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Autore: mudblood88    31/05/2015    3 recensioni
Seguito di "I cattivi non hanno mai un lieto fine, ma Regina ha Emma."
TRATTO DAL TESTO:
«Vuole il tuo cuore, Emma».
«Non mi importa» rispose la bionda, con fermezza. «Non ti lascerò andare da sola».
Regina fece un passo verso di lei, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.
«Emma, ascolta...»
«No» la interruppe, alzando le mani in un gesto deciso. «Non mi importa, qualsiasi cosa dirai ho preso la mia decisione. Avevo promesso a Henry che mi sarei presa cura di te. Che ti avrei protetta. Ed è quello che ho intenzione di fare. Io sono la Salvatrice!»
«Emma» disse Regina, in tono grave. «A volte... anche la Salvatrice deve essere salvata».
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

VENTISETTE GIORNI PRIMA DEL SOLSTIZIO D'ESTATE 

 


Henry non aveva idea che il castello di Elsa fosse così lontano dal Pozzo dei Desideri. I metodi che usava Regina, per viaggiare, erano sicuramente più comodi e evidentemente molto più veloci.

Scese la notte, e lui si ritrovava ad un punto morto. Nel buio, faticava a leggere la cartina, così decise di trovarsi un riparo per riposare qualche ora, per muoversi di nuovo alle prime luci dell'alba. Raggiunse una radura, lungo il sentiero che stava seguendo, la attraversò per rientrare nel bosco e ripararsi in mezzo ad alcuni alberi. Sistemò lo zaino come un cuscino e usò il giacchetto di Emma per coprirsi. Quando lo tirò fuori, se lo portò vicino al viso, sentendo il profumo di Emma vivo come non mai. Sembrava quasi che fosse lì con lui.

Si tolse la spada dalla cinta, prima di stendersi a terra e riposare. Ma non ci riuscì; non riusciva a prendere sonno, non riusciva a riposarsi, non riusciva a smettere di pensare che Emma e Regina, ancora una volta, avevano bisogno di lui. Pensò a Regina, e all'ultime parole che aveva sentito pronunciare dal dottore.

"Incinta di cinque settimane".

Sorrise, al pensiero. Certo, la situazione era complicata, ma avrebbe avuto un fratellino. O una sorellina. Se c'era un'opportunità di diventare finalmente una vera famiglia, bè era quella. E non poté fare a meno di sorridere ancora, pensando che in quella famiglia, ci sarebbe stata anche Emma.

Era strano pensare che Emma e Regina potessero diventare una coppia. Per quante volte lui avesse desiderato una famiglia unita, si era ormai abituato a quella situazione. Aveva entrambe le sue mamme al suo fianco, e il pensiero di averle insieme, a dargli il bacio della buonanotte, a cenare tutte le sere intorno allo stesso tavolo e magari, perché no? Vivere insieme sotto lo stesso tetto. Questi pensieri gli riempivano il cuore di gioia. Era fiducioso che una volta risolto tutto quel grosso problema avrebbero avuto una vita felice, avrebbero avuto il loro lieto fine.

Dopo un paio d'ore disteso sotto al cielo stellato, decise di rialzarsi. Non era ancora giorno, ma non sarebbe comunque riuscito a riposarsi, quindi era meglio non perdere altro tempo.

Proseguì lungo il sentiero che stava già percorrendo, alla cieca. Non riusciva a vedere bene la mappa, ma il suo istinto gli diceva che la strada era giusta. Il bosco era avvolto nel buio, non vedeva niente davanti a sè se non l'oscurità.

All'improvviso, sentì un inconfondibile rumore di acque provenire dalla sua sinistra. Lo seguì, facendo slalom tra gli alberi e ritrovandosi quasi subito davanti al mare aperto. Respirò profondamente l'aria salmastra del mare, si guardò intorno e fu allora che vide delle luci. Non lontano da lui, si stendeva il porto di Arendelle e in lontananza, nonostante il buio, riuscì a distinguere il profilo del castello di Elsa che sembrava attendesse soltanto il suo arrivo.

 

**

 

«Regina Mills» ripeté Emma, esasperata, all'infermiera del reparto in cui era ricoverata Regina. «E' stata ricoverata ieri sera».
«Non c'è bisogno che me lo ripeta, signorina» la ammonì l'infermiera. «Se non è una parente, non posso indicarle la stanza».
«Ma io sono una parente» rispose Emma, con la pazienza che diminuiva sempre di più. «Sono sua sorella».
L'infermiera la fissò per un attimo. «Non vi somigliate per niente. Lei come si chiama, signorina?»

