo le percuoteva il petto.

“Sono qui” le sussurrò Gale, cullandola per qualche istante, prima di adagiarla nuovamente sul letto. “Sono qui.”

La bambina tirò su col naso e annuì; oppose un po’ di resistenza, ma alla fine si staccò dall’uomo e si rannicchiò sul materasso.

“Non andare via” mormorò, mentre Gale le rimboccava le coperte.

L’uomo si sedette di fianco a lei; la guardò come si guarda qualcosa di cui si ha paura, ma che non si può fare a meno di proteggere, anche se c’è il rischio di farsi male.

“Non vado da nessuna parte” promise, accarezzando i capelli della bambina.

Haley sorrise, scacciando un po’ di quella sofferenza che si era arenata nei suoi occhi. Una sofferenza che Gale non aveva mai incontrato nel suo sguardo, prima di quella sera.

“Resti sempre con me?” sussurrò la ragazzina, cercando la sua mano. “Anche quando mi addormento?”

Gale esaminò come assorto quelle dita esili intrecciate alle sue; il fantasma di Prim e quello della Katniss di un tempo si avvinghiarono al suo polso, premendo con forza, quasi a volerglielo spezzare. Tuttavia, quando Haley gli agitò la mano per attirare la sua attenzione, i fantasmi svanirono.

Rimasero solo una bambina spaventata che aveva bisogno di lui e un incubo che aleggiava vizioso nella sua testa. Un incubo a cui, almeno per quella notte, avrebbe proibito di tormentarlo.

“Resti con me?” ripeté ancora la bambina, socchiudendo gli occhi.

Gale annuì, accarezzando la mano di Haley con il dorso del pollice.

“Sempre.”

 

 


Senza titolo 1

 

Note Finali.

Sì, le ultime righe contengono un parallelismo pericolosissimo con l’Everlark, non me ne vogliate ** *scappa per difendersi da pomodori* Non era previsto, ma si è infilato in mezzo mentre plottavo, complice il legame forte e particolare che si è ormai instaurato fra Gale e la piccola Mellark, come si può notare soprattutto in “Forse sbagliano anche gli angeli e “Heart Keeper”. Questa è forse la prima storia in cui Gale si comporta più da “Gale” mentre è con Haley, e al tempo stesso Haley non è così “Haley” – leggasi sfacciata, allegra e rompipalle - come al solito. Li ho pescati in un momento in cui sono entrambi piuttosto vulnerabili; specie Gale, che nella mia testa l’ho sempre immaginato molto insonne e tormentato dagli incubi, nel periodo post-rivolta, forse anche perché gli strascichi del suo DPTS (raccontato in “Credo negli esseri umani”) sono sempre presenti.

Voglio veramente tanto bene a questi due e al loro legame, e scrivere one-shot dedicate a questa strana accoppiata è un po’ come andare a rifugiarsi su un terreno sicuro, nel senso che mi rilassa e mi diverte proprio tanto immaginare le loro conversazioni, e le situazioni in cui compaiono assieme. Spero tanto che la storia possa esservi piaciuta!

Un abbraccio e a presto!

Laura



[1] “Gale” significa ‘burrasca’, ‘tempesta’, ‘vento molto forte’.

   
 
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