Emma si morse un labbro. Certo, avrebbe potuto essere una cugina di terzo o quarto grado, sarebbe stato meno sospettoso. Ma il suo cervello aveva smesso di funzionare nel momento in cui la sua pazienza si era esaurita.
«Emma Mills» rispose, cauta.
«Mi fa vedere un documento?»
Emma sentì la rabbia salirle nel petto. Ma non si scoraggiò; aveva in tasca la patente, e quando la tirò fuori, con un piccolo gesto della mano si assicurò di modificare il cognome da "Swan" a "Mills". Rilesse il documento, per esserne sicura, e le scappò un sorriso leggendo il cognome di Regina accostato al suo nome.
Poi lo porse all'infermiera, che lo squadrò da cima a fondo, come per cercare l'errore che era sicura ci fosse ma non riusciva a vedere.
«Molto bene» disse, dando di nuovo la patente ad Emma. «Secondo corridoio a sinistra, la stanza numero quindici».
Emma si affrettò a raggiungere la stanza. La porta era chiusa, ma lei non ci badò; entrò, con il cuore in gola, ma quando si ritrovò davanti un letto vuoto restò per un attimo impalata sulla soglia.
«Regina?» sussurrò. Fece qualche passo nella camera. «Regina, sei qui?»
Si avvicinò al comodino, dove era sistemata una cartelletta che lei subito aprì.
"Regina Mills" lesse. "Incinta di cinque settimane".
Sì, quella era decisamente la stanza di Regina.
Si guardò intorno, e vide che non c'era niente di suo; nè i vestiti, nè gli oggetti personali. Non ci mise tanto a capire che Regina se n'era andata, e la conosceva abbastanza bene da poter intuire che non era stata dimessa.
Sentì un'infermiera avvicinarsi dal corridoio, così decise di sgattaiolare fuori prima che questi si accorgessero che Regina era scappata e cominciassero a tempestarla di domande.
Si rimise il cappuccio sulla testa, uscì dalla porta e passò accanto ad un'infermiera e un dottore che non la degnarono di uno sguardo. Poco dopo sentì il dottore chiedere dove fosse la signorina Mills, e così ebbe la conferma che Regina se n'era andata senza permesso.


 

**

Regina ricomparve davanti alla stazione di polizia e vi trovò una piccola folla, compreso lo sceriffo, che aveva conosciuto la sera prima. E in un attimo, si ricordò tutto. Quello era Neal, il fratello di Emma, il figlio di Biancaneve e il principe Azzurro. Soltanto che ora aveva almeno vent'anni, e loro l'avevano lasciato che era soltanto un neonato.
Restò in disparte, per non attirare l'attenzione su di sé. Se Neal l'avesse riconosciuta probabilmente l'avrebbe arrestata, esattamente come aveva fatto con Emma.
Regina si fece pensierosa; forse, farsi arrestare non era una cattiva idea. Lei ed Emma sarebbero state di nuovo insieme, e avrebbero potuto trovare un modo per uscire da quel pasticcio. Avrebbero avuto tutto il tempo di parlare e ideare un piano.
Si avvicinò appena per sentire cosa Neal stava dicendo alla folla.
«State tranquilli, si risolverà tutto».
«Ma come possiamo stare tranquilli? Questa è opera di ladri esperti!» gridò un'anziana donna, che Regina non riconobbe.
«Potrebbero entrare nelle nostre case» aggiunse un'altra donna, un po' più giovane, coi capelli legati in uno chignon.
«Nessuno entrerà da nessuna parte» le interruppe Neal, alzando le mani nel tentativo di calmare tutti. «Una delle due donne è ricoverata in ospedale, l'altra l'ho arrestata ieri sera. Non vi faranno del male».
Regina fece un passo indietro, mentre altre proteste si alzavano dal gruppo davanti allo Sceriffo. Si allontanò, infilandosi in un vicolo per non farsi vedere. Qualcuno, dalla folla davanti alla stazione di polizia, si allontanò, lasciando Neal e pochi altri alle prese con la serratura che non si apriva. Regina lo osservò a lungo, prima di rendersi conto che quella era un'opera di magia. E l'unica persona in grado di usare la magia, a parte lei, era Emma. Quindi c'era una possibilità che fosse riuscita ad evadere.
Sospirò, restando in balia dei suoi pensieri. Se Emma era fuggita, dov'era andata? Era forse andata a cercare i suoi genitori? Era forse andata a cercare Henry?

Se invece era ancora chiusa lì dentro, c'era solo un modo per scoprirlo.
Aspettò finché Neal non si arrese. Era ormai l'unico rimasto davanti alla porta, e in pochi minuti se ne andò, scomparendo nelle strade della città.
Regina si guardò intorno un paio di volte, prima di uscire dal vicolo e raggiungere la porta per controllare se fosse effettivamente opera di Emma. Certo, sarebbe potuta comparire all'interno dell'ufficio senza problemi, ma Emma poteva non essere l'unica presente, ed era meglio evitare l'effetto sorpresa almeno in quel caso.

Controllò la serratura e sorrise. Emma era davvero migliorata tanto con la magia. Con un gesto della mano, disattivò l'incantesimo e spalancò la porta. Avanzò nel corridoio il più veloce possibile, fino a ritrovarsi di fronte alla cella vuota.
Sbuffò. «Riusciremo mai a smetterla di rincorrerci, Swan?»
Era troppo tardi quando sentì dei rumori dietro di sé.
«Ferma là!»
Si voltò di scatto, vide lo Sceriffo che le puntava una pistola contro, e non ebbe nessuna esitazione. Scomparì in una nuvola di fumo viola, senza preoccuparsi di ciò che il ragazzo avrebbe pensato.


 

**

«Dove diavolo sei, Regina?» borbottò Emma, uscendo dall'ospedale.
Si augurò di non incontrare Neal. Sperava che il suo incantesimo avrebbe tenuto abbastanza da darle il tempo di ritrovare Regina. Certo, non immaginava che avrebbe dovuto cercarla dappertutto, ma non si perse d'animo.
Camminò per le vie di Storybrooke, cercando di non dare nell'occhio. Pensò e ripensò a tutta quella situazione, a Regina, a Henry, ai suoi genitori. Forse, prima di trovare Regina, doveva andare da Mary Margaret e David. Insieme, forse, avrebbero potuto trovare una soluzione.
Ma in un angolo remoto della sua mente, c'era una vocina che le diceva che non era prudente. Il suo super potere, forse, non era del tutto arrugginito. C'era la possibilità che Mary Margaret e David non la riconoscessero, oppure poteva rischiare di rovinare qualche strano equilibrio spazio temporale. Lei non sapeva niente di quelle cose, era Regina quella che avrebbe saputo come muoversi. Quindi la sua priorità era trovarla.

Era persa nei suoi pensieri e si rese conto troppo tardi che stava andando a sbattere contro qualcosa. Anzi, qualcuno.

Alzò lo sguardo e si trattenne dal pronunciare il nome della persona che si trovava di fronte. La conosceva fin troppo bene, nonostante le rughe che le solcavano il viso e i capelli più argentati che castani.

«Mi scusi, signorina, non l'avevo vista» si scusò Belle.

Emma sussultò. La voce era la stessa di sempre, e quella era sicuramente la Belle che conosceva. Ma a quanto pare, lei non conosceva Emma.

«Non... non c'è problema» balbettò, e solo allora abbassò lo sguardo e vide che teneva per mano un bambino. «E'... è suo figlio?»

Belle sorrise. «Si».

Ad Emma passarono mille domande per la testa ma la shock gliele bloccò.

«Sta bene, signorina?» chiese Belle, notando la sua espressione.

«Sì, tutto bene» si affrettò a rispondere Emma. Non riuscì ad aggiungere altro, anche se avrebbe voluto carpire delle informazioni più importanti.

«E' nuova qui? Non mi sembra di averla mai visto in giro».

Per fortuna che Belle era particolarmente loquace.

«Sì, sono arrivata ieri sera» rispose Emma. «Sono solo di passaggio. Però avrei... una domanda da... da farle».

Avrebbe voluto chiederle in che anno si trovavano, ma come poteva fare quella domanda? Belle l'avrebbe presa per un'ubriaca o ancora peggio, per una matta da rinchiudere la manicomio.

Belle la guardò curiosa. «Mi dica».

Emma esitò. La cosa migliore che poteva fare, forse, era andarsene prima di fare qualche danno irreparabile. O forse poteva girare intorno all'informazione che voleva avere, senza fare la domanda diretta. In fondo, un tempo, era una cacciatrice di taglie e scoprire cose senza dare nell'occhio era la sua specialità.

«Da quanti anni vive qui?» iniziò Emma, cauta.

Belle si fece pensierosa. «Tanti, tantissimi anni» rispose, con un sospiro. Guardò il bambino che teneva per mano con un gran sorriso. «Viviamo qui da molto prima che Robert nascesse. Viviamo qui da... sempre, che io ricordi».

Emma trasalì. Quella era una risposta che si era sentita dare tante volte, quando era arrivata a Storybrooke la prima volta. Quando Storybrooke era sotto il sortilegio.

«Ti chiami Robert?» disse Emma, sorridendo al bambino. «E' un bellissimo nome. Quanti anni hai, Robert?»

Il bambino non rispose subito. Guardò Emma con curiosità, e lei sembrò trovare quegli occhi molto famigliari. Non erano quelli di Belle, ma era sicura di averli già visti.

«Sei» rispose, con vocina stridula.

«Sei anni?» ripeté Emma, sforzandosi di essere gentile. «Sei proprio un ometto».

Belle sorrise, stringendo la mano di Robert un po' di più. «Ora dobbiamo andare».

Emma si fece da parte. «Ma certo, anzi scusate se vi ho trattenuto».

«Nessun problema!» disse Belle, incamminandosi. «Benvenuta in città».

«Grazie» disse Emma, guardando Belle allontanarsi. La donna aveva fatto solo pochi passi, quando la bionda la richiamò. «Aspetti un momento!»

Belle si voltò.

«Mi sa dire che giorno è oggi?»

Belle sbatté le palpebre un paio di volte, a quella domanda. «Intende...che giorno della settimana o...»

«No, intendo di numero» Emma fece un passo verso Belle, sentendosi una stupida. Ma doveva cercare di capire.

«E' il ventisei di maggio».

«Grazie» rispose Emma, con un cenno del capo.

Belle si allontanò senza aggiungere una parola, e anche Emma riprese la sua strada, e in un attimo si ritrovò a correre.

Doveva trovare Regina al più presto. E c'era soltanto un posto in cui sapeva di poterla trovare, l'unico posto in cui Regina si sentiva sicura. 

  
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